Escape the Undertaker

Quando ero piccola la festa di Halloween non esisteva, la conoscevo soltanto tramite i film e telefilm americani.

Poi ha iniziato a prendere piede anche in Italia, ma io ormai ero decisamente troppo grande per fare dolcetto/scherzetto.

Sarà per questo che ora, ad ogni Halloween, mi assicuro di avere un cesto bello ricolmo di caramelle e dolcetti e un po’ di decorazioni per invitare i bambini ad entrare nell’antro della strega (eh sì, da piccola non ce l’avevo il costume ma ora sì!).

Ma che cosa accadrebbe se, invece dei bambini travestiti, a bussare alla porta fossero i New Day?

E se non cercassero dolcetti ma volessero invece la leggendaria urna del potere?

E se gli sventati avessero bussato proprio alla porta di Undertaker?

Undertaker

Sto parlando della nuova avventura interattiva, dopo lo speciale di Black Mirror e quello su Bear Grylls, ideata da Netflix e interpretata da quattro star del wrestling WWE.

Xavier Woods, Kofi Kingston e Big E formano il gruppo New Day, il cui simbolo è l’unicorno e che si batte per il trionfo del potere della positività.

Undertaker è invece una personalità di spicco del mondo WWE da decenni: il suo ingresso sul ring è sempre accompagnato dal suono sinistro delle campane a morto ed è in grado di terrorizzare i suoi avversari anche solamente esibendo i suoi spaventosi occhi bianchi.

L’avventura, intitolata Escape the Undertaker, si apre con il trio della positività che bussa alla porta di Undertaker nella speranza che lui possa aiutarli a diventare più forti. Il padrone di casa, che osserva ogni loro mossa tramite un sistema di videosorveglianza, decide di lasciarli entrare nella sua sinistra magione… ma non certo per aiutarli!

I New Day dovranno esplorare quel labirinto oscuro per carpirne i segreti, risolvere indovinelli ed affrontare le loro peggiori paure per poter avere la speranza di salvarsi dalla malvagità del beccamorto.

Noi possiamo seguire tutte le loro tribolazioni e, man mano che l’avventura procede, fare delle scelte su come loro si dovranno muovere, quali oggetti dovranno esaminare, quali decisioni dovranno prendere. 

Alla fine naturalmente c’è la possibilità di ritornare indietro per vedere come sarebbero potute andare le cose facendo una scelta differente, esplorando tutte le opzioni.

Un’oretta di divertimento leggero, senza pensieri, da soli o in compagnia. Escape the Undertaker è forse più adatto a chi segue il wrestling e conosce già i personaggi coinvolti, ma resta in ogni caso godibile.

Cosa aspetti? Corri a preparare i dolcetti per i bambini (ho detto per i bambini!) e poi mettiti comodo sul divano e, se ne hai il coraggio, bussa alla porta dell’Undertaker.

Buon Halloween!

(da sinistra) Kofi Kingston, Xavier Woods e Big E

La Battaglia dei Sessi

Titolo originale: Battle of the Sexes

Anno: 2017

Regia: Jonathan Dayton, Valerie Faris

Interpreti: Steve Carell, Emma Stone, Andrea Riseborough, Bill Pullman, Alan Cumming

Dove trovarlo: Disney Plus

Basato sulla vera storia della partita di tennis disputata nel 1973 tra la ribelle Billie Jean King, fondatrice della Women Tennis Association, e il vincitore di Wimbledon Bobby Riggs. Il match, definito dai media “la battaglia dei sessi”, venne vinto da Billie Jean al terzo set.

Non credevo potesse esistere un altro film che mi facesse appassionare ad un partita di tennis dopo Delitto per Delitto di Alfred Hitchcock. E la cosa è ancora più interessante perché, nel caso di La Battaglia dei Sessi, già conoscevo il risultato del match. Il film infatti racconta una storia vera e lo fa rimanendo aderente alla verità dei fatti. D’altro canto il contrario sarebbe stato molto difficile, poiché quel match è stato un vero fenomeno mediatico ampiamente seguito, discusso e documentato. Le interviste alle celebrità, tra cui Lloyd Bridges e Ricardo Montalban, che pronosticano la vittoria di Bobby Riggs sono autentiche e fondamentali per capire come l’idea che l’uomo fosse fisicamente, oltre che moralmente e intellettualmente, superiore alla donna era profondamente radicata e conclamata: parliamo di meno di cinquant’anni fa. 

La consolidata coppia di registi Jonathan Dayton e Valerie Faris ha alle spalle un nutrito passato alla regia di videoclip e video di concerti (R.E.M., Red Hot Chili Peppers, Offsprings per citarne alcuni). Lo sceneggiatore Simon Beaufoy invece ha molta esperienza nel raccontare spettacoli di altro genere, show televisivi che però vanno ben oltre l’intrattenimento e affondano le radici nella vita reale dei protagonisti (Full Monty, The Millionaire e Hunger Games sono ottimi esempi di questa spettacolarizzazione della sofferenza e della lotta degli altri). Nel passato dei due registi c’è anche un altro film molto pertinente: Little Miss Sunshine, nel cui cast c’era anche un grandioso Steve Carell, che qui ritroviamo nei panni del tronfio, maschilista e vanesio Bobby Riggs.

Steve Carell, che tra l’altro è fisicamente molto somigliante al vero Bobby, offre un’ottima performance (anche tennistica) nei panni sgradevoli di un campione che gioca più per la fama e l’adrenalina (scommettitore incallito, non manca mai di puntare su se stesso) che per amore dello sport.

Dall’altro lato del campo troviamo Billie Jean King, molto più giovane, competitiva e amante del tennis come sport, anche se riconosce benissimo il potenziale mediatico e sociale di questo incontro sui generis che vede sfidarsi uno contro uno un uomo e una donna. A interpretare Billie Jean è Emma Stone, che oltre a disputare un ottimo incontro sportivo è perfetta per rendere sia la determinazione che l’egocentrismo della protagonista, che nella sua smania di vincere la sfida travolge il devoto (e affascinante) marito tradendolo con la sua parrucchiera, salvo poi voltare le spalle anche a lei quando la pressione in vista del grande match aumenta.

Con queste premesse, se l’esito del match è risaputo, non lo è il destino personale dei giocatori e degli altri personaggi coinvolti, che ci viene svelato, con grande soddisfazione, prima dei titoli di coda: l’attesa di conoscere cosa ne sia stato del solerte marito tradito, della dolce parrucchiera, del campione rifiutato dalla moglie e della campionessa del tennis e del femminismo è la prova che il film riesce a far appassionare lo spettatore ai personaggi (tutti veri) che racconta e alle loro piccole grandi storie.

Molti personaggi secondari, alcuni interpretati da ottimi attori (Alan Cumming, Sarah Silverman e Bill Pullman tra gli altri) avrebbero meritato ancora più spazio perché sono stati tratteggiati con molta nitidezza, forse proprio perché ricalcati su persone reali.

Quello che più ho apprezzato di questo film è il suo non voler essere un’apologia modaiola di chi va contro corrente a prescindere; La Battaglia dei Sessi racconta invece due persone autentiche, con i loro grandi pregi e grandi difetti, che combattono per realizzare i propri desideri senza che ci sia un buono o un cattivo, come ci dimostra l’affettuosa stretta di mano finale o il destino roseo riservato ad entrambi.

Non una battaglia “contro” ma una battaglia “per”, in cui la persona dall’altro lato della rete non è il nemico ma solo un avversario.

Come nella celebre fiaba La Lepre e la Tartaruga, Billie Jean riesce a battere l’avversario fisicamente più forte e con maggior esperienza grazie alla sua costanza e perseveranza, oltre che all’astuzia di stancare fisicamente Bobby facendolo correre avanti e indietro per il campo (consapevole del fatto che il suo allenamento non era stato altro che uno spettacolo d’intrattenimento). Questa mi sembra una grande lezione, valida non solo per il tennis.

Per l’aderenza alla verità dei fatti (senza per questo diventare mai noioso né documentaristico), per le ottime interpretazioni a tutti i livelli, per come la partita viene resa accessibile anche a chi non capisce nulla di tennis, mi sento di consigliare questo film.

Buona visione!

Voto: 4 Muffin

Non si Scherza col Fuoco

Titolo originale: Playing with Fire

Anno: 2019

Regia: Andy Fickman

Interpreti: John Cena, John Leguizamo, Keegan-Michael Key, Tyler Mane, Judy Greer, Brianna Hildebrand

Dove trovarlo: Netflix

Non chiamateli “pompieri”! Loro sono Smokejumpers, vigili del fuoco super addestrati e specializzati in salvataggi estremamente rischiosi. Quello che però non sembrano in grado di affrontare è la convivenza forzata con i tre ragazzini che hanno appena salvato dall’incendio della loro casa. Riuscirà il capo-squadra Jake (John Cena) a far fronte alle marachelle dei piccoli ospiti e allo stesso tempo a fare bella figura con il capo e ottenere la promozione che desidera da tutta la vita?

Non c’è nulla in questa commedia per famiglie che non abbiamo già visto tante volte: ragazzini pestiferi, uomini tutti d’un pezzo ma con un cuore d’oro, cadute rovinose e siparietti slapstick, battutine a non finire, finale commovente. 

Ma allora perché guardare Non si Scherza col Fuoco?

Perché, pur non essendo originale nella trama, ha una bella comicità, esasperata ma pulita, e strappa decisamente più di qualche risata.

Perchè il cast è ottimo. John Cena è davvero simpatico e mostra di avere, oltre a tantissimi muscoli, ottimi tempi comici; John Leguizamo è tenerissimo;  tutta la squadra di Smokejumpers pasticcioni è irresistibile, anche se non canta mai il Coro dei Pompieri di Altrimenti ci Arrabbiamo! (però le canzoni ci sono). E l’altra metà del cielo non è certo da meno: Judy Greer (aka la dottoressa Plimpton, che con una singola partecipazione alla serie Big Bang Theory si è garantita un posto nel cuore di tutti i nerd del mondo) è bellissima e molto brava a passare da insopportabile ad adorabile. La giovane e splendida Brianna Hildebrand spicca nel ruolo di Brynn, tanto furbetta e ladruncola quanto sorella maggiore solerte e affettuosa.

Perché il regista, Andy Fickman, aveva già mostrato di saper tirare fuori il meglio da un wrestler dirigendo Dwayne “The Rock” Johnson in Corsa a Witch Mountain, altro buon film per famiglie tenero e divertente che non rinuncia all’azione.

Perché lo sceneggiatore Matt Lieberman ci aveva già regalato divertimento senza impegno con Free Guy – Eroe per Gioco, ma questa volta aggiunge una generosa spolverata di humor che sicuramente non è per tutti i gusti ma personalmente mi ha conquistata.

Perché come si può non amare un film con bambini, cani, pompieri e unicorni?

Voto: 3 Muffin

Doom Slayer Collection Tag

Non sono esperta di videogiochi, anche se ce ne sono alcuni che mi hanno appassionato.

A Doom non ho mai giocato, ho solo visto il film (ovviamente, c’è The Rock!), però ho deciso di rispondere comunque al tag del Blog di Tony, ricorrendo al cinema quando non avevo esperienze di videogiochi sufficienti per rispondere (cioè spesso).

Ho quindi risposto alle domande poste da Austin Dove nel suo blog: leggendole potreste scoprire qualche curiosità in più su di me…

  1. Doom Slayer Collection, la prima raccolta importante di cui ti ricordi

Ovviamente il cofanetto con tutti i film di 007 (tutti fino a Skyfall): in realtà il proprietario è Papà Verdurin ma ormai l’ho usucapito.

  1. The Ultimate Doom, il primo capitolo di una saga iconica che ami

Le emozioni provate alla prima cinematografica della Compagnia dell’Anello saranno molto difficilmente replicabili.

  1. Doom 2, un videogioco che colleghi a tuo padre

Prince of Persia: lo avevo su floppy disc e ci giocavo sempre da piccola ma non riuscivo a sconfiggere lo scheletro al terzo livello: ci ha pensato Papà Verdurin!

  1. Doom 3, un videogioco che colleghi a tua sorella

Non ho una sorella, ma sarò per sempre grata a mio fratello che mi ha fatto scoprire la Play Station con l’Assassin’s Creed di Ezio Auditore in un momento in cui avevo proprio bisogno di qualcosa che mi distraesse.

  1. Doom 2016, un acquisto indotto dai consigli ricevuti

Molti film di Kurosawa, consigliati naturalmente da Papà Verdurin. Alcuni non li ho ancora visti ma degli altri mi sono innamorata.

  1. Torre di Babele, un videogioco o un film di cui hai tanto sentito parlare prima di provarlo

Non volevo assolutamente vedere Moulin Rouge, pensavo fosse una scemata romantichella… ora è tra i miei film preferiti!

  1. Torre Argent, l’opera che hai amato ma che ha un dettaglio che odi

Adoro il film Labyrinth, la sua colonna sonora, i pupazzi, David Bowie, tutto… tranne Jennifer Connelly!

  1. Pinky Demon, il nemico più difficile da sconfiggere ma non boss

Nel videogioco Ni No Kuni (splendido!) prima del boss finale, la Strega Cinerea, c’era un mostro marino con tentacoli che ne spawnava altri mille… difficilissimo!

  1. Rune, il libro di cui ha volutamente saltato pagine durante la lettura

Mai fatto. Semmai abbandono il libro, ma la paura di essermi persa qualcosa sarebbe troppo grande (timore congenito in ogni appassionato di libri gialli immagino).

  1. La terra dei giganti, il videogioco in cui vi siete persi

Ni No Kuni, l’ho rifatto due volte cercando di fare ogni quest/obiettivo secondario/trofeo eccetera e ogni volta staccarmene è un supplizio!

  1. Cybermancubus, un’aggiunta al franchise divenuta iconica e che ami

Il Re Scorpione, nato da una costola della serie La Mummia, con protagonista Dwayne “The Rock” Johnson: lo adoro! Ed ecco anche il collegamento con Doom 😉

  1. Cyberdemon, il boss o villain più iconico

Qui entro nella saga di 007. I cattivi sono tutti ben riusciti e molti interpretati da grandi attori, ma su tutti spicca lo Scaramanga di Christopher Lee in L’Uomo dalla Pistola d’Oro.

  1. Spider Mastermind, il boss o villain più bistrattato nel franchise

Sempre epopea bondiana, il povero Ernst Stavro Blofeld, che se in questo nuovo capitolo ha fatto proprio una brutta fine era già stato precedentemente gettato in una ciminiera, nonostante fosse in sedia a rotelle: inclusività alla 007!

  1. I corridoi di Marte, il film o videogioco che ti ha trasmesso più ansia

In genere sono terrorizzata dagli horror asiatici, in particolare Ringu, Yu-On e Two Sisters mi hanno tolto il sonno per mesi!

  1. Doom Slayer, il personaggio protagonista più temerario e misterioso

Ezio Auditore. No, Michael Fassbender proprio per niente!

No Time to Die (recensione in versi)

Prima di iniziare con le rime, solo due piccoli appunti: intanto le terzine incatenate contengono SPOILER!

Poi, questo è solo un piccolo antipasto, la recensione completa del film arriverà a tempo debito, seguendo la Bond-cronologia (e attendendo il dvd con gli speciali).

Buona lettura!

Nel mezzo del cammin di nostra vita

mi ritrovai in una sala oscura

che la coda in biglietteria era svanita!

Con il Greenpass io entro sicura

nel cinema di cui avevo tanta nostalgia

ora che il Covid fa un po’ meno paura.

Da sempre immersa nella Bond-mania

la scelta non poteva essere diversa

per la prima pellicola post-pandemia.

No Time To Die non mi sarei mai persa,

il venticinquesimo film della saga

rimandato più volte per sorte avversa.

Il regista è Cary Joji Fukunaga,

sua anche la sceneggiatura:

scopriremo se il doppio sforzo paga.

Per Daniel Craig è l’ultima avventura

nei panni dell’agente doppio zero

di cui ancor non si conosce l’identità ventura.

In sala diventa tutto nero

e trattengo a stento l’emozione

quando il film inizia per davvero!

Come detta la bondiana tradizione

c’è una scena prima dei titoli di testa

che ci introduce nel cuore della narrazione.

La vita di James Bond sembra una festa

ora che ha trovato in Madeleine l’amore

ma il senso di colpa la sua anima ancora infesta

per lasciare alle spalle quel dolore

che nel suo cuore troppo rimbomba

Madeleine suggerisce con calore

di recarsi subito alla tomba

di Vesper, collega morta in servizio

dove però esplode una bomba:

niente male come inizio!

Bond è stordito ma si riprende

e ha un unico e solo indizio:

L’arcinemico Blofeld il merito non si prende

di quell’attentato alla sua vita

ma con la sua accusa Bond sorprende:

 la verità è cosa inaudita:

proprio Madeleine voleva la sua morte!

Nel cuore di James è profonda la ferita

e rassegnato alla sua triste sorte

carica subito la ragazza su un treno;

lei lo guarda mentre si chiudono le porte.

Cinque anni trascorrono in un baleno

e troviamo Bond oramai pensionato

che vive in Giamaica beato e sereno.

Almeno fino a che Felix non è arrivato,

l’amico di sempre, agente della CIA

che ha per le mani un caso assai complicato.

“Ehi, James, vuoi tornare a fare la spia?”

la risposta non tarda ad arrivare

“Ma questa è una follia!”

Poi però James ha modo di pensare

e lo colpisce una grande verità:

In Giamaica non c’è nessun cantiere da guardare!

Dunque l’amico Felix aiuterà

e farà subito la conoscenza

di chi di certo lo ostacolerà:

si chiama Nomi, spia doppio zero con licenza

che di “007” ha ora il titolo

e dice che di Bond ora si può fare senza.

Fine della pensione, nuovo capitolo

non è tempo di morire (!), si entra in azione

e non serve un sottotitolo.

Da dove si comincia questa missione?

Che domande: da una festa!

Pronto lo smoking per l’occasione

solo da trovare una compagna resta:

la splendida Paloma, spia meravigliosa

anche a lei il Vodka-Martini non dà alla testa.

La missione sembrerebbe poca cosa:

recuperare valigetta e scienziato

ma non è un incarico all’acqua di rosa

e il micidiale veleno rilasciato

uccide della Spectre ogni cattivone

solo uno si è salvato:

Blofeld, che si trova in prigione

quindi è evidente che c’è un altro nemico

da incolpare per quella situazione.

Anche se è ovvio io ve lo dico:

CIA e MI6 sono ai ferri corti

e solo Bond può dipanare questo intrico

ma deve prima raddrizzare i torti

e visitare Blofeld in cella

per trovare il colpevole di quelle morti.

Madeleine è ancora tanto bella

James ne è sempre innamorato

ma la situazione è sempre quella:

lei ha un segreto a lungo serbato

ma Blofeld svela la bugia

che la vita di Bond aveva rovinato:

Madeleine è davvero sulla retta via

e lei sola conosce l’identità

del vero villain e sa chi sia.

Dopo aver detto la verità

Blofeld muore immediatamente

ma Bond ormai non è più là,

raggiunge Madeleine rapidamente

nella casetta in cui è iniziato tutto

e i due si spiegano, finalmente!

Bond scopre che esiste un frutto

del loro amore, una bambina

poi arriva il nemico: ma quanto è brutto!

Inseguimento e adrenalina

Come with me for fun in my buggy” mi par di sentire

ma il nemico cattura mamma e piccina.

Al salvataggio bisogna partire

ma in gola mi si stringe un groppo

perché tutta la squadra è il momento di riunire:

Il capo M, si vede, ha mangiato troppo

Moneypenny e Q chi se li scorda? E’ come andare in bici!

Resta solo un ultimo intoppo:

anche se appaiono tutti amici

(il traditore a questo punto è già a posto)

siamo sicuri che sian tutti felici?

Sì! La nuova 007, Nomi, cede il suo numero tosto

i due ora si scambiano battutine

ma 007 deve essere uomo ad ogni costo.

Ingessato fino alla fine,

non posso proprio dire che mi piaccia

ma per Craig sono ormai le ultime bobine.

In tutto il film di ironia non c’è traccia

perché ha capito bene il regista

che nessuno dei due 007 sa muover la faccia.

Il finale è ormai in vista

ma rimane una lecita curiosità:

per il villain non c’erano altri attori in lista?

Il vero problema è la sua età,

dovrebbe aver ucciso a Madeleine i genitori 

ma che sia troppo giovane è un’ovvietà!

Scontro finale, signore e signori,

dei nano-chip assassini non ci occupiamo

che altrimenti sono dolori

che sono un McGuffin tanto sappiamo

quello di cui davvero ci importa

è che morire il nostro eroe vediamo

che deve tenere aperta la porta

ai missili che arrivano in velocità:

ogni speranza di fan sembra morta.

Bond muore Al Servizio Segreto di Sua Maestà

per paura di una vita senza carezze:

la canzone finale un colpo basso dà

e per i fan non ci sono certezze

su chi sarà il prossimo 007:

di quale attore avrà le fattezze?

Sappiamo però che non avrà le tette,

questo almeno sembra sicuro

ma la mano sul fuoco chi ce la mette?

Non so cosa riserva il futuro

per l’agente al servizio di Sua Maestà

ma una cosa scrivo e vi giuro

mai da Cinemuffin James Bond sparirà!

E chissà se dopo tre ore molto belle

ogni altro fan come me piangerà

e mesto uscirà a riveder le stelle.

Il mio nome è Widow, Black Widow

Anno: 2021

Regia: Cate Shortland

Interpreti: Scarlett Johansson, Florence Pugh, David Harbour, Rachel Weisz, William Hurt, Olga Kurylenko

Dove trovarlo: Disney Plus

Si potrebbe pensare che io sia un po’ fissata e che veda riferimenti a 007 dappertutto… ma questa volta è vero!

Non sono una grande conoscitrice di supereroi e di fumetti, ma negli ultimi anni ho seguito con molto divertimento i film Marvel. Quando il personaggio della Vedova Nera è comparso per la prima volta, nel film Iron Man 2, non lo conoscevo, anche se conoscevo benissimo la splendida attrice che lo interpreta, Scarlett Johansson, che oltre ad essere di una bellezza mozzafiato è anche un’ottima attrice, come ha dimostrato fin da giovanissima: La Ragazza con l’Orecchino di Perla, Lost in Translation, Match Point, tutte sue ottime interpretazioni. Quando la sua Black Widow è entrata nella vita di Tony Stark/Iron Man, tenendogli testa e rendendo gelosissima la sua fidanzata Pepper/Gwyneth Paltrow, è subito apparso chiaro come il personaggio avesse delle potenzialità, e infatti è stato sfruttato al massimo dalla Marvel: la Vedova Nera è comparsa nella maggior parte dei film successivi (Avengers, Captain America: Winter Soldier, Captain America: Civil War, Avengers: Age of Ultron, Avengers: Infinity War) e costituisce lo zoccolo duro della squadra di supereroi chiamata Avengers. La cosa che rende questo personaggio così interessante però è il suo passato da spia nemica (il suo vero nome è Natasha Romanoff e viene dalla Russia) che successivamente si redime ed entra nello SHIELD, mettendo le sue eccezionali abilità di spia e di combattente al servizio dei buoni, fino ad arrivare a sacrificare la sua vita per la salvezza dell’umanità. Ma la storia cinematografica di Black Widow non poteva terminare con il suo eroico sacrificio, e così è arrivata la origin story Black Widow, che racconta della sua infanzia, della sua famiglia e della sua vendetta nei confronti del potente e prepotente Segretario Ross (interpretato da William Hurt, altro personaggio ricorrente nei film Marvel).

Tuttavia, per quanto io ami la Vedova e l’attrice che la interpreta, non posso dire che sentivo il bisogno di conoscere il suo passato: mi era sufficiente quanto rivelato da Loki/Tom Hiddleston (che, a proposito, è in lizza per diventare il successore di Daniel Craig nei panni di James Bond, e visto il disastro della serie su Loki credo proprio che gli farebbe bene) in una scena davvero ben fatta del film Avengers (che per me resta il migliore). Invece ai piani alti della Marvel è stato deciso che doveva essere fatto un film incentrato sulla Vedova Nera e sul suo passato. Purtroppo, però, nessuno ha pensato che questo film, oltre a molte tutine attillate, dovesse avere anche una sceneggiatura

Il film è stato scritto da tre sceneggiatori, tutti piuttosto giovani ma già veterani di film e serie di supereroi oltre che di produzioni di casa Disney: Eric Pearson, Jac Shaeffer e Ned Benson. Anche se Jac è una donna, inevitabilmente la memoria corre ai tre sceneggiatori della serie Boris. Nel caso di Black Widow, ai tre scrittori è stato detto di realizzare non un classico film di supereroi (d’altra parte Natasha, sebbene sia estremamente forte e agile, di fatto non ha dei veri superpoteri) ma un classico film di spie. Dopo forse un momento iniziale di smarrimento, i nostri hanno pensato che la cosa migliore da fare fosse andare direttamente alla fonte, alla saga di film di spionaggio per antonomasia: quella di 007. Sono stati comunque sufficientemente onesti da rendere la cosa palese, inserendo i film di James Bond all’interno del film stesso: infatti Natasha in televisione guarda proprio Moonraker- Operazione Spazio, film del 1979 in cui l’agente segreto britannico è interpretato da Roger Moore. Così, quando nel finale si scopre che l’introvabile nascondiglio del villain (la Stanza Rossa) si trovava proprio nello spazio, non si può gridare “plagio!” ma tuttalpiù “omaggio!”. Questo è il riferimento più evidente, mentre l’esercito di super soldatesse mentalmente condizionate tramite l’uso di droghe rimanda al film Al Servizio Segreto di Sua Maestà del 1969, in cui 007 ha il volto di George Lazenby. Altri elementi tipicamente bondiani riguardano il cattivo, la sua megalomania, il suo piano diabolico ma carente nelle motivazioni (tramite il suo esercito di Vedove Ross è effettivamente in grado di manipolare la politica mondiale… ma perché? Quale sarebbe il suo scopo? Come per i cattivi bondiani, non viene specificato). Questo tuttavia non impedisce a Ross, come ogni villan bondiano che si rispetti, di snocciolare il suo arguto piano davanti all’avversario, in questo caso la nostra Natasha, che mentre lui si autocelebra per la sua astuzia gliela fa ovviamente sotto il naso. Come in ogni film bondiano che sia tale, la trama passa in secondo piano rispetto alle scene d’azione (quanti combattimenti! Davvero, quanti…) lasciando anche qualche perplessità su tutta la questione della finta famiglia e del complicato (ma non troppo) rapporto tra sorelle. Oltre a un aroma diffuso di Dalla Russia con Amore è difficile identificare gli altri riferimenti alla mitologia bondiana soprattutto perché la figura maschile e il concetto generale di attrazione o amore tra uomo e donna non trova posto in questo film; a dirla tutta, l’intero genere maschile viene segregato nel ruolo di arcinemico (Ross) o di fallimentare e comica figura paterna (Alexei/David Harbour). Fa eccezione solo il personaggio di Mason (O-T Fagbenle), una sorta di Q che procura a Natasha i gadget di cui nessuna spia può fare a meno. Tutti i personaggi principali sono femminili e sono positivi, perfino quello di Antonia, la sfigurata e mentalmente plagiata figlia di Ross, interpretata da un’irriconoscibile Olga Kurylenko. Il fatto che Melina, la finta madre di Natasha e Yelena (Florence Pugh) interpretata da Rachel Weisz (ancora splendida nella sua tutina attillata), abbia chiamato uno dei suoi maiali Alexei come il collega nonché finto marito la dice lunga sul contrappasso che la figura maschile deve subire in questo film in seguito ai decenni di sexy Bond-girls in bikini.

Nella inevitabile scena che segue i titoli di coda (altro rovesciamento di un paradigma bondiano, in cui invece le sorprese avvengono prima dei titoli di testa) capiamo che il film è, come spesso accade in questo periodo, un lungo trailer per il prossimo lungometraggio Marvel, che avrà come protagonista Clint Burton/Occhio di Falco (Jeremy Renner), e che la sorellina meno fortunata (ma non meno bella né meno capace) Yelena avrà un ruolo fondamentale.

Visto che la conclusione del film rimanda alla serie The Falcon and the Winter Soldier, desidero concludere con una piccola fantasia: e se l’aereo pieno di belle e disadattate ex-Vedove atterrasse proprio nel porticciolo del paesino di pescatori della Louisiana dove Sam e Bucky sono intenti a riverniciare la Paul & Darlene? What If…?

9 Motivi per cui ho odiato 9 Perfect Strangers

Ho iniziato a vedere la serie Nine Perfect Strangers (“Nove Perfetti Sconosciuti”) su Amazon Prime per diversi motivi. Innanzitutto per rivedere, dopo un po’ di tempo che non mi capitava, Nicole Kidman, che interpretando la prostituta Satine in Moulin Rouge si è guadagnata per sempre il mio affetto e la stima per le sue doti di cantante e attrice; poi nella speranza di vedere finalmente la tanto osannata comica (ma quando?) Melissa McCarthy mostrare anche le sue doti recitative oltre alla sua, pur notevole, media di parolacce al minuto; infine perché l’idea di nove perfetti sconosciuti segregati per un’intera settimana in un resort pieno di segreti mi sembrava molto intrigante, così come, a suo tempo, trovavo davvero interessante l’idea alla base del Grande Fratello, prima di vedere con i miei occhi che non era certo il consesso di personalità e scambi di opinioni che avevo immaginato. Ma soprattutto, sotto sotto speravo con Nine Perfect Strangers di vedere una versione di Dieci Piccoli Indiani aggiornata ai tempi di Instagram. La serie però mi ha deluso. Mi ha deluso per ben 9 (perfetti) motivi:

(attenzione: SPOILER!)

  1. Il cast è davvero notevole, tutti attori e attrici con alle spalle lunghe esperienze sia di cinema che di tv, ma viene del tutto sprecato in una serie priva di scopo. Nicole Kidman, grazie alla chirurgia estetica, è sempre bellissima ma anche sempre meno espressiva, a tratti sembra che non riesca neppure a muovere la bocca, mentre a tratti esplode in un’espressività sopra e righe che mal si addice al personaggio di Masha, colei che tira le fila con calcolata freddezza. Melissa McCarthy inizialmente sbraita e impreca come suo solito, salvo poi adottare uno sguardo addolorato perenne che non aiuta a capire l’evoluzione del suo personaggio, la scrittrice rifiutata sia dagli editori che dagli uomini Frances. Luke Evans fa quello che può con un personaggio discontinuo come Lars, il giornalista omosessuale desideroso e allo stesso tempo timoroso della paternità. Tutti gli altri interpreti fanno quello che possono con la sceneggiatura che hanno. Regina Hall per la prima volta, dopo tanti Scary Movie e dopo essere stata la donna di Shaft, ricopre il ruolo scomodo e difficile di Carmel, accantonata da marito e figli in favore di una donna più giovane e attraente e che nasconde più di un segreto.
  2. I personaggi, tutti, sono privi di forza e di credibilità, monolitici nell’avere un unico, singolo problema da affrontare e risolvere, accettano passivamente eventi impensabili, non allacciano rapporti tra di loro se non quelli strettamente funzionali al raggiungimento del finale, e soprattutto non evolvono, come dimostra chiaramente il fatto che l’epifania che cambierà le loro vite si manifesta esclusivamente nell’esperienza della camera chiusa in cui temono di stare per morire, inficiando di fatto tutte le esperienze precedenti.
  3. Lo stile della serie è indeciso e alterna soluzioni formali diverse alla ricerca di un risultato che, qualsiasi dovesse essere, non viene raggiunto. Le inquadrature da angolazioni strane, le canzoni famose, i sogni, i flashback, i cambiamenti di luce e di sonorità, le allucinazioni, tutti stratagemmi che non portano a nulla e che mostrano l’indecisione della serie sul tono da adottare e sulla sua stessa essenza: thriller? Onirico? Soprannaturale? Psicologico? Non si sa.
  4. La serie è anche piena di false promesse, di elementi che non vengono sviluppati e che sembrano indizi per risolvere un mistero che, in realtà, non c’è mai stato. Chi sono le persone che lavorano a Tranquillum e perché lo fanno? Perché e come Yao ha salvato la vita di Masha? Perché Masha chiede a Lars di filmare tutto? Sarà una coincidenza il fatto che alcuni ospiti siano assassini? Con che criterio Masha sceglie i suoi ospiti? Come mai Tony conosceva le critiche al libro inedito di Frances? Dove sono finite le automobili? Tutte domande che restano senza risposta e che non portano a nulla.
  5. Il triangolo no! Ci viene mostrato che Masha intrattiene una relazione sia con Yao che con Delilah, i quali hanno anche una relazione tra di loro. Ma cosa lega queste persone? Come e da quanto si conoscono? Perché Yao ha salvato la vita a Masha e perchè sembra esserne così succube? Perché invece Delilah riesce ad andarsene? Ma soprattutto, a cosa serve tutto questo ai fini della storia?
  6. Come funziona l’aldilà? La serie ci dice che è possibile comunicare con i defunti, in certe condizioni, ma quali siano queste condizioni è molto difficile da capire. L’unica cosa chiara è che bisogna essere sotto l’effetto di sostanze allucinogene. Il che ci porta al prossimo punto:
  7. Trovo inaccettabile che una serie tv possa suggerire che l’uso massiccio di stupefacenti e sostanze psicotropiche possa essere una soluzione per i problemi esistenziali dell’essere umano. Fino all’ultimo ho sperato che le droghe non fossero altro che un espediente narrativo, per quanto ingenuo, per arrivare a qualcosa d’altro; ma non è così. Alla fine quello che ci viene detto è: se non riesci ad accettare la perdita di una persona cara e andare avanti con la tua vita, allora fai uso di droghe per fare pace con te stesso e tornare sereno. Cosa? Altro che arduo percorso di introspezione e meditazione immersi nella natura, la felicità si raggiunge con gli smoothies all’LSD! Non aggiungo altro.
  8. Ho odiato anche la scelta di spingere così tanto sul pedale del patetico, mostrando e rimostrando all’infinito la scena straziante della morte di Tatiana, la figlia di sette anni di Grace; lo stesso vale per Zach, il fratello gemello della giovane Zoe, morto suicida, che appare ripetutamente alla sorella e ai genitori. Queste scene sono difficili da reggere, ma la commozione che procurano è soltanto viscerale; riflettendoci sopra, come già si diceva, il messaggio che passa è che se ti droghi i tuoi cari estinti ti perdoneranno e faranno pace con te. No, non ci siamo.
  9. Infine, naturalmente, il finale. Non c’è nessuna delle sorprese che credevo di aver intuito, tutto procede esattamente come previsto, senza colpi di scena, verso uno dei lieti fini più smaccatamente vergognosi di sempre. Chi si è drogato per una settimana nei boschi della California e chi ha creduto di morire soffocato in un bunker ora ha meritato, a quanto pare, la felicità. Anche se per raggiungere i suoi scopi, nel caso di Masha, ha mentito, manipolato, intimidito e drogato le persone a loro insaputa. E’ vero che, una volta appreso che gli smoothies erano pieni di allucinogeni, nessuno ha battuto ciglio, ma ci tengo a precisare che sono cose che non si fanno, visto che i creatori della serie non hanno pensato di farlo: se ai vostri amici muore il gatto non mettete loro la droga nel frullato, ok?

Questo è quanto, sconsiglio vivamente la visione di Nine Perfect Strangers a tutti e vi consiglio di lasciar perdere gli smoothies a di bere piuttosto una buona tazza di tè. Possibilmente con un muffin.

Questa Masha sì che fa paura!

Free Guy – Eroe per Gioco

Titolo originale: Free Guy

Anno: 2021

Regia: Shawn Levy

Interpreti: Ryan Reynolds, Jodie Comer, Joe Keery, Taika Waititi

Dove trovarlo: Disney Plus

Guy (Ryan Reynolds) ha una vita monotona: si sveglia, saluta il pesce rosso, prende sempre lo stesso caffè nello stesso bar, va al lavoro in banca, si stende a terra quando entrano i rapinatori… Tutto uguale, ogni giorno della sua vita. Eppure Guy è sempre felice e soddisfatto. Almeno fino a quando non incontra una ragazza misteriosa (Jodie Comer) che gli rivela che lui, in realtà, non è una persona vera ma un PNG (Personaggio Non Giocabile) di un videogioco…

Il nome del protagonista, Guy, in inglese significa “tizio”, a sottolineare il fatto che in questo caso il nostro eroe non è altro che un tizio qualunque con un lavoro qualunque contento della sua vita mediocre e monotona… ma quando scopre che in realtà il suo mondo non è reale ma è un videogioco, e che per giunta sta per essere cancellato, le cose cambiano.

Guardando il film inevitabilmente ne vengono in mente molti altri con tematiche simili: The Truman Show, in cui Jim Carrey scopre di essere stato per tutta la vita il protagonista di un reality show; Matrix, in cui Keanu Reeves scopre che la realtà non è reale; Ready Player One, ambientato in un videogioco, che Steven Spielberg farcisce all’inverosimile di citazioni. Eppure la somiglianza più eclatante è con un film italiano, Nirvana di Gabriele Salvatores, in cui Diego Abatantuono scopre di non essere una persona in carne e ossa ma il protagonista del videogioco creato da Christopher Lambert. Free Guy però, a differenza di Nirvana, evita il ridicolo involontario perché non si prende mai sul serio (e come potrebbe?) e non si sofferma sul destino tragico o sul significato dell’esistenza: anche Shawn Levy, come Spielberg, si diverte a riempire il suo film di citazioni da videogiochi e film famosi, portandosi dietro dalla serie Stranger Things, di cui ha diretto vari episodi, oltre all’attore Joe Keery, anche lo stesso disinteresse per gli approfondimenti filosofici o psicologici a tutto vantaggio dell’azione, degli inseguimenti e degli effetti speciali. Free Guy è un film senza pretese per una visione senza pretese per lo spettatore che desidera staccare la spina (del cervello, mi raccomando, non della Play Station!) per un paio d’ore e divertirsi a riconoscere personaggi e omaggi. Gli attori fanno tutti il loro dovere, peccato solo per i ruoli patetici rifilati al povero Channing Tatum e soprattutto al regista Taika Waititi, con il suo villain così sopra le righe.

Nota di merito per gli adattatori italiani dei dialoghi che si sono saputi destreggiare bene nel complicato linguaggio anglicizzante dei gamers.

Un’ultima postilla: nel quinto episodio della stagione 10 della Signora in Giallo, Omicidio a Hasting Rock (in originale Virtual Murder) la scrittrice Jessica Fletcher scrive soggetto e dialoghi per un videogioco investigativo in realtà virtuale. Appena prima della presentazione ufficiale del gioco, il programmatore viene trovato morto e non si trovano più i codici sorgente del gioco: si scoprirà alla fine che il diffidente creatore del gioco li aveva nascosti all’interno del gioco stesso, dietro una porta apparentemente impossibile da aprire… e alla fine, svelato il mistero, gli altri due programmatori Kate e Michael (interpretato da Kevin “Hercules” Sorbo) decidono dopo tanti anni passati a lavorare fianco a fianco di vivere il loro sogno d’amore…

Non importa quanto sul pezzo credi di essere: la signora in giallo è sempre un passo avanti a te!

Voto: 2 Muffin

Enemy

Anno: 2013

Regia: Denis Villeneuve

Interpreti: Jake Gyllenhaal, Mélanie Laurent, Sarah Gadon, Isabella Rossellini

Dove trovarlo: Amazon Prime Video

Adam Bell (Jake Gyllenhaal) è un professore universitario dalla vita monotona e noiosa. Nemmeno la stanca relazione con la bella Helen (Mélanie Laurent) sembra rendere interessante la vita, fino a che Adam, seguendo il consiglio di un collega insegnante, noleggia un film in cui recita un attore in tutto e per tutto identico a lui. Incuriosito Adam inizia a indagare su di lui, scoprendo che si chiama Daniel St. Claire (in arte Anthony Claire). Adam, ormai ossessionato, inizia a spiare Daniel, fino a che non decide di chiamarlo e chiedergli un incontro. Daniel inizialmente rifiuta ma poi accetta di incontrare Adam; Daniel rimane a sua volta sbalordito dalla somiglianza fisica (anche le voci sono identiche) e propone subito uno scambio di identità: per una giornata Adam e Daniel si scambieranno gli abiti, l’appartamento e anche le donne…

Lo ammetto: ho scelto questo film, nel vasto catalogo Prime Video, attirata dall’idea di un doppio Jake Gyllenhaal. E la mia ingordigia è stata punita…

Enemy, tratto dal romanzo L’Uomo Duplicato di Josè Saramago, è un film con un’ottima idea di partenza (anche se non proprio originalissima, basti pensare a Il Principe e il Povero e a tutti gli altri libri e film basati sullo scambio di identità tra persone fisicamente identiche, da La Maschera di Ferro a Un Cowboy col Velo da Sposa) che non sa sfruttare, sporcando la connotazione thriller, ben riuscita, con una deriva onirico-psicologica che fa sorridere.

Il regista Denis Villeneuve, salito ora alla ribalta con il kolossal Dune, ambienta il suo film in una Toronto verdognola e giallastra per dare l’idea della vita insipida e scialba condotta dal professore Adam, che trova invece desiderabile quella del suo doppio, l’attore di cinema. A ben guardare però nemmeno Daniel è così appagato della sua vita, infatti tradisce in continuazione la moglie e non esita nemmeno un’istante quando gli si prospetta l’opportunità di farlo nuovamente, questa volta con la donna del suo alter-ego. Considerando solo l’anima thriller, il film sarebbe ben fatto nel costruire la tensione; purtroppo le derive simbolico-oniriche la spezzano, e il finale aperto con ragno gigante lascia lo spettatore con un sorriso beffardo più che con il senso di inquietudine che forse era l’obiettivo del regista.

La metafora della donna-ragno è banale, l’espediente narrativo del sogno lo è anche di più, e in congiunzione con il tema del Doppelganger rende tutto il film stantio quanto pretenzioso.

Se poi si pensa che Jake Gyllenhaal è stato il villain dell’ultimo film di Spiderman, lo sberleffo è assicurato: per chi vuole apprezzare le doti attoriali di Gyllenhaal consiglio piuttosto Zodiac, Jarhead o il classico Brokeback Mountain; per chi invece vuole gustarsi il suo bell’aspetto, allora consiglio di cuore Prince of Persia, tratto dal celebre videogioco. 

Isabella Rossellini compare, per una manciata di secondi, nel ruolo della madre di Adam.

Voto: 1 Muffin

Per chi non ha capito bene il film, Villeneuve lo spiega alla lavagna

Il Nido dello Storno

Titolo originale: The Starling

Anno: 2021

Regia: Theodore Melfi

Interpreti: Melissa McCarthy, Chris O’Dowd, Kevin Kline, Daveed Diggs, Timothy Olyphant

Dove trovarlo: Netfilx

La felicità sembra sorridere alla vita della coppia formata da Lilly (Melissa McCarthy) e Jack (Chris O’Dowd), divenuti da poco genitori. Purtroppo però la loro bimba si ammala e muore. Lilly cerca di reagire alla terribile perdita mentre Jack ne rimane sconvolto, tanto da dover essere ricoverato in un istituto per sottoporsi a cure psichiatriche, incapace di tornare alla vita di prima. Quando Jack rifiuta di vedere la moglie, anche l’apparente normalità della vita che Lilly cercava di condurre dopo la tragedia va in pezzi. Inaspettatamente un’ancora di salvezza sarà offerta da uno psichiatra divenuto veterinario (Kevin Kline) e da una coppia di uccellini dispettosi.

Quando ero piccola andavo matta per una serie di libri per bambini in cui la protagonista Matilde doveva risolvere diversi problemi per poter mandare avanti la sua fattoria: per poter coltivare il suo granturco a sfamare la sua vacca, Matilde si ritrova a dover affrontare fantasmi rumorosi, capre insaziabili e corvi indisponenti.

Con questo spirito ho iniziato a vedere questo film, convinta che il cast di attori brillanti e lo scontro con gli uccellini sarebbe stato molto divertente.

Ahimè non è stato così: si tratta invece di un dramma molto triste, che sceglie di affrontare un tema non certo nuovo nel cinema e nella letteratura (le difficoltà di una coppia che ha perso un figlio) in modo molto convenzionale, come abbiamo già visto in moltissimi altri film del genere: l’elaborazione del proprio lutto (in tutti i suoi canonici stadi) attraverso la caduta seguita dal riscatto morale.

In questo film non c’è nulla di sottile, sentimenti e stati d’animo vengono didascalicamente sottolineati ad ogni passaggio, attraverso il confronto con ciò che avviene in natura e la ridondante colonna sonora di canzoni country-pop che insistono a spiegare ciò che è già chiaro.

Nessuna sorpresa nemmeno nei dialoghi, nell’evoluzione dei personaggi o nel finale: il regista Theodore Melfi esegue bene in suo compitino e gira un convenzionale film strappalacrime hollywoodiano, senza nessun guizzo di alcun genere.

Il cast, di prim’ordine, si impegna giusto il necessario: di più sarebbe stato uno spreco.

Kevin Kline, altrove mattatore, qui è relegato a comprimario stereotipato; Melissa McCarthy offre un’interpretazione dignitosa ma sporcata dal turpiloquio gratuito; il migliore in campo è Chris O’Dowd, ottimo protagonista della spassosissima serie IT Crowd, credibile qui in un ruolo scomodo. Nomi rilevanti anche tra i personaggi minori: Daveed Diggs è l’infermiere dell’istituto psichiatrico, mentre Timothy Olyphant il capo senza cuore di Lilly.

Chiudo questa ben poco entusiasta recensione parlando del problema più grosso del film: gli stornelli sono realizzati interamente in CGI, in ogni inquadratura, togliendo credibilità ad ogni situazione e riportando alla mente prodotti ben poco drammatici come Alvin Superstar. Mi riesce davvero difficile credere che non fosse possibile filmare dal vivo un uccellino che saltella su un ramo o costruisce un nido, a meno che Netflix (produttrice del film) non abbia ritenuto che non valesse la pena perdere tempo per riprendere dei veri storni. Senza voler scomodare il grande lavoro del maestro Hitchcock, penso però che anche l’uccellino finto di Velluto Blu di David Lynch, superato l’effetto “Mary Poppins”, sarebbe stato preferibile al vedere un rassegnato Kevin Kline affannarsi per eseguire un drenaggio toracico su un mucchietto di pixel piumati.

Voto: 1 Muffin