Nightflyers – Il Gioco

Titolo: Nightflyers (serie tv)

Anno: 2018

Dove trovarla: Netflix (se proprio avete tempo da perdere e un certo gusto camp)

Per salvare la popolazione del pianeta Terra da una serie di epidemie, la nave spaziale Nightflyer intraprende una pericolosa missione nello spazio profondo alla ricerca di una misteriosa specie aliena che sembra essere in grado di controllare il Teke, la più potente energia dell’universo. Ma la nave e il suo equipaggio nascondono molti segreti…

Avete presente quei giochi che si trovano sulle riviste di enigmistica in cui bisogna aguzzare la vista e trovare una serie di oggetti in un’immagine affollata, confusa e priva di senso? Ecco, Nightflyers è proprio così. Tratto da una novella di George R.R. Martin, autore della celeberrima serie Il Trono di Spade, in originale Game of Thrones, Nightflyers si limita ad inanellare una catena di citazioni da altri film e telefilm appartenenti al genere fantascienza (ma non solo) senza creare proprio niente di originale. Personaggi, situazioni, dialoghi, tutto sa di già visto e sfocia troppo spesso nel cattivo gusto. Si salvano giusto gli effetti speciali, ma tutto il resto è un vero disastro. E non si è mai visto nella storia delle navi spaziali un equipaggio più disobbediente, falso e disordinato: ognuno pensa per sé, persegue i suoi fini personali e nasconde cose ai suoi compagni. Giusto per fare un esempio che renda l’idea, ad un certo punto l’equipaggio è così annoiato che sfrutta gli immensi poteri del telepate che hanno a bordo per creare… una grande campagna allucinatoria di Dungeons & Dragons. Ho detto tutto.

Tuttavia, poiché non mi va giù l’idea di aver buttato via il tempo, vi propongo un gioco:

A Game of Quotes

Vi sfido a trovare in questa orripilante serie tv senza capo né coda tutti i riferimenti ad altri film e telefilm, di fantascienza e non. Di seguito ve ne elenco alcuni, giusto per farvi capire in che pantano vi infilate se provate davvero a vedere la serie per intero.

  • Alien (1979) di Ridley Scott, un grande classico del genere fantascienza ricco di tensione con una straordinaria Sigurney Weaver. Anche qui a bordo dell’astronave, all’insaputa di tutti, c’è un robot (ma non solo…) che si spaccia per essere umano.
  • Il Pianeta Proibito (1956) di Fred M. Wilcox. Classicissimo oggi purtroppo dimenticato, che non passa mai in televisione ma che invece è ancora avvincente e affascinante, fantascienza pura al 100%, con un giovanissimo Leslie Nielsen per la prima (e forse unica) volta in un ruolo serio. Anche la Nightflyer espone nella sua sala mensa una macchina in grado di ricreare, su richiesta, qualsiasi tipo di cibo o bevanda (l’unico macchinario di tutta la serie che, come l’adorabile robot Robbie, segue sempre le tre leggi della robotica).
  • Salvation è una dimenticabile serie tv del 2017, ma questo non ha scoraggiato gli sceneggiatori di Nightflyers, che le hanno rubato l’idea di una meteora in rotta di collisione con la Terra che si rivela poi un essere alieno senziente.
  • Psycho (1960) di Alfred Hitchcock. Il maestro del brivido sarebbe rabbrividito vedendo come in Nightflyers la madre maniaca del controllo abbia deciso di arredare le sue stanze con dei riconoscibilissimi uccelli impagliati.
  • Matrix (1999) dei fratelli (ora sorelle) Wachowski viene ampiamente saccheggiato. La metafora utilizzata dall’agente Smith (Hugo Weaving) che assimila la razza umana ad un virus che infesta il pianeta Terra viene ripresa alla lettera.
  • 2001 – Odissea nello Spazio (1968) di Stanley Kubrick…………………………………………………….

E ora tocca a voi!

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E – Fly like an Eagle

I bambini, in fatto di cinema e di cartoni animati, hanno dei gusti davvero incomprensibili. Io da piccola, per esempio, oltre ai classici Disney, avevo tutta una collezione di videocassette che guardavo e riguardavo in continuazione (tanto che ancora oggi ricordo quei film battuta per battuta) e che, a ripensarci, era davvero bizzarra. Si andava da La Febbre dell’Oro di Charlie Chaplin a Altrimenti ci Arrabbiamo con Bud Spencer e Terence Hill, da Angeli con la Pistola di Frank Capra a Miracolo a Milano di Vittorio De Sica e scritto da Zavattini. Tutti film che mi piacciono ancora oggi, ma che non si direbbero proprio adatti ad una bimba di sette anni. E anche tra i cartoni animati c’erano dei titoli che, a rivederli molti anni dopo, mi hanno fatto venire i brividi. Ad esempio Fievel sbarca in America, che un tempo mi piaceva tanto, ora lo trovo davvero orrendo. Ma il titolo più sconcertante è quello di Brisby e il Segreto di Nimh che, oltre ad avere per protagonisti degli animali parlanti, non ha niente altro del film per bambini, anzi, con i suoi ratti geneticamente modificati è inquietante anche per un adulto. Quello che valeva per me, naturalmente, valeva anche per mio fratello, il quale, pur avendo a disposizione tutta la mia invidiabile collezione di film, finiva per vedere sempre gli stessi, alcuni dei quali erano decisamente brutti (come ad esempio il live action sull’Ispettore Gadget dei cartoni, che aveva come protagonista Matthew Broderick). C’era però un film che metteva sempre d’accordo tutti, cugini e genitori compresi: Space Jam. Quando uscì io avevo circa nove anni, e ricordo distintamente che dopo averlo visto per la prima volta decisi che sarei diventata una stella del basket (non durò che pochi giorni, naturalmente). Io e i miei cugini abbiamo quasi la stessa età e per noi era normale condividere tutto, giochi, giocattoli e film. Ricordo che mio cugino, quando un adulto ci spiegò che “space jam” significava letteralmente “marmellata spaziale”, dopo averci riflettuto su esclamò: «Ma allora “Spice Girls” vuol dire “marmellata di ragazze”!» Space Jam è un film bellissimo, sotto ogni punto di vista: la storia, i personaggi, la musica, lo sport, le risate, non manca niente. Mio fratello se ne innamorò e iniziò a guardarlo ogni giorno. Una domenica andammo a pranzare nella casa in campagna con la zia e i cugini, e lui passò l’intera giornata in un angolo del frutteto a scavare con una paletta da spiaggia. A chi lo interrogava rispondeva solo: «Sto cercando i Looney Tunes», e riprendeva la sua attività con entusiasmo. Da allora sono passati molti anni, e sono davvero contenta di dire che ora anche i miei figli si sono appassionati a Space Jam, che grazie a Netflix possiamo vedere tranquillamente ogni giorno. Soprattutto il più piccolo stravede per quel film. Quando saliamo in auto inizia a chiedere con insistenza la canzone di Space Jam (Are you ready for this?), e guai a non accontentarlo subito! E guai anche a cercare di cantarla insieme a lui, si viene subito zittiti: è una cosa privata. Se vede qualcuno giocare a basket, anche in televisione, o se vede un canestro in qualche giardino, subito esclama «Space Jam!». Il più grande invece ha deciso di aspettare di essere al mare per andare sulla spiaggia e scavare per cercare i Looney Tunes. «Come lo zio!» dice tutto eccitato. Lì poi c’è anche un campo da minigolf (nel film Michael Jordan arriva nel paese dei Looney Tunes attraverso la buca di un campo da golf), quindi è praticamente certo che lì ci siano. Adesso ho scoperto che il prossimo anno dovrebbe uscire un seguito ufficiale di Space Jam (Looney Tunes – Back in Action del 2003, che secondo me resta un film molto divertente e ben fatto, non era un seguito ufficiale) con Lebron James come protagonista. So già che non è importante se a me piacerà o meno: se piacerà ai bambini, lo vedrò tutti i giorni per un bel po’….

Tyler Rake

Titolo originale: Extraction

Regia: Sam Hargrave

Anno: 2020

Interpreti: Chris Hemsworth, Rudhraksh Jaiswal, David Harbour

Dove trovarlo: Netflix

Tyler Rake è un mercenario senza più nulla da perdere che accetta qualsiasi tipo di missione senza fare troppe domande. Quando viene incaricato dell’estrazione di Ovi Mahajan, giovane figlio di un boss della droga rapito da un concorrente del padre, affronta la missione con il solito asettico pragmatismo fino a che le cose non si complicano.

Questo film è bellissimo. Inizio con questa semplice affermazione perché sinceramente non me lo aspettavo e sono rimasta felicemente sorpresa. Pensavo si trattasse dell’ennesimo film d’azione con personaggi di carta velina, invece Tyler Rake (in originale Extraction, “Estrazione”, forse ritenuto un titolo troppo odontoiatrico) non solo è intenso e adrenalinico ma offre anche dei personaggi di spessore. Chris Hemsworth, diventato famoso nei panni di Thor, ci mostra di poter reggere bene un intero film anche senza martelli e pettorali in vista e si prodiga in scene d’azione davvero notevoli. La tematica di fondo è una riflessione sulla figura paterna: il giovane Ovi, più che per il rapimento, soffre per la consapevolezza che il padre lo considera un oggetto, la cui scomparsa è più un’onta che un dispiacere; Tyler non può perdonare a se stesso di essersi arruolato volontariamente nell’esercito per non dover veder morire il figlio malato; la guardia del corpo di Ovi per salvare la vita a suo figlio deve a tutti i costi salvare il figlio del suo spietato capo. Perfino i personaggi secondari, dal mercenario David Harbour (lo sceriffo di Stranger Things) al giovanissimo sicario, si fanno strada. Con dei personaggi così ben strutturati vengono poi naturali le loro evoluzioni, i legami e anche i bei dialoghi. Tutto questo senza sottrarre nulla all’azione: Sam Hargrave, qui al suo primo lungometraggio da regista, è però un veterano come stuntman e nell’orchestrazione degli stuntmen (suo il coordinamento stuntmen in molti titoli Marvel, tra cui gli ultimi due Avengers, Infinity War e Endgame) e tutta la sua esperienza si vede eccome.  La scena d’inseguimento in piano sequenza, che inizia in auto e prosegue nelle case e poi in strada, con tanto di elicotteri che sopraggiungono, mi ha davvero levato il fiato. 

Citazioni:

  • Sai che nessun altro accetterebbe questo lavoro.
  • E tu perchè lo accetti?
  • Le galline sono costose.
  • Non sembri un “Tyler”.
  • E cosa sembro?
  • Sembri più un “Brad”. E poi, “rake” non è un attrezzo da giardinaggio? (rake= rastrello)
  • Siamo stati attaccati dai Goonies dall’inferno!

Voto: 4 Muffin

Disney Più o Meno

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Sono entusiasta di Disney Plus, questo va detto. Se quando ero piccola qualcuno mi avesse detto che avrei avuto la possibilità di vedere in qualsiasi momento tutti i film e i cartoni Disney non ci avrei nemmeno creduto, gelosa com’ero delle mie care videocassette che guardavo e riguardavo all’infinito. Per non parlare poi della qualità delle immagini, della possibilità di scegliere le lingue, dei contenuti speciali, del ricco catalogo di corti, documentari, telefilm…

In queste giornate di vacanza forzata sarei sicuramente incollata a Disney Plus dalla mattina alla sera, se non fosse per i miei bambini, che invece preferiscono vedere i Trolls e Masha e Orso (ironia della sorte). Tuttavia ho riscontrato delle mancanze nell’offerta della piattaforma e desidero segnalarle, nella speranza che Topolino con le sue grandi orecchie possa ascoltarmi e porvi presto rimedio. Due di queste riguardano proprio il topo più famoso del mondo: Il Canto di Natale di Topolino (confido comunque nell’uscita in periodo natalizio), tratto da quello di Dickens e Topolino e il Fagiolo Magico. Quest’ultimo è disponibile solamente all’interno di Bongo e i tre avventurieri, preceduto da un noiosissimo cartone su Bongo, un orsetto acrobata che scappa dal circo, e introdotto, invece che dal simpatico Pico De Paperis con il grillo Wilbur, da un ventriloquo i cui pupazzi hanno spaventato moltissimo i miei bambini. Similmente il divertentissimo mediometraggio Il Drago Riluttante è presente, ma in una versione con una lunga introduzione con attori in carne ed ossa (tra cui Walt Disney in persona) e non è disponibile in lingua italiana. Peccato. Allo stesso modo anche Quattro Bassotti per un Danese, film esilarante che vede Dean Jones (attore protagonista di moltissime pellicole Disney, tra cui Il Maggiolino tutto Matto e FBI :Operazione Gatto) alle prese con un enorme cane danese, Brutus, che però si crede un bassotto, non è disponibile con il doppiaggio italiano, per cui non ho ancora potuto condividere con i bambini questo classico della mia infanzia. Concludo con un film che non mi aspettavo di trovare ma che sarei davvero entusiasta di poter rivedere dopo tanti anni: La Gnomo-mobile, con protagonisti Karen Dotrice e Matthew Garber, che solo tre anni prima erano stati Jane e Michael Banks in Mary Poppins e qui interpretano di nuovo due fratelli, che si imbattono, mentre sono in gita con il nonno in un bosco di sequoie, in due gnomi, nonno e nipote, disperati in quanto convinti di essere gli unici due gnomi rimasti al mondo… Continuerò a tenere le dita incrociate nella speranza di rivedere ancora una volta l’auto degli gnomi. Che non a caso è una Rolls-Royce…

Split

Titolo: Split

Regia: M.Night Shyamalan

Sceneggiatura: M. Night Shyamalan

Anno: 2016

Interpreti: James McAvoy

Tre giovani ragazze vengono rapite e segregate da uno sconosciuto che si presenta loro sempre con atteggiamento, abbigliamento e modo di parlare diverso. Chi è e cosa vuole da loro? 

Quando nel lontano 1999 lo sconosciuto Shyamalan presentò Il Sesto Senso conquistò tutti grazie ad una buona sceneggiatura, una splendida interpretazione di Bruce Willis e un gran colpo di scena finale che mostrava allo spettatore tutti gli eventi cui aveva appena assistito in una luce completamente nuova, elevando l’intero film. Dopo questo bellissimo esordio, però, il regista si è un po’ perso, commettendo una serie di passi falsi (The Village, Signs, L’Ultimo Dominatore dell’Aria). Tuttavia qualcosa di salvabile c’era, come ad esempio la favola Lady in the Water e Unbreakable, ancora con Bruce Willis, e Shyamalan, per ritrovare la retta via, ha deciso di aggrapparsi con le unghie e con i denti a quest’ultimo, realizzando non uno ma due seguiti, Split e Glass, dando così vita ad una trilogia dei supereroi in tono minore, senza maschere né mantelli. Ma di questi tempi, in cui tra Avengers e Justice League già ce n’è per tutti i gusti, la scelta non si è rivelata felice. Split, al contrario di Il Sesto Senso, ha una partenza da thriller psicologico che incuriosisce, ma che viene completamente rovinata dall’introduzione dell’elemento fantastico nel proseguo. È palpabile l’impegno di James McAvoy nell’interpretare Kevin, un personaggio quasi impossibile, un uomo che soffre di un disturbo dissociativo della personalità così profondo da racchiudere in sé ben 23 persone diverse (con una ventiquattresima identità in agguato per stravolgere tutto il sistema già precario), ma il risultato purtroppo è una teoria di vocine e mossette poco convincenti, a volte ridicole. In questo arduo compito non è certo supportato dalla sceneggiatura, piena di ingenuità e facilonerie. Un esempio, la terribile trovata dei video registrati da Kevin che la protagonista trova per caso e che tentano di risolvere tutti i problemi in un colpo solo, mostrandole, per dirne una, dove si trovano le chiavi. Davvero difficile trovare qualcosa di ben fatto in questo film (perfino le inquadrature, ravvicinate o dal basso, non hanno senso): se è vero che solo chi soffre può evolversi, allora tutti gli spettatori sono ora pronti a diventare X-Men. Ma non contento, dopo i titoli di coda Shyamalan affonda il colpo di grazia, con un cameo di Bruce Willis che annuncia, per chiunque ricordi il precedente Unbreakable, che non è ancora finita. E, proprio come il caro Bruce, anche mio marito mi ha già preannunciato che Glass mi attende. Meglio consolarsi con un altro tipo di Split

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Voto: 2 Muffin

Paradise Beach – Dentro l’Incubo

Prendi una bellissima ragazza appassionata di surf che ha perso da poco la madre e abbandonato la facoltà di medicina.

Aggiungi un enorme squalo bianco che, pur avendo a disposizione un’intera carcassa di capodoglio da poter mangiare, ha deciso che è meglio la carne fresca di una bionda (ma per essere politically correct e non far credere che un animale possa davvero essere crudele senza motivo ci mostrano che lo squalo ha un grosso amo infilzato nella pelle).

Risultato? Paradise Beach, titolo originale The Shallows (=acque basse).

Abbiamo già visto una moltitudine di pescecani assassini, di ogni dimensione e con svariati numeri di teste, quindi ora desideriamo qualcosa di diverso.

Dimenticate però di godervi per più di un’ora le grazie di Blake Lively in bikini: non succede.

Iniziamo male quando la protagonista, interrogata dall’uomo che le ha appena dato un passaggio in mezzo al fitto bosco messicano per trovare la spiaggia senza nome dove andava sua madre, gli risponde di non preoccuparsi per lei perchè tornerà indietro con Uber.

Se tutti quanti, padre, sorella e messicani sconosciuti ti dicono che è pericoloso fare surf dopo il tramonto, tu cosa fai? Ti butti in acqua all’imbrunire, chiaro. E tutta sola, perchè la tua amica sta smaltendo una sbornia in albergo.

Effetti speciali? Quando la ragazza viene morsa dallo squalo diventa tutto rosso. E più tardi, proprio nel momento del bisogno, compare un provvidenziale banco di meduse… Bisogna accontentarsi.

Blake Lively è bloccata su uno scoglio e lo squalo, dopo averla assaggiata, le gira intorno con pazienza aspettando l’alta marea per mangiarsi anche il resto. Come il coccodrillo con Capitan Uncino. Ma a farle compagnia Blake non ha il caro Spugna, bensì un gabbiano che, ferito ad un’ala, è intrappolato come lei sullo scoglio. La ragazza si affeziona all’uccello e gli dà anche un nome. Non indovinate quale? 

Esatto, Steven Seagal (in inglese seagull significa “gabbiano”)!

Accadono alcune (poche) cose: i surfisti ritornano solo per farsi massacrare; un ubriaco decide che deve assolutamente entrare in acqua per prendersi una tavola da surf galleggiante e viene, ovviamente, ucciso; Blake si rattoppa la gamba usando i suoi orecchini poi raggiunge una boa.

Conclusione? Blake Lively alla fine è molto malridotta ma se la cava, e anche Steven Seagull.

Ho realizzato una cosa papà”. “Cosa figlia mia? Che se fai sempre la saputella prepotente e abbandoni gli studi poi finisci male?”. “No, ho dimenticato la mia amica ubriaca in un hotel di Tijuana…”

D – Debbie Reynolds al mio Matrimonio

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Avevo solo dieci anni quando uscì il film In&Out. Ricordo che andai a vederlo ad un cinema all’aperto con mia madre, una compagna di scuola e sua madre. Prendemmo un numero che entrambe le nostre madri considerarono esagerato di pacchettini di M&M’s. Quello delle M&M’s al cinema, comprate in loco o trafugate nella borsa per risparmiare qualche euro, è per me ancora oggi una parte imprescindibile del rituale cinematografico: se vado a vedere un film al cinema devo avere le mie M&M’s (rigorosamente gialle, quelle con la nocciolina, e in confezione grande), altrimenti, giuro, non me lo godo nemmeno. Il film ci fece divertire, anche se naturalmente eravamo troppo piccole per capire la maggior parte delle cose che venivano dette. Nel corso degli anni, anche In&Out divenne uno dei grandi classici di casa, guardato ad ogni passaggio televisivo, poi comprato in dvd, rivisto e citato a memoria in ogni occasione. Ancora oggi lo trovo un film davvero riuscito, che ha superato brillantemente la prova del tempo, con dialoghi sagacissimi e spassosi, un cast meraviglioso (con un inedito Tom Selleck in versione bionda e gay) e un modo efficace di riflettere su un tema importante come quello della discriminazione degli omosessuali a colpi di sonore risate (si tratta di umorismo davvero intelligente, mai volgare né triviale). Sebbene tutti gli attori e tutti i personaggi siano fantastici, mia mamma si è sempre riconosciuta nella madre del protagonista (interpretato magistralmente da Kevin Kline), che ha le sembianze apparentemente miti ma sotto sotto diaboliche di Debbie Reynolds (che qualche anno più tardi, quando esplose la mia passione per i musical, ebbi modo di apprezzare anche da giovane nel classicissimo Cantando sotto la pioggia). Quando venne il momento di organizzare il mio matrimonio mia madre  decise che lei sarebbe stata, in quell’occasione, proprio come Debbie Reynolds in In&Out. Comprò un vestito lilla e si fece confezionare un cappellino viola con veletta, intonato alle scarpe, giusto per essere sicura che nessuno degli invitati potesse avere dubbi su chi fosse la madre della sposa. E, poiché è la madre della sposa a dettare i canoni dell’eleganza della cerimonia, anche mia suocera (che per fortuna è una persona estremamente adattabile e dalla pazienza infinita) dovette dotarsi di adeguato copricapo. Quando avevo deciso di sposarmi, non avevo ancora nessuna idea su come sarebbe stato il mio matrimonio, tranne una: il tema sarebbe stato il cinema. La mia più grande passione non poteva certo rimanere esclusa dal giorno più importante della mia vita. Oltretutto si dà il caso che il matrimonio sia una cosa di per sé estremamente cinematografica (come dimostra lo stesso In&Out), anche nel caso in cui qualcosa vada storto e uno degli sposi ci ripensi. In quegli anni andava di moda connotare ognuno dei tavoli del pranzo in modo diverso, secondo un tema prestabilito e scelto in base ai gusti degli sposi. Io naturalmente avevo deciso che su ogni tavolo ci sarebbe stata la locandina di un diverso film, scelto tra i miei preferiti. Ci sarebbero naturalmente stati il tavolo Casablanca e il tavolo Moulin Rouge, mentre avevo alcune riserve sul tavolo Quattro matrimoni e un funerale, per ovvi motivi… Quando mancavano ancora molti mesi al matrimonio partecipammo a quello di un collega di mio marito. Dopo la cerimonia in chiesa raggiungemmo il ristorante per il rinfresco. Quando arrivai nella sala da pranzo rimasi paralizzata: su ogni tavolo c’era la locandina di un film. Cercai di ricompormi e, con la vecchia ma sempre buona scusa di incipriarmi il naso mi recai in bagno; da lì telefonai a mia madre piangendo disperata. Lei cercò di consolarmi, mi disse che noi avremmo scelto dei film più belli e messo delle locandine più grandi, ma io sapevo che non potevo utilizzare lo stesso tema di una coppia di amici che si era sposata qualche mese prima di me, e che naturalmente sarebbe stata tra gli invitati. Pian piano mi rassegnai all’idea di non poter fare del cinema il tema del mio matrimonio… però mi restava sempre la mia personale Debbie Reynolds! Ripiegammo sulla poesia come tema, e mia madre realizzò personalmente il tableaux de marriage e trascrisse (con la sua grafia enormemente migliore della mia) i versi che designavano ciascun tavolo. Feci fruttare appieno la mia laurea in lettere scegliendo con molta cura i poeti e i componimenti (mia madre censurò solamente Tolkien, che doveva troneggiare sul tavolo degli amici più nerd, perchè avevo scelto una poesia troppo lunga). Il giorno del mio matrimonio fu memorabile, tutto filò liscio (beh, come per ogni matrimonio ci sono molti aneddoti che si potrebbero raccontare, dalle bottoniere rubate agli avanzi di cibo saccheggiati, ma io, che temevo di inciampare lungo la navata o che il velo mi prendesse fuoco, lo considero un buon risultato) e tutto fu bello, buono e raffinato. Un bellissimo ricordo che non potrà mai essere cancellato. E io auguro a tutti che, quando verrà anche per loro il momento del “Lo voglio”, possano avere accanto un maestro di cerimonia col panciotto e una Debbie Reynolds che tenga tutti in riga e vegli sulla loro felicità.

What did Jack do?

Anno: 2017

Regista: David Lynch

Interpreti: David Lynch

Un uomo e una scimmia entrano in un bar… ma se l’uomo è David Lynch e la scimmia è Jack Cruz, che abbiamo visto in alcuni episodi di Friends nei panni di Marcel, la scimmietta di Ross, allora c’è poco da ridere. Le atmosfere di questo cortometraggio ricalcano magistralmente quelle del grande noir (quello di Humphrey Bogart), tanto che nei primi minuti in cui il poliziotto interroga la scimmia accusata di omicidio quasi ci si potrebbe aspettare una cosa innovativa ma seria. Ma questa illusione svanisce quando, improvvisamente, la scimmietta si esibisce in un numero musicale. Per fortuna, per amare Lynch non è necessario capirlo. A me piacciono molto Blue Velvet, Twin Peaks (non ho ancora visto la terza tardiva stagione, e forse non avrò il coraggio di farlo) e Mulholland Drive, ma non posso dire di averli capiti. Eppure, se si accetta di non poter mai venire davvero a capo della storia, degli eventi e dei dialoghi, ci si può lasciar trascinare nell’immaginario folle di David Lynch e godersi anche questa piccola chicca di diciassette minuti, in cui il caffè non arriva mai e le galline compaiono dal nulla.

Voto: 2 muffin

10 Film sulla Reclusione

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Visto che a quanto pare resteremo tutti bloccati nelle nostre case ancora per un po’, tanto vale prendersi un po’ di tempo per guardare come il cinema abbia nel corso dei decenni riflettuto proprio su questa condizione: la reclusione. Ho volutamente escluso da questo elenco i classici film ambientati in carcere, come La Grande Fuga, Le Ali della Libertà, Fuga per la Vittoria, anche se li amo molto, per tentare di essere un pochino più originale. Spero tanto di esserci riuscita. Buona visione!

  1. The Cube (1997) di Vincenzo Natali 

Confesso di essere molto affezionata a questo film e di considerarlo molto più di un modesto horror. Io infatti, in questo gruppetto di sconosciuti che si ritrova senza sapere il perché intrappolato in una fantascientifica struttura cubica da cui si può uscire solo con l’ingegno e la collaborazione, ho sempre visto un’ottima metafora della facilità con cui gli esseri umani si rivoltano gli uni contro gli altri al di là di ogni raziocinio. Il film ha un buon ritmo, una certa suspense e qualche bella trovata. Condivido la scelta finale di non spiegare chi e perchè avesse ideato il cubo (il tentativo di spiegazione tentato dal sequel, Hypercube, è stato sicuramente un errore).

  1. Nodo alla gola (1948) di Alfred Hitchcock, con James Stuart, Stuart Granger

Nel 1948 la tecnologia della pellicola cinematografica ancora non permetteva di girare un intero film senza stacchi di montaggio (semplicemente le bobine non erano lunghe abbastanza) come oggi il digitale permette di fare, ma Hitchcock desiderava per il suo The Rope (letteralmente “La Corda”) proprio l’effetto di immersione e coinvolgimento totale che solo un ininterrotto piano sequenza può offrire. Adottò perciò lo stratagemma di mascherare i cambi di bobina con strane inquadrature sulle schiene dei personaggi o su oggetti d’arredamento, che non interrompono il fluire della narrazione. Gli attori hanno perciò recitato l’intero film senza interruzioni, come in una messa in scena teatrale senza intervallo. Per questo, oltre che per tanti altri motivi (i favolosi interpreti, la suspense, le riflessioni sulla natura umana) ritengo Nodo alla Gola un film perfetto per la clausura, girato in tempo reale in un’unica stanza  con una manciata di attori. Non uno dei più celebri del regista britannico ma uno dei più interessanti e stimolanti.

  1. Duello nel Pacifico (1968) di John Boorman, con Lee Marvin, Toshiro Mifune

Qui troviamo una reclusione anomala, non fra quattro mura ma su una minuscola isola del Pacifico in cui restano bloccati, durante gli scontri della seconda guerra mondiale, un soldato americano (interpretato da Lee Marvin) e uno giapponese (Toshiro Mifune, attore molto amato da Kurosawa). I due parlano lingue diverse e non si possono capire, ed essendo nemici dovrebbero in teoria cercare da subito di farsi fuori a vicenda. Eppure le singolari circostanze di questa prigionia in pieno sole e la comune lotta per la sopravvivenza li portano, a poco a poco, a intendersi e a far crollare tutte le barriere. Un film che si regge tutto su due grandi attori e che riesce ad essere ironico ma anche profondo nel riflettere su come la natura umana rimanga la stessa al di là di ogni divisa o bandiera.

  1. Carnage (2011) di Roman Polanski, con Christoph Waltz, Jodie Foster, Kate Winslet, John C. Reilly

Due ragazzini fanno una rissa a scuola e i loro genitori si ritrovano tutti insieme per chiarire ragionevolmente e civilmente la questione. O almeno, queste sono le loro intenzioni, all’inizio… In Carnage (letteralmente “carneficina”, che in questo caso però, a differenza di altri titoli di questa lista, è soltanto metaforica) nessuno è davvero un prigioniero, ma di fatto tutto si svolge in tempo reale in un’unica stanza (è tratto da una piéce teatrale, Il Dio della Carneficina, di Yazmina Reiza). Polanski, sfruttando al massimo quattro interpreti straordinari, crea così un’atmosfera di crescente tensione e angoscia, mostrando cosa accade quando convinzioni e sentimenti apparentemente ordinari e condivisi si esasperano.

  1. La notte dei morti viventi (1968) di George A. Romero

L’esordio alla regia di George A. Romero ha dato il via non solo alla sua personale pentalogia sugli zombie, ma a tutto il sottogenere “morti viventi”, che prima quasi non esisteva. Romero è tra i primi a dimostrare, e con grande sapienza, che i film di genere sono veicoli perfetti per riflessioni sulla società e sulla natura umana. Infatti il minutaggio più consistente della pellicola non è dedicato ai mostri che assediano la casa ma alle dinamiche tra i personaggi che sono barricati al suo interno, i quali si rivelano altrettanto bestiali. Nemmeno il pericolo di morte imminente riesce a creare armonia tra gli assediati (tra di loro c’è anche un uomo di colore, e siamo nell’America del ‘68), e il pericolo dei mostri mangiacervelli in agguato nel cortile diventa secondario rispetto a ciò che gli esseri umani possono fare l’uno all’altro.

  1. The Hole (2001) di Nick Hamm, con Thora Birch, Keira Knightley

La cosa più interessante di questo film è il modo in cui mi è capitato di vederlo. Durante una qualsiasi passeggiata ho incontrato un amico (che poi sarebbe diventato mio marito) che sfrecciava in bicicletta. Si è fermato per salutarmi e mi ha detto: “Tu sei appassionata di cinema vero? Tieni, ho qui un film!”, mi ha allungato un dvd ed è ripartito. Incuriosita, appena a casa me lo sono guardato. La protagonista (Thora Birch) è una ragazza non molto popolare innamorata senza speranza di un compagno classe. Nell’estremo tentativo di conquistarlo si accorda con un amico per farsi rinchiudere insieme all’amato e ad altri due compagni di scuola (tra cui Keira Knightely) nel buco del titolo, una sorta di bunker sotterraneo con una sola via d’uscita. Per una serie di sfortune i quattro si trovano davvero bloccati lì dentro, e quello che doveva essere un weekend avventuroso e romantico si trasforma in un vero incubo. Ho ben pochi complimenti da fare a questo thriller adolescenziale che parte da un’idea sciocca ed esaspera fino al ridicolo le situazioni, ma se per caso siete amanti del genere potrebbe essere un tassello della vostra cultura cinefila. In ogni caso, dopo averlo visto essere bloccati in casa vi sembrerà sicuramente meno drammatico.

  1. L’ Ammutinamento del Caine (1954) di Edward Dmytryk, con Humphrey Bogart, Fred MacMurray, Lee Marvin

Un’altra situazione assimilabile alla reclusione è quella vissuta dagli equipaggi di navi e sottomarini, specialmente quelli militari, in cui la tensione, la convivenza forzata e gli spazi angusti possono far cedere anche gli animi più temprati. L’ammutinamento del titolo viene sviscerato durante un processo del tribunale militare: davvero il comandante ha dato segni di instabilità mentale, o piuttosto il suo equipaggio è stato pigro e sleale? Film di altissima qualità, con grandi interpreti e un regista di prim’ordine, coinvolgente e memorabile.

  1. Il Buco (2019) di Galder Gaztelu-Urrutia 

Sotto molti aspetti simile a The Cube, ma molto più crudo e violento, il film d’esordio del regista spagnolo Galder Gaztelu-Urrutia invita a riflettere sulla gestione politica, sulle differenze sociali e sulla natura umana attraverso l’elaborata metafora della “fossa” (soprassediamo sulla traduzione italiana del titolo), un carcere costituito da molti (nessuno sa quanti) livelli sovrapposti. Ogni livello è costituito da un’unica cella, per due persone, ed ha un buco nel pavimento e uno sul soffitto, necessari per lo scorrimento del tavolo con il cibo, che scende dall’alto e si ferma pochi minuti per ogni livello. Mano a mano che si scende arriva sempre meno cibo, e la mancanza di nutrimento non può che generare comportamenti estremi. Ma ogni trenta giorni ciascun detenuto viene cambiato di cella, e quindi di piano, e la sua situazione può cambiare in meglio oppure in peggio. Il protagonista, recluso volontario, inizialmente si scandalizza per lo svolgersi degli eventi, ma con il passare del tempo sembra adeguarsi alle spietate leggi della fossa… Il regista sceglie di non spiegare mai cosa sia la fossa, chi vi venga recluso e da chi sia gestita, e in alcuni punti cede un po’ alla retorica e a qualche forzatura, ma riesce comunque a creare un film d’impatto, con bravi attori e alcune buone trovate. Il Buco farà senza dubbio sembrare il distanziamento sociale dovuto al Covid una passeggiata. Da consumarsi rigorosamente lontano dai pasti.

  1. Oldboy (2003) di Chan-Wook Park 

Un uomo si sveglia in una stanza d’hotel e scopre di esservi imprigionato senza possibilità di fuga. Non sa come ci è arrivato nè perchè si trova lì, ma ci rimane per quindici anni, subendo quotidianamente violenze e torture da aguzzini senza identità. Dopodichè viene improvvisamente liberato, senza spiegazioni. Non può fare altro che mettersi alla ricerca del responsabile della sua prigionia per conoscere finalmente la verità. La reclusione vera e propria in realtà non è altro che l’incipit di questa vicenda incredibile, ma dà inizio ad una serie di cambiamenti, scoperte e colpi di scena impossibili da raccontare. Oldboy può sembrare un classico film di vendetta piuttosto violento, ma è molto di più, è un film spiazzante, originale, vivido e particolare. Lo sconsiglio alle persone sensibili alla violenza ma lo consiglio a tutti gli altri. 

  1.  Che cosa hai fatto quando siamo rimasti al buio? (1968) di Hy Averback, con Doris Day

Mi sono resa conto di aver inanellato una serie di pellicole non proprio allegre. D’altra parte, se il tema portante è la reclusione, come poteva essere il contrario? Tuttavia desidero comunque concludere con un sorriso e un pensiero incoraggiante. Questa tipica commedia degli equivoci a lieto fine con protagonista la fidanzatina d’America Doris Day infatti non racconta di una reclusione, ma di un avvenimento eccezionale (un improvviso blackout nella zona di New York) che rischia di scombinare le vite dei protagonisti, tra sorprese maldestre, equivoci e tentativi di rapina. Alla fine del film la voce fuori campo racconta di come, esattamente nove mesi dopo il blackout, ci fu un eccezionale boom di nascite, eloquente risposta alla domanda tanto in voga: “E tu cosa hai fatto quando siamo rimasti al buio?”. Ho visto questo film una sola volta moltissimi anni fa, da allora non l’ho più ritrovato, ma in questi giorni di reclusione ci penso spesso, con la speranza che da questo periodo difficile possa nascere inaspettatamente qualcosa di buono per tutti quanti, come in un film con Doris Day.

Il Gioco degli Attori

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Forse non ci avete mai pensato, ma il cinema si presta benissimo come base per i giochi di società, anche per chi non è un grande appassionato. Con un po’ di preparazione si possono riadattare giochi classici come Tabù, Pictionary o il gioco dei mimi, incentrandoli completamente sulla settima arte. Il gioco che qui vi propongo può essere anche un solitario, per tenere allenata la mente e passare il tempo quando magari si hanno alcuni minuti liberi (in bagno, in autobus, spostandosi a piedi), comodissimo in quanto non ha bisogno di supporti cartacei. Tutto quello che dovete fare è scegliere, nel modo più casuale possibile, due attori, e poi collegarli tra di loro attraverso i film che hanno interpretato. Un esempio: Sean Connery e Tom Cruise.

  • Sean Connery ha interpretato Entrapment con Catherine Zeta-Jones
  • Catherine Zeta-Jones era protagonista di Prima ti sposo poi ti rovino insieme a George Clooney
  • George Clooney era in The Peacemaker con Nicole Kidman
  • Nicole Kidman ha interpretato Cuori Ribelli con il futuro marito Tom Cruise

Questa è la dinamica base del gioco, di per sé semplicissima, che può essere complicata a piacere, ad esempio scegliendo attori di età molto diverse, di diverse nazionalità, oppure fissando un determinato film come passaggio centrale obbligato. Inoltre si può scegliere di sostituire gli attori con registi o film o serie tv. In caso di più giocatori, la sfida consisterà nel creare il collegamento col minor numero di passaggi. Vi lascio qualche sfida già pronta, poi fatemi sapere com’è andata: magari avete impiegato meno passaggi di me!

Facile:

  • Da Robert De Niro a John Travolta
  • Da Charlize Theron a Robert Downey Jr.
  • Da Tom Hanks a Natalie Portman

Difficile:

  • Da Jean Reno a Angela Lansbury
  • Da Maggie Smith a Jackie Chan
  • Da Mary Poppins a Tutti Pazzi per Mary

Molto difficile:

  • Da Valeria Golino a Timothy Spall passando per Truman Capote
  • Da Jack Lemmon a Zac Efron passando per Men in Black
  • Da Rihanna a Beyoncè passando per Suicide Squad