Only Murders in the Building

Titolo originale: Only Murders in the Building

Anno: 2021 (stagione 1) – 2022 (stagione 2) – stagione 3 annunciata

Interpreti: Steve Martin, Martin Short, Selena Gomez, Nathan Lane, Tina Fey, Jane Lynch, Cara Delevingne

Dove trovarlo: Disney Plus

L’Arconia è un grande palazzo storico di New York, composto di moltissimi appartamenti i cui inquilini, per lo più, vivono esistenze del tutto separate, limitandosi a saluti più o meno cordiali nell’ascensore e nell’androne. Così è per Charles (Steve Martin), protagonista di una vecchia serie tv poliziesca, Oliver (Martin Short) produttore teatrale ora in bancarotta, e Mabel (Selena Gomez), artista dal passato misterioso. Quando però Tim Kono, uno dei residenti dell’Arconia, viene trovato morto nel suo appartamento, Charles Oliver e Mabel decidono di unirsi in una doppia missione: trovare l’assassino di Tim Kono e realizzare, sulla base delle loro indagini, un podcast di successo…

Questa è la trama della prima stagione; nella seconda il nostro trio di investigatori/podcasters improvvisati si trova invece invischiato in un altro omicidio avvenuto nell’Arconia, di cui viene accusata Mabel, e a gestire da un lato i fan esaltati del loro Only Murders in the Building e dall’altra una conduttrice esperta e agguerrita che fa loro concorrenza con un’altro real crime podcast, Cinda Canning (Tina Fey).

I gialli da risolvere sono coinvolgenti e piacevoli da seguire, ma il vero punto forte di Only Murders in the Building sono i siparietti, i dialoghi e le gag irresistibili portati avanti dai tre protagonisti, che sono anche produttori esecutivi della serie (in particolare dai veterani Steve Martin e Martin Short, mentre Selena Gomez, anche se non brilla per verve ed espressività nella prima stagione, migliora sensibilmente nella seconda). Oltre alle loro esilaranti interazioni e ai gustosissimi riferimenti a successi del cinema e del teatro (“…come quella volta che abbiamo messo in scena The Elephant Man con un vero elefante!”), la serie è impreziosita dalla partecipazione di grandi star del cinema, della tv e della musica (Nathan Lane, Jane Lynch, Sting, Amy Schumer, Shirley MacLaine, per citarne alcuni). Anche se Disney Plus lo consente, consiglio di non saltare la visione della sigla, molto ben fatta, che spesso si modifica in base agli eventi narrati nell’episodio. Consiglio vivamente la visione della serie, possibilmente in lingua originale per godersi appieno le interpretazioni, le battute e le molte citazioni, a tutti gli amanti del giallo ma soprattutto di Broadway e del musical (la lezione di Martin Short su come utilizzare la canzone di Chorus Line per alleviare i dolori da colichette dei neonati è imperdibile). Nel finale della seconda stagione viene introdotto (insieme a una nuova star che non rivelo) il mistero che sarà al centro della terza, già annunciata, stagione, per la gioia di chi come me non era ancora pronto a rinunciare al divertimento, al mistero e al relax offerto da Only Murders in the Building.

Voto: 4 Muffin 

The Loft

Anno: 2014

Regia: Erik Van Looy

interpreti: Karl Urban, James Marsden, Eric Stonestreet, Wentworth Miller, Matthias Schoenaerts, Rhona Mitra

Dove trovarlo: Amazon Prime Video

Cinque amici, tutti sposati e apparentemente arrivati nella vita, decidono di acquistare insieme e in segreto un elegante appartamento (il “Loft” del titolo) da tenere sempre a disposizione per le loro scappatelle. Un giorno però trovano una ragazza morta nell’appartamento: poiché nessuno, oltre loro cinque, possiede le chiavi, i buoni amici iniziano a sospettare l’uno dell’altro…

Remake del film del 2008 Loft, sempre diretto da Erik Van Looy e sceneggiato da Bart de Pauw, The Loft si aggiunge alla breve lista di titoli della storia del cinema che lo stesso regista ha girato due volte; in questo caso ritornano anche lo sceneggiatore e uno dei cinque interpreti principali, Matthias Schoenaerts, nato in Belgio come il regista. Non avendo visto il film del 2008 per me è impossibile dire se il regista sia stato saggio o meno a rigirare lo stesso film, ma quello che posso dire è che questo suo secondo tentativo si fa davvero apprezzare. Il punto di forza sono i cinque attori principali, tutti volti noti della tv e del cinema, che pur non essendo forse interpreti da Oscar riescono a caratterizzare bene i propri personaggi e soprattutto a tenere desto l’interesse dello spettatore nelle loro sorti. Quello che invece scricchiola è la sceneggiatura: ripensando alla vicenda (che non è davvero il caso di spoilerare visto il suo carattere “Whodunnit”) dopo la visione, infatti, emergono molteplici incongruenze; inoltre i personaggi non sono così ben delineati come avrebbero potuto essere (soprattutto considerando che sono solamente cinque e che gli attori sono bravi). Nonostante questo, mentre si guarda il film, si viene coinvolti profondamente nel mistero, soprattutto mano a mano che emergono i segreti di ciascuno dei sedicenti “carissimi amici”. Il personaggio più repulsivo è sicuramente quello interpretato da Schoenaerts, cocainomane violento con un passato di violenza domestica alle spalle. James Marsden (SonicIl Film) è perfetto nei panni del “buono” della compagnia, quello che non vuole saperne del loft e di tradire la moglie (inizialmente). Eric Stonestreet, noto per il ruolo del gay appassionato di musical Cameron nella serie Modern Family, qui sorprende invece nel ruolo di sciupafemmine. Wentworth Miller, il protagonista dell’ottima (almeno per la prima stagione) serie Prison Break, regala al suo personaggio una grande ambiguità che ben serve lo spirito “giallo” del film. Ma il vero mattatore della compagnia è Karl Urban, salito alla ribalta nel 2002 con il secondo capitolo della trilogia del Signore degli Anelli di Peter Jackson nel ruolo di Eomer e da allora presente in un gran numero di film e serie tv (personalmente l’ho molto apprezzato nelle Cronache di Riddick come antagonista di Vin Diesel, nei nuovi film di Star Trek nel ruolo del dottor McCoy e nel più recente Thor: Ragnarok nel ruolo del pavido Skurge, oltre che nella sottovalutata serie Almost Human); dopo molti ruoli in costume (in particolare penso al reboot Dredd in cui recita per tutto il film con indosso il casco) per la prima volta ho potuto constatare quanto fascinoso e magnetico sia questo attore calato nella giusta atmosfera e nel giusto personaggio. Al di là dei cinque protagonisti, il cast femminile (che comprende tutte le moglie e le amanti, tutte meglio tratteggiate dei protagonisti maschili) è ricco e talentuoso, capitanato da una splendida Rachel Taylor (la Trish Walker della serie Marvel Jessica Jones) cui la sceneggiatura,come per i colleghi dell’altro sesso, non rende giustizia. Ricapitolando: cinque amici, un cadavere, mille segreti e, naturalmente, un finale a sorpresa. Non un capolavoro e di certo non perfetto ma davvero coinvolgente e apprezzabile nel suo genere.

Voto: 3 Muffin

Jojo Rabbit

Titolo originale: Jojo Rabbit

Anno: 2019

Regia: Taika Waititi

Interpreti: Roman Griffin Davis, Scarlett Johansson, Thomasin McKenzie, Taika Waititi, Sam Rockwell, Rebel Wilson, Archie Yates, Stephen Merchant

Dove trovarlo: Disney Plus

Germania, 1945. Jojo (Roman Griffin Davis) è un bambino di 10 anni che vive solo con la madre Rosie (Scarlett Johansson) e che fa orgogliosamente parte della gioventù hitleriana, dedicandosi a tutte le attività sportivo-militari con grande entusiasmo ma scarso successo; nonostante questo il suo amico immaginario Adolf Hitler (Taika Waititi) non manca mai di spronarlo e incoraggiarlo a diventare un grande eroe della patria. Ma tutto è destinato a cambiare quando Jojo scopre che sua madre nasconde segretamente una giovane ragazza ebrea (Thomasin McKenzie) nella loro soffitta…

La buona fama e il successo di questo film (premio Oscar 2020 per la miglior sceneggiatura non originale – il film è infatti tratto dal romanzo Caging Skies di Christine Leunens – e ha ricevuto anche altre 5 candidature agli Oscar 2020) sono del tutto meritati. 

Si tratta infatti di un film originale, divertente e intelligente, recitato molto bene, che riesce a far ridere, piangere e riflettere, abbattendo fin dalle prime scene l’idea che ormai su Hitler e sulla Germania nazista si sia detto proprio tutto. Senza la minima pretesa di voler essere una ricostruzione storica (ma non per questo desideroso di riscrivere i fatti), il film si concentra sul personaggio del piccolo Jojo (un bravissimo Roman Griffin Davis), nazista e antisemita più per desiderio di accettazione e inclusione che per reale convinzione, come l’evolversi della vicenda dimostrerà chiaramente e come probabilmente erano tanti altri bambini e ragazzini nella realtà. L’idea che il bambino, orfano di padre, abbia come amico immaginario il Fuhrer in persona è davvero ottima: le interazioni tra Hitler e Jojo sono esilaranti e Taika Waititi (anche regista e sceneggiatore del film) incarna perfettamente un leader come lo potrebbe immaginare appunto un bambino: affettuoso, solidale e sciocco come un amichetto, ma anche incoraggiante e severo come quel padre di cui Jojo sente tanto la mancanza, nonostante la mamma (meravigliosa Scarlett Johansson, candidata anche all’oscar come miglior attrice non protagonista) faccia di tutto per essere per lui sia madre che padre. Quando Jojo scopre che la mamma nasconde segretamente in soffitta una ragazza ebrea per proteggerla dai nazisti tutte le sue certezze vengono messe in discussione e man mano che si instaura un rapporto tra lui e la misteriosa Elsa (splendida Thomasin McKenzie) Jojo deve rivalutare tutte le sue convinzioni sulla famiglia, sugli ebrei e sulla superiorità della razza ariana, e conseguentemente anche il rapporto con il suo Fuhrer. Il concetto di famiglia è centrale nel film e viene trattato con freschezza e intelligenza, senza mai scadere nel didascalico, nel patetico o nel già visto. Se proprio si vuole trovare un difetto, il film soffre di un leggero calo di ritmo verso i tre quarti, ma si riprende in fretta e si mantiene interessante fino alla conclusione.

Tutti gli interpreti offrono ottime prestazioni, dal piccolo amico di Jojo Archie Yates alla figura paterna davvero inaspettata Sam Rockwell, dalla fanatica Rebel Wilson al kafkiano burocrate Stephen Merchant. La colonna sonora di Michael Giacchino accompagna le emozioni senza mai sovrastarle e utilizza con intelligenza brani pop arcinoti ma cantati in lingua tedesca per un effetto di “familiare eppure nuovo” che è poi la cifra di tutto il film.

Tenete a portata di mano un fazzoletto per un paio di scene toccanti ma fate anche attenzione a non soffocare con i pop corn quando il Fuhrer ne combina una delle sue: risate di cuore assicurate, insieme a una lacrimuccia.

Voto: 4 Muffin

Shadow

Titolo originale: Ying

Anno: 2018

Regia: Zhang Yimou

Interpreti: Chao Deng, Li Sun, Ryan Zeng, Wang Qianyuan

Dove trovarlo: Prime Video

Il comandante dell’esercito Ziyu, dopo essere stato sconfitto in duello dal rivale Yang Kang, si nasconde in una grotta e addestra segretamente un suo perfetto sosia affinché un giorno possa sconfiggere Yang Kang e riabilitare il suo nome. Non ha però considerato i sentimenti che la moglie segretamente prova per la sua “ombra” e i mille intrighi che la corte nasconde.

Il regista cinese Yimou Zhang nel 2002 aveva realizzato il suggestivo film Hero rielaborando la trama del capolavoro del grande maestro del cinema giapponese Akira Kurosawa, Rashomon, in cui una stessa storia viene raccontata e rappresentata da punti di vista diversi a seconda del personaggio narrante, dando vita ad un trionfo estetico di colori e movimenti davvero notevole, supportato da una storia coinvolgente con un twist interessante nel finale e attori molto fascinosi. 

Hero, 2002

Anche con Shadow Yimou Zhang procede da spunti e suggestioni prese da Kurosawa: la pioggia battente e senza fine (Rashomon), la figura femminile che spicca nel finale per colori a contrasto, movenze ed espressioni molto cariche (Trono di Sangue), il sosia “ombra” che sostituisce il combattente nelle situazioni più pericolose (Kagemusha). Questa volta però, a contrasto con la saturazione policroma di Hero, il regista mette in scena un mondo in bianco e nero rappresentando e al contempo negando la classica contrapposizone tra Yin e Yang, bianco e nero, bene e male: in modo fin troppo didascalico i personaggi si allenano al combattimento in un’arena a forma di Yin-Yang, e i personaggi stessi proclamano come non esistano giusto o sbagliato ma solamente ciò che accade e ciò che non accade. In questo film non ci sono buoni o cattivi, eroi o malvagi, ma ogni personaggio è “grigio”, amorale, guidato da motivazioni imperscrutabili e in fin dei conti irrilevanti. Lo stesso finale aperto ci lascia nell’ignoranza di cosa sia accaduto, quale decisione sia stata presa: eppure la scelta finale non è rilevante, in quanto nulla di ciò che accade può dirsi giusto o sbagliato. Se l’idea di fondo è abbastanza interessante, la resa è decisamente poco incisiva: gli attori appaiono a loro volta “grigi”, senza saper infondere vita nei loro personaggi, che restano sagome di cartone utili al regista per esporre la sua tesi ma prive di anima; la continua ricerca estetica in ogni singola inquadratura sovrasta ogni dialogo, ogni azione e ogni dinamica tra i personaggi; il ridicolo involontario arriva con forza nella scena in cui si invitano i combattenti a “maneggiare gli ombrelli con movenze femminili” per vincere la battaglia.

In definitiva questa nuova estetica e filosofia cinematografica del regista cinese non mi ha convinta, soprattutto per via della decisione di anteporre il messaggio alla rappresentazione, a discapito ovviamente della forza del film, divenuto manifesto di una visione interessante ma trasmessa in modo troppo diretto: più manifesto estetico/filosofico che film.

Voto: 2 Muffin

Notte Horror – Manitou

Titolo originale: The Manitou

Anno: 1978

Regia: William Girdler

Interpreti: Tony Curtis, Susan Strasberg, Michael Ansara, Stella Stevens, Jon Cedar, Paul Mantee

Dove trovarlo: Prime Video

Buonasera carissimi amici appassionati di horror orrendi! Anche quest’anno ho l’immenso privilegio di partecipare alla maratona Notte Horror e di raccontare, insieme a tanti altri blogger eccezionali, un film che è in tutto e per tutto un vero orrore.

Ma prima, chi non lo avesse già fatto, corra a leggere la recensione horror di questa sera di Sam Simon!

Lo scorso anno qui su Cinemuffin avevo parlato di un altro film brutto da far spavento, Future Animals di William Girdler, e siccome mi sono divertita moltissimo a farlo ho pensato di continuare sulla medesima strada e parlare del film girato dallo stesso regista l’anno successivo: Manitù – Lo Spirito del Male.

Per una volta vorrei spezzare una lancia a favore dei titolisti italiani: probabilmente prima della metà del film si sono annoiati o si sono distratti, abbacinati dalla bruttezza del film stesso, e non hanno capito più niente.

“Manitù” infatti, ci viene spiegato nel film, è lo spirito incorporeo insito in ogni essere umano, animale e oggetto, ed esso può essere buono o cattivo, schierarsi dalla parte del bene o del male.

In Manitou (questo è il titolo originale) il male infatti non proviene da un “manitù”, ma dallo spirito di uno stregone indiano così potente che è in grado di tornare in vita a distanza di decenni, e ad ogni nuova incarnazione diventa più potente, fino a minacciare di distruggere il mondo intero. Ora siete spaventati?

Non lamentatevi dell’aria condizionata negli ospedali!

Ma in che modo Misquamacus, il perfido e pluricentenario stregone, riesce ad assumere di volta in volta una nuova forma corporea? E’ semplice: egli si incarna nel corpo di una persona, scelta in modo apparentemente casuale, e ne assorbe l’energia vitale per tornare in vita e compiere le sue malefatte, consumando il malcapitato e ottenendo per sé un nuovo corpo (più o meno) umano.

Ma tutto questo si scoprirà solo in seguito.

La nostra storia ha inizio a San Francisco, con la bella Karen (Susan Strasberg) che si reca in un ospedale preoccupata per uno strano bozzo che le è spuntato alla base del collo e che aumenta di dimensione con grande rapidità. L’ipotesi più logica indicherebbe che si tratti di un tumore maligno, eppure il luminare Dr. Hughes (Jon Cedar) non è convinto. Quel bozzo non ha nessuna delle consuete caratteristiche del tumore. Anzi, in realtà, somiglia moltissimo a un feto umano!

Gobba, quale gobba?

Spaventata e confusa, Karen si rivolge ad una sua vecchia fiamma, Harry Erskin, per avere conforto e consiglio. Sembrerebbe una cosa del tutto normale, se non fosse che Harry di mestiere truffa la vecchiette con i tarocchi e le sfere di cristallo: proprio la persona giusta cui rivolgersi!

E qui le cose si fanno interessanti (ma in fondo già lo erano): nei panni del truffaldino Erskin, con tanto di mantello trapunto di stelle e baffi finti (finti anche nel film, grazie al cielo!), troviamo Tony Curtis in persona!

“Aiuto gli sciocchi leggendo i tarocchi” è il suo motto.

Ora, cosa possa aver convinto l’affascinante, simpatico e brillante protagonista di classici indimenticabili come A Qualcuno Piace Caldo e Operazione Sottoveste a partecipare a questo film sarà per sempre un mistero, ma evidentemente William Girdler ha un grande potere di persuasione: in fondo ha convinto Leslie Nielsen ad affrontare a petto nudo un grizzly di peluche gigante!

Il resto del cast invece non è affatto una sorpresa: ritroviamo tutti i protagonisti di Future Animals, che dopo quella fantastica esperienza non vedevano l’ora di lavorare di nuovo per Girdler. E torna anche Lalo Schifrin ad occuparsi della colonna sonora, ma questo ci è chiaro già dalla tremenda sigla di apertura.

Tony Curtis cerca di rincuorare Karen e la accompagna in ospedale, dove con un intervento chirurgico il dottor Hughes le rimuoverà l’antipatico bozzo, per poi tornare a turlupinare le vecchiette.

Per favore non toccate le vecchiette!

Quando però una delle sue clienti, durante la lettura dei tarocchi, inizia prima a gridare, poi a pronunciare parole in una lingua sconosciuta, e infine attraversa il corridoio fluttuando a mezz’aria per poi gettarsi giù dalla scale, Tony sente improvvisamente scricchiolare il suo cinico scetticismo.

Corre in ospedale per scoprire che l’intervento ha avuto un esito a dir poco inaspettato: non solo il bozzo è rimasto dov’era, ma il Dottor Hughes ha rivolto con foga il bisturi contro se stesso!

Medici (e ciarlatani) in prima linea

Sconvolto, Tony Curtis si rivolge alla sua maestra di occultismo (sì, quella che gli ha insegnato a truffare le vecchiette, esatto) che accetta di aiutarlo e organizza lì per lì una seduta spiritica in casa di Karen insieme al marito e a una signora che passava di là (non ci viene spiegato meglio chi sia).

Durante la seduta succede esattamente quello che vi aspettate: la luce va via, qualcuno viene posseduto, colpi di vento fanno sbattere tutto, uno stregone si materializza nel tavolino eccetera.

“Pensa al compenso, pensa al compenso…”

E poi tutti tornano nel negozio della maestra di occultismo, che fortunatamente ha giusto un libro che descrive il loro problema, il cui autore fortunatamente è un antropologo che vive poco distante e che accoglie in casa sua degli sconosciuti per dire loro che quello di cui hanno bisogno non è un antropologo ma uno stregone indiano, il quale (indovinate?) fortunatamente vive poco distante e accetta, in cambio di una pipa di tabacco (giuro) di aiutare Tony Curtis a salvare Karen.

Tutto chiaro? Quello che è chiaro è che la seduta spiritica è una scena del tutto pleonastica, che non aggiunge assolutamente nulla alla trama; ma come si fa a fare un film su uno spirito senza seduta spiritica?

Roccia che Canta (giuro che si chiama così) si reca dunque all’ospedale, dove il bozzo di Susan ha raggiunto ormai dimensioni incredibili, per tentare di fermare il malefico Misquamacus e, se possibile, di salvare la vita di Karen. Il Dottor Hughes accetta la presenza dello sciamano senza troppe domande: tanto che senso avrebbe farsene a questo punto?

“D’ora in poi sarà Roccia che Piange”

Attenzione: il resto dell’articolo contiene SPOILER! Se non volete rovinarvi (!) il finale del film (lo trovate su Prime Video) non proseguite la lettura!

Misquamacus è uscito da Karen lasciandola tramortita ed è riuscito a uccidere uno degli infermieri, ma ora è trattenuto dal cerchio disegnato per terra col borotalco da Roccia che Canta e rimane immobile. L’altro infermiere, naturalmente, si appisola mentre è di guardia nella stanza in cui ci sono lo stregone indiano che vuole distruggere il mondo e il cadavere del suo collega: chi non si appisolerebbe in simili circostanze?

E chi se lo sarebbe mai aspettato?

Cose che succedono: apparirà una lucertola gigante; l’ospedale si congelerà; qualcuno perderà la testa; qualcuno mostrerà le tette; una stanza inizierà a ballare; qualcuno dirà: “Lasciatelo, lui sa quello che fa!”; le aspirine non si scioglieranno più nell’acqua.

Voi capite bene che non ha alcuna importanza raccontare come, perché o in che ordine questi eventi si verifichino: tant’è.

Quello che potrebbe essere interessante è vedere in che modo Misquamacus venga poi sconfitto. Di fatto Karen lo affronta a seno scoperto sparando fulmini dalle mani. Ma cosa ha dato a Karen queste potenti armi di supremazia (i fulmini, non le tette)? Semplice: Tony Curtis è riuscito a incanalare dentro di lei i manitù (cioè gli spiriti) dei macchinari dell’ospedale. Non so voi ma io non ci vado più a farmi una radiografia…

Ma il manitou del mio pc sarà buono o malvagio?

Qui ci sarebbe stato posto per una disquisizione filosofica: la tecnologia di per sé non è né buona né cattiva, dipende tutto dall’uso che ne fa l’uomo eccetera eccetera.

Ma William Girdler non ci casca: è stato l’amore di Tony Curtis per Karen a permettergli di usare i poteri che non pensava di avere e sconfiggere il maligno! E tanti cari saluti alla filosofia…

Il cattivo è sconfitto, il mondo è salvo, ma soprattutto l’amore trionfa!

Ma, siccome sempre di film horror si tratta, alla fine compare una scritta per raccontarci che una volta a Tokyo un ragazzo si è trovato sul petto quello che sembrava un tumore ma in realtà era un feto umano: va bene ma quindi? Non si sa. Raccapriccio strisciante… potrebbe succedere anche a voi!

Di sicuro un certo senso di inquietudine questo film lo lascia: con i dialoghi dementi, la sceneggiatura zoppicante, gli effetti speciali imbarazzanti e, come sempre, la totale assenza di ironia, lo scoramento è pressoché totale.

SENZA PAROLE

Mi è poi dispiaciuto moltissimo scoprire come il regista, pochi mesi dopo il termine delle riprese, sia rimasto ucciso in un incidente in elicottero: ora farò una gran fatica a trovare un film per la Notte Horror del prossimo anno!

Ops, quasi dimenticavo!

Voto: 1 Muffin (tipo “volevo fare una pizza ai peperoni e mi è uscito un muffin al cioccolato ma non era così male”)

tick, tick…BOOM!

Anno: 2021

Regia: Lin-Manuel Miranda

Interpreti: Andrew Garfield, Alexandra Shipp, Vanessa Hudgens, Robin de Jesus, Bradley Whitford

Dove trovarlo: Netflix

Il compositore Jonathan Larson (Andrew Garfield) è ossessionato dalla paura di non riuscire a sfondare a Broadway prima di compiere 30 anni e decide quindi di dedicare tutte le sue energie al suo musical Superbia e a quella canzone che, secondo il suo idolo Stephen Sondheim (Bradley Whitford), renderebbe la sua opera prima un capolavoro. Così facendo però Jonathan rischia di perdere per strada la sua fidanzata Susan (Alexandra Shipp) e il suo amico di sempre Michael (Robin de Jesus) che proprio ora hanno bisogno di lui.

Dopo il grande successo del musical originale Hamilton, il regista Lin-Manuel Miranda ci offre ora uno scorcio sulla vita di Jonathan Larson, autore e compositore morto a soli 33 anni ma consacrato da due Tony Awards e un premio Pulitzer per la drammaturgia postumi per il suo musical capolavoro, Rent

Jonathan Larson scrive il monologo teatrale tick, tick…BOOM! in seguito alla delusione per la mancata rappresentazione del suo musical distopico Superbia: Miranda utilizza quindi parole e testi dello stesso Larson per rappresentarne la vita, caratterizzata dalla completa dedizione all’arte e alla musica. 

I titoli di coda sono accompagnati da filmati del vero Larson, da cui possiamo vedere quanto la recitazione di Andrew Garfield (candidato all’Oscar come miglior attore protagonista e vincitore del Golden Globe 2022 per questo ruolo), apparentemente gigionesca, sia in realtà aderente al personaggio che rappresenta, uomo di spettacolo al 100% per cui la distinzione tra arte e vita non ha alcun significato. Anche nel film infatti musical e realtà, palcoscenico e mura domestiche, esistenza e balletti si fondono e si confondono in continuazione per il piacere degli amanti del genere, raccontando un artista e la sua rincorsa della fama e del successo per amore non dei soldi o del lusso ma dell’arte stessa, che rappresenta la vita in tutte le sue sfumature, legami ed emozioni. 

Andrew Garfield si rivela talentuoso nel canto (meno nel ballo), anche se viene messo in ombra dalla bravura delle due protagoniste femminili: Alexandra Shipp, nel difficile ruolo della fidanzata trascurata, e Vanessa Hudgens, la cantante che con la sua sola voce darà vita e slancio al complicato mondo futuristico di Superbia, Karessa.

Bradley Whitford somiglia straordinariamente al maestro Stephen Sondheim, autore di capolavori quali Sweeney Todd e Into the Woods: Sondheim conobbe davvero Larson e si prodigò, con buoni consigli e lettere di raccomandazione, per far decollare la sua carriera.

tick, tick…BOOM! non è un film per tutti secondo me, ma alcuni numeri e certe canzoni sono davvero ben riusciti (in particolare “Therapy” e “Sunday”) e gli appassionati di musical non dovrebbero lasciarselo scappare.

Voto: 3 Muffin

IL vero Jonathan Larson

The Adam Project

Anno: 2022

Regia: Shawn Levy

Interpreti: Ryan Reynolds, Walker Scobell, Mark Ruffalo, Zoe Saldana, Jennifer Garner, Catherine Keener

Dove trovarlo: Netflix

Il piccolo Adam (Walker Scobell) è orfano di padre, così quando la mamma (Jennifer Garner) esce per andare al lavoro o a un appuntamento lui rimane solo in casa. Una notte Adam sente degli strani rumori in giardino e improvvisamente un estraneo entra in casa; lo sconosciuto (Ryan Reynolds) non sembra però avere intenzioni ostili, anche se stranamente sembra conoscere benissimo Adam, la sua casa e la sua famiglia. Questo perché, spiega l’estraneo, lui non è altri che lo stesso Adam, venuto dal futuro, che ha bisogno dell’aiuto della versione più giovane di se stesso per sventare una terribile minaccia per il mondo intero…

Il genere fantascienza nella sua espressione più alta, a lungo (e a torto) considerato “minore”, ha da sempre posto grandi sfide ai suoi realizzatori, sempre alla ricerca delle soluzioni visive e tecnologiche più sorprendenti, e ai suoi fruitori, sempre coinvolti in dilemmi morali e quesiti intellettuali e filosofici da risolvere contestualmente alla visione. Ecco perché oggi, con una così corposa serie di illustri antecedenti e una tecnologia ormai consolidata per gli effetti speciali, quando esce un nuovo film appartenente al genere fantascientifico la prima domanda che ci si pone è: “Perché?” Le risposte sono varie e ciascuna a suo modo valida: “Per lanciare un messaggio” (Midnight Sky); “Per vendere le t-shirt” (Star Wars); “Per ridere!” (Galaxy Quest). In ogni caso una risposta va trovata. Nel caso di The Adam Project la risposta è: “Per ricordarti di abbracciare la mamma”.

Questo film infatti, che ha dalla sua parte un cast di forte richiamo (compresa una ritrovata Catherine Keener cui il ringiovanimento in CGI non rende giustizia) e dei buoni effetti speciali, manca tuttavia di una vera ragione d’essere. Non avendo un vero messaggio da lanciare, nè alcuna implicazione filosofica, non rientra neppure nel campo dell’intrattenimento per famiglie a causa dell’eccessiva verbosità e lunghezza di molte scene, della mancanza di solidità e approfondimento nella trama, e soprattutto della melensaggine e melodrammaticità di tutte le dinamiche tra i personaggi nelle diverse coordinate temporali. La rinomata verve di Ryan Reynolds, che aveva funzionato bene nel precedente film diretto da Shawn Levy Free Guy, non è sufficiente a salvare dalla noia di una storia poco appassionante che procede faticosamente verso uno scontatissimo epilogo. Le dinamiche dei viaggi nel tempo, la minaccia del futuro e le necessità di ricorrere all’aiuto della versione più giovane dello stesso protagonista rimangono avvolte nel mistero in una sceneggiatura tanto prolissa nei dialoghi quanto reticente sulle spiegazioni, scientifiche o meno, delle situazioni. Al termine della visione non resta niente se non un senso di fastidio per il tempo perso. E naturalmente un irrazionale ma insopprimibile desiderio di correre ad abbracciare la mamma.

Voto: 1 Muffin

Freaks Out

Anno: 2021

Regia: Gabriele Mainetti

Interpreti: Aurora Giovinazzo, Claudio Santamaria, Pietro Castellitto, Giancarlo Martini, Franz Rogowski, Giorgio Tirabassi, Olivier Bony

Dove trovarlo: Netflix

Roma, 1943. Il piccolo Circo Mezzapiotta, guidato con bonaria saggezza da Israel (Giorgio Tirabassi), per i quattro artisti che vi si esibiscono è tutto: lavoro, casa e famiglia. Fulvio (Claudio Santamaria), uomo completamente ricoperto di pelo e dalla forza straordinaria; Mario (Giancarlo Martini), il nano che può comandare a suo piacimento il metallo; Cencio (Pietro Castellitto), ragazzo albino in grado di comandare gli animali; e infine Matilde (Aurora Giovinazzo), l’unica “normale” (anzi bellissima) nell’aspetto ma che può sprigionare dal suo corpo grandi quantità di energia elettrica: questa è la stramba famiglia del Circo Mezzapiotta. A causa della guerra gli affari però vanno sempre peggio, così Israel si allontana, portando con sé tutto il denaro del gruppo, per procurare a tutti un biglietto per l’America. Quando Israel non fa ritorno, i “mostri” dapprima lo rinnegano, convinti del suo tradimento; poi però si mettono sulle sue tracce, temendo che sia stato preso dai Nazisti e deportato insieme agli altri ebrei. Ma mentre i “freaks” cercano Israel, qualcuno sta cercando loro: il crudele e megalomane nazista Franz (Franz Rogowski), che nelle sue visioni allucinate del futuro ha visto come i quattro, con i loro eccezionali poteri, potrebbero determinare le sorti della guerra…

Dopo il grande e meritato successo del suo film d’esordio Lo Chiamavano Jeeg Robot, il regista Gabriele Mainetti riesce non solo a dimostrarsi all’altezza delle enormi aspettative per la sua opera seconda, ma anche ad alzare ulteriormente il tiro e dar vita, ancora una volta, a qualcosa di completamente alieno nel panorama del cinema italiano contemporaneo.

Freaks Out si inserisce infatti nel genere fantastico, così poco frequentato dalla nostra cinematografia, e lo fa utilizzando scenografie, costumi ed effetti speciali che nulla hanno da invidiare ai film americani cui siamo abituati. L’utilizzo da parte degli interpreti della parlata romanesca sembra strano all’inizio, abituati come siamo ai nostri doppiatori dalla dizione perfetta, ma si rivela molto efficace nel conferire realismo al contesto e ai personaggi, rimanendo sempre perfettamente comprensibile per lo spettatore. L’intero cast recita benissimo e dà vita a dei personaggi che difficilmente si dimenticano. Claudio Santamaria, già protagonista in Lo Chiamavano Jeeg Robot, riesce a non scomparire dentro la pelliccia di Fulvio e a caratterizzare bene il suo personaggio; Giancarlo Martini offre grande simpatia con il suo nano Mario; Pietro Castellitto rende vitale il suo Cencio, volubile e solo apparentemente cinico e spavaldo; Giorgio Tirabassi nelle sue poche scene riesce a far capire come il suo Isreal possa essere un punto di riferimento imprescindibile per la strana famiglia Mezzapiotta; ma la vera luce del film è Aurora Giovinazzo, bella e brava, che ricopre con disinvoltura il ruolo più complesso del film. Freaks Out è una favola, che parte dalla realtà della storia d’Italia per costruire un mondo fantastico, abitato da supereroi e supercattivi crudeli e megalomani: l’unico ruolo raccontato con un po’ troppa enfasi è proprio quello del villain nazista Franz, con le eccessive lungaggini dei suoi deliri allucinati, ma non era facile rappresentare il male assoluto, incarnato in questo caso proprio dai nazisti. Una scelta diversa e coraggiosa viene invece compiuta nei riguardi dei partigiani italiani, mostrati forse per la prima volta nella loro umanità, con difetti e debolezze, che alla fine però non impediscono loro di compiere la scelta giusta e diventare eroi al servizio del bene, e anzi dà ancora più importanza al loro gesto. Se da una parte Mainetti richiama senza dubbio il cinema di Quentin Tarantino e la sua visione alternativa della storia (Bastardi senza Gloria in particolare), dall’altra nel rappresentare il potere nazista l’iconografia è quella del Grande Dittatore di Charlie Chaplin (con tanto di pallone-mondo) ma anche di Per Favore non Toccate le Vecchiette (e il remake The Producers) di Mel Brooks, con il suo assurdo e sgargiante musical Springtime for Hitler (a sinistra nell’immagine) di cui ho rivisto moltissimo nel grande circo nazista di Freaks Out (a destra nell’immagine). Omaggi e citazioni graditi e non fini a se stessi, io credo, ma che restituiscono con stile la complessità che ancora sussiste nel raccontare il periodo storico della Seconda Guerra Mondiale, anche al cinema, qualunque genere si scelga come veicolo.

Concludo con una nota personale, visto che ho la grande fortuna di conoscere personalmente uno degli stuntman che ha lavorato a Freaks Out: complimenti a tutto il comparto tecnico e a tutte le maestranze per la grande qualità di questo film, che testimonia come in Italia si possano fare ottimi film diversi per genere, ambientazione e complessità.

Si ride, si piange, ci si emoziona e all’uscita si può raccontare ai bambini come favola della buonanotte: per me un risultato davvero eccellente.

Voto: 4 Muffin 

Spiderman – No Way Home

Anno: 2022

Regia: Jon Watts

Interpreti: Tom Holland, Zendaya, Benedict Cumberbatch, Marisa Tomei, Jon Favreu, Willem Dafoe, Tobey Maguire, Andrew Garfield, Alfred Molina, Jamie Foxx, Rhys Ifans, Charlie Cox, J.K. Simmons

Dove trovarlo: Disney Plus

Dopo che il villain Mysterio (Jake Gyllenhaal) ha svelato al mondo la sua identità segreta, Spiderman/Peter Parker (Tom Holland) capisce ben presto che questa inaspettata celebrità sta rovinando non solo la sua vita ma anche quella di chi gli vuole bene. Si rivolge quindi al potente Doctor Strange (Benedict Cumberbatch) chiedendogli di cancellare la memoria di tutti coloro che conoscono il suo segreto. Ma qualcosa nell’incantesimo va storto e da diversi mondi paralleli arrivano temibili super-criminali desiderosi di distruggere Spiderman. Ma dal Multiverso, per fortuna, giunge anche un aiuto (anzi due) davvero inaspettato…

Ho già raccontato di quanto io ami il primo film che il regista Sam Raimi ha realizzato, nel lontano 2002, sull’Uomo Ragno, tanto lontano dai fumetti quanto narratologicamente efficace e molto piacevole da vedere. Non c’è quindi da stupirsi se questa nuova avventura del nostro amichevole Spiderman di quartiere mi ha incuriosito: per fortuna il film non delude le aspettative dei fan nostalgici e allo stesso tempo non si inceppa mai nel ritmo né nella trama, coinvolgente e credibile quanto può esserlo quella di un film di supereroi Marvel.

 Jon Watts, già regista dei primi due capitoli (entrambi ben fatti) della nuova saga con il bravo e simpatico Tom Holland nei panni dell’Uomo Ragno, gioca al rialzo in questa terza avventura, supportato dalla straordinaria partecipazione di attori dei precedenti film su Spiderman. Tornano infatti Tobey Maguire e Andrew Garfield, che interpretano Spiderman appartenenti ad altre dimensioni del Multiverso, e la collaborazione tra i tre è davvero una gioia per lo spirito; allo stesso modo fanno ritorno i supercattivi del passato Willem Dafoe/Goblin, Alfred Molina/Dr. Octopus, Jamie Foxx/Elektro e altri.

 Tornano anche tanti personaggi dei precedenti film e serie tv… insomma i fan dei supereroi e di Spiderman in particolare non possono restare indifferenti davanti a questa eccitante e commovente reunion, non forzata ma anzi perfettamente integrata e funzionale alla trama.    Unica piccola delusione è che l’ormai immancabile scena post titoli di coda altro non è altro che un trailer del prossimo film Marvel (in senso letterale) anziché la solita scenetta realizzata ad hoc.  

 Divertente, commovente, cadenzato, necessario (ormai lo sappiamo) per potersi godere appieno le prossime avventure dei supereroi Marvel, sempre più densamente intrecciate tra loro, e per questo molto più godibile se si sono visti i film e le serie antecedenti.

Voto: 3 Muffin

Tre amichevoli Spiderman di quartiere

Dark Shadows

Anno: 2012

Regia: Tim Burton

Interpreti: Johnny Depp, Eva Green, Helena Bonham Carter, Michelle Pfeiffer, Cloë Grace Moretz, Christopher Lee, Alice Cooper

Dove trovarlo: Netflix

Il giovane rampollo di una ricca famiglia del Maine, Barnabas Collins(Johnny Depp), innamoratosi della bella Josette (Bella Heathcote) respinge l’ex amante Angelique; peccato per lui che Angelique (Eva Green) sia una potente strega, che per vendicarsi di lui spinge al suicidio Josette e poi trasforma Barnabas in un vampiro, seppellendolo infine in una bara perché possa vivere in eterna oscurità e solitudine. Barnabas però viene liberato due secoli dopo e decide di riprendere a gestire gli affari della bizzarra e disfunzionale famiglia Collins; ma anche Angelique è ancora viva e ancora più potente, e non ha accantonato il suo desiderio di vendetta…

Non ho dubbi: Dark Shadows, fino ad oggi, è il peggiore film di Tim Burton. Tratto da una serie tv degli anni ‘60, sulla carta il film sembrerebbe avere tutte le carte in regola per essere un nuovo classico burtoniano: atmosfere dark, creature soprannaturali bistrattate e il solito ben rodato cast di tanti successi (Johnny Depp, Helena Bonham Carter e perfino una piccola parte per il mitico Christopher Lee). Cosa manca allora? Per prima cosa, a differenza di tutti i film precedenti del regista, Dark Shadows non è una favola in scala di neri: il protagonista è un personaggio negativo, egoista, edonista e violento, che non ottiene (e non aspira) ad alcuna crescita o redenzione. Non c’è nessuna morale nel finale, nessun viaggio interiore, nessuna acquisizione di consapevolezza per nessun personaggio: il lieto fine ha un sapore amaro perché non è sudato né meritato, e questo lascia lo spettatore insoddisfatto dopo la visione, cosa pressoché inaudita per un’opera di Tim Burton. Manca anche lo spassoso humor nero che da sempre contraddistingue il cinema burtoniano: in Dark Shadows tutti si prendono sempre troppo sul serio, appesantendo la narrazione. Inoltre il film è carico di scene e battute volgari, cosa che non si era mai vista prima e che, a mio avviso, è del tutto gratuita e inappropriata. Sopravvive solamente la critica della società, della sua vacuità e della sua mancanza di valori, che però era stata veicolata già con grande sagacia in tanti film precedenti. Edward Mani di Forbice probabilmente è l’esempio più fulgido di come in passato Tim Burton abbia saputo declinare temi simili con ben altra bravura ed efficacia. Il più recente Sweeney Todd, anch’esso tratto da un soggetto non originale (il musical di Stephen Sondheim), è un’altra prova di come Tim Burton sia stato in grado in passato di dare vita a favole cupe ma anche sagge e divertenti, che hanno i loro pilastri in interpreti validi come appunto Johnny Depp ed Helena Bonham Carter. Riassumendo, sconsiglio decisamente la visione, soprattutto a chi, come me, è da sempre un estimatore del cinema di Tim Burton: è preferibile recuperare i suoi classici successi e tenersi ben alla larga di Dark Shadows.

Voto: 1 Muffin ipocalorico