
Titolo originale: Dane-ye anjir-e ma’abed
Anno: 2024
Regia: Mohammad Rasoulof
Interpreti: Soheila Golestani, Missagh Zareh, Setareh Maleki
Il seme del fico sacro, nome scientifico Ficus Religiosa, attecchisce sulle radici di altri alberi e attraverso di esse penetra nel fusto; sviluppandosi infine dilania e uccide la pianta ospite. Questo ci viene spiegato nel prologo del film, ma è anche vero che il Ficus Religiosa è una pianta sacra per alcune religioni come il buddhismo. Con la scelta del titolo del suo film, girato a Teheran in clandestinità, il regista e sceneggiatore Mohammad Rasoulof vuole istituire un parallelismo tra il regime islamico instauratosi in Iran alla vita privata e i singoli individui che lo perpetrano. Il protagonista maschile del film infatti, Iman, lavora dopo la promozione a giudice istruttore governativo realizza che lui e la sua famiglia (moglie e due figlie adolescenti) sono in pericolo su due fronti: da una parte il governo islamico, molto esigente, severo e autoritario verso tutti i suoi dipendenti; dall’altra il fronte rivoluzionario, che vede in tutti i dipendenti dell’odiato governo dei nemici da abbattere. Pur essendo sostenuto senza riserve dalla moglie, Iman percepisce che le figlie invece simpatizzano con i rivoluzionari che chiedono libertà, uguaglianza e giustizia. La paura per la famiglia si trasforma in modo incredibilmente rapido in paura della famiglia, e Iman sembra perdere velocemente tutte le sue certezze, sentendosi impotente e privo di autorità sia sul lavoro che a casa e reagendo a questa paura in maniera scomposta e violenta.
Quello che il regista vuole raccontarci ha una duplice essenza: è la tragedia umana di un singolo uomo e della sua famiglia, narrata con un uso molto sapiente della tensione e un’ottima regia, e la tragedia di un intero paese strangolato da quel governo che dovrebbe prendersene cura come la pianta che si ritrova suo malgrado a ospitare il seme del fico sacro. Ciononostante sarebbe una semplificazione identificare in Iman il cattivo; sarebbe assurdo anche dire che il Ficus Religiosa è una pianta cattiva, mentre non è sbagliato dal punto di vista botanico definirla una “pianta infestante”.
Il regime islamico di Teheran è appunto come una pianta infestante, che distrugge ogni forma di vita intorno a sé indipendentemente dal fatto che collabori alla sua sopravvivenza o meno: non solo chi ostacola questo regime è vittima di repressione e violenza, ma anche chi ne fa parte con sincera convinzione di essere nel giusto viene dilaniato dall’interno e finisce per soccombere alla paura, al dubbio e alla paranoia.
Uno sguardo profondo su una situazione storica, politica e sociale molto complessa, che il cinema iraniano continua a raccontare con coraggio nonostante i rischi che corrono tutte le persone coinvolte (la maggior parte degli interpreti e lo stesso regista hanno infatti abbandonato l’Iran al termine delle riprese).
Il Seme del Fico Sacro ha anche un valore puramente cinematografico nella costruzione di una parte finale tesa e intensa, che rende la durata percepita molto inferiore alle quasi tre ore reali.
Non a caso il film è stato candidato agli Oscar come miglior film internazionale, battuto però dal brasiliano Io Sono Ancora Qui; l’ondata di film di alta qualità che arriva dall’Iran (come ad esempio Il Mio Giardino Persiano o Leggere Lolita a Teheran) però ci deve far riflettere sull’urgenza di denuncia, racconto e condivisione degli artisti che sono in qualche modo legati a quel paese e alle sue fortissime contraddizioni. Una cosa infatti che colpisce molto è il vedere come anche chi fa parte attivamente del regime islamico non disdegni i prodotti della cultura occidentale (nel corso del film la Coca Cola scorre a fiumi, e una delle ragazze indossa una felpa con sopra Topolino): sappiamo che l’attuale governo iraniano ha cercato il riavvicinamento con l’occidente, in forte contraddizione con molti dei dettami della religione di stato, l’Islam, che impongono uno stile di vita decisamente diverso da quello occidentale, soprattutto alle donne.
Consiglio questo film a tutti coloro che desiderano comprendere meglio la rivoluzione islamica iraniana e le condizioni di vita in quel paese, ma anche a tutti coloro che vogliono godersi una interessante lezione di cinema.
Voto: 4 Muffin
Dai tempi del delizioso “Offside” (2006) ho scoperto di apprezzare molto il cinema iraniano e la sua denuncia sociale “dal di dentro”, quindi mi hai venduto subito questo film ^_^
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Ti dò ragione, la cinematografia iraniana contemporanea, oltre ad affrontare temi sociali imprescindibili, ha sviluppato davvero un’ottima abilità nell’utilizzare il mezzo cinematografico dal punto di vista tecnico e i film, oltre che istruttivi e rilevanti, sono anche molto piacevoli da vedere. Questo poi verso la metà ha una svolta particolare, cambia completamente genere pur rimanendo coerente con tutte le premesse e diventa davvero emozionante. Basta dire che poco meno di 3 ore di film al cinema sono volate!
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Una volta, mentre mi trovavo a Venezia per la Mostra, fui “intercettato” da una troupe della tv iraniana che voleva farmi qualche domanda sulla loro filmografia… per un (mio) involontario lapsus, mi venne di citare il nome di Jafar Panahi e i due operatori, giuro, sbiancarono in volto. Con le lacrime agli occhi mi chiesero se potessi rifare l’intervista e di non rifare MAI più il nome di Panahi, altrimenti avrebbero avuto grossi problemi al rientro in patria. E questo solo per due-doamnde-due a me che non sono nessuno: tanto per dare l’idea di come si vive la cultura (e non solo) in Iran. Sul film nient’altro da dire: uno dei migliori dell’anno, come hai scritto anche te nella tua ottima recensione. Avrebbe meritato alla stra-grande l’oscar per il film straniero.
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Un aneddoto che rivela il terrore e l’oppressione che tutti gli iraniani subiscono nelle loro vite ogni giorno, è davvero tremendo solo a pensarci. Il film è davvero splendido, non ho visto quello che ha vinto ma non è facile che sia davvero migliore di questo.
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Ce l’ho in lista da settimane e ancora non mi decido a vederlo, devo ammettere che la durata un po’ mi frena. Ma lo recupererò presto, la tua recensione mi ha intrigato
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Devo dire che non sapevo quanto durasse quando mi sono seduta nel cinema… Però ti assicuro che la durata percepita è la metà, non solo non ho mai nemmeno sbadigliato, ma mi ha tenuta incollata per tutto il tempo, te lo consiglio.
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Ottimo, lo vedrò sicuramente
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