Grease 2

Anno: 1982

Regia: Patricia Birch

Interpreti: Michelle Pfeiffer, Maxwell Caulfield, Didi Conn, Syd Caesar, Eve Arden, Dodi Goodman

Dove trovarlo: Netflix

Inizia un nuovo anno scolastico alla Rydell e come da tradizione gli studenti si uniscono in gruppi che devono tutti sottostare  a regole sociali ben precise. Per esempio le Pink Ladies, le ragazze che indossano giacchette rosa, possono uscire solamente con i T-Birds, i ragazzi che portano le giacche di pelle nera. Ma alla bella Stephanie (Michelle Pfeiffer) le regole stanno strette: lei sogna di incontrare un ragazzo audace e misterioso, un motociclista senza paura, diverso da tutti i ragazzi che conosce. Per Micheal (Maxwell Caulfield), nuovo studente appena arrivato dall’Inghilterra, sembra impossibile poter conquistare il cuore di Stephanie, lui che ama Shakespeare e detesta le motociclette. Ma l’amore lo spinge a trasformarsi completamente per poter conquistare il cuore della ribelle Stephanie.

Dopo il successo stratosferico di Grease nel 1978 la Paramount Pictures tenta di replicare la formula della mitica “Brillantina”, ma il risultato non è che una variazione sul tema senza originalità, meno divertente e con attori meno capaci. Ci sono comunque alcune scene simpatiche e qualche gradevole canzone (come Reproduction, in cui gli studenti danno una loro interpretazione canora dell’impollinazione dei fiori), ma la sensazione generale è quella di una copia poco incisiva che fa molto rimpiangere il film precedente. Ritroviamo alcuni personaggi di Grease: la preside e la vicepreside, interpretate rispettivamente da Eve Arden e Dodi Goodman; Frenchy, l’amica della protagonista Sandy (Olivia Newton-John), sempre interpretata da Didi Conn; il fantastico Syd Caesar nel ruolo del coach Calhoun. Ma queste nostalgiche presenze non bastano a dare lustro al film. Le dinamiche tra Pink Ladies e T-Birds, con complicazione della banda di motociclisti rivale, restano invariate, e anche la conclusione in cui uno dei protagonisti realizza che l’altro in realtà non aveva affatto bisogno di cambiare resta identica, seppure a ruoli invertiti. La regista Patricia Birch, già coreografa per Grease, non riesce a ricrearne la magia, anche perché la trama è perfino troppo semplice anche per un musical tradizionale e le sottotrame, affidate a personaggi poco caratterizzati, sono quasi inesistenti, mentre nel primo film alcuni comprimari come Rizzo e Kenickie erano interessanti quanto i protagonisti. Purtroppo Maxwell Caulfield, l’attore che interpreta Michael, è un belloccio privo di espressione che non riesce a conquistare lo spettatore. Inaspettatamente però conquista la ragazza, e qui bisogna fermarsi un attimo per parlare di quella che è senza dubbio la cosa più bella del film: Michelle Pfeiffer. Michelle, che qui aveva appena ventiquattro anni, ruba la scena a tutti con la sua bellezza irraggiungibile e i suoi sogni ad occhi aperti. Quando canta invocando un Cool Rider che la porti via dalla banalità quotidiana seduta in cima ad una scala è semplicemente meravigliosa: nessuno stupore che Michael decida di compiere follie per lei! Sappiate che, di questi due muffin, uno è tutto per Michelle!

Voto: 2 Muffin

Quiz: Questo non è Harrison Ford!

Questa non è una pipa…

…E questo non è Harrison Ford! (o meglio, nella foto è proprio lui, ma…)

Oggi ho pensato di proporre un nuovo Quiz qui su Cinemuffin!

Il gioco di oggi si chiama “Questo non è Harrison Ford”. Il seguente brano, infatti, può sembrare una dichiarazione rilasciata alla vostra Madame Verdurin da Harrison Ford… ma non è così! In realtà si riferisce a… un altro attore! Vi sfido a indovinare qual è l’attore di cui sto parlando! 

E’ un onore per me essere tornato qui su Cinemuffin, Madame. Lo ammetto, la mia fama è cresciuta esponenzialmente da quando ho partecipato ad un grandissimo franchise, e poi a un secondo grande franchise… sono come le noccioline, uno tira l’altro! Ne ho fatte di cose nella mia carriera… Ho partecipato a innumerevoli spedizioni folli e pericolose in luoghi esotici, sfide perigliose per mare, mi sono ritrovato sulla spiaggia in strana compagnia… Ho rischiato di perdere i miei cari: ma alla fine mi sono sempre ritrovato nell’importanza della famiglia, anche quando tutto sembrava perduto. Ho avuto un grosso amico peloso che ha lottato al mio fianco. Ah, ho già parlato degli alieni? Sembravano pericolosi, ma alla fine è stato uno scherzo per me! Sono un uomo d’azione io! Le corse e i cazzotti sono il mio pane. E sono stato una spia, tra le altre cose, so che a voi Madame le spie piacciono molto. Ma la cosa di cui vado più fiero è di essere diventato un giocattolo! E ho anche fatto un film su un videogioco, perché mi sento giovanissimo e pieno di energia! Progetti per il futuro? Riprenderò un ruolo del mio passato… non è quello che fanno tutti di questi tempi?

Siete riusciti a capire chi è l’attore misterioso? Scrivete il nome nei commenti!

Il vincitore potrà reclamare il suo premio: la recensione in versi di un film a sua scelta.

E ora, indovinate! Sembra Harrison Ford, ma non lo è!

Chiami il mio Agente!

Titolo originale: Dix pour Cent

Anno: 2015-2020

Episodi: 4 stagioni da 6 episodi

Interpreti: Camille Cottin, Thibault de Montalembert, Grégory Montel, Liliane Rovère, Fanny Sidney, Nicolas Maury, Laure Calamy

Dove trovarlo: Netflix

Come raccontavo non molto tempo fa, nella mia vita il cinema è proprio dappertutto. Inevitabile quindi che, anche quando decido di vedere una serie tv, questa parli in qualche modo di cinema. Chiami il mio agente! (in originale Dix pour Cent, “Dieci per cento” in riferimento alla percentuale di guadagno di un agente sugli incassi dal talento da lui rappresentato) è ambientata a Parigi e racconta di una prestigiosa agenzia, la ASK, che da decenni cura gli interessi di alcuni tra i volti più noti del cinema francese, oltre che di molti giovani talenti. Quando il fondatore della ASK muore all’improvviso, durante la prima vacanza che si concedeva da anni, i suoi soci devono trovare il modo di mandare avanti l’agenzia senza di lui, gestendo i complicati rapporti con gli attori e i registi, tenendo a bada la spietata concorrenza, ma soprattutto imparando a contare l’uno sull’altro. Il personaggio centrale della storia è la giovane Camille (Fanny Sidney), che sentendo troppo stretta la vita di provincia lascia la madre per trasferirsi a Parigi ed entrare nel mondo dello spettacolo. Per poterlo fare conta sull’aiuto del padre, Mathias (Thibault de Montalembert), che lavora in un’agenzia di spettacolo; lui però rifiuta per paura di ferire la moglie e il figlio, visto che Camille era nata da una sua relazione clandestina. Fortuna vuole però che, mentre Camille si trova nella sede dell’ASK per parlare col padre, l’assistente di un’altra agente, la dura e esigente Andréa (Camille Cottin), abbia un crollo di nervi e abbandoni il lavoro: ad Andréa serve con urgenza una nuova assistente, e Camille si trova al posto giusto al momento giustissimo. Attraverso lo sguardo della neofita Camille scopriamo un po’ alla volta cosa significhi davvero dedicare la propria vita al mondo dello spettacolo pur rimanendo sempre nell’ombra, come fanno gli agenti, che spesso arrivano a sacrificare completamente la propria vita privata in nome del lavoro. Bisogno dire che quattro stagioni, considerando che non esiste una vera e propria trama generale della serie, sono abbastanza lunghe, ma si guardano con piacere grazie alla bravura degli interpreti e ai toni sempre sopra le righe che non appesantiscono mai nemmeno i momenti emotivamente più impegnativi. La vera forza di Chiami il mio Agente! però risiede nelle star che hanno accettato, sempre con grande classe e autoironia, di interpretare se stesse senza risparmiarsi: una Monica Bellucci affamata di uomini, Jean Reno vestito da Babbo Natale, Juliette Binoche che seduce uomini nei corridoi, Sigourney Weaver che balla in un cafè parigino; sono solo alcuni dei grandi nomi coinvolti, una vera gioia per qualunque cinefilo. Grazie a questa ricchezza di grandi star e situazioni surreali lo spettatore è portato a passare sopra ai molti cali di ritmo, alla sceneggiatura spesso forzata o banale e all’ironia che quasi mai riesce a restituire il pieno potenziale delle situazioni comiche che si presentano. Per questo sono stata molto felice di scoprire che è in arrivo anche la versione britannica di Chiami il mio Agente!: la serie sarà costituita da 8 episodi di un’ora e verrà distribuita nel Regno Unito nel 2022. Attendo la versione inglese con impazienza e mi domando se anche l’Italia tenterà di sfruttare l’onda di questo successo di Netflix, magari con una declinazione prettamente comica in stile Boris. Nel frattempo ripenso con divertimento alla puntata di Chiami il mio Agente! con Jean Reno, in cui scopriamo che l’attore francese era da decenni cliente dell’agenzia ASK: finalmente ho scoperto chi è stato a consigliargli di interpretare quel bel noir francese!

T – Un Uomo Tranquillo

Ricordo molto bene cosa provai quando vidi dal vivo la scritta bianca “Hollywood” sulle colline di Los Angeles. Ero del tutto sopraffatta, gli occhi si erano riempiti di lacrime ma non potevo piangere, e non riuscivo a convincermi di essere davvero lì, nel mitico luogo su cui avevo letto, studiato e fantasticato così tanto. Sapevo di avere la bocca spalancata, proprio come una bimba piccola, ma non potevo richiuderla. Poi, ad essere sinceri, Los Angeles non mi piacque. È una città brutta, sporca, in cui nessuno parla inglese, in cui hai la continua sensazione che se giri l’angolo sbagliato sarai come minimo rapinato, in cui anche i figuranti che posano per le foto con i turisti sono sbronzi già dal mattino, e nemmeno la fasulla e patinata Beverly Hills mi ha fatto cambiare idea. Per fortuna però quella non era l’unica tappa del meraviglioso viaggio che feci con i miei genitori, mio fratello e il mio futuro marito. A New York potei vedere a teatro lo spettacolo ispirato al film Frankenstein Junior di Mel Brooks, uno dei grandi cult di casa Verdurin. Ma la parte più bella fu quella del viaggio in auto attraverso il deserto, lungo la mitica Route 66, verso il Gran Canyon e tutti i luoghi prediletti da John Ford, il maestro del western classico. Una sera ci fermammo in un locale così country che più country non si poteva, tanto che ci guardavamo dicendo: «Ci manca solo che ora suonino Rawhide, come nei Blues Brothers!» Neanche il tempo di finire la frase che la band passa senza colpo ferire da Country Roads a Rawhide. Noi ci scambiavamo occhiate incredule, con grandi sorrisi stampati sul viso. I miei genitori ballarono. Una serata indimenticabile. Per tutta la durata del viaggio mi sentii dentro ai film che conoscevo tanto bene, e mi piacque tutto. Anche Las Vegas. Anzi, soprattutto Las Vegas. Non ho giocato d’azzardo nemmeno una volta, è una cosa che non riuscirò mai a trovare emozionante: conosco un milione di modi più divertenti per buttare via i soldi! Per esempio la meravigliosa sala giochi del Circus Circus di bondiana memoria, in cui sparare ai bersagli o lanciare polli di plastica nelle pentole: questo sì! Rimasi molto delusa da Los Angeles, è vero, ma c’è un ricordo che me la rende cara ugualmente: quella di Papà Verdurin che, inginocchiato davanti alla stella di John Wayne sulla Walk of Fame, rende omaggio al suo grande eroe, il Duca, il figlio di Katie Elder, il Grinta, l’Uomo Tranquillo. 

Quando, da piccola, andavo in vacanza al mare, il mio divertimento preferito era andare alla sala giochi Las Vegas (guarda caso) e salire sul calesse da cui sparare agli indiani: quanto mi piaceva! Poi però arrivò il film Disney Pocahontas e tutto cambiò: scoprii cosa era capitato davvero ai nativi americani, mi interessai alla loro storia e lessi molti libri. Cinematograficamente parlando questo significò passare da John Ford a Soldato Blu, Il Piccolo Grande Uomo, Un Uomo Chiamato Cavallo e Balla coi Lupi, per poi rendermi conto che, in realtà, il Duca aveva, anche se alla lontana, anticipato anche questo: quando in Sentieri Selvaggi il suo Ethan ritrova la nipotina, che dopo aver vissuto per anni con gli indiani è diventata una di loro. Noi guardiamo Ethan sollevarla con impeto e ci domandiamo: ora la ucciderà o la abbraccerà? Potrà accettare di avere per nipote uno di quei selvaggi che ha da sempre odiato e combattuto? Il genere western, come tutti gli altri generi a lungo (e a torto) considerati “minori”, si incarica di raccontare le contraddizioni e le idiosincrasie più profonde della società, della nostra prima che di quella del selvaggio West. John Wayne, lungi dall’essere solo un cowboy duro e tutto d’un pezzo, ha scandalizzato parteggiando per una prostituta in Ombre Rosse, ha fatto sbellicare dalle risate in Un Uomo Tranquillo, ha fatto commuovere in Il Grinta. Non è certo un caso se, in Mezzogiorno e Mezzo di Fuoco di Mel Brooks, quando lo sceriffo vuole convincere i personaggi a mettere a rischio le proprie vite li esorta così: “Per John Wayne lo fareste!” Noi, a casa Verdurin, lo faremmo.

La Donna alla Finestra

Titolo originale: The Woman in the Window

Anno: 2021

Regia: Joe Wright

Interpreti: Amy Adams, Gary Oldman, Anthony Mackie, Julianne Moore, Jennifer Jason Leigh, Fred Hechinger, Wyatt Russell

Dove trovarlo: Netflix

Anna Fox (Amy Adams) è una psicologa infantile che soffre di agorafobia e da anni non esce più di casa. Trascorre il tempo in compagnia del suo gatto, guardando la televisione, bevendo finché non viene raggiunta dal sonno e dagli incubi: la massiccia terapia di psicofarmaci cui si sottopone non sembra dare risultati. In questa situazione diventa normale per Anna trascorrere molto tempo alla finestra, osservando la strada e i vicini di casa. Quando la famiglia Russell si trasferisce nell’appartamento di fronte Anna incontra dapprima il figlio, il timido e introverso Ethan (Fred Hechinger), poi sua madre, l’allegra e amichevole Jane (Julianne Moore) e infine il padre, Alistair (Gary Oldman), dal carattere possessivo e violento. Alistair non gradisce che la dirimpettaia stringa legami con i suoi familiari e cerca di tenerla a distanza, ma quando Anna assiste dalla finestra all’omicidio di Jane non può evitare di rimanere coinvolta. Dalle indagini della polizia però la sua vicina Jane Russell risulta viva e vegeta… che sia stato tutto un incubo frutto della sua mente alterata?

A partire dal titolo stesso del film, La Donna alla Finestra esplicita i suoi richiami verso il capolavoro di Alfred Hitchcock La Finestra sul Cortile, in cui il giornalista James Stewart, immobilizzato da una gamba fratturata, si convinceva di aver assistito dalla sua finestra ad un omicidio. Giusto per ribadire il concetto, Anna guarda molto spesso vecchi film, tra cui proprio La Finestra sul Cortile ma anche Io Ti Salverò, altro film di Hitchcock affine per le tematiche affrontate (problemi psichici, rimozione di traumi, percezione alterata della realtà). Se nel film con James Stewart l’immobilità forzata era simbolo della riluttanza del protagonista a lasciarsi andare ai sentimenti per la bella Grace Kelly, in questo caso invece l’agorafobia (la paura degli spazi aperti e delle folle) scaturisce dalla difficoltà ad affrontare un trauma che ci viene rivelato (senza grosse sorprese, a dire il vero) solo in un secondo momento. Si tratta in entrambi i casi di una condizione che immobilizza i protagonisti, impedendo loro di vivere appieno la propria vita. Qui finiscono tutte le rassomiglianze con il film di Hitchcock: ci troviamo ad un livello decisamente più basso da ogni punto di vista. Il regista Joe Wright in passato si è dimostrato molto abile soprattutto nei film in costume, patinati eppure incisivi e divertenti come Orgoglio e Pregiudizio; purtroppo però non si mostra affatto a suo agio nel genere giallo/thriller, dove non riesce a costruire una suspense (non riceve nemmeno l’aiuto della colonna sonora di Danny Elfman, decisamente poco incisiva), a creare un mistero (la svolta finale è, come minimo, lapalissiana), a dare ambiguità ai personaggi. Questo non a causa degli attori, che invece si comportano tutti molto bene. Amy Adams accetta di sacrificare la sua bellezza per diventare una donna distrutta e disturbata, mettendo il suo talento al servizio di una protagonista con cui lo spettatore fatica, dall’inizio alla fine, a trovare empatia. Gary Oldman fatica a brillare a causa di una sceneggiatura balorda che, nel tentativo di dare ambiguità al suo personaggio lo rende poco efficace. Scintilla invece Julianne Moore in un ruolo vitale e cardinale, anche se di breve durata, mettendo in ombra la pur brava Jennifer Jason Leigh. Il migliore in campo, a sorpresa, è Wyatt Russell, l’affittuario ambiguo e misterioso, nonostante il personaggio venga usato come risolutore di tutte le storture della sceneggiatura. Riprovevoli, a mio parere, gli inserti come le macchie rosse sul tovagliolo, la mela rossa o i fiocchi di neve, nati sicuramente dal tentativo di richiamare le tecniche di Hitchcock (inserti e filtri cromatici per rappresentare una percezione distorta della realtà o un trauma affiorante) ma che qui non funzionano affatto. Purtroppo in questo film niente funziona: niente giallo, niente suspence, niente mistero, nessuno scavo psicologico interessante, nessun personaggio memorabile. Curiosità: anche se qui ha un ruolo molto piccolo come marito di Anna, Anthony Mackie ha da poco goduto di grande fama come protagonista della serie Disney Plus Falcon and the Winter Soldier, in cui interpreta appunto l’avenger Falcon che si incontra/scontra con il nuovo Captain America, interpretato guarda caso da Wyatt Russell. Il fatto che questa sia la curiosità più interessante di questo film la dice lunga sulla sua qualità, ahimè.

Voto: 1 Muffin

Quiz: Che Film Ho Sognato?

Chi è già stato almeno una volta qui su Cinemuffin, soprattutto se ha letto qualcuno dei miei aneddoti, ormai ha capito che nella mia vita il cinema è dappertutto: dvd nelle credenze, dizionari del cinema sugli scaffali, poster alle pareti, sui piatti di ceramica che decorano il mio salotto, sul libro che tengo sul comodino, sugli abiti, sulla rivista che tengo nel bagno, nel servizio da tè, nelle presine appese in cucina… Non c’è quindi da stupirsi se qualche volta la mia passione entra anche nei miei sogni. Vi racconto adesso il sogno (vero!) che ho fatto questa notte e vi invito, se la cosa vi sembra divertente, a trovare tutti i riferimenti cinematografici che contiene e scriverli nei commenti. Magari ne troverete anche qualcuno che a me è sfuggito (i sogni, si sa, hanno radici imperscrutabili)!

Nel sogno io ero un agente segreto incaricato di proteggere la regina, la cui vita era in pericolo per colpa di Hitler. L’unico modo per sconfiggere Hitler era quello di batterlo ad una partita di calcio uno contro uno. Ovviamente, per la salvezza di Sua Maestà, accettavo la sfida. La partita si giocava in un enorme e lussuoso salone e la palla era in realtà un grande mappamondo. Hitler era davvero molto abile e in gran forma, tanto che iniziavo a temere che non lo avrei mai potuto battere, fino a che, con una rovesciata, riuscivo a segnare il gol della vittoria. Hitler era sconfitto e la Regina era salva!

Mi rendo conto che normalmente metto in palio, per chi riesce a risolvere i miei enigmi, un modesto premio, di solito la recensione in versi di un film a scelta. In questo caso però mi troverei in difficoltà a dover selezionare un unico vincitore in quanto le risposte giuste sono molteplici (senza contare i riferimenti inconsci che nemmeno io riesco a contare). In ogni caso, chi decide di partecipare a questo piccolo gioco è libero anche di scrivere il titolo del film (attinente o meno alle mie bizzarre acrobazie oniriche) di cui vorrebbe leggere la recensione in versi scritta da me… Questa volta non prometto nulla ma cercherò, se mi è possibile, di soddisfare le eventuali richieste!

Buon divertimento e buona notte!

Le Avventure di Rocketeer

Titolo originale: The Rocketeer

Anno: 1991

Regia: Joe Johnston

Interpreti: Billy Campbell, Jennifer Connelly, Timothy Dalton, Alan Arkin, Terry O’Quinn

Dove trovarlo: Disney Plus

Il giovane Cliff Secord (Billy Campbell) vive in un tranquillo paesino di campagna fuori Los Angeles, dove insieme all’amico Peevy (Alan Arkin) progetta e pilota piccoli aerei acrobatici mentre pianifica un futuro con la bellissima fidanzata Jenny (Jennifer Connelly), che però non condivide la sua passione per il volo e la tecnologia. Una notte due malviventi, dopo aver rubato un innovativo e sofisticato prototipo di jetpack al magnate Howard Hughes (Terry O’Quinn), durante la fuga lo nascondono proprio nel piccolo hangar di Peevy. Quando Cliff lo trova, entusiasmato da quel congegno futuristico, decide di provarlo, nonostante le proteste di Peevy che ritiene sia troppo pericoloso. Dopo i primi goffi tentativi, Cliff impara a volare in scioltezza e a utilizzare la sua nuova abilità per compiere gesti eroici: in breve, tutti conoscono il misterioso eroe volante col nome di Rocketeer. Ma sono in molti a volersi impossessare di quel jetpack ad ogni costo, dai gangster di Los Angeles al celebre e affascinante attore di Hollywood Neville Sinclair (Timothy Dalton).

Il personaggio Rocketeer nasce dalle pagine dei fumetti di Dave Stevens e viene portato al cinema dalla Disney nel 1991 per la regia di Joe Johnston, fresco del grande successo del suo esordio Tesoro mi si sono Ristretti i Ragazzi (di cui è da poco stato annunciato il sequel) e destinato a diventare negli anni regista di una serie di ottimi film d’avventura (Jumanji, Pagemaster, Hidalgo, il primo Captain America). Questo film rientra perfettamente in tutti i canoni del genere “avventura per famiglie”, ma il suo grande pregio è di avere dei personaggi e degli eventi di contorno davvero accattivanti. La doppia ambientazione, tra la tranquilla vita di campagna e la pulsante e caotica metropoli di Los Angeles e della sua scintillante ma anche spaventosa Hollywood, è resa in modo molto efficace. Tutte le scene ambientate sui set del film in costume in cui il divo vanesio e crudele Neville Sinclair, interpretato da un ottimo giovane Timothy Dalton, sono molto divertenti e anche incisive nella critica, marginale ma presente, al divismo che da sempre contraddistingue l’establishment. Poi ci sono i gangster, all’apparenza truci e terrificanti, e naturalmente  l’FBI che dà loro la caccia; alla fine però si scopre che i veri cattivi della storia sono i neonazisti, un altro elemento sempre di grande impatto in una storia. Su tutto e su tutti, e non può essere altrimenti, troneggia Howard Hughes, un uomo che, con tutti i suoi meriti e le sua stranezze (geniale inventore, ricco magnate, grande produttore cinematografico, autorecluso per scelta, aviatore per diletto), inevitabilmente è divenuto spesso un personaggio del cinema, in questo caso non protagonista ma comunque determinante per lo sviluppo della trama e per l’appagante lieto fine. Stupisce che un attore, non eccezionale ma sicuramente fascinoso, come Billy Campbell, che interpreta Cliff, non abbia avuto una carriera più fortunata. Non è invece una sorpresa trovare una Jennifer Connelly come sempre stupenda ma del tutto inespressiva. Timothy Dalton, che era già stato James Bond nel film Vendetta Privata, questa volta invece ammalia e convince nel ruolo del cattivo egocentrico e megalomane, proprio del genere di quelli di solito combattuti da 007. Infine Alan Arkin si fa voler davvero bene nel ruolo del burbero dal cuore d’oro Peevy. Le scene di volo del jetpack restano ancora oggi molto ben fatte e divertenti per grandi e piccini e pur non mancando nessun clichè narratologico il film, tra scene d’azione, di inseguimento e d’amore, si lascia guardare con molto piacere. Dallo stesso fumetto e dal film stesso nasce  nel 2019 la serie Disney Junior Rocketeer, in cui una bambina si lancia in nuove avventure con il suo zainetto a razzo, disponibile su Disney Plus per chi, dopo aver visto il film, non ha ancora voglia di smettere di volare.

Voto: 3 Muffin

Ricomincio da Noi

Titolo originale: Finding your Feet

Anno: 2017

Regia: Richard Loncraine

Interpreti: Imelda Staunton, Timothy Spall, Celia Imrie

Dove trovarlo: Amazon Prime

Dopo aver scoperto il marito in flagrante tradimento con la sua migliore amica, Sandra (Imelda Staunton) abbandona il fedifrago, la casa e la sua vita lussuosa per rifugiarsi dalla sorella Bif (Celia Imrie). Bif la accoglie con affetto ma presto i caratteri opposti delle sorelle porteranno all’attrito tra le due: se Sandra è composta, seria e posata, Bif al contrario è esuberante, disordinata e passionale. Per aiutare Sandra, Bif la coinvolge suo malgrado in un corso di ballo. Inizialmente Sandra sembra rifiutare ogni aspetto della vita della sorella, dalla marijuana alle sue frequentazioni, poi, poco alla volta, si lascia travolgere dalla sua energia e dal suo amore per la vita, fino a riscoprire se stessa, attraverso la danza (in cui eccelleva da bambina) e anche grazie a un sentimento inaspettato che la legherà sempre di più allo scapestrato (ma solo in apparenza) Charlie (Timothy Spall).

La storia del cinema in generale, e quella del cinema inglese in particolare, trabocca di storie in cui i personaggi, dopo una crisi esistenziale ed emotiva, ritrovano se stessi e la gioia di vivere grazie all’espressione, spesso artistica, della loro personalità più autentica. Succede ad esempio in Billy Elliot, Full Monty, Calendar Girls, tutte ottime commedie di formazione. Ricomincio da Noi appartiene allo stesso filone, sebbene sia un film dolceamaro che alterna momenti comici a momenti drammatici senza far prevalere nessuno dei due toni, anche se, forse proprio per questo suo essere ibrido, risulta meno riuscito degli altri che ho portato ad esempio. La forza del film quindi non si trova nella trama, piuttosto convenzionale, e nemmeno nei personaggi, che sono i caratteri tipici del genere, ma nel talento degli attori che, pur imbrigliati in questa struttura consolidata che non si prende alcun rischio riescono a restituire dei personaggi che, se non a tuttotondo, diventano delle figure aggettanti cui ci si affeziona e di cui si seguono con piacere le vicissitudini. Se il contrasto tra Imelda Staunton e Celia Imrie è il cuore della storia, il vero elemento d’interesse è il personaggio di Charlie, interpretato con spigliata dolcezza da Timothy Spall. Una curiosità: anche se non recitavano insieme, Imelda Staunton e Timothy Spall hanno preso entrambi parte alla saga di Harry Potter interpretando due personaggi spiacevoli, la tirannica preside Dolores Umbridge e il traditore Codaliscia. Consigliato a chi ha un debole per gli attori inglesi, per i film in cui si balla, per chi ama le storie leggere di riscatto personale, per chi vuole godersi un gruppetto di attempati ballerini inglesi che se la spassa per le strade di Roma.

Voto: 3 Muffin

Due Estranei

Titolo originale: Two Distant Strangers

Anno: 2021

Durata: 32 minuti

Regia: Travon Free, Martin Desmond Roe

Interpreti: Joey Badass, Andrew Howard, Zaria

Dove trovarlo: Netflix

Questo cortometraggio ha da poco vinto l’Oscar della sua categoria, usando un approccio diverso per raccontare la problematica, più che mai attuale negli Stati Uniti, delle violenze da parte delle forze dell’ordine ai danni delle persone di colore. Negli ultimi anni l’Academy si è dimostrata particolarmente sensibile alle tematiche affrontate dalle opere in concorso, e Due Estranei non fa eccezione, cavalcando senza dubbio l’onda di un argomento già nel cuore della politica e del giornalismo, ma utilizzando un punto di vista diverso, più cinematografico che documentaristico, per avvicinare il pubblico ad un argomento caldo come quello della discriminazione razziale.

Il giovane Carter (Joey Badass) si risveglia nel letto della bella Perri (Zaria) dopo aver passato la notte con lei. La ragazza lo invita a restare a colazione, ma Carter, sebbene molto preso da lei, rifiuta perché ansioso di tornare a casa dal suo cane, Jeter, rimasto solo dalla sera precedente. Carter si veste ed esce, ma non appena arriva in strada viene aggredito da un poliziotto, l’agente Merk (Andrew Howard) che lo accusa immotivatamente di possesso di droga e lo immobilizza. Carter si ritrova a terra, con il poliziotto che schiaccia il suo collo impedendogli di respirare, fino a che non muore. Si risveglia però nel letto di Perri, ancora una volta. Convinto che si sia trattato di un brutto sogno, lascia nuovamente la casa della ragazza per tornare da Jeter, e di nuovo viene fermato dall’agente Merk, che questa volta gli spara e lo uccide. Di nuovo, Carter si risveglia nel letto di Perri. Si rende conto di essere bloccato in un loop temporale, in cui, qualunque cosa faccia, l’agente Carter alla fine lo uccide. Ma il ragazzo non si arrende, deciso a ritornare a casa dal suo cane…

La trama, sebbene non sia originale nel contesto del cinema di fantascienza, trova però un’applicazione nuova nel campo della denuncia sociale; d’altro canto la fantascienza, come tutti i generi cinematografici un tempo considerati “minori” (horror, western…) ha sempre utilizzato metafore per parlare, in realtà, non di pianeti lontani ma del mondo in cui viviamo. Allo stesso modo questo cortometraggio utilizza lo stratagemma narrativo del loop temporale per rappresentare la condizione, apparentemente senza via d’uscita, della popolazione di colore negli Stati Uniti, che viene ancora oggi discriminata talvolta con brutalità e violenza. Il rimando alla morte del giovane George Floyd è molto diretto, e nei titoli di coda scorrono molti altri nomi di persone di colore uccise arbitrariamente dalla polizia americana negli ultimi anni. Two Distant Strangers (il titolo originale sottolinea come i due uomini non siano solo sconosciuti ma siano anche molto distanti tra loro, nonostante si trovino continuamente a stretto contatto) ha un valore civile più alto di quello artistico, e si potrebbe discutere su quale dei due sia stato premiato, ma testimonia, oltre alla condizione difficilissima in cui versa una parte della popolazione statunitense, anche la ricerca, che in questi anni procede per tentativi, a volte maldestri, di un’espressione artistica per tale condizione. Considerando anche la breve durata, Due Estranei è senza dubbio una visione interessante, che lascia allo stesso tempo amareggiati ma anche speranzosi sia nei confronti della situazione delle discriminazioni razziali sia verso quella della cinematografia odierna. Dopo diversi esempi, visti in questi ultimi anni, di rielaborazioni storiche che annullavano le differenze razziali (come il musical Hamilton o le serie Hollywood e Bridgerton), ora assistiamo a nuovi esperimenti cinematografici che tentano di elaborare una condizione civile ed esistenziale difficilissima. Sono sicura che, quando l’arte troverà il modo giusto per incanalare questa condizione, il risultato (forse non solo artistico) sarà ragguardevole.

Terminal Velocity

Anno: 1994

Regia: Deran Sarafian

Interpreti: Charlie Sheen, Nastassja Kinski, James Gandolfini

Dove trovarlo: Disney Plus (Stars)

Richard Brodie detto “Ditch” è un istruttore di volo e di paracadutismo che sa cosa siano le regole e la disciplina. Un giorno si presenta da lui una bellissima sconosciuta che dice di chiamarsi Chris (Nastassja Kinski) e che smania per una lezione di volo immediata. Ditch accetta, sperando di far colpo su Chris, ma quando sono sull’aereo la ragazza, senza spiegazioni, si lancia nel vuoto. Ditch sta ancora cercando di darsi pace per l’accaduto quando si imbatte nuovamente in Chris, che gli rivela di chiamarsi in realtà Krista e di essere un agente del KGB in missione; la ragazza trovata morta era invece la sua compagna di stanza, di cui lei ora deve trovare l’omicida. Se vuole essere scagionato da ogni accusa Ditch non ha altra scelta che collaborare con Krista e aiutarla nella sua pericolosa missione…

Charlie Sheen è forse l’ultimo nome che ci si aspetterebbe di trovare nel catalogo di Disney Plus, viste le sue burrascose vicissitudini personali legate all’uso di droghe e alla violenza domestica: eppure, grazie all’acquisizione della piattaforma Stars, film e serie tv per adulti sono diventati molto più numerosi. Terminal Velocity è un film d’azione di stampo molto classico, senza eccessiva violenza e con giusto qualche parolaccia e alcune battute non adatte ai minori (“Io non sono solo un pisello con le gambe, sono un pisello con le ali!”), con i suoi canonici colpi di scena (senza grosse sorprese) e un mix di azione e comicità, affidata alle battute di Ditch e al contrasto tra i due caratteri opposti dei protagonisti che si ritrovano, sempre da manuale, insieme per forza. Ditch è un ribelle, scapestrato, superficiale e donnaiolo, mentre Krista è un agente segreto serio, professionale e devoto alla causa; inutile dire che tra i due ci saranno dapprima scintille e poi, man mano che iniziano ad aprirsi e confrontarsi, del tenero. A prescindere da ciò che si può pensare di lui come uomo, Charlie Sheen è da sempre un buon attore comico che sa essere fascinoso e divertente al punto giusto, come il duetto di film Hot Shots! ha dimostrato. Nastassja Kinski è molto brava a cambiare atteggiamento, da stuzzicante e seriosa a romantica, senza che il suo fascino diminuisca mai. Per una serata senza pensieri (ma va bene anche a colazione), con un po’ di azione retrò, qualche risatina e alcuni simpatici svolazzamenti.

Voto: 3 Muffin