La La Land

Anno: 2016

Regia: Damien Chazelle

Interpreti: Ryan Gosling, Emma Stone

Dove trovarlo: Amazon Prime

Mia (Emma Stone) e Sebastian (Ryan Gosling) sono entrambi giunti a Los Angeles alla ricerca del successo: lei desidera diventare un’attrice ma si mantiene lavorando come cameriera, mentre lui vorrebbe aprire un suo locale jazz ma nel frattempo si limita a strimpellare alle feste. Dopo un paio di incontri sfortunati i due, che inizialmente non si sopportano, iniziano a capire di avere qualcosa in comune…

Ho sempre amato i musical, ce ne sono di meravigliosi in ogni epoca e, nonostante qualcuno ciclicamente decreti la morte del film musicale, se ne fanno di splendidi ancora oggi. Ma non è il caso di La La Land. Ammetto che per me sia davvero un mistero come questo film abbia potuto ricevere ben 14 nomination agli Oscar vincendone addirittura 6 quando, anche sforzandomi, non riesco proprio a trovarci una buona qualità. E dire che per un momento si era pensato che avesse vinto anche il premio dell’Academy come miglior film, quando a Warren Beatty venne consegnata la busta sbagliata durante la cerimonia del 2017: il vero vincitore, Moonlight, magari non è un capolavoro assoluto, ma ha alla base un’idea particolare e della buona volontà, oltre che un buon cast. Ma che cosa ha invece La La Land? Solo tanta nostalgia per la cara vecchia Hollywood e i grandi musical degli anni ‘50, uno su tutti Cantando sotto la Pioggia, che si può sempre vedere in controluce dietro ad ogni numero musicale o scena ambientata negli studi cinematografici. Inutile dire che Ryan Gosling non è Gene Kelly, ma, oltre ad essere legnoso nell’espressione, lo è anche nei movimenti e, ahimè, nella voce: insomma, un vero disastro. Se la cava meglio Emma Stone, che pur non avendo certo la simpatia della fantastica Debbie Reynolds riesce a essere un po’ più convincente del partner come ballerina e come cantante, ma sempre restando a livelli piuttosto bassini per una vincitrice dell’Oscar come migliore attrice. J.K Simmons, che dai titoli sembrava dover avere più spazio nel film, in realtà non fa che una breve apparizione. La trama, molto simile a quella di Cantando sotto la Pioggia, non è certo innovativa: lui e lei sognano il mondo dello spettacolo, si incontrano, si odiano ma poi si amano. L’unico guizzo di sceneggiatura è quello di aggiungere un secondo finale immaginato per mostrare come le cose sarebbero potute andare ma non sono andate, anche se in conclusione tutti hanno avuto il loro lieto fine (e questo viene mostrato nel modo più piatto possibile, riprendendo la scena iniziale della celebrità che prende il caffè e insiste per pagarlo). La trama semplice non è un ostacolo per un buon musical, a patto che però altri elementi siano molto forti, ma qui non è così: i dialoghi sono banali e noiosi, i personaggi stereotipati e anche antipatici, le canzoni tutte dimenticabili (incredibilmente, a distanza di tempo, mi trovo a canticchiare canzoni dell’outsider Hamilton, mentre di La La Land non ricordo nemmeno una nota…). Si salvano invece le coreografie, che uniscono il classico stile hollywoodiano con uno più moderno (la coreografa Mandy Moore riproporrà questa commistione, con risultati migliori, nella serie Lo Straordinario Mondo di Zoey). Un altro grave difetto del film è quello di prendersi sempre troppo sul serio, senza mai un pizzico di simpatia o ironia, che erano invece il punto di forza di Singin’ in the Rain e di molti altri film musicali classici. Come si capisce sono rimasta molto delusa da questo film, mentre sono convinta che il musical attualmente stia andando ancora alla grande, come dimostra lo splendido The Greatest Showman (che l’anno successivo ha ricevuto appena una nomination agli Oscar ma che, dal confronto con La La Land, esce vincitore alla grandissima). Lascio, oltre al votaccio, il ricordo affettuoso di un “La La La” assai migliore.

Voto: 1 Muffin ipocalorico

R – Reno, Jean, L’Immortale

Papà Verdurin è sempre stato un grande appassionato di cinema (ma non solo), e sicuramente il mio amore per la settima arte è dovuto in parte a lui, che fin da piccolissima, anziché mostrarmi i soliti cartoni animati, mi intratteneva con i classici di Chaplin, Capra e perfino Sergio Leone (il che gli è costato anche qualche tirata d’orecchie da parte di mia madre). Innamorato dei classici, è rimasto però sempre anche uno spettatore vorace e curioso delle novità. Cascasse il mondo, ogni martedì, ovunque si trovi, lui rintraccia l’edicola più vicina e si procura il settimanale con i programmi tv, dedicandosi poi a studiarli con minuziosa dedizione; basandosi poi sui giudizi dei critici e i voti in stelline, cerchia con la penna tutti i film che ha intenzione di vedere. Di norma poi, di questi, non ne vede che una minima parte, distratto da altri impegni, o più facilmente dagli eventi sportivi. Una sera, dopo cena, io e lui ci ritrovammo sul divano a decidere cosa guardare. Mio fratello disertava sempre questo genere di visioni, preferendo vedere film e serie tv nella privacy della sua stanza. Io invece adoravo quelle serate di cinema in famiglia (mia madre era presente a spizzichi, spesso vedeva solo qualche pezzo del film, o si metteva vicino a noi a leggere, e quasi sempre andava a dormire prima della fine del film). Quella sera mio padre mi prospettò la visione del film L’Immortale, presentato dal suo “libercolo dei programmi” (come lo chiama lui) come un “bellissimo noir francese”. Protagonista, se c’è bisogno di dirlo, l’onnipresente Jean Reno. Così, sulla fiducia, decidemmo di guardarlo, ritrovandoci un banalissimo thriller ingenuo e sanguinolento con dialoghi (pochi) addirittura ridicoli (con tanto di “in fondo io e te siamo uguali!” nel finale…), in cui Jean Reno sopravviveva miracolosamente ad un tentativo di omicidio e si vendicava naturalmente con grande violenza. Il giorno dopo mia madre ci chiese com’era il film: io e mio padre ci guardammo a scoppiammo a ridere. Da allora, in casa mia, l’espressione “un bel noir francese” indica un brutto film che non vale la pena di vedere (con buona pace dei veri bei noir francesi, che non ho dubbi possano esistere).

Q – Qual è il tuo Batman preferito?

Batman in difficoltà per liberarsi della bomba senza ferire i civili

Il primo numero del mensile della rivista di cinema Ciak lo acquistai nell’agosto del 2001. Ricordo che in copertina c’era un’immagine dell’allora giovanissimo Daniel Radcliffe/Harry Potter, la cui saga cinematografica iniziava allora con il primo episodio, e il numero proponeva, come fa tutt’ora nel mese di agosto, un’anticipazione dei film che sarebbero usciti nelle sale nei mesi successivi. Trovai in quella rivista il giusto compromesso tra approfondimento culturale e vanesio glamour: da allora, non ne ho mai perso un numero. Dapprima li acquistavo in edicola, poi ho scoperto la comodità dell’abbonamento. Da brava grafomane, oltre a leggere avidamente ogni numero da cima a fondo (saltando giusto qualche articolo sul cinema italiano), ho anche sempre approfittato di ogni occasione per dire, o meglio scrivere, la mia. Su ogni numero infatti si potevano trovare (col passare del tempo sempre meno, devo dire) diversi inviti ai lettori ad inviare le proprie idee, recensioni e valutazioni, e io naturalmente ne approfittavo il più possibile. Questa mia partecipazione in una percentuale piuttosto alta di casi mi ha anche dato delle soddisfazioni: una recensione pubblicata (come racconterò più avanti) e premiata con il blu-ray del film Stanno tutti bene (che confesso di non aver ancora mai guardato…), un intervento premiato con i biglietti per l’anteprima a Milano di Kick-Ass 2 (cui non mi è stato possibile assistere), uno premiato con la partecipazione gratuita ad una lezione di comicità (anche di questo parlerò in seguito). Forte di questi riconoscimenti ho anche inviato il mio curriculum, diverse volte, ma ahimè non sono mai stata presa in considerazione… Una grande soddisfazione però l’ho avuta: un bel regalo per mio figlio. Quando Ciak propose ai suoi lettori di scrivere per dire quale fosse, tra i tanti attori che lo hanno interpretato, il loro Batman preferito e perché, non ho avuto esitazioni. Devo aver già detto che uno dei miei film di supereroi preferiti è Il Cavaliere Oscuro, ma questo non ha nulla a che fare con la presenza di Christian Bale, che è certamente un ottimo professionista ma che non mi ha mai, per così dire, rubato il cuore. Di quel film, oltre all’ottima sceneggiatura, amo soprattutto le interpretazioni di Heath Ledger e di Aaron Eckart. George Clooney? Beh, confesso di aver avuto una cotta per lui per molti anni e di aver visto moltissimi dei suoi film (compreso Il Ritorno dei Pomodori Assassini, che è esilarante e che tutti dovrebbero vedere), ma non posso non riconoscere che Batman & Robin è un film divertente ma piuttosto cretinotto. Con Tim Burton ci sono cresciuta, di lui amo moltissimo moltissime cose (al primo posto il musical Sweeney Todd), ma sinceramente i suoi Batman mi lasciano indifferente, non sono né divertenti né graffianti, nonostante il cast sempre stellare. Il Batman crepuscolare di Ben Affleck (e del suo panino alla Nutella) non era ancora arrivato nelle sale. Dunque non c’era che una risposta: Adam West (che per coincidenza morì pochi mesi più tardi). Famoso soprattutto per la serie televisiva (che guardavo da piccolissima e di cui non ho che ricordi vaghi), fu tuttavia anche protagonista nei panni dell’uomo pipistrello di un lungometraggio che fu riproposto per un certo periodo da Netflix. A guardare quel film oggi, la prima cosa che colpisce è l’ingenuità generale del tutto, dai costumi alle battute di spirito agli escamotages di trama, ma quando l’ho visto sono rimasta colpita da una cosa: Batman non aveva mai dubbi. Oggigiorno siamo abituati a supereroi più umani, pieni di esitazioni, incertezze, rimorsi, che spesso mollano tutto (magari solo per un po’) o che elucubrano all’infinito su profonde questioni morali. Adam West invece non elucubrava mai, sapeva sempre esattamente cosa fare, il nero era nero e il bianco bianco, il cattivo cattivo e gli innocenti venivano salvati, sempre e comunque. Questo mi ha fatto pensare a come debba essere cambiato il mondo, in poche decine di anni, se perfino i supereroi sembrano aver perso ogni certezza e ogni speranza di poter davvero trionfare sul male: in fondo il cinema, come ogni forma d’arte, non è che uno specchio dell’animo umano, dei suoi bisogni, delle sue paure, dei suoi sogni. Questo scrissi a Ciak, ed il mio intervento fu premiato con il blu-ray di Lego Batman, che tutta orgogliosa regalai a mio figlio. E vorrei tanto poter donare ai miei figli un mondo meno simile alla Gotham di Christopher Nolan, in cui Batman si accolla volontariamente l’odio di tutti e fugge, e più simile a quello di Adam West, dove un delfino di passaggio decide spontaneamente di immolarsi per salvare Batman e Robin da un siluro esplosivo…

Blade Runner (Recensione in Versi)

Capita a tutti di perdere una scommessa

E se succede bisogna mantenere la promessa:

Nel mio caso è stata indovinata la misteriosa canzone

Così eccomi qui a scrivere la recensione

In versi, questo era l’accordo

Di un film che ho già visto ma di cui poco ricordo.

Blade Runner è il titolo in questione

Ma prima di scrivere mi serve un’altra visione.

Blade Runner lo avevo già visto da giovanetta

Quando la fantascienza era la mia diletta

Conoscevo le tre leggi della robotica a menadito

E andavo matta per Leslie Nielsen ne Il Pianeta Proibito.

Scoprii poi che nello spazio nessuno può sentirti urlare:

Lo stesso regista di Alien! Che cosa potrebbe storto andare?

Vidi tutto Blade Runner con un sopracciglio alzato

Fino alla fuga d’amore nel tramonto dorato

Poi con autorità dalla poltrona mi sono alzata

Definendolo come di Fantozzi la ben nota corazzata.

Tutti mi dissero che cantonata mi ero presa:

Non avevo mai visto la versione estesa!

Blade Runner era un capolavoro della fantascienza

E il mondo non poteva vivere senza.

Ma io, come un cocciuto eremita dei boschi, 

Preferivo ancora Kubrick e Tarkovskij.

Quando dunque mi è arrivata la richiesta

Ho pensato: che grande occasione è questa!

Ora, che son ben più matura ed istruita (almeno spero)

Del successo di Blade Runner risolverò il mistero.

Prontamente il catalogo di Netflix scandaglio

Fino a trovare del regista il taglio.

Scelgo la lingua originale, sicura

Che così non mi sfuggirà alcuna sfumatura.

E dopo una seconda, attentissima, visione…

Mi ritrovo nella stessa identica convinzione!

Io lo so che Harrison Ford è un eroe internazionale

Ma ha sempre la stessa espressione facciale

E come può dunque rendere il lacerante tormento

Di chi è incaricato del definitivo pensionamento

Dei sei androidi fuggiti da Marte

E ora nascosti sulla Terra da qualche parte?

Certo diventa difficile fare il tuo lavoro

Se poi ti innamori di una di loro…

La bella Rachel è un androide in realtà

E dunque in breve tempo morirà:

Gli androidi son progettati per una durata

Che al tempo di soli quattro anni è limitata.

Ecco perchè Roy Batty della situazione si è stufato

Ed ha istituito degli androidi un sindacato:

“Vogliamo più anni di vita per tutti!

Crepate voi invece, che siete flaccidi e brutti!”

Non si potrebbe nemmeno dargli torto

E infatti in Rick Deckard qualche dubbio è sorto

Anche se non vi si trova alcuna motivazione

Se non la sua semplice erotica pulsione:

Come può annientare Roy e il suo sindacato

Se della sua simile, Rachel, è innamorato?

Ridley Scott ha una filosofica soluzione:

“È buio e piove. Fine della questione.”

Dunque Rick prende un ombrello luminoso

E si accinge a portare a termine il suo incarico gravoso.

E qui ci si aspetta una resa dei conti strepitosa

Che però si risolve in ben poca cosa

Più che una partita a scacchi con la morte

Si sfondano con la testa i muri e le porte.

Il famoso monologo sui bastioni di Orione

(improvvisato da Rutger Hauer, non era in copione!)

E poi la morte di Roy, androide disertore

E la fuga degli amanti, stavolta in ascensore.

Ma di domande lo spettatore ne ha ancora tante:

“Rick, ma perchè quella camicia?” “Ma alla fine era un replicante?”

“Forse la risposta è negli animali di carta”?

Una sola cosa, in certi casi, ogni dubbio scarta:

Il libro di Philip K. Dick mi leggo con attenzione

Per risolvere una volta per tutte la questione.

Quindi scopro che Rick aveva una moglie

Ma con Rachel soddisfaceva tutte le sue voglie

E quando infine una vera capretta riesce a comperare

L’amante la va subito ad ammazzare.

Non è malvagio questo finale:

In fondo sarà l’inizio di Attrazione Fatale

Ma forse è inutile girarci attorno:

La risposta l’ha sempre avuta l’unicorno!

Una risposta l’ho trovata però

E da dove viene il titolo adesso lo so:

Il dottor Nourse, medico d’ospedale

Scrisse un romanzo su un dottore spaziale

Blade Runner s’intitola, e quello sarebbe da vedere:

Un film che parla di un Medicorriere!

Ma più la questione cerco di districare

Più mi viene da ridere: meglio lasciar stare…

Ma anche se forse non l’ho ancora capito

Io intanto il film l’ho recensito

D’ora in poi farò meno promesse perché, su questo non ci piove,

non vorrei dovermi guardare anche 2049!

Questo è il premio promesso al vincitore del gioco Name that Tune: spero tanto che sia di tuo gradimento Pietro!

Questa recensione in versi non sarebbe stata possibile senza l’aiuto di Lucius, che mi ha dato supporto morale e fornito utilissimo materiale. Grazie!

Vi aspetto tutti per il prossimo cine-gioco di cine-muffin!

Goldfinger

Mentre stavo scrivendo questo articolo è arrivata la triste notizia della scomparsa di Sean Connery, il primo, e per molti l’unico, 007. Naturalmente sarebbe riduttivo ricordare Sir Sean Connery solamente per aver interpretato James Bond quando nella sua lunga e variegata carriera ci ha regalato una serie di personaggi straordinari, vincendo l’Oscar come miglior attore non protagonista per Gli Intoccabili di Brian De Palma nel 1987 e ricoprendo ruoli più o meno importanti, ma sempre memorabili, in film di ogni genere e caratura. Inutile cercare di fare una lista o una classifica dei suoi ruoli più riusciti o dei suoi film più belli. Più facile forse parlare di quello che io personalmente considero il suo unico passo falso: Zardoz. Ma di questo ho già stabilito di parlare in un’altra occasione. Per me la figura affascinante e carismatica di Sean Connery sarà sempre indissolubilmente legata al personaggio di James Bond e a quello che ritengo il film migliore tra quelli da lui interpretati: Goldfinger.

Il secondo film sull’agente segreto al servizio di Sua Maestà Dalla Russia con Amore ha avuto un successo enorme e spianato definitivamente la strada ai produttori Albert Broccoli e Harry Saltzman, che ora non hanno più alcun problema a reperire tutti i finanziamenti di cui hanno bisogno: il budget per il terzo film di 007 ammonta infatti a tre milioni di dollari, quanto i due film precedenti messi assieme. Per il terzo film viene scelto di adattare il settimo romanzo di Fleming, uscito nel 1959, scritto dopo un soggiorno in uno stabilimento termale inglese in cui lo scrittore aveva conosciuto un venditore d’oro che gli aveva spiegato alcuni segreti del mestiere. Questa volta però Terence Young, il regista dei primi due film, non è disponibile: i produttori scelgono per sostituirlo un veterano della regia, Guy Hamilton.

Sean Connery con Tippi Hedren e il regista Alfred Hitchcock sul set di “Marnie”

Per il nuovo arrivato non è semplice inserirsi all’interno di un gruppo di lavoro così affiatato, e nei primi giorni è costretto a sgridare diverse volte i membri del cast e della troupe che, immersi in rimembranze delle collaborazioni passate, non si concentrano debitamente sulla nuova impresa. Sicuramente Hamilton ha un carattere molto diverso da Terence Young, che considerava i colleghi di lavoro come una famiglia: lui invece è molto freddo e distaccato, ma sa sempre quello che vuole e riesce ad ottenerlo nel modo più efficiente. Il battesimo del ciak di Hamilton è tutt’altro che semplice, dato che Sean Connery e Gert Frobe, l’attore scelto per interpretare il villain Goldfinger, non sono ancora disponibili (Connery sta ultimando le riprese di Marnie di Alfred Hitchcock): il regista deve quindi girare la prima sequenza a Miami utilizzando delle controfigure. La scena verrà completata successivamente con i due attori in un set ricostruito negli studi Pinewood di Londra. Questo gioco di prestigio è reso possibile ancora una volta dalla bravura dell’editor Peter Hunt, che in fase di montaggio riesce a dare omogeneità visiva e narrativa alla sequenza. 

Cec Linder, Sean Connery e Margaret Nolan nel set di Miami ricostruito a Pinewood

Molti sono i critici e in fan che ritengono Goldfinger il miglior film di 007 in assoluto grazie alla sua equilibrata miscela di azione, erotismo, suspense e umorismo. È innegabile il fatto che il terzo film della saga abbia consacrato definitivamente il mito di James Bond e sancito un modello che tutti i film successivi hanno poi tentato di emulare, oltre a dar vita alle prime imitazioni e parodie e al fenomeno del merchandising legato all’agente segreto nato dalla penna di Ian Fleming. Goldfinger ha stabilito in modo definitivo il canone del perfetto film di 007. Ne è un esempio condensato la scena che precede i titoli di testa, come accadeva già in Dalla Russia con Amore. Questa volta Hamilton realizza una sequenza del tutto scollegata dalla storia principale, una mini avventura di pochi minuti che però racchiude in sé tutti gli elementi tipici dello stile bondiano: l’umorismo, l’avventura, il pericolo, le belle donne. 

In questo incipit la prima cosa che vediamo è un gabbiano male in arnese che nuota nel porto, ma subito scopriamo che sotto il pennuto c’è il nostro eroe, che avanzava non visto sott’acqua con un gabbiano posticcio (che durante le riprese si era irrimediabilmente inzuppato d’acqua) incollato al cappuccio della muta. Nella cisterna in cui Bond si addentra furtivamente scorgiamo qualcosa di familiare: una grande apertura circolare sul soffitto, come si era vista in Licenza di Uccidere nella scena che introduce il cattivo, il Dr. No. Non ci sono dubbi: Ken Adam, lo scenografo del primo film, che non aveva partecipato al secondo perché impegnato con Il Dottor Stranamore, è tornato, pieno di nuove idee scaturite dalla collaborazione con Stanley Kubrick. Dopo essere uscito dal deposito, che ha riempito di esplosivo, Bond si toglie la muta (che è in realtà una tuta di nylon) rivelando un impeccabile smoking bianco e si reca in un night club, dove assiste al panico causato dalla sua esplosione senza battere ciglio. Inevitabilmente poi l’agente segreto si ritrova solo in compagnia della bella ballerina, che però non gli è amica come sembra. In un efficacissimo effetto ottico vediamo, riflesso nell’occhio della ragazza (un’idea dello sceneggiatore Richard Maibaum), un brutto ceffo che sta per aggredire Bond alle spalle. 007 non esita a farsi scudo della donna dopodichè si libera dell’aggressore spingendolo in una vasca da bagno e gettando un ventilatore nell’acqua. Nel girare questa scena ci furono un paio di imprevisti: l’attore selezionato per interpretare Capungo, il messicano che lotta con Bond, viene arrestato per furto poco prima dell’inizio delle riprese e sostituito dallo stuntman Alf Joint. La scena deve essere ripetuta diverse volte, Sean Connery viene colpito con una sedia alla schiena ad ogni ciak; infine Joint, immerso nella vasca insieme a cavi elettrici ed effetti pirotecnici, si procura un’ustione di secondo grado alle gambe. “Shocking”, come direbbe 007.

A questa sequenza d’apertura segue naturalmente la sigla, in cui vediamo i titoli di testa di Robert Brownjohn (che si occupa anche della grafica pubblicitaria del film) proiettati sul corpo dorato della splendida Margaret Nolan e ascoltiamo quella che sarà la prima di una lunga serie di sigle bondiane divenuta un grande successo: Goldfinger, musica di John Barry (autore dell’intera colonna sonora) e testi di Anthony Newley, eseguita dalla celebre cantante Shirley Bassey. Per la prima volta la colonna sonora di un film di 007 diventa un vero successo, superando nelle vendite perfino i Beatles, tanto che l’LP vincerà il disco d’oro: e come poteva essere diversamente?

Hamilton intende mostrare fin da subito quanto sia lussuoso ed edonistico il mondo in cui si muove 007. Per la prima scena realizzata, quella della piscina, girata il 20 gennaio 1964 nell’hotel Fontainbleau di Miami, ingaggia delle vere modelle solo per far bella figura riempiendo le sdraio; chiama inoltre l’attrice Margaret Nolan a interpretare per una manciata di secondi la massaggiatrice di James Bond. L’unico attore effettivamente presente a Miami all’inizio delle riprese è Cec Linder che interpreta l’agente della CIA Felix Leiter, personaggio già presente in Licenza di Uccidere, dove però aveva il volto di Jack Lord: Felix ha il compito di sfilare James dalla sua meritata (dopo la missione in Messico) vacanza per chiedergli di indagare sul magnate Auric Goldfinger ed alcuni suoi presunti traffici poco puliti nell’esportazione dell’oro. Naturalmente Bond interpreta la missione a modo suo, seducendo la splendida Jill Masterson, assunta da Goldfinger per farsi vedere in sua compagnia…e per aiutarlo a barare a carte!

Jill Masterson suggerisce a Gert Frobe tramite “Auric-olare”

Auric Goldfinger, come si capisce già dal nome, è il perfetto villain bondiano: megalomane, intelligente, spietato, permaloso e folle. Si circonda di belle donne ma non per andare a letto con loro, solamente perché le trova decorative e occasionalmente anche utili. Gli piace vincere sempre, negli affari e nel gioco, senza risparmiare sui mezzi per ottenere la vittoria. La sua ossessione per l’oro lo rende senz’altro stravagante ma mai sprovveduto, portandolo anzi a concepire un piano criminale di cui anche Bond non può che ammirare la genialità. Per interpretarlo Albert Broccoli fece chiamare l’attore tedesco Gert Frobe. Purtroppo però, contrariamente a quanto sosteneva il suo agente, Frobe non parla una parola d’inglese! Ma la sua presenza scenica è perfetta, così i produttori decidono di farlo comunque recitare e di doppiarlo in post produzione (a prestargli la voce sarà l’attore Roy Michael Collins). Non è facile per gli altri attori, che devono recitare interagendo con un Frobe che biascica un inglese molto maldestro, spinto dal regista a parlare velocemente per facilitare l’operazione di doppiaggio. Sempre meglio che ascoltare i Beatles senza tappi nelle orecchie, come direbbe Bond…

Gert Frobe interpreta Auric Goldfinger

Tornando al film, James Bond passa la notte con Jill Masterson, che non è una semplice donna oggetto: come altre precedenti Bond girls (ad esempio Honey/Ursula Andress in Dr. No e Tatiana/Daniela Bianchi di Dalla Russia con Amore) Jill si lascia sedurre ma a sua volta sfrutta James per il suo piacere. Purtroppo però, 007 mentre si allontana per rimettere in ghiaccio il Dom Perignon del ‘55, viene colpito alle spalle da una persona di cui vediamo solamente l’ombra. Ancora molti anni dopo Sean Connery affermava in un’intervista di poter ancora sentire il dolore provocato da quel colpo. Guy Hamilton decide di non mostrarci subito l’aggressore per mantenere alta la suspence, ma lo spettatore scoprirà che il colpo è stato inferto da Oddjob, lo scagnozzo muto e letale di Goldfinger. Per interpretarlo il regista sceglie Harold Sakata, un wrestler hawaiano (vincitore di una medaglia d’argento alle olimpiadi del 1948 per il sollevamento pesi) visto casualmente in televisione. Sakata, malgrado la sua imponenza fisica, si rivela un uomo gentile, generoso e dedito al lavoro, sempre pronto ad accontentare i fan. Al suo risveglio Bond trova Jill morta, con il corpo interamente ricoperto di vernice dorata: non ci può essere alcun dubbio su chi sia il mandante dell’omicidio.

Il wrestler hawaiano Harold Sakata nei panni di Oddjob

Questa scena è diventata una delle più famose non solo della saga di 007 ma della storia del cinema, non solo per le sue qualità intrinseche (originalità, tensione emotiva, effetto sorpresa): la mastodontica campagna pubblicitaria per Goldfinger infatti era iniziata ancora prima che Hamilton desse il primo ciak, e quando la scena viene girata sono presenti sul set giornalisti e fotografi (oltre a un dottore per scongiurare il soffocamento dell’attrice a causa della vernice dorata che le copriva per intero la pelle). Pur comparendo nel film per pochi minuti Shirley Eaton, che interpreta Jill Masterson, diventa l’attrice più famosa e fotografata del 1964. Per lei, un’occasione d’oro!

Dopo la morte di Jill ritroviamo James Bond a Londra, nella sede della Universal Export, la società di copertura per i servizi segreti inglesi. Qui ritroviamo quello che ormai è il cast fisso della saga: Bernard Lee nel ruolo di M, il capo di 007; Lois Maxwell in quelli della segretaria Moneypenny e Desmond Llewelyn come Q, il fornitore di tutti i gadget e le armi degli agenti segreti. Dopo che M gli ha affidato ufficialmente l’incarico di smascherare i traffici illeciti di Goldfinger (non senza diffidare Bond dall’approcciare il caso come una vendetta personale) possiamo entrare per la prima volta nel laboratorio di Q e di sbirciare tra i gadget ancora in fase di sviluppo. Armi e congegni sofisticati, fantasiosi e spesso improbabili, sono infatti un marchio distintivo della serie: i film in cui sono stati utilizzati in misura minore sono anche quelli meno apprezzati dal pubblico. In Goldfinger entra in scena per la prima volta un’altra grande protagonista: la mitica Aston Martin DB5. Nei romanzi di Fleming 007 guidava una Bentley Green Label, che viene però considerata ormai fuori moda dai produttori. La casa automobilistica inglese Aston Martin è riluttante a fornire le proprie auto per il film (ne verranno usate quattro diverse, due con tutti gli accessori funzionanti e due per le scene su strada) e le cede a caro prezzo; eppure la DB5 diventerà in breve tempo l’auto più famosa del mondo (anche grazie ai tour promozionali e agli spot pubblicitari) e le sue vendite, grazie al film, aumenteranno del 60%: Saltzman e Broccoli non avranno mai più difficoltà a trovare le automobili per i film di 007. 

“Io non scherzo mai sul mio lavoro 007!”

Originariamente il copione non prevedeva una scena in cui Q spiega a 007 tutti i congegni presenti sull’auto, ma Broccoli insiste per aggiungerla a riprese ormai quasi ultimate (con grande disappunto di Desmond Llewelyn che non capisce nulla di auto e di meccanica e fatica ad imparare le sue battute). L’idea si rivela vincente, perché la scena crea una grandissima aspettativa nello spettatore, curioso di vedere quando e come i vari marchingegni verranno utilizzati da Bond. Gli ingegneri della Aston Martin non credevano fosse possibile montare tutti quei meccanismi aggiuntivi sull’auto, ma il responsabile degli effetti speciali John Stears li smentisce, anche se l’auto diventa così pesante che ne serve una seconda per le scene su strada. Nel romanzo erano descritti soltanto una manciata di accessori presenti nell’auto di 007, mentre per il film Ken Adam e John Stears possono dare libero sfogo alla loro immaginazione. Hamilton, che prende molto spesso multe per sosta vietata in centro a Londra, fornisce l’idea della targa rotante. Addirittura nella vettura ritoccata da Stears sono presenti dei congegni che non verranno nemmeno utilizzati nel film: un’antenna radar nascosta nello specchietto laterale, un ripiano sotto il sedile (contenente fucile, coltello da lancio, granata e pistola), un vano da cui fuoriescono chiodi a tripla punta (non utilizzati perché la United Artists teme il pericolo emulazione) e un telefono nella portiera. Della Aston Martin di 007 verranno realizzati infiniti modellini, alcuni anche dotati di gadget; una piccola DB5 a pedali verrà regalata al Principe Andrea in occasione della visita della Regina Elisabetta alla fabbrica della Aston Martin a Lagonda: un’auto davvero principesca!

Sean Connery con una delle Aston Martin DB5 utilizzate per le riprese del film

Una volta equipaggiato James si appresta ad incontrare di persona Goldfinger, stabilendo un altro punto fermo del canone bondiano: il primo incontro tra 007 e il supercattivo è sempre molto formale, anche se ricco di allusioni, minacce velate e sospetti reciproci. In questo film esso ha luogo in un campo da golf (le riprese vengono fatte a Stokepoges, vicino agli studi Pinewood). La difficoltà della scena consiste nello spiegare allo spettatore le regole del golf, considerato uno sport per nulla cinematografico, senza mai annoiarlo. Gert Frobe, che non sa giocare a golf, viene rimpiazzato nei campi lunghi da una controfigura, al contrario di Sean Connery, che non solo ha imparato a giocare per l’occasione, ma ha sviluppato una passione per il golf che non lo lascerà più. Bond esce vincitore dalla partita con Goldfinger (che naturalmente, proprio come con le carte, tenta di barare), ma Oddjob gli fa subito capire che non è finita lì decapitando una statua con un lancio del suo cappello con lama incorporata nella tesa (la testa era già recisa ma il cappello dovette essere lanciato più di 40 volte per riuscire a girare la scena): questa scena e quella in cui Oddjob polverizza con la mano una pallina da golf servono a preparare il terreno per lo scontro finale con Bond.

Al termine della partita di golf Bond, che ha piazzato un localizzatore nell’auto di Goldfinger, lo segue fino in Svizzera, dove si accorgerà di non essere l’unico a pedinare il magnate: anche Tilly Masterson (Tania Mallet), sorella di Jill, è sulle sue tracce in cerca di vendetta. Per attirare la sua attenzione Bond ricalca la strategia di Messala nella corsa delle quadrighe del film Ben Hur, uscito cinque anni prima, e utilizza le lame rotanti estensibili presenti nei cerchioni della Aston Martin per squarciare le gomme dell’auto di Tilly, la quale non può che accettare un passaggio fino al distributore più vicino. Poiché non era possibile farlo con le vere automobili, la scena delle lame è stata girata in studio utilizzando due modellini in fibra di vetro su binari e un foglio di alluminio verniciato per simulare le gomma squarciata. Il montaggio di Peter Hunt ha poi creato la magia. Bond suo malgrado deve dire addio a Tilly, salvo ritrovarla nelle circostanze meno adatte: quando entrambi stanno cercando di introdursi nottetempo nella fabbrica di Goldfinger. Questa scena è un altro esempio dell’abilità di Peter Hunt, che riesce a renderla omogenea nonostante le inquadrature dalla collina siano girate in Svizzera e quelle all’esterno della fabbrica a Pinewood (dove si può vedere ancora oggi). Anche l’interno della fonderia clandestina è ricostruito in studio: l’oro fuso è in realtà cera mischiata a polvere dorata, il contenitore dell’oro fuso ha dentro una lampadina e il fumo è generato dal ghiaccio secco. Purtroppo però, mentre spiano le operazioni poco pulite di Goldfinger (e del suo complice Mr. Ling interpretato da Burt Kwouk, diventato famoso nei panni di Cato, l’aiutante dell’Ispettore Clouseau nei film della Pantera Rosa), 007 e Tilly vengono scoperti.

Il personaggio di Tilly ha qui il ruolo di agnello sacrificale: in ogni film di Bond è presente un personaggio alleato con cui 007 stabilisce un legame forte ma che viene ucciso (in Dr. No era Quarrel, in Dalla Russia con Amore Kerim Bey) creando scene di forte impatto emotivo prontamente stemperato subito dopo dall’adrenalina e dal registro comico. Infatti, subito dopo l’uccisione di Tilly da parte di Oddjob, Bond viene caricato in auto dagli scagnozzi del cattivo, ma riesce a liberarsi del suo autista grazie al gadget che tutti attendevano con ansia di vedere in azione: il sedile eiettabile. Il congegno era stato inserito davvero sull’auto, anche se il trucco del lancio è realizzato con aria compressa e un fantoccio. Se questo non bastasse, ecco che la dolce vecchina incaricata di aprire la sbarra estrae una mitragliatrice e spara a raffica contro 007. Guy Hamilton ha raccontato che, quando dopo l’uscita di Goldfinger si è trovato a pranzare con Alfred Hitchcock, questi gli ha fatto i complimenti proprio per la quella scena: “Avrei voluto girarla io una scena così!” E Hitchcock di suspense e di umorismo se ne intendeva eccome! Il minion volante, la vecchietta col mitra e il successivo inseguimento (velocizzato in fase di montaggio per renderlo ancora più incalzante) fanno dimenticare immediatamente della povera Tilly. Durante la scena dell’inseguimento Bond utilizza anche l’olio per rendere scivoloso l’asfalto (si tratta di acqua colorata) ma non è sufficiente: alla fine la sua Aston Martin si schianta contro un muro. Lo stuntman George Leech, che doveva pilotare l’auto in quella scena, riceve dai produttori l’ordine contraddittorio di schiantarla senza rovinarla: cosa non semplice, soprattutto perché costretto a ripetere la scena due volte in quanto al primo ciak l’auto era penetrata troppo a fondo nel muro…

“Fermati o nonna spara!”

Dopo lo scontro Bond si risveglia nello stabilimento legato mani e piedi ad una tavola d’oro. Ormai Goldfinger lo ha definitivamente smascherato e ha intenzione di liberarsi di lui una volta per tutte. Per uccidere il grande James Bond però un semplice colpo di pistola sarebbe troppo sciatto, per cui utilizza un’arma mai comparsa prima sul grande schermo: il laser. La tecnologia del laser veniva sviluppata proprio in quegli anni e adoperata esclusivamente in campo chirurgico: nessuno aveva ancora pensato di usarla come arma. Un laboratorio scientifico fornisce ad Hamilton un vero laser, ma nel provare la scena il regista scopre che, con le luci del set, il raggio non è più visibile. John Stears realizza perciò un macchinario finto con suggestive luci blu; il raggio rosso e bianco viene aggiunto in fase di post produzione. L’effetto prodotto dal laser sulla tavola invece è realizzato in studio: la parte che deve essere incisa dal laser viene pretagliata e riempita di un materiale che si scioglie con il calore; sotto la tavola il designer degli effetti ottici Cliff Culley fa scorrere una torcia all’acetilene. Il risultato è la scena di quasi castrazione più famosa della storia del cinema (molto più suggestiva della “banale” sega circolare del romanzo).  Questa scena mette a dura prova la pazienza di Sean Connery, che deve passare molte ore legato ad una tavola con strani congegni in movimento accanto al suo inguine. 

“Invidia del laser…”

Bond è sufficientemente scaltro da convincere Goldfinger a risparmiargli la vita ma rimane comunque suo prigioniero. Colpito da una pistola tranquillante si ridesta su un aereo diretto nel Kentucky. È tuttavia un dolce risveglio quello di chi si trova davanti la bellissima Honor Blackman nel suo ruolo più iconico: quello della pilota d’aereo personale di Goldfinger, Miss Pussy Galore.

Fin dalla nascita dello 007 cinematografico i produttori Harry Saltzman e Cubby Broccoli avevano dovuto combattere con la censura per far ottenere ai film di Bond il visto “per tutti”, necessario perché anche i bambini e i ragazzi si recavano in massa al cinema per vedere i loro film. Poiché l’ufficio della censura britannico era molto sensibile alla violenza mentre quello americano era più suscettibile riguardo all’erotismo, in alcune occasioni furono necessari dei veri e propri giochi di prestigio per non dover rinunciare a nessuna scena. Inevitabilmente il personaggio di Honor Blackman solleva diversi problemi a questo riguardo, a cominciare dal suo nome, che letteralmente in inglese significa “gnocca a volontà”. La United Artists scongiura i produttori di cambiare il nome in “Kitty Galore”, sempre evocativo ma meno spudorato, finché non accade che il Principe Filippo venga fotografato con l’attrice e appaia sui giornali con la didascalia “Pussy and the Prince”: a questo punto il nome Pussy, accettabile per la stampa, lo diventa anche per il cinema. Nel romanzo di Fleming Pussy Galore è una lesbica dichiarata, mentre nel film la questione viene solamente suggerita ma mai esplicitata, sempre per motivi di censura. Pussy ha collaborato al piano di Goldfinger addestrando una squadra di piloti d’aereo, interamente costituita da ragazze belle e appariscenti. Nella scena in cui Bond vede gli aerei atterrare questi sono manovrati da piloti di velivoli agricoli ingaggiati per l’occasione, i quali però si rifiutano categoricamente di indossare le parrucche bionde che i costumisti hanno fornito approntato. Un occhio allenato potrà anche distinguere un sigaro in bocca a uno di loro…

James Bond viene rinchiuso in una minuscola cella nei sotterranei della tenuta di Goldfinger in Kentucky. Nel frattempo lo spettatore viene introdotto nello spettacolare set ideato da Ken Adam per la sala ludica di Goldfinger. Lo scenografo qui si sbizzarrisce nell’aggiungere, giocattoli e congegni di ogni tipo, dal cavallo meccanico da rodeo al tavolo da biliardo scorrevole. Quando Goldfinger inizia a spiegare ai suoi soci il suo grande piano tutta la sala si modifica: i pavimenti scorrono, le pareti cambiano, un enorme plastico emerge dal pavimento per mostrare a tutti l’obiettivo finale: Fort Knox, il deposito delle riserve auree degli Stati Uniti.

A ben pensarci, questa scena non ha alcun senso: perché Goldfinger si dà tanto da fare per spiegare il suo piano a degli uomini che ha già programmato di uccidere? Giuro che, pur avendo visto il film decine di volte, non ci avevo mai pensato, tanta è stata l’abilità di Hamilton nel creare una serie di sequenze divertenti e coinvolgenti: la fuga di Bond, il suo tentativo fallito di comunicare a Felix il piano di Goldfinger e l’uccisione con il gas dei soci d’affari (i flash di luce blu aggiunti dal direttore della fotografia Ted Moore danno un tocco espressionista alla scena rendendola più agghiacciante). Il signor Solo, che aveva scelto di non partecipare al colpo, viene eliminato in un modo altrettanto spettacolare: schiacciato insieme all’automobile da una pressa. Questa scena sciocca profondamente la troupe, che assiste a bocca aperta alla distruzione di una costosissima Lincoln Continental nuova. Per girare la scena dall’auto viene rimosso il motore, ma in questo modo si vede il cofano vuoto quando il magnete la solleva: interviene allora Cliff Culley che in post produzione aggiunge un effetto ottico di riempimento – si tratta di semplici linee nere ma non è semplice applicarle correttamente ad una immagine in movimento. Anche senza il motore il cubo pressato rimane comunque pesantissimo: ne viene tagliato via un pezzo, ma nonostante questo è possibile vedere che gli pneumatici dell’auto che si allontana dalla discarica affondano nel terreno. La scena della demolizione viene girata a Miami con una controfigura di Oddjob per i campi lunghi perché all’epoca gli sfasciacarrozze non erano ancora diffusi in Inghilterra, infatti il trovarobe Ron Quelch ha molte difficoltà a trovare un cubo di lamiera uguale a quello usato per le riprese in America. Riesce a reperirne uno in una discarica dotata di pressa giusto la sera prima che venga girata la scena dell’arrivo di Oddjob nel ranch di Goldfinger, ricostruito a Pinewood.

“Aveva detto di avere un impegno pressante…”

Nel frattempo Pussy ha catturato il fuggitivo Bond e lo riconduce al cospetto di Goldfinger, che ne approfitta per spiegare al suo nemico la seconda parte del suo piano diabolico, convinto del fatto che non possa in alcun modo mettergli i bastoni tra le ruote. Questa scena ha richiesto molti studi e molte stesure: gli sceneggiatori Richard Maibaum e Paul Dehn in questo caso non possono fare riferimento al romanzo, in cui Goldfinger arriva all’ingresso di Fort Knox ma viene subito arrestato. Occorre dunque inventare da zero il piano del cattivo: far detonare un ordigno nucleare all’interno di Fort Knox per rendere l’intera riserva aurea degli Stati Uniti radioattiva per una cinquantina d’anni. La sincera ammirazione di 007 per l’idea la rende credibile anche per noi spettatori. Nel frattempo Goldfinger è stato informato che fuori dai suoi cancelli ci sono due uomini che stanno curiosando. Si tratta di Felix Leiter e di un altro agente, pronti a intervenire nel caso ritengano che 007 sia in pericolo. Per non correre rischi Goldfinger decide che il suo “ospite” deve apparire il più possibile a suo agio e suggerisce a Miss Galore di indossare abiti “più adatti”. Quando Felix vede James infilarsi dentro una stalla con un Pussy vestita in modo succinto si convince che tutto stia filando liscio. In effetti Bond sta cercando di utilizzare il suo fascino per portare Pussy dalla sua parte, anche se lei gli ha già detto chiaramente di essere immune. La resistenza della donna alle avances di 007 si trasforma in un combattimento corpo a corpo in cui Pussy inizialmente riesce con delle mosse di judo a tenere testa a Bond, ma infine soccombe fatalmente al suo fascino e si lascia sedurre: nessuna donna è immune al fascino di James Bond.

Honor Blackman, quando viene scelta per interpretare la più celebre delle Bond girls, è già famosa come Catherine Gale, la protagonista della serie tv Avengers, che curiosamente diventerà un film nel 1998 con Sean Connery nei panni del supercattivo Sir August de Wynter. In quella serie Honor, che conosceva sia il judo che la boxe, si era abituata a girare le scene di combattimento sul cemento: trovare il set del fienile ricoperto di morbida paglia è per lei una gran bella sorpresa. La sceneggiatura viene arricchita di scene in cui Honor può mostrare la sua abilità nei combattimenti. Fotografi e giornalisti sono presenti quando viene girata la scena della lotta nel fienile, oltre naturalmente agli stuntman degli attori. Quando vediamo Pussy, lanciata da Bond, atterrare nella paglia, in realtà sono stati Bob Simmons e George Leech a farle fare il volo; grazie al sapiente montaggio di Peter Hunt non si vede che lo stuntman Simmons è di 12 centimetri più basso di Sean Connery. 

Ralph Fiennes, Uma Thurman e Sean Connery in “The Avengers”

Dopo questa parentesi bucolica giunge il grande momento: l’operazione Grande Slam è iniziata. Naturalmente non è possibile girare a Fort Knox, zona presidiata dal personale militare, perciò il deposito, dopo essere stato osservato (e di nascosto anche fotografato) da Guy Hamilton e Ted Moore viene ricostruito negli studi Pinewood. Le scene in cui il gas addormenta i soldati invece sono girate davvero nella base militare adiacente a Fort Knox, grazie all’amicizia di Broccoli con il colonnello della base Charles Rosshon (citato nei titoli di coda come consulente tecnico) che non solo permette a Hamilton di utilizzare la base come set ma gli mette a disposizione un intero plotone, corredato di sergente, che girano in varie postazioni la scena dello svenimento in cambio di 10 dollari e una birra.

Le cose cambiano quando arriva il momento di costruire gli interni di Fort Knox, che nessuno ha mai visto: nemmeno al presidente degli Stati Uniti è permesso entrare nel deposito. Questo però permette a Ken Adam si liberare tutta la sua creatività a realizzare la “cattedrale d’oro” desiderata da Broccoli. Il risultato è uno dei set più alti e grandiosi mai realizzati per un film, tanto d’effetto che dopo l’uscita del film arrivano più di trecento lettere di fan che chiedono come sia stato possibile ottenere il permesso di girare all’interno di Fort Knox, oltre ad una lettera del responsabile di Fort Knox che si congratula con lo scenografo per la fantasia. Vengono di nuovo chiamati gli stuntman: quando Oddjob lancia Kisch, il braccio destro di Goldfinger (interpretato da Michael Mellinger), dalla balaustra, in realtà è Bob Simmons a cadere per una decina di metri (rischiando anche di urtare la telecamera). Durante la scena del combattimento tra Bond e Oddjob Sakata si ustiona gravemente le mani ma continua comunque la scena perché il regista non ha dato lo stop. Dimostra meno stoicismo Sean Connery, che nel fuoristrada è ammanettato a Sakata e teme che, se le manette gli feriscono il polso, non sarà più in grado di giocare a golf… Nello scontro finale con Oddjob, che sembra invincibile, Bond non può che contare sul suo ingegno, non avendo nè congegni né armi a sua disposizione: anche lanciargli contro dei lingotti d’oro massiccio non sortisce alcun effetto.

Ken Adam progetta la finta bomba atomica riempiendola, su richiesta del regista, di pulsanti, rotelle, fili e manopole colorati, che in una vera bomba naturalmente non ci sono. Appena prima di girare Saltzman propone un’ultima modifica: che il conto alla rovescia della bomba, anziché arrestarsi su “003” come da sceneggiatura, si fermi invece a “007”.

James Bond ha salvato il mondo e sale su un aereo privato per raggiungere il Presidente degli Stati Uniti, che desidera ringraziarlo di persona. Ma invece di un’avvenente hostess si ritrova davanti Goldfinger in persona, che è riuscito a fuggire dopo il tentato colpo a Fort Knox e ora lo minaccia con una pistola. A questo punto lo spettatore sa, perché Bondo lo ha già spiegato a Pussy durante il loro primo incontro, che non è consigliabile sparare a bordo di un aeroplano: Guy Hamilton infatti sostiene che allo spettatore debbano essere forniti in anticipo tutti gli elementi per poter comprendere, un po’ alla volta, gli avvenimenti cui assiste. Durante la lotta con Goldfinger infatti parte un colpo che colpisce il finestrino. Nel girare questa scena Peter Hunt, cui Hamilton affida la regia delle scene che non gli interessano (come anche quella della morte di Tilly, la decapitazione della statua o le acrobazie aeree) si trova in difficoltà perché i frammenti di vetro ricadono sempre verso l’interno dell’abitacolo. Viene dunque realizzato successivamente un inserto in cui il finestrino, colpito questa volta da un più efficace fucile a canne mozze, si rompe nel modo corretto, con tutti i pezzi di vetro proiettati verso l’esterno a dare l’idea del risucchio. Gert Frobe gira la scena steso su un carrello che viene trascinato nell’abitacolo, dopodiché viene sostituito da un manichino assicurato con un cavo che al momento opportuno viene semplicemente tirato fuori attraverso il finestrino. Bond e Pussy, che pilotava l’aereo, si salvano gettandosi con il paracadute e li ritroviamo mentre non hanno alcuna fretta di farsi salvare.

Nessuno è perfetto, nemmeno James Bond! Nella scena finale del film infatti sono presenti ben due bloopers. Il primo errore è lo scambio tra due scene in cui si vedono i piloti dell’aereo presidenziale legati e imbavagliati, che sono dapprima mostrati nell’atto di agitarsi e divincolarsi e in seguito mentre sono privi di conoscenza. Il secondo riguarda lo scagnozzo che si intravede sull’aereo alle spalle di Goldfinger e che non solo non prende parte alla lotta con 007 ma non viene nemmeno risucchiato all’esterno come tutto il resto; lo ritroviamo in seguito, inspiegabilmente morto ai piedi di Bond. Ancora una volta, dopo decine di visioni ammetto di non aver mai notato nessuna di queste due sviste, segno che Guy Hamilton e tutti i suoi collaboratori hanno fatto un lavoro davvero eccellente. Basti pensare al fatto che Goldfinger è entrato nel Guinness dei Primati come film dagli incassi più rapidi di tutti i tempi: il suo costo di tre milioni di dollari viene infatti recuperato in sole due settimane!

Il successo planetario di Goldfinger è dovuto ad una formula che nessuno è più riuscito a replicare perché si fonda sul principio dello scardinamento di tutte le regole preesistenti dei film d’azione e di spionaggio: il protagonista riesce nelle fasi iniziali a battere il cattivo per ben due volte, ma si ritrova poi per un intervallo molto lungo ad essere un prigioniero, spettatore passivo e impotente degli eventi impossibilitato ad agire; lo scontro finale vede il protagonista lottare non con un avversario ma con una macchina (la bomba atomica); non viene mostrata la conversione di Pussy, che dopo aver “ascoltato le ragioni” di 007 decide subito di tradire Goldfinger e di aiutare Bond a sventare il suo piano, sostituendo il gas letale con una sostanza innocua e avvertendo la CIA dell’imminente assalto a Fort Knox. Broccoli e Saltzman, partendo dai romanzi di Fleming e con la complicità di Sean Connery, Terence Young e Guy Hamilton (oltre a tutti gli altri membri del cast e della troupe) hanno creato non soltanto un personaggio, ma un vero e proprio genere cinematografico di cui hanno prima inventato poi scardinato le regole allo scopo di intrattenere, divertire e stupire lo spettatore. 

Purtroppo Ian Fleming, che anche questa volta aveva visitato i set del film, si spegne un mese prima della première di Goldfinger, che si svolge al cinema Odeon di Londra il 17 agosto 1964. Per l’occasione Honor Blackman indossa un gioiello davvero unico: un dito d’oro che riveste il suo mignolo sinistro; poiché il gingillo ha un valore di circa 10.000 dollari, arriva all’Odeon accompagnata da due guardie del corpo. In strada si è radunata una folla di più di 5000 persone che spingono e scalpitano tanto da rompere la vetrata del cinema. Sean Connery non è presente, ma si farà perdonare attraversando con l’Aston Martin DB5 di Bond gli Champs Elysées in occasione della première di Parigi l’anno successivo: l’attore viene assalito dalla folla, una donna riesce addirittura ad intrufolarsi nell’auto. E la polizia parigina sembra più interessata all’automobile che a contenere la folla…

Sembra ancora impossibile pensare che oggi Sean Connery, attore così versatile, affascinante, carismatico e spiritoso, non sia più con noi. Per fortuna ha lasciato ai suoi fan tantissimi splendidi film per continuare a godere del suo grande talento. Per gli appassionati di Sean Connery e di 007 l’appuntamento è sempre qui, su cine-muffin, dove la prossima volta parleremo di Thunderball – Operazione Tuono. Non mancate!

Lo Straordinario Mondo di Zoey

Titolo originale: Zoey’s Extraordinary Playlist

Anno: 2020

Interpreti: Jane Levy, Skylar Astin, Alex Newell, Peter Gallagher, Lauren Graham

Dove trovarlo: RaiPlay

Zoey (Jane Levy) lavora per una grande azienda informatica insieme al suo migliore amico, Max (Skylar Astin), segretamente innamorato di lei, e a Simon (John Clarence Stewart), di cui lei è segretamente innamorata ma che è già fidanzato. Con il suo capo, Joan, ha un rapporto complicato fatto di alti e bassi. La situazione in famiglia non è per nulla facile: al padre Mitch, con cui Zoey aveva un bellissimo rapporto, è stata diagnosticata una malattia rara che lo ha condotto in breve tempo ad uno stato semi-catatonico e lo porterà inevitabilmente alla morte in poco tempo. Un giorno, subito dopo aver effettuato una risonanza magnetica, Zoey si rende conto che qualcosa in lei è cambiato: ora è in grado di percepire i pensieri e gli stati d’animo delle persone che le stanno intorno. E la percezione avviene sotto forma di… numero musicale!

Lo Straordinario Mondo di Zoey è una serie di 12 episodi di circa 40 minuti ciascuno – una seconda serie è già stata annunciata per il prossimo anno – adatta esclusivamente agli amanti del musical. Infatti, per chi non ama le canzoni, i balletti e i numeri musicali in genere potrebbe risultare davvero noiosa. I personaggi, le vicende e la trama non sono particolarmente coerenti o interessanti, ma piuttosto elaborati in funzione alle canzoni che devono descrivere di volta in volta le emozioni e i turbamenti di ciascuno. L’assunto di per sé è piuttosto semplice e non originale, ma se lo si accetta è possibile passare qualche tranquilla serata a godersi un’opera senza pretese, divertente ma in alcuni passaggi anche commovente: tutto quello che riguarda la malattia del padre di Zoey, interpretato dal talentuoso Peter Gallagher, che esce dalla sua immobilità per cantare e danzare con la figlia, mi ha fatto versare un bel po’ di lacrime. Ho trovato però anche momenti divertenti, su tutti il numero tratto da Jesus Christ Superstar e la maggior parte di quelli affidati a Lauren Graham, la Lorelai Gilmore di Una Mamma per Amica. Gli interpreti sono tutti all’altezza e le coreografie, ideate dalla cantante Mandy Moore (che compare in un cameo nei panni di se stessa), sono originali ma tipicamente hollywoodiane allo stesso tempo. Di grande effetto il numero eseguito dai ballerini che interpretano ragazzi sordomuti. Una piacevolissima sorpresa per me quella di ritrovare in un episodio l’attrice Bernadette Peters, che interpretava la soubrette Vilma Kaplan in Silent Movie di Mel Brooks: essendo il film di Brooks muto, mi ero goduta le sue gag e i suoi balletti ma non avevo mai sentito la sua voce, così sento di aver finalmente colmato una lacuna.

Il Nuovo 007 è Donna

Quella che fino a due giorni fa era solamente un’illazione è stata ora confermata: il nuovo 007 sarà una donna. Per la precisione l’iconico ruolo di agente segreto di Sua Maestà verrà ereditato dall’attrice inglese Lashana Lynch. Il passaggio di testimone avverrà nel venticinquesimo film della saga di James Bond, No Time to Die, la cui uscita, già rimandata due volte a causa della pandemia globale, è attualmente prevista per il 2 aprile 2021 (anche se girano alcune voci riguardo ad una possibile uscita esclusivamente in streaming sulla piattaforma AppleTv). No Time to Die sarà l’ultimo film per Daniel Craig, il sesto attore a ricoprire il ruolo di 007 (dopo Sean Connery, George Lazenby, Roger Moore, Timothy Dalton e Pierce Brosnan) e il primo per Lashana Lynch, che farà il suo debutto nei panni dell’agente segreto Nomi, successore designato di 007 il quale ha abbandonato il servizio attivo per ritirarsi in Giamaica. Al momento non si conoscono altri dettagli sul personaggio e sulla trama, ma l’attrice in una recente intervista a Harper’s Bazar ha confermato che l’onore e l’onere di essere il nuovo 007 ricadrà proprio sulle sue spalle. Lashana ha già subìto molti attacchi sui social network, ma ha dichiarato di aver compreso che non si tratta di attacchi personali: “Io sono una donna di colore. Se  il ruolo fosse stato assegnato ad una qualsiasi altra donna di colore, lei avrebbe ricevuto gli stessi attacchi. Devo solo ricordare a me stessa che sono parte di qualcosa che sarà molto, molto rivoluzionario”. Ma lo sarà davvero? La scelta di Lashana Lynch come nuovo 007 sarà davvero così inedita e rivoluzionaria per la saga nata dai libri di Ian Fleming? 

Quando Sean Connery venne proposto dal produttore Albert “Cubby” Broccoli come possibile protagonista di Licenza di Uccidere furono in molti a pensare che non si trattasse di una buona idea. Lo stesso Connery dubitava di essere adatto al ruolo. E l’autore dei romanzi, Ian Fleming, rimase dubbioso sulla scelta di Connery fino a che non furono ultimate le riprese di Dalla Russia con Amore: lui avrebbe preferito vedere nei panni di 007 l’attore americano Hoagy Carmichael. Ricordiamo che all’epoca Sean Connery aveva recitato in appena un pugno di film, di cui il più noto era Darby O’Gill e il Re dei Folletti della Disney. Ma soprattutto ricordiamo che Sean Connery, che avrebbe interpretato un’elegante e sofisticata spia del servizio segreto inglese, era in realtà scozzese!

Lashana Lynch, inglese ma figlia di immigrati giamaicani, attualmente ha al suo attivo appena una manciata di film, di cui il più famoso è sicuramente Captain Marvel (potete trovarlo comodamente su Disney Plus) oltre ad alcuni ruoli in diverse serie tv. 

Quando inizialmente le era stato proposto di prendere parte alla saga di James Bond Lashana era riluttante: temeva di perdersi nella folla di donne bellissime che 007 ha sedotto e abbandonato nel corso dei decenni. Ma la produttrice Barbara Broccoli, figlia di Albert, e il regista Cary Fukunaga l’hanno subito rassicurata: per il personaggio di Nomi avevano in mente qualcosa di ben diverso. Evidentemente Barbara ha cambiato idea rispetto a quanto aveva affermato nel gennaio di quest’anno in un’intervista a Variety: “007 può essere di qualunque colore, ma è un uomo. Io credo che dovremmo creare nuovi personaggi per le donne – personaggi femminili forti. Non sono particolarmente interessata a prendere un personaggio maschile e farlo interpretare da una donna. Penso che le donne siano molto più interessanti di così”. Parole sagge, davvero, ma evidentemente qualcosa ha spinto la madrina di James Bond a cambiare idea, e ora siamo tutti molto curiosi di vedere Lashana in azione per capire il perché e per scoprire se, in caso No Time To Die sia un successo, potrà avere un film tutto suo. La sceneggiatrice Phoebe Waller-Bridge ha confermato l’intenzione di dare un grande spessore al personaggio di Nomi e di farlo risultare reale, credibile, addirittura impacciato. Per Lashana il realismo del suo personaggio è fondamentale, così si è convinta ad accettare il ruolo e ad entrare nella storia. Non voglio certo fare paragoni tra la giovane Lashana e il superbo Sean Connery, che purtroppo ci ha lasciato alcuni giorni fa, ma ho trovato interessanti queste molteplici piccole analogie tra i loro debutti nella saga di 007: a volte la storia del cinema viene fatta dalle coincidenze più inimmaginabili.

Sono ancora convinta che Tom Hiddleston sarebbe stato un Bond favoloso

Poiché sono, sono sempre stata e sarò sempre una grandissima fan di 007, faccio il mio più sentito in bocca al lupo a Lashana e a tutti coloro che si sono adoperati per la realizzazione di No Time To Die, sperando di poterlo vedere nei tempi previsti e non nascondendo che al pensiero mi sento non solo curiosa ma anche emozionata. Ritengo infatti che Fleming, senza rendersene conto, possa aver dato il via alla creazione non di un semplice filone ma di un genere cinematografico a sé stante, come lo sono il western o la fantascienza, che quindi si presta, con il cambiare dei gusti e dei modi di pensare, a infinite variazioni. Basti pensare alla differenza che passa tra Ombre Rosse e Gli Spietati, o tra Il Pianeta Proibito e Alien. Una cosa è certa: ovunque ci sarà uno 007, di qualsiasi sesso, razza, nazionalità o numero di scarpe, lì ci sarò anch’io.

I Pinguini di Mr. Popper

Titolo originale: Mr. Popper’s Penguins

Anno: 2011

Regia: Mark Waters

Interpreti: Jim Carrey, Carla Cugino, Clark Gregg, Angela Lansbury

Dove trovarlo: Disney Plus

Popper è un uomo d’affari di successo, il cui lavoro consiste sostanzialmente nel raggirare ingenui ricconi per convincerli a svendere le loro proprietà. Popper, separato dalla moglie, trascura i figli in favore della sua carriera. Ma le sue priorità cambieranno completamente quando riceverà un dono inaspettato: una cassa contenente sei adorabili pinguini di cui dovrà, suo malgrado, prendersi cura.

Prendete uno qualsiasi dei film che hanno come protagonista Jim Carrey in cui un uomo egoista infine si redime e diventa un padre e marito amorevole e inserite dei pinguini in CGI: otterrete questo film. La trama è infatti un semplice ricalco di quella di Bugiardo Bugiardo (che era molto più divertente) o Una Settimana da Dio (anche quello di livello decisamente superiore), senza alcuna trovata originale. Tutti i personaggi, le scene, i dialoghi, le battute, sono prevedibili e banali, nel solco dei classici film per famiglie adatti a tutti (non per niente ci troviamo su Disney Plus). I pinguini realizzati con la computer grafica sono indistinguibili l’uno dall’altro, buffi ma non certo indimenticabili. Perché vedere questo film allora? Se piace Jim Carrey è una buona occasione per vederlo esibirsi nel suo classico repertorio di facce buffe e mosse inattese (sorprendente la sua imitazione di James Stewart, divertente la sua entrata a rallenty nella scena finale); per i fan della serie Agents of SHIELD sarà divertente vedere l’Agente Coulson (Clark Gregg) nei panni del cattivo, il cinico direttore dello zoo (per chi invece volesse vedere Jim Carrey nei panni del supercattivo consiglio Sonic – Il Film); ma soprattutto per la presenza della divina Angela Lansbury, che anche in un ruolo secondario e stereotipato illumina la scena (sono molto orgogliosa di dire che i miei bimbi, cui ogni giorno propino le avventure di Jessica Fletcher, hanno iniziato a chiamarmi “mamma in giallo”). Adatto per una serata tranquilla con tutta la famiglia, senza pretese né pensieri e con qualche risatina. Meglio però se possibile recuperare il già citato Bugiardo Bugiardo, identico per storia e tematiche ma infinitamente più divertente, pur essendo privo di pennuti (ma chi guarda con attenzione i bloopers dei titoli di coda troverà un cigno).

Voto: 2 Muffin

Fido

Anno: 2006

Regia: Andrew Currie

Interpreti: Kesun Loder, Billy Connolly, Carrie-Anne Moss, Tim Blake Nelson, Dylan Baker

Dove trovarlo: Amazon Prime

Ormai da anni le radiazioni spaziali hanno iniziato a trasformare tutti i cadaveri in zombie. Inizialmente gli umani li combattono con ogni mezzo e cingono ogni città di recinzioni a prova di non morti per proteggersi. Ma le cose cambiano quando la Zomcom mette a punto un collare in grado non solo di placare l’appetito di carne umana degli zombie, ma anche di renderli docili e servizievoli. Gli zombie addomesticati vengono dunque venduti a caro prezzo come personale domestico. Il piccolo Timmy Robinson (Kesun Loder), dopo che sua madre ha acquistato Fido (Billy Connolly) inizia a fare amicizia con lo zombie e a domandarsi se nei non morti non sia rimasto forse qualche residuo di umanità…

Ultimo scorcio di un Halloween che quest’anno è passato inevitabilmente un po’ in sordina, visto che non era possibile né organizzare feste né andare casa per casa per il tradizionale trick or treat. Ho visto che come me tante altri cinefili, in questo 2020 così particolare, hanno privilegiato titoli ironici e fanciulleschi piuttosto che truculente mattanze o sinistre presenze. A differenza di Matinee, però, che è un film adatto a tutti, Fido ha alcune scene un po’ crude (quelle in cui gli zombie riescono a fare qualche spuntino) ma soprattutto utilizza lo spunto dei non morti per sviluppare delle riflessioni interessanti sulla natura umana. Il personaggio chiave di queste riflessioni è Bill Robinson (Dylan Baker), il padre di Timmy, traumatizzato dal fatto di aver dovuto uccidere il padre trasformatosi in uno zombie. In seguito a questa esperienza non riesce a pensare ad altro che a guadagnare per garantire per sé e i suoi familiari una sepoltura che impedisca di tornare in vita (la testa viene mozzata e sepolta in una cassa a parte). Non passa mai del tempo con il figlio e la moglie, preferendo la compagnia degli amici. Non si accorge neppure che la moglie Helen (una radiosa Carrie-Anne Moss, che tutti conosciamo bene come Trinity di Matrix) è di nuovo incinta, e di parecchi mesi! Come se non bastasse Bill è anche un codardo, tanto da non volere il servitore zombie in casa: la moglie però lo acquista lo stesso, per non fare brutta figura con i facoltosi vicini che possiedono svariati zombie domestici. “A causa di quello che è successo a tuo padre dobbiamo essere tutti infelici?” chiede Helen al marito, che per tutta risposta se ne va a giocare a golf. In contrasto a questa figura paterna autoritaria, fredda e assente c’è Fido, che si dimostra invece affezionato e protettivo nei confronti del bambino e di Helen, che iniziano ad affezionarsi a lui profondamente. Il personaggio di Helen, grazie alla presenza di Fido, che evidentemente ha un debole per lei, si evolve nel corso del film, diventa più consapevole, emancipato, materno, e meno frivolo e superficiale. Mentre la maggior parte delle persone trattano gli zombie come oggetti, il vicino di casa, il signor Theopolis (un Tim Blake Nelson che riesce con la sua bravura ad essere allo stesso tempo ripugnante e simpatico) ha fatto della sua bella zombie cheerleader Tammy la sua fidanzata… Molti sono gli spunti su cui riflettere: l’imperversare della tecnologia, la guerra come unica soluzione a tutti i problemi, il bisogno di approvazione sociale, l’influenza degli eventi traumatici sulla vita personale e familiare, la tendenza a temere oppure svilire ciò che non si capisce, la necessità di salvare le apparenze anche nei rapporti di coppia ormai sfaldati… Il film però, lungi dall’ambire ad essere un trattato sociologico o filosofico, è piacevole e divertente, sentimentale quanto basta, mai grottesco, con un happy ending appagante in stile Tim Burton: chi l’ha detto che le favole non possano avere per protagonisti dei mostri che alla fine vivono per sempre felici e contenti? Lo consiglio a tutti gli amanti degli zombie e di Carrie-Anne Moss.

E a chi sta già pensando ai regali di Natale…

Voto: 3 Muffin