Weird – La storia di Al Yankovic

Titolo originale: Weird: The Al Yankovic Story

Anno: 2022

Regia: Eric Appel

Interpreti: Daniel Radcliffe, Evan Rachel Wood, Rainn Wilson, Patton Oswalt, Jack Black, Lin-Manuel Miranda

Dove trovarlo: Prime Video

Come ve la immaginate l’autobiografia del cantante di parodie Weird (=”strambo”) Al Yankovic, che in qualità di sceneggiatore racconta se stesso in questo film? Pazza, assurda, fuori di testa, come le sue canzoni. Avete indovinato: Weird: La storia di Al Yankovic è esattamente così. Racconta la vita del cantautore e suonatore di fisarmonica partendo dall’infanzia fino ad arrivare al successo e alla fama, ma lo fa, e non poteva essere altrimenti, a modo suo. Molti fatti, episodi e personaggi sono reali, ma a trionfare è la fantasia, l’esagerazione, la burla. Come quella volta che Al, insieme a Madonna, uccise Pablo Escobar, per fare un esempio.

Inutile elencare tutti i fatti assurdi che vengono raccontati, bisogna vedere il film e lasciarsi contagiare dalla sua buffa follia e dal suo modo fanciullesco e irresistibile di raccontare. Il tutto impreziosito da piccoli ruoli, a volte camei, ricoperti da personaggi di prim’ordine come Rainn Wilson, Patton Oswalt, Jack Black e molti altri. Ma su tutti si staglia un ottimo Daniel “Harry Potter” Radcliffe, che offre un’interpretazione ottima, ironica e sfrontata al punto giusto. E ancora una volta, vergogna a Prime Video che non offre l’audio del film in lingua originale.

Voto: 3 Muffin

Frankenstein

Anno: 2025

Regia: Guillermo del Toro

Interpreti: Oscar Isaac, Jacob Elordi, Mia Goth, Christoph Waltz, Charles Dance

Dove trovarlo: Netflix

Il piccolo Victor Frankenstein, sconvolto per il fatto che il padre, chirurgo di eccelsa fama, non sia riuscito a salvare la vita della madre, decide che diventerà a sua volta medico per cercare il segreto della vita eterna. Ma quando riesce nel suo intento, si rende tragicamente conto delle conseguenze delle sue azioni…

C’era bisogno di un altro film basato sul romanzo di Mary Shelley? Di un’altra rivisitazione della storia che ormai tutti conoscono? Prima di vedere il film non ne ero sicura, soprattutto perchè ho adorato il libro e non ho mai trovato al cinema una trasposizione degna del materiale originale di Mary Shelley. La versione che più mi ha colpito l’ho incontrata nella serie tv Penny Dreadful, ma quella si distaccava molto dalla storia raccontata nel romanzo.

Il regista Guillermo del Toro invece riesce ad essere allo stesso tempo molto fedele e assolutamente infedele, sia nei contenuti che nello spirito della sua opera.

Alcuni cambiamenti sono funzionali alla rappresentazione dei temi che più interessano il regista, mentre altri sono, almeno per me, più difficili da spiegare. Appare evidente che del Toro voglia descrivere, prima di tutto, il rapporto tra padre e figlio. Il piccolo Victor ha un legame ambivalente con il padre, che disprezza tanto lui quanto la madre per il loro carattere umorale e nervoso, oltre che per alcune caratteristiche fisiche (pallore, capelli corvini); Victor è molto legato alla madre, con cui ha molto in comune, mentre teme il padre (interpretato da Charles Dance), uomo freddo e insegnante severo. Quando la madre (interpretata da Mia Goth) muore dando alla luce il suo fratellino William, Victor incolpa il padre, chirurgo di grande fama, che non è stato in grado di salvarla. Oppure non ha voluto salvarla: anche questo sospetto si fa strada nella mente del giovane Victor, che ora è messo in ombra dal carattere aperto e solare del fratellino, opposto al suo, taciturno e contemplativo. Eppure, nonostante il rancore e la freddezza che prova per il padre, Victor finisce non solo per seguirne le orme diventando a sua volta medico chirurgo, ma per comportarsi esattamente come lui quando diventa, in qualche modo, padre. Quando riesce a dare la vita a una creatura composta di parti di cadaveri da lui assemblate, Victor assume verso di essa gli stessi atteggiamenti che aveva il padre nei suoi confronti: assenza di empatia, rigidità, delusione, amarezza, disprezzo. Victor desiderava una creatura dall’intelligenza viva e pronta, un altro se stesso; ma la sua creatura, come un neonato, apprende con lentezza, frustrando le sue aspettative e portandolo a maltrattare la creatura come suo padre faceva con lui. La scelta del regista di far interpretare a Mia Goth sia la madre che l’interesse amoroso di Victor, Elizabeth, è addirittura pleonastica, perchè è già chiaro allo spettatore che Victor soffre di un grave complesso di Edipo (amando la madre e disprezzando il padre) e che sia incapace di amore disinteressato. Ed ecco perchè Elizabeth, che all’inizio sembra attratta da lui (pur essendo la promessa sposa del fratello William) finisce col respingerlo, vedendo l’assenza di empatia e di compassione in lui. Quando la creatura, cui Victor insistentemente ordina di parlare, pronuncia infine il nome di Elizabeth, forma la propria condanna a morte: il creatore non può sopportare nè capire il rapporto di complicità e intesa che si sta creando tra la sua amata e suo “figlio”, come suo padre non poteva accettare il legame troppo stretto tra lui e sua madre. Victor si rivela essere uguale a suo padre e rifiuta la sua progenie, considerandola un fallimento. Quel fallimento però ha dei sentimenti, comprende e soffre, anela e patisce, consumato da sensazioni che non riesce a comprendere e bisognoso, come ogni creatura appena venuta al mondo, di aiuto e di amore.

Ho apprezzato la scelta di dividere la narrazione in due parti, il punto di vista di Victor prima e quello della creatura poi (così come è nel libro), perchè non può essere altrimenti: Victor abbandona la sua creatura, ritenendola morta, e il “mostro” fa esperienze per suo conto del mondo e dell’ambivalenza dell’essere umano, che può essere tanto amorevole quanto spietato. Quello che invece non ho capito è il personaggio del padre di Elizabeth, interpretato da Christoph Waltz, il quale finanzia le ricerche e gli esperimenti di Victor per una motivazione che non è difficile da intuire ma in definitiva non ha alcun peso sulla vicenda. Così come non ne ha il fatto che Elizabeth sia la promessa sposa del fratello e non dello stesso Victor, anche se questo si allinea con l’immagine che il regista ci offre della creatura, molto meno spietata di quella presentata nel libro, che uccide la moglie di Victor per punirlo del suo rifiuto di creare una campagna per il “mostro”.

A proposito di creazione, devo dire che la scena dell’assemblaggio del corpo della creatura è stata piuttosto difficile da guardare per via del suo crudo realismo e dell’indugiare su ogni raccapricciante dettaglio, ma una volta superata quella mi sono goduta in tutto e per tutto questa versione del racconto, non percependo la durata di 130 minuti.

Ho apprezzato molto le interpretazioni. I due veterani Charles Dance e Christoph Waltz non hanno bisogno di ricevere adulazioni da parte mia, mentre Oscar Isaac a mio giudizio ha dato vita al barone Frankenstein più antipatico, egocentrico e insopportabile di sempre. Mia Goth, con il suo aspetto ultraterreno, interpreta molto bene una donna che si sente fuori posto nel mondo (un po’ didascalico il fatto che lei stessa si descriva così in punto di morte in realtà) ma che è capace di grande sintonia con il suo prossimo, cosa di cui Victor non sembra essere capace (come non lo era suo padre). Infine non si può non menzionare Jacob Elordi, senza dubbio il “mostro” più affascinante e avvenente della storia dei cinema, ma che risulta convincente nella sua ricerca di risposte e di un suo posto nel mondo.

La creatura ha un aspetto molto meno ripugnante dei suoi predecessori cinematografici e televisivi, in linea con lo sguardo profondamente estetizzante di Guillermo del Toro, per cui ogni scenografia, ogni costume, ogni oggetto deve andare a comporre un quadro, un dipinto gotico affascinante e ridondante. Le crinoline fruscianti con cui Elizabeth passa a malapena attraverso le porte, gli archi, le candele, gli angeli, gli specchi: tutto rende lo sfondo impossibile da ignorare, anche se a volte il significato sembra passare in secondo piano rispetto al puro godimento estetico.

Però, se si accetta che il regista ama vedere il mondo attraverso questa lente goticizzante, se si sorvola su alcuni simboli smaccati (i guanti rossi indossati sempre da Victor, lo stesso colore degli abiti della madre) e su alcune modifiche narrativamente non impattanti, cosa rimane?

Non voglio svelare il finale, talmente differente da quello del romanzo (e da tutti quelli mostrati fino ad oggi al cinema) da potersi considerare sorprendente, ma dirò questo: in questo film ho visto la rappresentazione dell’essere umano, genitore o figlio, in ogni caso abitante di questo nostro pianeta, che si rende conto di aver commesso errori e di essere imperfetto e si ritrova a dover gestire questa consapevolezza.

A tutti noi è capitato, o capiterà, almeno una volta nella vita, di sentirsi sopraffatti dalla consapevolezza dei nostri difetti, delle nostre mancanze, dei nostri limiti. Come reagire? Questo film contiene la risposta di Guillermo del Toro a questa domanda. Non è giusta, non è sbagliata: è la sua risposta. E io l’ho apprezzata molto.

Quindi: c’era bisogno di un altro Frankenstein?

Posso solo dire: io non sapevo di averne bisogno, ma l’avevo.

Voto: 4 Muffin