Bullet Train (recensione in versi)

Mi han detto che esiste un “Treno proiettile” in Giappone

che va più veloce di una palla di cannone

e qui lo stesso fa la sceneggiatura

per non far notare la sua scarsa cura.

Non che di parole non sia generosa,

anzi di quelle ne elargisce a iosa.

Brad Pitt nell’incipit blatera senza sosta

ma è tutto fumo senza carne arrosta;

si psicanalizza da solo parlando al cellulare:

ma in qualche modo il protagonista si deve presentare.

“Ladybug” per gli amici “Coccinella”

rubo cose, annodo budella.

Lemon e Tangerine son due gemelli

(nel Segno del Destino, proprio quelli)

sono killer ma gran simpaticoni

loro malgrado addetti agli spiegoni,

ma il Quicksilver sbagliato e l’Eternal giusto

comunque tentano di farci ridere di gusto.

Prince a sorpresa è la ragazza in rosa

e capiamo che è capace di qualunque cosa

anche di gettare un bambino giù dal tetto

(e forse per puro diletto)

per trovare qualcuno da poter incastrare

e il suo piano far funzionare

di eliminare la Morte Bianca

che è il Diavolo, o poco ci manca.

C’è poi la solita valigetta

piena di soldi, come ci si aspetta,

che inizia a passare di mano in mano

mentre il treno va sempre più lontano.

Ora di tutti tutto sappiamo

ma la psicologia dei personaggi ce la scordiamo

perchè qui tutti agiscono a casaccio

nel tentativo di levarsi d’impaccio

facendo scorrere sangue a fiotti

tra braccia spezzate e nasi rotti.

Pistole, spade, bombe e karma:

in questo film ogni cosa diventa un’arma,

perfino il serpente velenoso

(“Snakes on a Train”) non trova riposo

mentre lo trova lo spettatore

soavemente cullato da tutto il fragore;

e se per un attimo si riprende

una predica del Trenino Thomas di nuovo lo stende.

Channing Tatum ha un cameo e nemmeno bello:

almeno ci avesse fatto uno spogliarello!

E l’umorismo? Lo riassumo in una battuta

(così anche la quarta parete è abbattuta).

“Non dimentico mai una faccia!” dice Coccinella

“Che sia brutta oppure bella!”

quando invece Brad Pitt ha da poco rivelato

che di “prosopagnosia” è malato

per cui non riconosce volti e persone

e tutti lo accusano di maleducazione

se per strada nessuno saluta:

non so se voi ve la siete bevuta…

Ma dal regista di Deadpool 2 che vi aspettate?

(a proposito, un’altra apparizione a sorpresa

su questo tema: con ottima resa!)

Sangue, morti e violenza a palate,

tanto ogni malanno rimane impunito

perchè il treno è del tutto incustodito:

né un controllore né un inserviente

per tutto il film nessuno si accorge di niente.

E così senza motivo né ragione

in qualche modo si arriva a una conclusione

perché in realtà si seguiva un binario:

Assassinio sull’Orient Express ma al contrario.

Michael Shannon è un bravo attore, poveretto,

se a usare spada e parrucca non è costretto.

Nel marasma anche la fata madrina è arrivata:

una Sandra Bullock dal botox pietrificata

che ancora alle inutili ciance è incline

perchè al peggio non c’è mai

Fine.

Patton Oswalt: chi è costui?

Lo scorso Natale ho ricevuto in regalo un libro: Silver Screen Fiend (Il Demone dello Schermo d’Argento) di Patton Oswalt. poiché autore e titolo non mi dicevano niente ho chiesto spiegazioni a Babbo Natale che mi ha risposto: “Ma come, era nella tua letterina!”. Insomma, devo aver letto di questo libro su uno dei blog di cinema che seguo (se per caso il/la blogger in questione sta leggendo si faccia pure avanti nei commenti!) e l’ho inserito nella mia wishlist per poi dimenticarmene. Ma per fortuna Babbo Natale se ne è ricordato, perché non solo ho letto un bellissimo libro ma ho anche scoperto un grandissimo attore, sceneggiatore e stand up comedian americano: Patton Oswalt. Silver Screen Fiend è il secondo libro di Oswalt, dopo il suo esordio nel 2011 con Zombie Spaceship Wasteland (che, inutile dirlo, finirà nella prossima letterina per Babbo Natale). Il sottotitolo è Learning about life from an addiction to film (= imparare delle cose sulla vita da un’ossessione per il cinema) e infatti Oswalt racconta di un periodo della sua giovinezza in cui vedere film al cinema era l’occupazione principale della sua vita, in un’operazione maniacale di studio e catalogazione che lo avrebbe dovuto portare a diventare un bravo sceneggiatore. Oswalt ha una scrittura davvero frizzante e accattivante, per cui è un piacere leggere il suo racconto di questo strano periodo, le sue recensioni dei film visti, ma soprattutto il modo in cui è uscito da questa fase drammatica della sua vita, in cui tutti i rapporti umani e ogni aspetto della socialità erano stati accantonati: la visione in sala di Star Wars – La Minaccia Fantasma nel 1999 è la scintilla che gli fa realizzare che, forse, non sta gestendo nel migliore dei modi la sua vita, il suo tempo e il suo talento. Segue quindi il racconto dei suoi primi passi nel mondo della stand up comedy, della sceneggiatura e della recitazione (esilarante e indimenticabile il racconto della sua prima esperienza come attore sul set di Giù le mani dal mio periscopio).

Dopo aver divorato il libro mi sono informata meglio su Patton Oswalt, scoprendo che ha partecipato come attore a moltissime serie tv e che ha lavorato molto anche come doppiatore di cartoni animati.

Ma la cosa migliore è stata scoprire che su Netflix sono disponibili ben 4 suoi spettacoli di stand up comedy: Talking for Clapping (2016), Annihilation (2017), I Love Everything (2020) e We All Scream (2022). In questi spettacoli Patton Oswalt affronta, con arguta intelligenza e comicità irresistibile, gli argomenti più diversi: dalla presidenza Trump al politically correct, dalla morte della moglie ai fast food, dal rapporto con la figlia ai clown. Guardandoli sono rimasta davvero colpita dalla sua simpatia, dal suo talento, dalla sua capacità di affrontare argomenti anche molto personali e delicati con ironia e sagacia; ma soprattutto mi sono affezionata al suo modo di dire in falsetto “Really?” quando parla di una situazione assurda.

Un grande personaggio, sconosciuto al grande pubblico ma che può saltare fuori senza preavviso facendo zapping (in una puntata di Due Uomini e Mezzo o Modern Family ad esempio) o leggendo i titoli di coda di un film d’animazione: una presenza sempre simpatica e gradita, uno scrittore divertentissimo e un vero, autentico amante del cinema: ecco chi è Patton Oswalt.

Only Murders in the Building

Titolo originale: Only Murders in the Building

Anno: 2021 (stagione 1) – 2022 (stagione 2) – stagione 3 annunciata

Interpreti: Steve Martin, Martin Short, Selena Gomez, Nathan Lane, Tina Fey, Jane Lynch, Cara Delevingne

Dove trovarlo: Disney Plus

L’Arconia è un grande palazzo storico di New York, composto di moltissimi appartamenti i cui inquilini, per lo più, vivono esistenze del tutto separate, limitandosi a saluti più o meno cordiali nell’ascensore e nell’androne. Così è per Charles (Steve Martin), protagonista di una vecchia serie tv poliziesca, Oliver (Martin Short) produttore teatrale ora in bancarotta, e Mabel (Selena Gomez), artista dal passato misterioso. Quando però Tim Kono, uno dei residenti dell’Arconia, viene trovato morto nel suo appartamento, Charles Oliver e Mabel decidono di unirsi in una doppia missione: trovare l’assassino di Tim Kono e realizzare, sulla base delle loro indagini, un podcast di successo…

Questa è la trama della prima stagione; nella seconda il nostro trio di investigatori/podcasters improvvisati si trova invece invischiato in un altro omicidio avvenuto nell’Arconia, di cui viene accusata Mabel, e a gestire da un lato i fan esaltati del loro Only Murders in the Building e dall’altra una conduttrice esperta e agguerrita che fa loro concorrenza con un’altro real crime podcast, Cinda Canning (Tina Fey).

I gialli da risolvere sono coinvolgenti e piacevoli da seguire, ma il vero punto forte di Only Murders in the Building sono i siparietti, i dialoghi e le gag irresistibili portati avanti dai tre protagonisti, che sono anche produttori esecutivi della serie (in particolare dai veterani Steve Martin e Martin Short, mentre Selena Gomez, anche se non brilla per verve ed espressività nella prima stagione, migliora sensibilmente nella seconda). Oltre alle loro esilaranti interazioni e ai gustosissimi riferimenti a successi del cinema e del teatro (“…come quella volta che abbiamo messo in scena The Elephant Man con un vero elefante!”), la serie è impreziosita dalla partecipazione di grandi star del cinema, della tv e della musica (Nathan Lane, Jane Lynch, Sting, Amy Schumer, Shirley MacLaine, per citarne alcuni). Anche se Disney Plus lo consente, consiglio di non saltare la visione della sigla, molto ben fatta, che spesso si modifica in base agli eventi narrati nell’episodio. Consiglio vivamente la visione della serie, possibilmente in lingua originale per godersi appieno le interpretazioni, le battute e le molte citazioni, a tutti gli amanti del giallo ma soprattutto di Broadway e del musical (la lezione di Martin Short su come utilizzare la canzone di Chorus Line per alleviare i dolori da colichette dei neonati è imperdibile). Nel finale della seconda stagione viene introdotto (insieme a una nuova star che non rivelo) il mistero che sarà al centro della terza, già annunciata, stagione, per la gioia di chi come me non era ancora pronto a rinunciare al divertimento, al mistero e al relax offerto da Only Murders in the Building.

Voto: 4 Muffin 

Limitless

Anno: 2022

Interpreti: Chris Hemsworth, Elsa Pataky

Dove trovarlo: Disney Plus

In questa serie composta di 6 episodi ideata dal regista Darren Aronosky e dal produttore Ari Handel per National Geographic, il famoso attore australiano Chris “Thor” Hemsworth si cimenta in diverse sfide estreme (non soltanto fisiche) con lo scopo di ritardare e ridurre il più possibile il decadimento fisico e mentale causato dall’avanzare dell’età.

Questa serie si sarebbe potuta tranquillamente chiamare “Shirtless” (=”senza maglietta”), visto che ogni pretesto è buono per esibire il fisico mozzafiato di Chris Hemsworth, e in questo in realtà non c’è proprio niente di male, anzi. Limitless (= “senza limiti”) è una serie davvero molto godibile e divertente nella parte in cui mostra Chris alle prese con ardue prove fisiche precedute da intensi e a volte bizzarri allenamenti con l’impiego di attrezzature incredibilmente sofisticate (come la tuta che simula l’invecchiamento del corpo). Parallelamente, allo spettatore vengono proposte anche una serie di teorie scientifiche innovative su come contrastare il decadimento fisico e mentale provocati dell’età, e questa forse è la parte meno interessante perchè queste teorie, sebbene vengano illustrate in modo accattivante con animazioni e diagrammi, non vengono mai del tutto documentate nella loro effettiva validità: resta comunque interessante sapere che alcuni scienziati sono impegnati nella ricerca in diverse direzioni. Oltre all’intrattenimento e allo svago in ogni caso la serie offre (a chi abbia desiderio di coglierli) validi spunti di riflessione, presentati attraverso persone reali le cui esperienze di vita sono a dir poco incredibili e la cui capacità di reagire a determinate situazioni è davvero fonte di ispirazione. Nelle sei puntate di cui Limitless è composta il nostro Chris si ritroverà a dover vincere lo stress, la fame, lo shock, la paura di invecchiare e a dover mettere a dura prova la sua forza, concentrazione, memoria, resistenza, sempre guidato da allenatori esperti e, a volte, anche supportato dai familiari: i fratelli Luke e Liam e la splendida e dolcissima moglie Elsa Pataky (modella e attrice, che ha interpretato la poliziotta Elena nella serie Fast & Furious). Si ride, si piange (soprattutto nell’ultima puntata che tratta dell’accettazione della nostra mortalità) e ci si ritrova inevitabilmente a trattenere il fiato insieme a Chris mentre affronta le prove subacquee: a mio parere non è un’offerta scarsa per una serie tv.

L’incredibile tuta che simula l’invecchiamento

The Loft

Anno: 2014

Regia: Erik Van Looy

interpreti: Karl Urban, James Marsden, Eric Stonestreet, Wentworth Miller, Matthias Schoenaerts, Rhona Mitra

Dove trovarlo: Amazon Prime Video

Cinque amici, tutti sposati e apparentemente arrivati nella vita, decidono di acquistare insieme e in segreto un elegante appartamento (il “Loft” del titolo) da tenere sempre a disposizione per le loro scappatelle. Un giorno però trovano una ragazza morta nell’appartamento: poiché nessuno, oltre loro cinque, possiede le chiavi, i buoni amici iniziano a sospettare l’uno dell’altro…

Remake del film del 2008 Loft, sempre diretto da Erik Van Looy e sceneggiato da Bart de Pauw, The Loft si aggiunge alla breve lista di titoli della storia del cinema che lo stesso regista ha girato due volte; in questo caso ritornano anche lo sceneggiatore e uno dei cinque interpreti principali, Matthias Schoenaerts, nato in Belgio come il regista. Non avendo visto il film del 2008 per me è impossibile dire se il regista sia stato saggio o meno a rigirare lo stesso film, ma quello che posso dire è che questo suo secondo tentativo si fa davvero apprezzare. Il punto di forza sono i cinque attori principali, tutti volti noti della tv e del cinema, che pur non essendo forse interpreti da Oscar riescono a caratterizzare bene i propri personaggi e soprattutto a tenere desto l’interesse dello spettatore nelle loro sorti. Quello che invece scricchiola è la sceneggiatura: ripensando alla vicenda (che non è davvero il caso di spoilerare visto il suo carattere “Whodunnit”) dopo la visione, infatti, emergono molteplici incongruenze; inoltre i personaggi non sono così ben delineati come avrebbero potuto essere (soprattutto considerando che sono solamente cinque e che gli attori sono bravi). Nonostante questo, mentre si guarda il film, si viene coinvolti profondamente nel mistero, soprattutto mano a mano che emergono i segreti di ciascuno dei sedicenti “carissimi amici”. Il personaggio più repulsivo è sicuramente quello interpretato da Schoenaerts, cocainomane violento con un passato di violenza domestica alle spalle. James Marsden (SonicIl Film) è perfetto nei panni del “buono” della compagnia, quello che non vuole saperne del loft e di tradire la moglie (inizialmente). Eric Stonestreet, noto per il ruolo del gay appassionato di musical Cameron nella serie Modern Family, qui sorprende invece nel ruolo di sciupafemmine. Wentworth Miller, il protagonista dell’ottima (almeno per la prima stagione) serie Prison Break, regala al suo personaggio una grande ambiguità che ben serve lo spirito “giallo” del film. Ma il vero mattatore della compagnia è Karl Urban, salito alla ribalta nel 2002 con il secondo capitolo della trilogia del Signore degli Anelli di Peter Jackson nel ruolo di Eomer e da allora presente in un gran numero di film e serie tv (personalmente l’ho molto apprezzato nelle Cronache di Riddick come antagonista di Vin Diesel, nei nuovi film di Star Trek nel ruolo del dottor McCoy e nel più recente Thor: Ragnarok nel ruolo del pavido Skurge, oltre che nella sottovalutata serie Almost Human); dopo molti ruoli in costume (in particolare penso al reboot Dredd in cui recita per tutto il film con indosso il casco) per la prima volta ho potuto constatare quanto fascinoso e magnetico sia questo attore calato nella giusta atmosfera e nel giusto personaggio. Al di là dei cinque protagonisti, il cast femminile (che comprende tutte le moglie e le amanti, tutte meglio tratteggiate dei protagonisti maschili) è ricco e talentuoso, capitanato da una splendida Rachel Taylor (la Trish Walker della serie Marvel Jessica Jones) cui la sceneggiatura,come per i colleghi dell’altro sesso, non rende giustizia. Ricapitolando: cinque amici, un cadavere, mille segreti e, naturalmente, un finale a sorpresa. Non un capolavoro e di certo non perfetto ma davvero coinvolgente e apprezzabile nel suo genere.

Voto: 3 Muffin

Jojo Rabbit

Titolo originale: Jojo Rabbit

Anno: 2019

Regia: Taika Waititi

Interpreti: Roman Griffin Davis, Scarlett Johansson, Thomasin McKenzie, Taika Waititi, Sam Rockwell, Rebel Wilson, Archie Yates, Stephen Merchant

Dove trovarlo: Disney Plus

Germania, 1945. Jojo (Roman Griffin Davis) è un bambino di 10 anni che vive solo con la madre Rosie (Scarlett Johansson) e che fa orgogliosamente parte della gioventù hitleriana, dedicandosi a tutte le attività sportivo-militari con grande entusiasmo ma scarso successo; nonostante questo il suo amico immaginario Adolf Hitler (Taika Waititi) non manca mai di spronarlo e incoraggiarlo a diventare un grande eroe della patria. Ma tutto è destinato a cambiare quando Jojo scopre che sua madre nasconde segretamente una giovane ragazza ebrea (Thomasin McKenzie) nella loro soffitta…

La buona fama e il successo di questo film (premio Oscar 2020 per la miglior sceneggiatura non originale – il film è infatti tratto dal romanzo Caging Skies di Christine Leunens – e ha ricevuto anche altre 5 candidature agli Oscar 2020) sono del tutto meritati. 

Si tratta infatti di un film originale, divertente e intelligente, recitato molto bene, che riesce a far ridere, piangere e riflettere, abbattendo fin dalle prime scene l’idea che ormai su Hitler e sulla Germania nazista si sia detto proprio tutto. Senza la minima pretesa di voler essere una ricostruzione storica (ma non per questo desideroso di riscrivere i fatti), il film si concentra sul personaggio del piccolo Jojo (un bravissimo Roman Griffin Davis), nazista e antisemita più per desiderio di accettazione e inclusione che per reale convinzione, come l’evolversi della vicenda dimostrerà chiaramente e come probabilmente erano tanti altri bambini e ragazzini nella realtà. L’idea che il bambino, orfano di padre, abbia come amico immaginario il Fuhrer in persona è davvero ottima: le interazioni tra Hitler e Jojo sono esilaranti e Taika Waititi (anche regista e sceneggiatore del film) incarna perfettamente un leader come lo potrebbe immaginare appunto un bambino: affettuoso, solidale e sciocco come un amichetto, ma anche incoraggiante e severo come quel padre di cui Jojo sente tanto la mancanza, nonostante la mamma (meravigliosa Scarlett Johansson, candidata anche all’oscar come miglior attrice non protagonista) faccia di tutto per essere per lui sia madre che padre. Quando Jojo scopre che la mamma nasconde segretamente in soffitta una ragazza ebrea per proteggerla dai nazisti tutte le sue certezze vengono messe in discussione e man mano che si instaura un rapporto tra lui e la misteriosa Elsa (splendida Thomasin McKenzie) Jojo deve rivalutare tutte le sue convinzioni sulla famiglia, sugli ebrei e sulla superiorità della razza ariana, e conseguentemente anche il rapporto con il suo Fuhrer. Il concetto di famiglia è centrale nel film e viene trattato con freschezza e intelligenza, senza mai scadere nel didascalico, nel patetico o nel già visto. Se proprio si vuole trovare un difetto, il film soffre di un leggero calo di ritmo verso i tre quarti, ma si riprende in fretta e si mantiene interessante fino alla conclusione.

Tutti gli interpreti offrono ottime prestazioni, dal piccolo amico di Jojo Archie Yates alla figura paterna davvero inaspettata Sam Rockwell, dalla fanatica Rebel Wilson al kafkiano burocrate Stephen Merchant. La colonna sonora di Michael Giacchino accompagna le emozioni senza mai sovrastarle e utilizza con intelligenza brani pop arcinoti ma cantati in lingua tedesca per un effetto di “familiare eppure nuovo” che è poi la cifra di tutto il film.

Tenete a portata di mano un fazzoletto per un paio di scene toccanti ma fate anche attenzione a non soffocare con i pop corn quando il Fuhrer ne combina una delle sue: risate di cuore assicurate, insieme a una lacrimuccia.

Voto: 4 Muffin

Shadow

Titolo originale: Ying

Anno: 2018

Regia: Zhang Yimou

Interpreti: Chao Deng, Li Sun, Ryan Zeng, Wang Qianyuan

Dove trovarlo: Prime Video

Il comandante dell’esercito Ziyu, dopo essere stato sconfitto in duello dal rivale Yang Kang, si nasconde in una grotta e addestra segretamente un suo perfetto sosia affinché un giorno possa sconfiggere Yang Kang e riabilitare il suo nome. Non ha però considerato i sentimenti che la moglie segretamente prova per la sua “ombra” e i mille intrighi che la corte nasconde.

Il regista cinese Yimou Zhang nel 2002 aveva realizzato il suggestivo film Hero rielaborando la trama del capolavoro del grande maestro del cinema giapponese Akira Kurosawa, Rashomon, in cui una stessa storia viene raccontata e rappresentata da punti di vista diversi a seconda del personaggio narrante, dando vita ad un trionfo estetico di colori e movimenti davvero notevole, supportato da una storia coinvolgente con un twist interessante nel finale e attori molto fascinosi. 

Hero, 2002

Anche con Shadow Yimou Zhang procede da spunti e suggestioni prese da Kurosawa: la pioggia battente e senza fine (Rashomon), la figura femminile che spicca nel finale per colori a contrasto, movenze ed espressioni molto cariche (Trono di Sangue), il sosia “ombra” che sostituisce il combattente nelle situazioni più pericolose (Kagemusha). Questa volta però, a contrasto con la saturazione policroma di Hero, il regista mette in scena un mondo in bianco e nero rappresentando e al contempo negando la classica contrapposizone tra Yin e Yang, bianco e nero, bene e male: in modo fin troppo didascalico i personaggi si allenano al combattimento in un’arena a forma di Yin-Yang, e i personaggi stessi proclamano come non esistano giusto o sbagliato ma solamente ciò che accade e ciò che non accade. In questo film non ci sono buoni o cattivi, eroi o malvagi, ma ogni personaggio è “grigio”, amorale, guidato da motivazioni imperscrutabili e in fin dei conti irrilevanti. Lo stesso finale aperto ci lascia nell’ignoranza di cosa sia accaduto, quale decisione sia stata presa: eppure la scelta finale non è rilevante, in quanto nulla di ciò che accade può dirsi giusto o sbagliato. Se l’idea di fondo è abbastanza interessante, la resa è decisamente poco incisiva: gli attori appaiono a loro volta “grigi”, senza saper infondere vita nei loro personaggi, che restano sagome di cartone utili al regista per esporre la sua tesi ma prive di anima; la continua ricerca estetica in ogni singola inquadratura sovrasta ogni dialogo, ogni azione e ogni dinamica tra i personaggi; il ridicolo involontario arriva con forza nella scena in cui si invitano i combattenti a “maneggiare gli ombrelli con movenze femminili” per vincere la battaglia.

In definitiva questa nuova estetica e filosofia cinematografica del regista cinese non mi ha convinta, soprattutto per via della decisione di anteporre il messaggio alla rappresentazione, a discapito ovviamente della forza del film, divenuto manifesto di una visione interessante ma trasmessa in modo troppo diretto: più manifesto estetico/filosofico che film.

Voto: 2 Muffin

Addio ad Angela Lansbury

Goodbye Little Yellow Bird

Non ho bisogno degli Analytics per sapere con certezza che Angela Lansbury è il personaggio più citato in assoluto su Cinemuffin. Non solo articoli e recensioni a lei dedicati, ma molto spesso ha fatto capolino a sorpresa in contenuti che sembravano non avere assolutamente nulla a che fare con lei. Ma non poteva essere diversamente, visto che Angela è stata una figura sempre presente nella mia vita, sin da quando ero piccolissima e guardavo la Signora in Giallo sicura che, ad ogni episodio, una o due persone venissero realmente uccise. Poco più tardi mi venne spiegato delle finte morti e delle pistole a salve: in poche parole, della magia dello schermo. L’immancabile risata finale di Jessica Fletcher e la voce della sua storica doppiatrice Alina Moradei risuonano ancora oggi in casa mia ogni giorno, all’ora di pranzo, e ancora oggi gli episodi di Murder, She  Wrote, seppure visti mille volte, mi offrono sorprese inaspettate. Non molto tempo dopo la mia scoperta del sangue finto arrivò quello che divenne, ed è ancora oggi, un grande classico di casa Verdurin: Pomi d’Ottone e Manici di Scopa. Solo molto più tardi, con l’arrivo dei dvd, potei ascoltarlo in lingua originale, con tutte le canzoni interpretate da Angela, comprese quelle poi tagliate dalla versione che conoscevo del film (compresa l’imbarazzante, nella traduzione italiana, “L’età del Non-mi-cucchi”). Allo stesso modo riuscii finalmente ad ascoltare la voce originale di Angela nel capolavoro Disney La Bella e la Bestia, grazie all’arrivo dei dvd. In quel periodo avevo imparato a scaricare le canzoni da Internet e creare i miei cd personalizzati e venivo presa in giro perchè, in ogni singola compilation che realizzavo, Tale as Old as Time cantata dalla teiera Mrs. Brick (Mrs. Potts in originale) era presente: una sorta di marchio di fabbrica. Venne poi la grande sorpresa di vedere Angela da giovane in molti film: Gran Premio, in cui interpretava la sorella maggiore di Elizabeth Taylor, ma soprattutto I Tre Moschettieri, in cui nei panni della regina di Francia, Angela spediva Gene Kelly e compagni in missione per recuperare i gioielli che avrebbero potuto provocare una guerra tra Francia e Inghilterra a causa della sua liason con il duca di Buckingham. E che dire poi dei suoi molti ruoli in film gialli, come quelli tratti dalle opere della mia amatissima Agatha Christie, o della signora scomparsa e miracolosamente da me ritrovata decenni dopo grazie al catalogo di Prime Video? Per non citare la versione teatrale del musical di Stephen Sondheim Sweeney Todd, in cui Angela interpretava Mrs. Lovett (ruolo ripreso da Helena Bonham Carter nella versione cinematografica di Tim Burton): il costume della cuoca, celebre per le sue speciali “torte di carne”, con tanto di scarafaggi e mattarello insanguinato, è in cantina pronto ad essere indossato per Halloween.

Angela Lansbury ha sempre fatto parte della mia vita e dei miei sogni, e continuerà a farne parte per sempre (i miei due romanzi gialli nel cassetto lo provano: ho sempre desiderato essere come Jessica Fletcher. Vedovanza a parte).

Grazie di tutto Angela.

Buon viaggio Angela

Notte Horror – Manitou

Titolo originale: The Manitou

Anno: 1978

Regia: William Girdler

Interpreti: Tony Curtis, Susan Strasberg, Michael Ansara, Stella Stevens, Jon Cedar, Paul Mantee

Dove trovarlo: Prime Video

Buonasera carissimi amici appassionati di horror orrendi! Anche quest’anno ho l’immenso privilegio di partecipare alla maratona Notte Horror e di raccontare, insieme a tanti altri blogger eccezionali, un film che è in tutto e per tutto un vero orrore.

Ma prima, chi non lo avesse già fatto, corra a leggere la recensione horror di questa sera di Sam Simon!

Lo scorso anno qui su Cinemuffin avevo parlato di un altro film brutto da far spavento, Future Animals di William Girdler, e siccome mi sono divertita moltissimo a farlo ho pensato di continuare sulla medesima strada e parlare del film girato dallo stesso regista l’anno successivo: Manitù – Lo Spirito del Male.

Per una volta vorrei spezzare una lancia a favore dei titolisti italiani: probabilmente prima della metà del film si sono annoiati o si sono distratti, abbacinati dalla bruttezza del film stesso, e non hanno capito più niente.

“Manitù” infatti, ci viene spiegato nel film, è lo spirito incorporeo insito in ogni essere umano, animale e oggetto, ed esso può essere buono o cattivo, schierarsi dalla parte del bene o del male.

In Manitou (questo è il titolo originale) il male infatti non proviene da un “manitù”, ma dallo spirito di uno stregone indiano così potente che è in grado di tornare in vita a distanza di decenni, e ad ogni nuova incarnazione diventa più potente, fino a minacciare di distruggere il mondo intero. Ora siete spaventati?

Non lamentatevi dell’aria condizionata negli ospedali!

Ma in che modo Misquamacus, il perfido e pluricentenario stregone, riesce ad assumere di volta in volta una nuova forma corporea? E’ semplice: egli si incarna nel corpo di una persona, scelta in modo apparentemente casuale, e ne assorbe l’energia vitale per tornare in vita e compiere le sue malefatte, consumando il malcapitato e ottenendo per sé un nuovo corpo (più o meno) umano.

Ma tutto questo si scoprirà solo in seguito.

La nostra storia ha inizio a San Francisco, con la bella Karen (Susan Strasberg) che si reca in un ospedale preoccupata per uno strano bozzo che le è spuntato alla base del collo e che aumenta di dimensione con grande rapidità. L’ipotesi più logica indicherebbe che si tratti di un tumore maligno, eppure il luminare Dr. Hughes (Jon Cedar) non è convinto. Quel bozzo non ha nessuna delle consuete caratteristiche del tumore. Anzi, in realtà, somiglia moltissimo a un feto umano!

Gobba, quale gobba?

Spaventata e confusa, Karen si rivolge ad una sua vecchia fiamma, Harry Erskin, per avere conforto e consiglio. Sembrerebbe una cosa del tutto normale, se non fosse che Harry di mestiere truffa la vecchiette con i tarocchi e le sfere di cristallo: proprio la persona giusta cui rivolgersi!

E qui le cose si fanno interessanti (ma in fondo già lo erano): nei panni del truffaldino Erskin, con tanto di mantello trapunto di stelle e baffi finti (finti anche nel film, grazie al cielo!), troviamo Tony Curtis in persona!

“Aiuto gli sciocchi leggendo i tarocchi” è il suo motto.

Ora, cosa possa aver convinto l’affascinante, simpatico e brillante protagonista di classici indimenticabili come A Qualcuno Piace Caldo e Operazione Sottoveste a partecipare a questo film sarà per sempre un mistero, ma evidentemente William Girdler ha un grande potere di persuasione: in fondo ha convinto Leslie Nielsen ad affrontare a petto nudo un grizzly di peluche gigante!

Il resto del cast invece non è affatto una sorpresa: ritroviamo tutti i protagonisti di Future Animals, che dopo quella fantastica esperienza non vedevano l’ora di lavorare di nuovo per Girdler. E torna anche Lalo Schifrin ad occuparsi della colonna sonora, ma questo ci è chiaro già dalla tremenda sigla di apertura.

Tony Curtis cerca di rincuorare Karen e la accompagna in ospedale, dove con un intervento chirurgico il dottor Hughes le rimuoverà l’antipatico bozzo, per poi tornare a turlupinare le vecchiette.

Per favore non toccate le vecchiette!

Quando però una delle sue clienti, durante la lettura dei tarocchi, inizia prima a gridare, poi a pronunciare parole in una lingua sconosciuta, e infine attraversa il corridoio fluttuando a mezz’aria per poi gettarsi giù dalla scale, Tony sente improvvisamente scricchiolare il suo cinico scetticismo.

Corre in ospedale per scoprire che l’intervento ha avuto un esito a dir poco inaspettato: non solo il bozzo è rimasto dov’era, ma il Dottor Hughes ha rivolto con foga il bisturi contro se stesso!

Medici (e ciarlatani) in prima linea

Sconvolto, Tony Curtis si rivolge alla sua maestra di occultismo (sì, quella che gli ha insegnato a truffare le vecchiette, esatto) che accetta di aiutarlo e organizza lì per lì una seduta spiritica in casa di Karen insieme al marito e a una signora che passava di là (non ci viene spiegato meglio chi sia).

Durante la seduta succede esattamente quello che vi aspettate: la luce va via, qualcuno viene posseduto, colpi di vento fanno sbattere tutto, uno stregone si materializza nel tavolino eccetera.

“Pensa al compenso, pensa al compenso…”

E poi tutti tornano nel negozio della maestra di occultismo, che fortunatamente ha giusto un libro che descrive il loro problema, il cui autore fortunatamente è un antropologo che vive poco distante e che accoglie in casa sua degli sconosciuti per dire loro che quello di cui hanno bisogno non è un antropologo ma uno stregone indiano, il quale (indovinate?) fortunatamente vive poco distante e accetta, in cambio di una pipa di tabacco (giuro) di aiutare Tony Curtis a salvare Karen.

Tutto chiaro? Quello che è chiaro è che la seduta spiritica è una scena del tutto pleonastica, che non aggiunge assolutamente nulla alla trama; ma come si fa a fare un film su uno spirito senza seduta spiritica?

Roccia che Canta (giuro che si chiama così) si reca dunque all’ospedale, dove il bozzo di Susan ha raggiunto ormai dimensioni incredibili, per tentare di fermare il malefico Misquamacus e, se possibile, di salvare la vita di Karen. Il Dottor Hughes accetta la presenza dello sciamano senza troppe domande: tanto che senso avrebbe farsene a questo punto?

“D’ora in poi sarà Roccia che Piange”

Attenzione: il resto dell’articolo contiene SPOILER! Se non volete rovinarvi (!) il finale del film (lo trovate su Prime Video) non proseguite la lettura!

Misquamacus è uscito da Karen lasciandola tramortita ed è riuscito a uccidere uno degli infermieri, ma ora è trattenuto dal cerchio disegnato per terra col borotalco da Roccia che Canta e rimane immobile. L’altro infermiere, naturalmente, si appisola mentre è di guardia nella stanza in cui ci sono lo stregone indiano che vuole distruggere il mondo e il cadavere del suo collega: chi non si appisolerebbe in simili circostanze?

E chi se lo sarebbe mai aspettato?

Cose che succedono: apparirà una lucertola gigante; l’ospedale si congelerà; qualcuno perderà la testa; qualcuno mostrerà le tette; una stanza inizierà a ballare; qualcuno dirà: “Lasciatelo, lui sa quello che fa!”; le aspirine non si scioglieranno più nell’acqua.

Voi capite bene che non ha alcuna importanza raccontare come, perché o in che ordine questi eventi si verifichino: tant’è.

Quello che potrebbe essere interessante è vedere in che modo Misquamacus venga poi sconfitto. Di fatto Karen lo affronta a seno scoperto sparando fulmini dalle mani. Ma cosa ha dato a Karen queste potenti armi di supremazia (i fulmini, non le tette)? Semplice: Tony Curtis è riuscito a incanalare dentro di lei i manitù (cioè gli spiriti) dei macchinari dell’ospedale. Non so voi ma io non ci vado più a farmi una radiografia…

Ma il manitou del mio pc sarà buono o malvagio?

Qui ci sarebbe stato posto per una disquisizione filosofica: la tecnologia di per sé non è né buona né cattiva, dipende tutto dall’uso che ne fa l’uomo eccetera eccetera.

Ma William Girdler non ci casca: è stato l’amore di Tony Curtis per Karen a permettergli di usare i poteri che non pensava di avere e sconfiggere il maligno! E tanti cari saluti alla filosofia…

Il cattivo è sconfitto, il mondo è salvo, ma soprattutto l’amore trionfa!

Ma, siccome sempre di film horror si tratta, alla fine compare una scritta per raccontarci che una volta a Tokyo un ragazzo si è trovato sul petto quello che sembrava un tumore ma in realtà era un feto umano: va bene ma quindi? Non si sa. Raccapriccio strisciante… potrebbe succedere anche a voi!

Di sicuro un certo senso di inquietudine questo film lo lascia: con i dialoghi dementi, la sceneggiatura zoppicante, gli effetti speciali imbarazzanti e, come sempre, la totale assenza di ironia, lo scoramento è pressoché totale.

SENZA PAROLE

Mi è poi dispiaciuto moltissimo scoprire come il regista, pochi mesi dopo il termine delle riprese, sia rimasto ucciso in un incidente in elicottero: ora farò una gran fatica a trovare un film per la Notte Horror del prossimo anno!

Ops, quasi dimenticavo!

Voto: 1 Muffin (tipo “volevo fare una pizza ai peperoni e mi è uscito un muffin al cioccolato ma non era così male”)

tick, tick…BOOM!

Anno: 2021

Regia: Lin-Manuel Miranda

Interpreti: Andrew Garfield, Alexandra Shipp, Vanessa Hudgens, Robin de Jesus, Bradley Whitford

Dove trovarlo: Netflix

Il compositore Jonathan Larson (Andrew Garfield) è ossessionato dalla paura di non riuscire a sfondare a Broadway prima di compiere 30 anni e decide quindi di dedicare tutte le sue energie al suo musical Superbia e a quella canzone che, secondo il suo idolo Stephen Sondheim (Bradley Whitford), renderebbe la sua opera prima un capolavoro. Così facendo però Jonathan rischia di perdere per strada la sua fidanzata Susan (Alexandra Shipp) e il suo amico di sempre Michael (Robin de Jesus) che proprio ora hanno bisogno di lui.

Dopo il grande successo del musical originale Hamilton, il regista Lin-Manuel Miranda ci offre ora uno scorcio sulla vita di Jonathan Larson, autore e compositore morto a soli 33 anni ma consacrato da due Tony Awards e un premio Pulitzer per la drammaturgia postumi per il suo musical capolavoro, Rent

Jonathan Larson scrive il monologo teatrale tick, tick…BOOM! in seguito alla delusione per la mancata rappresentazione del suo musical distopico Superbia: Miranda utilizza quindi parole e testi dello stesso Larson per rappresentarne la vita, caratterizzata dalla completa dedizione all’arte e alla musica. 

I titoli di coda sono accompagnati da filmati del vero Larson, da cui possiamo vedere quanto la recitazione di Andrew Garfield (candidato all’Oscar come miglior attore protagonista e vincitore del Golden Globe 2022 per questo ruolo), apparentemente gigionesca, sia in realtà aderente al personaggio che rappresenta, uomo di spettacolo al 100% per cui la distinzione tra arte e vita non ha alcun significato. Anche nel film infatti musical e realtà, palcoscenico e mura domestiche, esistenza e balletti si fondono e si confondono in continuazione per il piacere degli amanti del genere, raccontando un artista e la sua rincorsa della fama e del successo per amore non dei soldi o del lusso ma dell’arte stessa, che rappresenta la vita in tutte le sue sfumature, legami ed emozioni. 

Andrew Garfield si rivela talentuoso nel canto (meno nel ballo), anche se viene messo in ombra dalla bravura delle due protagoniste femminili: Alexandra Shipp, nel difficile ruolo della fidanzata trascurata, e Vanessa Hudgens, la cantante che con la sua sola voce darà vita e slancio al complicato mondo futuristico di Superbia, Karessa.

Bradley Whitford somiglia straordinariamente al maestro Stephen Sondheim, autore di capolavori quali Sweeney Todd e Into the Woods: Sondheim conobbe davvero Larson e si prodigò, con buoni consigli e lettere di raccomandazione, per far decollare la sua carriera.

tick, tick…BOOM! non è un film per tutti secondo me, ma alcuni numeri e certe canzoni sono davvero ben riusciti (in particolare “Therapy” e “Sunday”) e gli appassionati di musical non dovrebbero lasciarselo scappare.

Voto: 3 Muffin

IL vero Jonathan Larson