Interpreti: Henry Cavill, Armie Hammer, Alicia Vikander, Hugh Grant
Dove trovarlo: Netflix
Nel politicamente delicatissimo 1963 le intelligence di diversi paesi decidono di collaborare in un’operazione congiunta per smascherare un pericoloso traffico di armi. Napoleon Solo (Henry Cavill) e Illya Kuryakin (Armie Hammer), rispettivamente i migliori agenti della CIA e del KGB, saranno costretti a fare squadra insieme alla bella e imprevedibile Gaby Teller (Alicia Vikander), figlia di uno scienziato misteriosamente scomparso da Berlino Est. Le ricerche iniziano a Roma.
Guy Ritchie, già regista di ottimi film d’azione ricchi di umorismo come Snatch e i due film di Sherlock Holmes con Robert Downey Jr., partecipa anche come sceneggiatore a questo adattamento della famosa serie tv degli anni ‘60 Organizzazione U.N.C.L.E. La serie, che aveva come protagonisti Robert Vaughn e David McCallum, si colloca tra i molti prodotti derivati dalla Bond-mania scoppiata dopo il primo film di 007, Licenza di Uccidere, uscito nel 1962. Il film di Ritchie riprende i personaggi protagonisti della serie, Napoleon Solo (che inizialmente avrebbe dovuto dare anche il nome al telefilm, Solo, ma i produttori dei film di James Bond intentarono una causa in quanto un personaggio di nome Solo era presente anche nel romanzo di Ian Fleming Goldfinger) e Illya Kuryakin e racconta la nascita del loro improbabile sodalizio dal quale, intuiamo, nasceranno molte altre collaborazioni. Henry Cavill (il suo fascino è di certo più valorizzato dai completi eleganti di Solo che dagli occhi gialli di The Witcher) è una scelta perfetta per l’agente affascinante, pragmatico e arguto della CIA; Armie Hammer, anche lui prestante e inaspettatamente dotato di grande umorismo, è un contraltare perfetto e i dialoghi tra i due sono sempre brillanti. Sfuggente e bellissima, Alicia Vikander/Gaby Teller è l’elemento esplosivo e destabilizzante della squadra. Aggiunge lustro al cast la presenza di Hugh Grant, capo del servizio segreto britannico dall’impeccabile humor inglese: sebbene compaia per pochi minuti sullo schermo la sua presenza irradia simpatia. In perfetto stile Bond, Ritchie crea un gran bel film di spie ricco d’azione e colpi di scena ma che non si prende mai troppo sul serio: proprio come per 007, una battuta detta nel tono giusto stempera anche la violenza più cruda (un esempio perfetto è la scena della morte del torturatore di professione, che mi ha fatto ridere di pancia). Scene d’azione incalzanti, bei vestiti, tanto divertimento: cosa volere di più? Un seguito?
Anno nuovo, gioco nuovo: ecco a voi il primo gioco del 2021 di cine-muffin!
Questa volta lo scopo del gioco è indovinare il nome dell’attore a cui si fa riferimento nel seguente brano.
Ho immaginato che questo famoso attore abbia deciso di ritirarsi dal mondo del cinema per aprire un suo ristorante, di cui il testo che segue è la recensione data da un cliente che, come vedrete, è solo parzialmente soddisfatto… La recensione contiene diversi indizi sulla filmografia dell’attore da cui potrete risalire alla sua identità.
Secondo la tradizione, colui o colei che indovinerà il nome dell’attore misterioso avrà diritto ad una recensione in versi di un film a sua scelta!
Pronti a indovinare l’attore? Allora…via!
“Ieri sera sono stato a cena in quel nuovo ristorante, quello di quell’attore famoso. Gli ha dato il suo nome, e d’altra parte non poteva essere diversamente… Lui era presente, girava tra i tavoli (ho notato che zoppicava leggermente) e salutava tutti con grandi sorrisi, ma sospetto che facesse così per non far notare le gravi mancanze nel servizio. Per esempio, io non sono certo un maniaco della perfezione eh, ci mancherebbe… però al mio tavolo avevamo tutti bicchieri diversi! E poi era tutto così buio, glielo ho anche fatto notare che le candele non bastavano a illuminare una sala così grande (non mi piace non vedere cosa ho nel piatto) ma ha detto che la luce gli dà fastidio… stranezze da divi! L’antipasto proprio non mi è piaciuto, colpa di quel pestifero formaggio francese secondo me, pare che gli piaccia servirsene sempre. Il primo piatto invece era squisito, anche se aveva un bruttissimo aspetto, molle e viscido, sembrava quasi materia grigia… Però devo dire che era davvero delizioso! Ma il piatto forte è stata la bistecca, una vera leccornia! Chissà dove si procura della carne così fresca… Mi è piaciuto così tanto che ho pulito il piatto e poi ho chiesto di poter fare i complimenti allo chef, ma lui mi ha detto che non potevo entrare in cucina perché avrei messo tutto in disordine. Peccato! Siccome era il compleanno di mia moglie abbiamo chiesto una torta e le abbiamo cantato tanti auguri, poi lui, molto cortesemente, è venuto a farle gli auguri di persona. Lei quasi sveniva per l’emozione, mentre a me ha detto che ero stonato… ma insomma chi si crede di essere?? Giudicare così un cliente! Comunque gli abbiamo proposto di sedersi e mangiare una fetta di torta con noi ma ha detto che doveva rifiutare perché ci tiene alla linea. Sembrava molto serio in proposito! Alla fine non è che io sia uscito proprio soddisfatto, inoltre non abbiamo certo pagato poco… ma, siccome a mia moglie è piaciuto tanto, ci torniamo domani!”
Interpreti: Tom Holland, Chris Pratt, Octavia Spencer
Dove trovarlo: Disney Plus
Onward è ambientato in un mondo fantasy, popolato quindi da molte diverse razze (elfi, fate, unicorni, centauri…) che convivono in armonia, in cui però la magia è stata da lungo tempo abbandonata a favore della tecnologia. Nella città di New Mushroomtown (la Nuova Città dei Funghi) vivono due giovani fratelli elfi, Barley e Ian, appassionato di giochi di ruolo e di storia della magia il primo, occupato ad affrontare le classiche difficoltà dell’adolescenza il secondo. Il padre è morto quando erano molto piccoli e la madre Laurel, affettuosa ed energica, ha il suo bel daffare per contenere l’entusiasmo di Barley e spronare l’insicuro secondogenito. Per il suo sedicesimo compleanno, Ian riceve un regalo davvero speciale, lasciato per lui dal padre: un bastone magico insieme ad una pergamena con un incantesimo che permette di riportare in vita un defunto per ventiquattro ore. Barley, elettrizzato, usa tutte le sue conoscenze sulla magia, ma non riesce a lanciare l’incantesimo. A sorpresa, invece, Ian scopre di essere in grado di utilizzarlo, ma nel tentativo di lanciare la magia qualcosa va storto e del padre si materializza solamente la parte inferiore del corpo. Barley e Ian dovranno quindi intraprendere una missione per recuperare un oggetto magico e portare l’incantesimo a compimento, per poter parlare con il padre (tutto intero) per un’ultima volta.
Onward, disponibile su Disney Plus dal 6 gennaio, risente certamente del fatto di essere uscito al cinema molto brevemente durante la riapertura post-lockdown e di essere approdato sulla piattaforma streaming pochi giorni dopo l’acclamato Soul, di cui non eguaglia l’originalità e la peculiarità. Della mia esperienza di visione con GroupWatch ho già parlato qui, ma al di là di tutte le difficoltà distributive cui è andato incontro, Onward resta un classico e dignitoso prodotto Disney-Pixar la cui visione è piacevole per grandi e piccini anche se non particolarmente entusiasmante. La parte sicuramente più interessante è la creazione di questo mondo ibrido tra fantasy e tecnologico, in cui gli unicorni mangiano spazzatura per le strade e gli elfi giocano di ruolo. Purtroppo questa realtà così affascinante e ricca di spunti viene mostrata solo brevemente nel prologo e ripresa poi a spizzichi e bocconi nel corso del film, ma per quanto mi riguarda, nel momento in cui sono stati introdotti i personaggi ed ha preso il via la trama principale mi sono sentita dispiaciuta per non aver avuto la possibilità di esplorare meglio tutto il resto. E di sicuro ci sarebbe stato molto da esplorare, come raccontano i bellissimi contenuti speciali disponibili su Disney Plus. L’intera troupe infatti ha preso parte ad un processo creativo lungo e complesso per dare vita a questa realtà rendendola realistica ad ogni livello. Le tecnologie digitali all’avanguardia hanno reso possibili scene ed effetti speciali grandiosi grazie al lavoro sottostante di uomini e donne sensibili e meticolosi. Per gli scenari più spettacolari, come quello della camminata nel vuoto o dello scontro finale, sono stati utilizzati visori per la realtà virtuale per esplorare i paesaggi realizzati al computer da ogni posizione e angolazione, oltre che per meglio comprendere le reazioni emotive dei personaggi. Agli animatori è stato richiesto ad esempio di affrontare una camminata nel vuoto virtuale. Molto difficile è stato anche capire come poter rendere in qualche modo senzienti ed emotive… un paio di gambe! Un attore davanti ad un green screen ha provato e riprovato i movimenti (e il ballo) del papà dimezzato per dare spunti agli animatori. Ma l’argomento più interessante è la magia: molti membri della troupe erano infatti appassionati di fantasy e di giochi (in altre parole, erano dei nerd) e si sono sbizzarriti nell’inventare le formule magiche, gli incantesimi e i movimenti per lanciarli. Il gioco di ruolo di cui Barley è appassionato, Quest of Yore, è stato inventato per intero, carte e miniature comprese, e i membri della troupe ci giocavano durante le pause per assicurarsi che tutti gli elementi presenti nel film fossero coerenti oltre che evocativi. Il processo di scrittura non è stato meno complesso. L’idea di base nasce dal vissuto personale di Dan Scanlon, regista e sceneggiatore, il cui padre è morto quando lui e il fratello erano molto piccoli, lasciando solamente un’audiocassetta in cui aveva registrato due parole: “ciao” e “addio”. “E queste” spiega Scanlon “sono proprio le due parole che i protagonisti hanno bisogno di sentirsi dire dal padre: Ian, che quasi non lo ha conosciuto, vorrebbe una scambio con lui, mentre Barley, che non ne ha avuto l’occasione, vorrebbe dirgli addio”. I personaggi principali sono modellati non solo su Dan e suo fratello, ma ancora una volta, come da prassi Pixar, tutta la troupe è stata coinvolta nel processo creativo e invitata a condividere aneddoti su persone importanti nelle loro vite, le quali sono poi state tutte invitate alla festa di fine produzione. Un ultima nota va fatta sul doppiaggio: quello italiano è ottimo, ma consiglio se possibile la visione in lingua inglese perché Tom Holland, che dà la voce a Ian, e Chris Pratt, che invece doppia Barley, sono una duo fenomenale (avendo anche già recitato insieme negli ultimi film Marvel, in cui interpretano rispettivamente Spiderman e Starlord). Il personaggio che vince il premio simpatia però è Colt, poliziotto centauro, nuovo compagno di Laurel, impacciato e autoritario all’inizio ma pronto a correre con la chioma al vento nel finale, dopo che Ian e Barley hanno riportato nel mondo un pizzico di magia, ma soprattutto nuova fiducia per tutte le creature, compresi loro stessi, consapevoli ora della profondità del loro rapporto. È tutto (ma se non vi è bastato dopo la visione cliccate su Extra per i contenuti speciali), godetevi il film!
Il Duca di Hastings (Regé-Jean Page) e Dafne Bridgerton (Phoebe Dynevor)
Caro Lettore,
Troppo spesso nelle nostre vite ci sentiamo sottoposti ad una importuna pressione sociale, e il colmo è che questo avviene anche quando in società non ci viviamo affatto, come in questa contingenza storica che stiamo vivendo. Nonostante la mancanza di feste e balli ci permetta di risparmiare considerevolmente sulla crinolina e le stecche di balena, le energie che spendiamo nel tentativo di non lasciarci andare sono altrettanto ragguardevoli. Questa segregazione forzata, che ci allontana da molte delle attività che normalmente riempiono, non solo temporalmente, le nostre esistenze, idealmente ci sta offrendo su un vassoio d’argento l’opportunità di lavorare su noi stessi al fine di migliore come esseri umani, in previsione di uno sfavillante nuovo debutto in società quando le circostanze lo permetteranno. Accade dunque a molti di noi, e a questa autrice certamente, di sentirsi in qualche modo moralmente costretti ad utilizzare la benedizione di quest’abbondanza di tempo libero per nobili fini quali l’auto-istruzione, l’auto-apprendimento e l’auto-arricchimento a livello morale, culturale e spirituale. La sottoscritta tuttavia, sebbene non possa che condividere gli alti ideali di cui sopra, di tanto in tanto sente il bisogno stringente di allentare la pressione sulla propria materia grigia e lasciarsi andare a qualche inescusabile frivolezza intellettiva, per rinfrancare mente e spirito. In poche parole, quando ci si diverte e poi ci si diverte per il fatto che ci si sta divertendo. La serie Bridgerton, offerta da Netflix, caro lettore, è perfetta a questo scopo: chi vi si approccia scevro da ogni desiderio di realismo, accuratezza storica e arricchimento morale e culturale troverà in essa un intrattenimento delizioso ed appagante. E poco importa se l’Inghilterra del diciannovesimo secolo descritta dalla showrunner Shonda Rhimes poco ha a che fare con quella aderente alla realtà storica conosciuta, ad esempio, attraverso la meravigliosa serieDownton Abbey, e la sensazione evocata dalla serie si avvicina di più a Desperate Housewives che a Jane Austen (che pure è ben presente, in spirito). Bastano pochi minuti di immersione nella visione per dimenticare quanto abiti ed acconciature siano improbabili e per fare l’abitudine ad un cast, come è stato appropriatamente definito, “politically daltonico” e lasciarsi trasportare nel mondo colorato e glamour della nobile famiglia Bridgerton, che ha il costume di dare i nomi ai propri discendenti seguendo l’ordine alfabetico. Ecco quindi Anthony, Benedict, Colin, Dafne, Eloise, Francesca, Gregory e Hyacinth Bridgerton, ma le nostre attenzioni si concentrano presto sulla bella e compita Dafne, cresciuta ed educata ad un solo scopo: trovare un buon marito affinché le sue sorelle possano poi fare altrettanto e la famiglia possa prosperare. E l’amore? Quello sembra fuori questione, almeno fino a che Dafne non incontra (o meglio si scontra) con l’affascinante Duca di Hastings: tra i due sono subito scintille e appare evidente come non si sopportino, ma naturalmente le cose sono destinate a cambiare, e su questo non vi è dubbio alcuno. Il divertimento consiste nel vedere in che modo questo accadrà a come ne verranno influenzati i molti differenti personaggi che si muovono intorno ai due piccioncini. Vi sono, c’è da dire, alcune inaccuratezze nella trama, ma non temere, caro lettore: gli addominali scolpiti del Duca sono qui apposta per tappare ogni buco di sceneggiatura! Nonostante questa piacevole distrazione, questa autrice non può fare a meno di domandarsi che fine abbia fatto la preziosa collana donata dal Principe a Dafne e abbandonata dalla stessa nel giardino… questo argomento è stato dimenticato dagli sceneggiatori, con grande disappunto della sottoscritta che sperava invece in una svolta avventurosa ispirata ad un famoso autore d’oltremanica, un certo Dumas…
Che fine ha fatto la collana?
A guidarci in questo viaggio senza pensieri sarà la voce melodiosa della superba Julie Andrews, la glassa su questo dolcissimo e variopinto cupcake, nei panni della misteriosa Lady Whistledown, regina del gossip, una cui parola può distruggere o salvare una reputazione. Va considerato però che lo stratagemma narrativo di ricorrere ad una figura misteriosa, una dama che scrive nascondendosi dietro ad uno pseudonimo altolocato, sulla cui identità tutti si interrogano non potendo far altro che speculare all’infinito, potrebbe non avere efficacia e non irretire lo spettatore… Ma se invece sei rimasto stuzzicato da queste premesse, caro lettore, ti consiglio di non indugiare oltre e intraprendere la visione immantinente!
Il giovane Kang-do vive una vita squallida e solitaria lavorando come “recuperatore di crediti” per gli strozzini in una zona di Seul povera e sporca, privo di interessi e di affetti, compiacendosi nella violenza che perpetra sui creditori disperati. Un giorno Kang-do si accorge di una donna sconosciuta che lo segue ovunque. Lui la scaccia e la insulta ma lei persevera, anzi inizia a fargli dei favori (procurandogli ad esempio del cibo) ed entra persino in casa sua tentando di ripulirla. Kang-do diventa sempre più aggressivo, finché la donna non gli rivela di essere la madre che lo ha abbandonato poco dopo la sua nascita, tornata per rimediare al suo errore. L’ostilità e la diffidenza del ragazzo si dissipano presto e i due cercano di stabilire un rapporto e tentare di recuperare il tempo perduto. Kang-do non se ne accorge, accecato dalla gioia di sentirsi per la prima volta amato, ma la madre sembra nascondere un oscuro segreto…
L’improvvisa morte del celebre regista coreano Kim Ki-duka causa del Covid-19, che ho tanto amato in gioventù, mi ha spinto a recuperare questo suo film, disponibile su Raiplay, un po’ più recente rispetto a L’Arco, ultimo film del regista che avevo visto e che non mi era piaciuto a causa del simbolismo confuso e della morbosità della situazione narrata. In Pietà invece ho ritrovato quello che mi ha sempre affascinata di questo grande regista: un racconto lucido e molto sentito dei sentimenti umani, che sopravvivono anche nella miseria e nella violenza più atroce, e anzi in alcuni casi germogliano in esse. I film di Kim Ki-duk infatti trasmettono sempre la fiducia nel genere umano e nella sua capacità di amare e aiutare il suo prossimo, anche contro ogni logica e ogni ragione. In questo caso il sentimento protagonista è la pietà, come esplicitato dal manifesto del film ispirato all’omonima scultura di Michelangelo. La visione non è sempre facile, la ben nota violenza che è cifra stilistica dell’autore di certo non lo rende un film per tutti, ma io trovo che il messaggio finale sia ancora una volta positivo e ricco di speranza, a ripagare tutti i turbamenti dello spettatore. Sembra incredibile la rapidità con cui Kang-ho passa dalla violenza fisica verso una donna sconosciuta che crede bugiarda all’abbandono totale al suo affetto e al desiderio di rivivere l’infanzia perduta accanto alla madre: in poche scene il ragazzo passa da spietato mutilatore a bambino felice che gioca con i palloncini e mangia zucchero filato. Tale è il bisogno di affetto, dalla cui mancanza nasceva quella compiaciuta violenza che tanti guai continuerà a procurargli, perché, proprio come nel film di Tim Burton Sweeney Todd, dalla violenza non può mai derivare la felicità, che nasce invece dai legami empatici tra gli esseri umani, ma solo altra violenza. Unico difetto del film è la scena finale, in cui il titolo “Pietà” viene spiegato dalla protagonista in un monologo didascalico narrativamente poco efficace: avrei preferito un altro modo per far trasparire i suoi contrastanti sentimenti nell’apice della storia. A parte questa piccola pecca il film, anche se non offre una prospettiva nuova rispetto alle altre opere del regista coreano, è efficace, potente, appagante, ma di sicuro questo tipo di cinema non è per tutti. Consigliato a chi già conosce e ama il regista; per chi volesse approcciarsi a Kim Ki-duk per la prima volta consiglio invece Ferro 3, il più divertente e meno violento tra quelli che ho visto nonché il mio preferito.
Una catastrofe ambientale ha reso irrespirabile l’aria del pianeta Terra. Mentre l’intera popolazione viene messa al riparo nei rifugi sotterranei (che non offrono che una salvezza momentanea) lo scienziato Augustine Lofthouse, malato terminale, decide di rimanere da solo in una base dell’Antartico dove monitorare la situazione attendendo la morte in solitudine. Ma non sarà così: nella base è rimasta una bambina, di cui Augustine dovrà prendersi cura. E non è tutto: la nave spaziale Ether sta infatti rientrando sulla Terra dopo una missione esplorativa sulla quinta Luna di Giove. Augustine tenterà tra mille difficoltà di contattare la nave prima che atterri per salvare la vita al suo equipaggio.
L’uscita di un nuovo film di e conGeorge Clooney, anche se su Netflix anziché nelle sale, sarà sempre qualcosa di cui parlare. Il punto di domanda è: se ne parlerà bene o male? Purtroppo, in questo caso, per quanto si possano apprezzare le buone intenzioni, è davvero difficile, anche per una grande fan di Clooney come me, parlare bene di Midnight Sky. Il film, tratto dal romanzo Good Morning, Midnight di Lily Brook-Dalton (tradotto in Italia con La Distanza tra le Stelle da Editrice Nord) è una parabola ecologista fatta col cuore: sappiamo infatti che Clooney è da sempre impegnato sul fronte politico tanto quanto su quello ambientalista e questo suo impegno traspare inevitabilmente nelle sue opere cinematografiche, ma mentre sul versante della denuncia politica il risultato era stato molto buono con il film da lui diretto Good Night and Good Luck del 2005, in questo caso il suo messaggio manca d’impatto a livello ideologico, oltre ad avere diversi difetti a livello tecnico e narrativo. Tutto quello che si può dire sulla situazione ambientale del nostro pianeta, secondo me, è già stata detta nella maniera più efficace possibile dal cartoon Pixar Wall·E nel 2008: ogni altro prodotto televisivo o cinematografico non può che tentare di emularne l’efficacia nel veicolare un messaggio così importante in modo serio, divertente e commovente allo stesso tempo. Nel film di Clooney troviamo sì la volontà di metterci ancora una volta in guardia dai cambiamenti climatici che noi stessi stiamo causando, ma senza il mordente che potrebbe avere un “semplice” documentario comePunto di Non Ritorno. Il disastro ambientale nel film non è descritto né spiegato, si dice semplicemente che è stato “un errore”, dunque che è causato indubbiamente dall’uomo. L’altra metà del cielo di mezzanotte è quella dei sentimenti umani, che sono trattati con molta convenzionalità: Augustine non è che il solito protagonista cinico ed egoista che riscopre l’importanza dei legami e la fiducia nel prossimo. Un personaggio molto simile Clooney lo aveva già interpretato nel film Disney del 2015 Tomorrowland, avventura per ragazzi con messaggio ecologista auto-assolutorio incorporato. Purtroppo sono caratterizzati in modo molto superficiale tutti gli astronauti dell’Ether, che potevano essere invece un valevole contraltare oltre che un catalizzatore delle speranze di Augustine. E qui entra in gioco un altro elemento del film, quello fantascientifico. Anche in questo caso Clooney ha dei precedenti attoriali, dal pleonastico remake del classico di Tarkovskij Solaris (a cui è impossibile non vedere qui dei richiami) di Steven Soderbergh al più recente Gravity di Alfonso Cuaron: anche per questo forse in Midnight Sky confluiscono troppe influenze dalla fantascienza cinematografica, per cui tutte le scene ambientate nello spazio sono fin troppo familiari allo spettatore, e anche se sono ben realizzate tecnicamente (pollice verso solamente per la colonna sonora di Alexandre Desplat, davvero troppo invadente) non salvano un film troppo noioso nella parte iniziale e con un colpo di scena finale che non è affatto tale e delude anche chi, come me, per amore di George (che per interpretare il malato terminale Augustine ha perso dodici chili in troppo poco tempo e guadagnato una pancreatite) e del suo impegno cercava il bello ad ogni costo. Midnight Sky alla fine non è certo un film inguardabile, ma nonostante i suoi nobili intenti non riesce a regalare nulla di speciale né dal punto di vista emotivo né da quello tecnico e narrativo, soprattutto a chi abbia una certa familiarità con il genere fantascientifico al cinema. Come consolazione lascio un Midnight Sky molto più sgargiante.
Dopo il successo planetario diGoldfinger, l’agente segreto 007 è ormai assurto a icona cinematografica ed è divenuto un fenomeno di costume ineluttabile: l’attesa per il film successivo è sempre più spasmodica e i profitti derivanti dal merchandising sono astronomici. I produttori Albert Broccoli e Harry Saltzman non hanno alcuna intenzione di fermare questa corsa all’oro e mettono subito in cantiere il quarto film della saga, Thunderball. A dire il vero i produttori avevano scelto Operazione Tuono come primo romanzo di Fleming da cui trarre un film, ma si erano scontrati con la causa legale in corso per i suoi diritti. Ian Fleming infatti nel 1959 aveva iniziato a lavorare a questo progetto, che inizialmente doveva essere una sceneggiatura, insieme ad alcuni amici e collaboratori, tra cui il regista Kevin McClory. Fleming però, scoraggiato dallo scarso successo che aveva ottenuto McClory come regista con il film The Boy and the Bridge, aveva deciso di abbandonare il progetto per dedicarsi invece alla stesura del romanzo. Nel libro Thunderball confluirono però molte idee che McClory riteneva sue, così intentò causa all’amico per i diritti del romanzo. La causa viene poi risolta amichevolmente con l’attribuzione del ruolo di produttore per il film tratto dal romanzo a Kevin McClory (che nel film fa anche un cameo). Saltzman e Broccoli, che non desiderano avere un rivale nella produzione dei film di 007, si affrettarono ad accordarsi con McClory, che infatti figura in Thunderball come produttore e segue da vicino la realizzazione del film, recandosi anche sul set delle Bahamas (dove aveva una casa) e collaborando con Terence Young, già regista dei primi due film (mentre il terzo, Goldfinger, era stato diretto da Guy Hamilton, che però aveva rifiutato di dirigere il successivo perché sentiva il bisogno di “ricaricare la batterie”).
Kevin McClory all’entrata dell’immancabile casinò
Ormai Young non deve più preoccuparsi per il budget, come nel primo film, ma deve affrontare un altro tipo di problema. James Bond infatti è ormai famosissimo, copiato e parodiato in ogni modo, e non può fare l’errore di ripetersi né di diventare caricatura di se stesso. Il che è sempre più difficile, anche perché Sean Connery è costretto, a causa di una calvizie incipiente, ad indossare un parrucchino, ma non per questo ha perso il suo sex-appeal: tutta la troupe è consapevole di dover alzare l’asticella e realizzare qualcosa di spettacolare e sensazionale senza però uscire dal già seminato. Per fare ciò Young raduna tutti i vecchi collaboratori: Richard Maibaum per la sceneggiatura, affiancato da John Hopkins; Ken Adam per le scenografie; Peter Hunt per il montaggio; Bob Simmons per coordinare gli stunt man; John Stears responsabile degli effetti speciali. Davanti alla macchina da presa invece, oltre a Sean Connery, ritornano tre personaggi ormai divenuti imprescindibili: Miss Moneypenny/ Lois Maxwell; M/Bernard Lee e Q/ Desmond Llewelyn. Ian Fleming, alla domanda “Quali sono gli ingredienti per un buon thriller?” rispondeva: “Dai a Bond gli abiti giusti, le ragazze giuste e l’ambiente giusto”. Scegliere le “ragazze giuste” per Bond diventa sempre più difficile e la competizione è alle stelle: a spuntarla in questo caso sono la francese Claudine Auger, l’italiana Luciana Paluzzi e Martine Beswick, che era stata una delle due gitane lottatrici in Dalla Russia con Amore e qui veste invece i panni della spia Paula. L’ex Miss Francia Claudine Auger sbaraglia la valente concorrenza di Julie Christie, Faye Dunaway e Raquel Welch e si aggiudica il ruolo di Domino, per il quale anche Luciana Paluzzi aveva fatto il provino, colpendo così tanto il regista che viene deciso di creare un ruolo appositamente per lei: la pericolosa Fiona Volpe infatti non è presente nel romanzo ma viene inserita con un doppio scopo. Innanzi tutto serve a mettere ancora una volta in risalto il fascino ammaliatore del protagonista; inoltre, più sottilmente, le viene affidato il compito di deridere con stile i critici che avevano accusato il personaggio di Bond di essere troppo brutale con le donne (Fiona si dimostra invece perfettamente a suo agio con la rudezza tra le lenzuola) e avevano ridicolizzato la sua abilità di “convertirle” tramite il suo fascino (“far sentire loro un coro di angioletti” come dice sarcasticamente Fiona). Al contrario della cinica e smaliziata Fiona, Domino è invece la tipica “donzella in difficoltà” (ma fino a un certo punto, come vedremo) cui 007 deve prestare soccorso per sottrarla alla crudeltà del Cattivo, Emilio Largo, interpretato da Adolfo Celi, che dopo averle assassinato il fratello la tiene prigioniera in una gabbia (assai) dorata e la fa costantemente sorvegliare. Nel romanzo Largo non sapeva che l’uomo che aveva fatto uccidere era il fratello della sua donna, invece nel romanzo ne è ben consapevole: è solamente uno dei cambiamenti apportati per rendere il nemico più spaventoso. Ormai 007 è un eroe, quindi il suo antagonista deve essere spettacolare: Largo deve incutere timore, pertanto viene rappresentato come un pirata, con benda nera sull’occhio, giacca a doppiopetto, affezionatissimo al suo yacht Disco Volante e alla sua piscina piena di squali.
Adolfo Celi nel ruolo del Numero Due della SPECTRE Emilio Largo
Apro qui una parentesi suglisquali, che sono un argomento a me molto caro e che hanno fatto tribolare non poco la troupe durante le riprese alle Bahamas. Quando John Stears cerca di installare in acqua le torrette per reggere i cavi del modellino dell’aereo si vede circondato da barracuda e squali, di cui uno squalo limone lungo quattro metri, e costretto a lavorare solamente con la bassa marea. Girare le scene subacquee che richiedono la presenza di squali veri è difficilissimo, tanto che si devono utilizzare dei cavi attaccati alle loro pinne per farli muovere nella giusta direzione e tenere la troupe al sicuro. Poiché gli squali nuotano molto raramente vicino alla superficie, nelle scene in cui vediamo pinne spuntare dall’acqua stiamo in realtà guardando dei sub con delle pinne applicate sulla schiena. Gli squali che vediamo aggirarsi famelici per la piscina di Largo (riempita di acqua salata e collegata al mare tramite un corridoio) vengono catturati dalla troupe grazie alle attrezzature fornite dal Seaquarium di Miami, ma poiché l’ambiente ristretto della piscina li rende fiacchi e apatici (molti esemplari morirono) è necessario immergersi, spingerli e pungolarli per farli sembrare più vivaci al momento delle riprese. A queste operazioni prende parte anche Kevin McClory, finchè uno squalo, non contento di venire punzecchiato, spezza a metà il suo pungolo: Kevin non si immerge mai più con gli squali. Lo stuntman Bill Cummings chiede un extra di 250 dollari per farsi gettare nella piscina addosso agli squali vivi. Quando poi tocca a Sean Connery girare la scena in piscina, l’attore si rifiuta di immergersi accanto agli squali: Ken Adam costruisce quindi un corridoio di plexiglas (prestando attenzione si può notare nel film) per separare Sean dagli squali, ma si accorge che non ha abbastanza plexiglas e nel corridoio rimane un buco. Evita di menzionare quel dettaglio a Connery che, rassicurato, si immerge, e mentre nuota si trova davanti al naso uno squalo! Quella che vediamo nel film è la sua reale reazione scomposta: “Mai visto un uomo uscire così in fretta da una piscina!” commenta Adam. Lo squalo che vediamo avvicinarsi a Bond mentre esce dall’acqua era in realtà morto, spinto verso l’attore dalla troupe per girare la scena, non senza difficoltà visto che gli altri squali cercavano di mangiarsi quello morto. E come se tutto questo non fosse abbastanza, la troupe deve anche fare attenzione agli ospiti dei padroni di casa, i signori Sullivan, che hanno gentilmente fornito la villa e la piscina per le riprese ma non hanno lasciato l’abitazione, anzi, continuano ad invitare i loro amici, i quali spesso si aggirano ubriachi a bordo piscina…
Col senno di poi, visto che Thunderball, il primo film di Bond girato nel formato Panavision, è costato circa 9 milioni di dollari, che con i suoi 130 minuti di durata è il più lungo film di 007 fino a quel momento e che la data d’uscita prevista è stata fatta slittare di tre mesi, è un bene che non sia stato realizzato come primo film di Bond, come i produttori avrebbero inizialmente voluto (ma all’epoca i diritti non erano disponibili per via della causa legale in corso). Quando esce il film è un trionfo di pubblico e critica: nel Natale del 1965 in pochissimi non hanno trovato sotto l’albero almeno un articolo targato 007. Le iniziative pubblicitarie di tutti i generi non si contano: la Ford ad esempio gira un video intitolato Guida per bambini su come far saltare in aria un’automobile utilizzando immagini dalla lavorazione del film. La NBC invece realizza uno speciale, L’Incredibile Mondo di James Bond, che racconta la storia del personaggio così come immaginata da Fleming: nato a Glencoe, un piccolo e tranquillo paesino della Scozia, a undici anni Bond rimane orfano di padre (un uomo d’affari) e viene mandato dalla zia in un college privato, da cui però è espulso appena un mese dopo a causa delle sue attenzioni inopportune verso un’inserviente. Si diploma al Fettes College, dove però dimostra molta più attitudine per lo sport (in particolare la boxe e il judo) che per lo studio. A diciassette anni, mentendo sulla sua età, Bond si arruola nell’esercito nel reparto dei servizi segreti. Al termine della seconda guerra mondiale si trasferisca a Londra, nel quartiere di Chelsea, dove vive una vita apparentemente tranquilla e ordinaria, mentre in realtà continua a lavorare per l’Intelligence britannica, abilmente camuffata come Universal Export. Per quanto riguarda la scelta del nome per il suo protagonista, Fleming dichiara che voleva per lui un nome comune, e la scelta è ricaduta su quello dell’autore di una guida ornitologica, Uccelli delle Indie Occidentali, scritto appunto da James Bond. Ormai anche chi non ha letto i romanzi di Fleming conosce ogni dettaglio sul suo personaggio.
Fedele a quella che ormai è diventata una tradizione, Thunderball si apre con una sequenza, non collegata alla trama principale, ricca di azione ma anche di ironia. Assistiamo subito ad un funerale, e poiché sulla bara vediamo le iniziali J.B. pensiamo subito al peggio (come vedremo più avanti in questa rubrica, 007 è pronto ad essere morto ogniqualvolta Sua Maestà lo richieda), finché non scorgiamo il nostro eroe assistere alla cerimonia dalla galleria per poi seguire fino a casa la vedova e, senza pensarci due volte, ingaggiare una lotta con lei, anzi, con lui, il finto morto Jacques Bouvar, membro dell’organizzazione criminale internazionale SPECTRE (che conosciamo bene fin dal primo film), interpretato dal coordinatore degli stuntman Bob Simmons; poiché nella scena iniziale la vedova è interpretata dall’avvenente attrice Rose Alba, per lo spettatore questa aggressione è una vera sorpresa!
Per la fuga dalla villa della sedicente vedova 007 utilizza un gadget che non era mai comparso in un film prima di allora: il jetpack. Per prima cosa vengono girati a Chateau d’Anet, (convenientemente vicino a Parigi dove debutta in quei giorni Goldfinger), gli esterni e i primi piani di 007 che indossa un finto jetpack, con tanto di getti di CO2, costruito dal tecnico degli effetti speciali Bert Luxford, ma non indossa il casco. Quando in seguito viene chiesto a Bill Suitor, l’unico uomo appropriatamente addestrato dalla Bell Textron per pilotare il jetpack, di girare la scena del volo, lui rifiuta categoricamente di farlo senza casco protettivo: al termine delle riprese alle Bahamas dunque la troupe dovrà tornare in Francia per rigirare a stessa scena ma con un casco a proteggere il parrucchino di Sean Connery.
Sean Connery spicca il volo con il parrucchino protettivo
Per i titoli di testa il compositore John Barry aveva scritto una canzone, Mr. Kiss Kiss Bang Bang, ispirata al soprannome dato a 007 dalle riviste italiane dell’epoca, facendola cantare da Shirley Bassey, ma i produttori vogliono che la sigla riproponga il titolo del film, così Barry deve scrivere in fretta una nuova canzone e trovare celermente chi la interpreti. Barry è perplesso sul titolo dal significato oscuro Thunderball, ma fortunatamente il cantante Tom Jones, a detta di Barry, “non si faceva troppe domande”. La colonna sonora è un gran successo, anche se i dischi, che devono arrivare nei negozi in tempo per i regali natalizi, ne contengono una versione parziale, perché Barry deve ancora finire di comporla; quella completa, che include la canzone esclusa, viene resa disponibile solo trent’anni più tardi. Resta comunque una traccia della prima canzone nel film, nel nome del locale in cui Bond cerca di nascondersi durante la parata: il Kiss Kiss Club.
Gli spettatori sono ormai abituati sia ai set straordinari di Ken Adam che alle location glamour ed esotiche dei film di 007: sono quindi pronti per essere stupiti dalle molte sequenze subacquee di Thunderball (che sono in totale circa il 25% delle riprese). Per il film sono pronte ben quattro unità di ripresa, di cui una interamente dedicata alle riprese sott’acqua, composta di una ventina di persone (tra cui i pionieri delle riprese sottomarine Jordan Klein e Lamar Boren, che si costruiscono da soli la cineprese per riprese subacquee) e capitanata da Ricou Browning, sub e tecnico esperto (c’era lui sotto il costume del celebre Mostro della Laguna Nera nelle scene acquatiche).
Ricou Browning è la Creatura della Lagune Nera nel film del 1954
Frank Cousins è la controfigura di Sean Connery per le riprese subacquee: anche se l’attore, come tutti gli altri membri del cast e della troupe, si è allenato (con ottimi risultati) per le immersioni, non ha molto tempo da poter dedicare a queste scene, che invece richiedono una lunghissima preparazione; infatti nel 1965 non esistono ancora tecniche di comunicazione subacquee, perciò una volta immersi i sub possono comunicare solamente a gesti. Ogni scena deve dunque essere adeguatamente preparata e provata prima dell’immersione. In particolare la scena della lotta subacquea finale, che prevede una serie di scontri che avvengono in contemporanea, viene preparata minuziosamente e richiede moltissimi ciak. Poiché nel romanzo questo scontro è risolto con una breve descrizione, Browning ha campo libero e organizza con tutti i suoi collaboratori un brainstorming per tirare fuori nuove idee per la scena, che alla fine risulta spettacolare e lunga più di dieci minuti (mentre in media una sequenza dei film di Bond ne dura circa tre). Anche 007 prende parte allo scontro, e per dargli risalto i suoi (finti) propulsori vengono riempiti di gas giallo; inoltre, per farlo arrivare più velocemente sul teatro dello scontro, viene tirato con un cavo. La sequenza, coreografata do Browning, richiede un gran numero di sub, che vengono fatti arrivare appositamente da Nassau e istruiti sul momento: a conti fatti la scena richiede più di sessanta sub e circa 85.000 dollari di attrezzatura, e viene girata ad una profondità di circa nove metri per evitare i problemi di decompressione. Le armi usate sono autentiche, così come lo sono gli squali che appaiono sulla scena; il sangue è naturalmente finto e studiato in modo da non disperdersi nell’acqua ma rimanere invece attaccato a mute e coltelli. Ricou Browning, nel girare la scena, si ritrova con un arpione infilato nella gamba e deve essere portato in ospedale.
Anche in Thunderball James Bond fa uso di una serie di sofisticati e fantasiosi congegni ideati da Q, che per l’occasione abbandona (seppur con riluttanza) il suo laboratorio per equipaggiare 007 direttamente sul posto. Il magazzino in cui Q mostra la sua attrezzatura a Bond viene realizzato sia alle Bahamas che negli studi Pinewood di Londra, e i due set risultano identici, tanto che vedendo i film non si nota alcuna differenza tra l’uno e l’altro.
“Trovo quest’idea di equipaggiarla sul posto molto irregolare 007!”
L’equipaggiamento dei servizi segreti, oltre all’orologio con contatore geiger, prevede anche un piccolo respiratore che permette a Bond di immergersi senza bombole: l’abilità del reparto effetti speciali viene confermata da una telefonata di un Capitano della Royal Engineers che chiede informazioni sul respiratore e sulla sua autonomia e resta molto deluso nello scoprire che in realtà si tratta di un semplice oggetto di scena non funzionante. Ben altre dimensioni hanno invece i mezzi acquatici progettati da Ken Adam, come il sottomarino (che funziona a batterie), le moto d’acqua e soprattutto lo yacht Disco Volante, che può davvero dividersi in due parti come vediamo accadere nel film. Per dare corpo alle sue fantasiose invenzioni Ken Adam può contare sull’abilità dei tecnici arrivati dall’Inghilterra, ma come tutti gli altri non può sottrarsi alle lezioni…
“Che autonomia ha?” “Dipende da quanto gli attori possono trattenere il fiato…”
Il set caraibico di Thunderball è allo stesso tempo una scuola e una vacanza per la troupe (composta di più di cento persone tra attori e tecnici). Con la sua ben nota convivialità Terence Young ha procurato tende per la spiaggia e uno yacht per il relax durante le pause e non fa mai mancare ai suoi collaboratori il buon cibo e il buon vino. Tra lui e Luciana Paluzzi nasca una grande amicizia, tanto che alcuni anni dopo sarà proprio il regista ad accompagnarla all’altare nel giorno del suo matrimonio, volando apposta da New York a Roma. Martine Beswick riceve invece l’ordine perentorio di prendere il sole per due settimane, fino ad ottenere la carnagione appropriata per un’abitante del luogo. Luciana e Adolfo Celi si allenano per il tiro al piattello, mentre tutti gli attori prendono lezioni di combattimento e di nuoto subacqueo. Tutti inoltre devono imparare ad immergersi, usare i respiratori e nuotare con gli squali (!). Nessuna lezione di dizione invece è prevista: come spesso accade nei film di Bond, gli attori stranieri vengono doppiati: Claudine Augier, Rick Van Nutten (che interpreta l’agente della CIA Felix Leiter e la cui splendida moglie, Anita Eckberg, è spesso presente sul set) e Adolfo Celi (ma solo in alcune parti).
Anita Eckberg col marito Rick Van Nutten che interpreta Felix Leiter
Oltre ai vari veicoli Ken Adam realizza come sempre imponenti scenografie, come quelle, specularmente opposte, della sala riunioni della SPECTRE e di quella del Ministero. La prima è tutta decorata sui toni del grigio metallizzato, per dare l’idea di quanto freddo e spietato sia il nemico. Adam come sempre aggiunge elementi di arredamento semoventi, in questo caso le poltrone elettrificate che scompaiono nel pavimento oltre a schermi e mappe. Come di consueto, del Numero Uno Ernst Stavro Blofeld non vediamo il volto, sentiamo però la voce che è ancora una volta dell’attore Eric Pohlman, mentre le mani che accarezzano l’immancabile gatto bianco sono quelle di Anthony Dawson. La sala in cui si riuniscono gli agenti segreti invece è lussuosa e luminosa, arredata in modo classico e sfarzoso per sottolineare la potenza rassicurante dei buoni. Sia Bond che Largo si presentano per ultimi alla riunione: loro sono i membri più importanti delle rispettive organizzazioni, il meeting non può iniziare prima del loro arrivo.
I due set progettati da Ken Adam
Nella sala riunioni del Ministero della Difesa incontriamo un personaggio vitale per la saga di Bond: il Tenente Colonnello Charles Russhon, amico personale di Albert Broccoli, che fornisce diversi materiali di scena e, al termine delle riprese, regala a ciascun membro della troupe una cravatta nera appositamente realizzata con il logo di 007 in oro. Dopo aver già collaborato con i produttori in passato, in Thunderball Russhon fa un breve cameo (nel ruolo di un generale) e bazzica spesso il set scherzando con la troupe, che ormai ha preso l’abitudine di riferirsi a lui come Mr. Vanilla, dal nome di un personaggio dei fumetti, Steve Canyon, che si ispira a lui e che ama appunto il gelato alla vaniglia.
Il Tenente Colonnello Charles Russhon detto “Mr. Vanilla”
Al termine delle riprese alle Bahamas il regista Terence Young parte per il sud della Francia per girare un altro film, Il Papavero è anche un Fiore (sempre tratto da un libro di Ian Fleming), lasciando la corposa fase di post produzione nella mani di Peter Hunt, montatore e regista della seconda unità, che ha ora l’arduo compito di girare gli inserti e le scene di raccordo prima di montare e rendere omogeneo tutti il materiale girato da quattro diverse squadre. Fortunatamente, grazie alla fotografia nitidissima e sempre a fuoco di Ted Moore, Hunt può ottenere il massimo da qualunque immagine a sua disposizione. Il lavoro da fare tuttavia è così tanto che Hunt ottiene, per la prima e unica volta nella storia della saga, un rinvio della première. Hunt è ben consapevole di quali siano i compiti del montaggio (dare risalto agli attori e ritmo alla narrazione, far coincidere il film con la sceneggiatura e conferirgli un aspetto professionale) e di quali siano invece gli errori da evitare: esagerare con i primi piani (usati solo in momenti di particolare intensità emotiva) e le dissolvenze (al loro posto Hunt utilizza le tendine che scorrono in armonia con le immagini) e indugiare troppo sulle inquadrature, ovvero tutto ciò che può dare allo spettatore tempo e modo di riflettere troppo su ciò che sta vedendo. Hunt condivide con Young la filosofia in base alla quale compito di un buon film d’azione è incalzare lo spettatore con gli accadimenti e non dargli modo di notare le inevitabili incongruenze tecniche e narrative. Come sostiene Young, non è un problema se lo spettatore si pone dei dubbi una volta tornato a casa, l’importante è che non lo faccia durante la visione. Questo sistema in effetti ha sempre funzionato benissimo per i film di 007: ho visto Thunderball decine di volte e giuro che non avevo mai notato una serie di madornali incongruenze. Ad esempio, quando Bond fa la conoscenza di Domino e di Largo, al termine della scena parla con Felix… che però non si era ancora mai visto! Lo spettatore, che non aveva quindi modo di riconoscere il personaggio, interpretato da un diverso attore rispetto al film precedente, ne fa la conoscenza solamente nella scena immediatamente successiva, ma è così impegnato a riflettere sulla triste prigionia di Domino da non far caso al piccolo salto. Un altro esempio è la scena in cui Bond ritorna al suo hotel, che doveva venire dopo quella della piscina (infatti Bond indossa il costume e una t-shirt e tiene in mano l’asciugamano) ma Hunt preferisce che Largo veda Domino in compagnia di Bond prima di cercare di ucciderlo, così inverte le scene. Non potendo però girare nuovo materiale deve arrangiarsi con quello che ha già, per cui vediamo Bond allontanarsi dalla reception per poi ritornarci nell’inquadratura successiva; il resto della scena viene mostrato capovolto, in modo che la receptionist possa seguire con lo sguardo Bond che sale le scale per tornare nella sua stanza. L’ultimo esempio è la scena di Bond e Felix in elicottero mentre cercano tracce dell’aereo affondato: qui Hunt gioca con il materiale in suo possesso in diversi modi, invertendo la pellicola e l’ordine delle inquadrature. Facendo attenzione si può notare che, dopo uno stacco, i pantaloni di Felix si allungano come per magia…
Le regole di montaggio di Hunt si sono rivelate estremamente efficaci per i film di Bond e lui si attiene scrupolosamente ad esse, salvo in casi particolari. Nella scena in cui Domino si allontana in barca insieme a Largo, per esempio, Hunt usa una dissolvenza per sottolineare l’angoscia del momento: lo spettatore deve sentirsi coinvolto più dalla situazione di James e Domino che da quella delle bombe. In compagnia di Domino Bond finisce per mostrare la sua umanità: quando le rivela che suo fratello è morto è costretto ad indossare gli occhiali da sole per non far trapelare il suo turbamento. Bond è sempre un antieroe violento, pragmatico e distaccato, ma in fondo è anche un essere umano. Talvolta sono proprio le donne a salvargli la vita: la massaggiatrice (Molly Peters) spegne la macchina di trazione che sta per ucciderlo e Domino uccide Largo che sta per sparargli. D’altra parte il compito principale di Bond è proprio quello di sopravvivere: spesso nei film lo vediamo imprigionato o comunque impossibilitato ad agire in attesa di sferrare il colpo decisivo nello scontro finale.
“E’ un fucile da donna” “Si intende di fucili?” “No, mi intendo un po’ di donne”
La lotta conclusiva tra Bond e Largo avviene a bordo del Disco Volante ed è stata girata in parte alle Bahamas e in parte a Pinewood, dove lo yacht (insieme ad altri set) era stato ricostruito e montato su una pedana oscillante. La sequenza ricorda lo scontro, lungo e violento, tra Bond e Grant sull’Orient Express al termine di Dalla Russia con Amore, e come quella viene minuziosamente preparata e provata dagli attori e dagli stuntman Bob Simmons e George Leech. Per rendere la scena ancora più adrenalinica Hunt decide di accelerare la pellicola e di far scorrere all’esterno dello yacht immagini accelerate per simularne un movimento rapidissimo: illusione che termina improvvisamente quando Largo riesce ad afferrare la pistola e minacciare un Bond disarmato….
Il Disco Volante
Il nostro eroe sembrerebbe spacciato, ma fortunatamente Domino, che Largo aveva torturato e imprigionato, è stata liberata da un cattivo pentito e uccide Largo con un colpo di pistola: la sfortunata e sottomessa Domino si è ribellata e, come premio, sarà la donna che accompagna Bond nel finale del film (per poi non ritornare mai più, come tutte le altre). Anche in Thunderball vediamo 007 all’opera non solo come spia ma come seduttore. Dapprima seduce la bella massaggiatrice Patricia (Molly Peters): per girare quella scena, in cui la donna compare nuda dietro il vetro della sauna, Young ordinò di sgomberare il set per darle un po’ più di privacy, mentre Sean Connery tentò di mettere Molly a suo agio imitando Groucho Marx…
Groucho Marx
La cosa è invece molto più serie con Domino, che doveva essere italiana e chiamarsi Dominetta Palazzi, ma dopo la scelta della francese Claudine Auger cambia nazionalità. La scena intima tra lei e 007 è molto casta: avviene sott’acqua, e tutto ciò che vediamo sono delle bolle (dietro lo scoglio è appostato un tecnico con una bomboletta) che ci indicano che, dietro lo scoglio, qualcosa sta accadendo. Era stato anche girato un inserto in cui si vedeva un reggiseno emergere tra le bolle, ma l’idea è poi stata scartata. Il dialogo che segue richiama parola per parola quello tra i personaggi al loro primo incontro, ma in una situazione del tutto diversa: “Che occhietti aguzzi!” diceva Domino a Bond che aveva notato il suo piccolo tatuaggio / Bond nota nel relitto del bombardiere Vulcan sott’acqua la piastrine del fratello di Domino ucciso da Largo; “Aspetta di capitarmi sotto i denti…” rispondeva lui / ora Bond toglie con i denti una spina di riccio di mare dal piede di Domino. Sembra proprio che il loro incontro sia stato voluto dal destino. Lungo il percorso verso Domino però Bond incontra la crudele Fiona Volpe (Luciana Paluzzi), che si lascia volentieri sedurre ma, al contrario di Pussy Galore, rimane cattiva anche dopo l’amplesso. Quando viene girata la scena tra Bond e Fiona a letto sono presenti molti giornalisti, come è ormai tradizione dei film di 007, la cui campagna pubblicitaria inizia ancora prima dell’inizio della lavorazione del film. L’inserto nella scena della trombetta di carnevale ha la stessa funzione del treno che entra in galleria del film Intrigo Internazionale di Hitchcock: non dimentichiamo che la censura è sempre in agguato!
Martine Beswick, Claudine Augier e Luciana Paluzzi
Per la scena della parata del Junkanoo (il tradizionale carnevale caraibico) viene invitata la popolazione dell’isola a sfilare con i propri costumi e viene messo in palio un premio per il costume più bello. Mentre Terence Young si trova sul balcone a riprendere i dialoghi dei personaggi, Hunt si trova tra la folla con una videocamera a mano. Rumore e confusione sono assordanti e non è facile portare a casa la scena. Inoltre molti dei partecipanti sono fan di Bond e si presentano con magliette con il logo di 007…
Peter Hunt voleva eliminare la scena del cane che fa pipì ma ai produttori piaceva tanto…
Ormai non c’è modo di arrestare la Bond-mania: la premiere di Thunderball infatti si tiene il 21 dicembre 1965 a Tokyo, a sottolineare come ormai 007 sia un fenomeno di risonanza mondiale. Sean Connery, dopo la brutta esperienza della premiere di Goldfinger a Parigi (in cui una donna era salata nella sua Aston Martin) non partecipa più alle prime, e in generale si concede difficilmente ai media: l’unica intervista rilasciata riguardo a Thunderball è per la rivista Playboy, anche se l’attore è sulla copertina di testate di ogni genere. Il film batte ogni precedente record di incassi e John Stears vince l’Oscar per gli effetti speciali (la seconda statuetta per la saga di Bond dopo quello di Norman Wanstall per il sonoro di Goldfinger. Stears non è presente alla cerimonia e non sa di essere tra i vincitori, dunque si sorprende quando viene chiamata all’aeroporto di Heathrow per ritirare un pacco (che contiene appunto la statuetta) sul quale deve anche pagare la tassa d’importazione…
“James Bond lo fa dappertutto!”
Chi ha visto Thunderball al cinema ha anche potuto ascoltare, al termine della proiezione, un annuncio che invitava ragazze di ogni etnia e nazionalità a presentarsi per le selezioni delle Bond-girls per il film successivo, Al Servizio Segreto di Sua Maestà. Poi in realtà, per via di problemi legati ai diritti, il film successivo fu invece Si Vive Solo Due Volte, e il concorso sfumò. Ma chissà se, in caso le sale cinematografiche dovessero riaprire, potremo sentire un annuncio simile al termine della proiezione di No Time To Die: “Nuovo 007 cercasi, astenersi astemi e perdigiorno, gradito humor britannico”.
Io ancora spero che Tom Hiddleston possa essere il nuovo Bond…
Vi aspetto per il prossimo film della saga di 007, Si Vive Solo Due Volte!
Interpreti: Walter Matthau, Julie Andrews, Tony Curtis, Bob Newhart, Lee Grant
Dove trovarlo: in televisione, di solito su Rete 4, ma solamente a Natale
Tristezza (Walter Matthau) è un uomo solitario e cinico che gestisce una sala di scommesse sportive. Quando un cliente in grave difficoltà gli offre sua figlia come garanzia per un prestito Tristezza accetta e alla morte dell’uomo, non potendosi rivolgere alla polizia, si vede quindi costretto a prendersi cura della bambina…
Fortunatamente questo splendido film viene trasmesso di quando in quando in televisione, soprattutto durante le festività natalizie. Si tratta di un film che si adatta perfettamente all’atmosfera natalizia, pieno com’è di tenerezza e buoni sentimenti. A garantire però la fluidità del racconto c’è un’ottima sceneggiatura piena di grandi dialoghi frizzanti e acuti (se ci si distrae un momento si rischia di perdere una bella battuta). Il cast da solo naturalmente è garanzia di qualità: Walter Matthau ricopre ancora una volta il ruolo di scorbutico brontolone dal cuore d’oro, che nel corso del film si affeziona sempre più alla bimba (Sara Stimson, così dolce da far sciogliere di tenerezza) e rivela il suo lato umano e romantico; Tony Curtis è invece il gangster senza scrupoli Blackie; la mitica Julie Andrews è la bella e risoluta pupa del gangster che alla fine mette a posto tutti quanti; Bob Newhart l’amico fidato con lo sguardo timoroso ma la soluzione sempre in tasca; la bella Lee Grant il giudice nello spassoso processo per l’affidamento della bambina, che rimane senza nome per tutto il film. Da antologia la scazzottata finale sul molo tra Matthau e Curtis. Si ride, si piange (sfido chiunque a non farlo) e ci si gode un prodotto di gran qualità che offre infinite scene e battute da ricordare, per cui non ci si stanca mai di rivederlo, quando lo trasmettono in tv, Natale dopo Natale…
Interpreti: Ryan Reynolds, Mèlanie Laurent, Manuel Garcia Rulfo, Ben Hardy, Adria Arjona, Dave Franco, Corey Hawkins
Dove trovarlo: Netflix
Tutto è iniziato con il numero Uno (Ryan Reynolds), un misterioso milionario che, creduto morto in seguito ad un incidente aereo, ha pensato di poter utilizzare le sue risorse e le sue abilità per correggere alcune storture del mondo, agendo di nascosto e al di fuori della legge per eliminare coloro che ritiene colpevoli di ingiustizie e prevaricazioni imperdonabili. Per raggiungere il suo obiettivo mette insieme una squadra di combattenti, “fantasmi” come lui, ciascuno con una sua abilità specifica e un passato da dimenticare. L’arrivo di Sette (Corey Hawkins), soldato con un forte senso della giustizia e della lealtà, rischia però di far saltare gli equilibri.
Nel pubblicizzare questo film si è deciso di puntare tutto sull’azione, che naturalmente non manca in questo film del veterano dell’action Michael Bay (e se ve lo state chiedendo, sì, certo che esplode tutto), regista di classici del genere come Armageddon e Transformers, ma 6 Underground non è soltanto acrobazie e sparatorie. La prima sequenza, infatti, è un adrenalinico inseguimento in auto (girato in parte in Italia, a Firenze) durante il quale il regista riesce con abilità a presentare tutti i personaggi non solo con le loro abilità specifiche ma proprio come personalità e caratteri. E così dopo qualche minuto di film ci si è già affezionati a questa squadra di giustizieri squinternati e si è vogliosi di seguire il resto delle loro avventure. Il film si segue volentieri dall’inizio alla fine, godendo delle spettacolari acrobazie ma anche con molto divertimento, perché i dialoghi e le situazioni non mancano di umorismo, senza però mai diventare parodia del genere. Action al 100% ma ben fatto, con scene visivamente molto interessanti come quelle del magnete super potente o le diverse sequenze di parkour. Personaggi approfonditi solo quanto basta ma adeguati al tono complessivo e veicolati da un buon cast di attori (anche Ryan Reynolds, attore per cui non provo grande simpatia, offre una prova dignitosa) messi in ombra solo dal magnifico lavoro degli stuntman. Consigliato per gli amanti dell’azione scapicollata mescolata con la giusta dose di sentimenti (la conclusione inaspettata della prima scena è stato per me un colpo inatteso) e di umorismo.