L’Innocenza

Titolo originale: Kaibutsu

Anno: 2023

Regia: Hirokazu Kore-eda

Interpreti: Sakura Ando, Eita Kagayama, Soya Kurokawa, Hinata Hiiragi

Dove trovarlo: al cinema

Quando il figlio Minato (Soya Kurokawa) inizia a comportarsi in modo strano, la madre Saori (Sakura Ando), rimasta sola a prendersi cura di lui dopo la morte del padre, si rivolge alla scuola per avere aiuto e spiegazioni, sospettando che il maestro di Minato sia violento con lui. Incontrerà però un muro di freddezza da parte della preside, mentre il maestro Hori (Eita Kagayama) accuserà Minato di comportarsi da bullo con un compagno di classe, Yori (Hinata Hiiragi), considerato da tutti, compreso suo padre, un ragazzino strano e malato.

Il titolo italiano del film, L’Innocenza, non è fuori luogo, ma quello che è stato scelto per la versione in inglese, Monster, cioè Mostro, è decisamente più attinente. Il film infatti ci racconta di tre personaggi accomunati dall’accusa di essere in qualche modo dei mostri. Minato viene accusato dal maestro di essere un bullo violento; il maestro a sua volta viene accusato dagli alunni di essere violento; il padre di Yori definisce il figlio “un mostro con un cervello di maiale”. La verità è molto diversa, ma per riuscire ad afferrarla lo spettatore dovrà incontrare i punti di vista di questi diversi personaggi, tutti considerati da qualcun altro mostri. Ma, come cantano i bambini nei loro giochi, “chi è il mostro? Chi è?”. Il mostro sembra essere colui che si allontana dalla conformità, dalla normalità, da quella strada già tracciata per noi da tradizioni, famiglia, insegnanti. Come già il grande maestro del cinema giapponese Akira Kurosawa aveva fatto nel suo Rashomon (1950), il regista Hirokazu Kore-eda ci racconta la stessa storia da tre punti di vista differenti, ciascuno dei quali chiarisce e completa gli altri. E il gioco di incastri, rimandi, sospensioni e illuminazioni è talmente preciso e perfetto da aver giustamente portato il film a vincere il premio per la miglior sceneggiatura (scritta da Yuji Sakamoto) al Festival di Cannes dello scorso anno. La locandina del film poi tira in ballo un altro maestro del cinema nipponico: Hayao Miyazaki. E a ragione: anche in L’Innocenza infatti, come nei lungometraggi animati dello studio Ghibli di Miyazaki, i bambini sono protagonisti della storia, sono ricchi di doti, virtù e sogni, ma vengono schiacciati dal mondo degli adulti che non riesce a comprenderli e incoraggiarli. Questa volta non è una creatura magica come Totoro a giungere in soccorso dei bambini nel momento di maggior difficoltà, ma in ogni caso la fuga dalla realtà e il sogno di un mondo nuovo e diverso sostengono la loro presa di coscienza e la loro crescita verso quell’età adulta che tanto li spaventa e li confonde. Non trovo alcun difetto in questo film: la trama è solidissima, le emozioni autentiche e profonde, gli attori eccellenti, ogni inquadratura e ogni immagine splendida. La colonna sonora, firmata dal recentemente scomparso Ryuichi Sakamoto, sottolinea ogni aspetto emotivo con grazia, e si compone principalmente di un pianoforte, cui si affiancano rumori e suoni intradiegetici fondamentali per sottolineare certi passaggi emotivi ma anche narrativi. Da vedere con attenzione per godersi ogni rimando da una versione all’altra e per immergersi in una cultura che all’inizio può sembrare profondamente diversa dalla nostra ma, nella sostanza, purtroppo non lo è così tanto. Da vedere assolutamente.

Voto: 4 Muffin

Sole Rosso

Titolo originale: Red Sun

Anno: 1971

Regia: Terence Young

Interpreti: Toshiro Mifune, Charles Bronson, Alain Delon, Anthony Dawson, Ursula Andress, Capucine

Dove trovarlo: Prime Video

Far West, 1860. I due fuorilegge Link (Charles Bronson) e Gauche (Alain Delon) rapinano un treno con la loro banda. Nonostante il treno sia carico di soldati americani a protezione dell’ambasciatore giapponese che si trova a bordo il colpo riesce; peccato però che Gauche non abbia alcuna intenziona di dividere il bottino e fugga con il resto della banda, portando via anche la preziosa katana dorata portata dal Giappone come dono per il presidente degli Stati Uniti e lasciando Link per morto. Quando invece Link si riprende e fa per mettersi sulle tracce del compare traditore per recuperare la sua parte del bottino, l’ambasciatore giapponese gli intima di portare con sè il suo fedele samurai Kuroda (Toshiro Mifune) per recuperare la preziosa katana: se la spada non tornerà nelle sue mani, sia lui che Kuroda saranno disonorati e dovranno compiere il sacrificio rituale harakiri. E così, suo malgrado, Link si accinge ad attraversare il deserto in compagnia del samurai in cerca di vendetta.

Come prima cosa voglio ringraziare Lucius Etruscus del blog Il Zinefilo (e tanti altri) per avermi fatto scoprire questa chicca: un samurai nel far west, chi potrebbe resistere?

La strana coppia formata con Charles Bronson mi ha ricordato un altro film, Duello nel Pacifico, girato appena 3 anni prima da John Boorman, in cui Toshiro Mifune è coprotagonista insieme a Lee Marvin; i due, rispettivamente un soldato giapponese e uno americano, si ritrovano bloccati su un’isola deserte del pacifico durante la seconda guerra mondiale, e non parlando la stessa lingua non possono comunicare che a gesti. Teoricamente nemici, ben presto capiscono però di aver bisogno l’uno dell’altro per poter sopravvivere in quell’ambiente ostile, e nasce così, a mano a mano, una collaborazione forzata che si trasforma, se non proprio in amicizia, se non altro in rispetto reciproco.

Con Sole Rosso non si raggiunge di certo il livello del film di Boorman, però la dinamica tra i due protagonisti, di nuovo Toshiro Mifune e Charles Bronson, è molto simile: la diffidenza iniziale si trasforma nello svolgersi della trama in qualcosa di molto diverso. La differenza è che qui il samurai parla un perfetto inglese (almeno così suppongo, visto che purtroppo si Prime Video non è disponibile l’audio originale del film) e i due avventurieri non solo riescono a comunicare senza problemi, ma anche a impartirsi vicendevolmente lezioni di vita e scambiarsi battute di spirito.

Cosa succede quando un uomo con la pistola incontra un uomo con la katana?

Superato il corto circuito iniziale del vedere un samurai nel far west, il film scorre via liscio fino alla fine, tra avventure e risate ben dosate, grazie non solo alla bravura dei due protagonisti ma anche all’ottima colonna sonora di Maurice Jarre e all’abile regia di Terence Young, che i frequentatori di Cinemuffin ricorderanno senza dubbio come il regista di ben tre film di 007 (Licenza di Uccidere, Dalla Russia con Amore e Thunderball). E proprio dal cast di Dr. No, girato da lui 9 anni prima, il regista britannico ha portato con sé Anthony Dawson, che interpreta uno dei farabutti complici del tradimento di Gauche, e la splendida Ursula Andress, che interpreta la prostituta amante di Gauche, Cristina. Alain Delon, con quella meravigliosa faccia da schiaffi, è perfetto nel ruolo dell’infame Gauche. E a proposito di infami, come in ogni film western che abbia spento qualche decina di candeline, qui ci sono gli indiani (in questo caso i Comanche) spietati e guerrafondai. Se tuttavia si accetta questo clichè narrativo, la scena finale dell’assedio è davvero suggestiva. E in quanto ai clichè, anche riguardo al samurai ce ne sono parecchi (come il fagottino di sushi per sfamarsi nel deserto o i sandali per attraversare le sabbie e scalare le montagne), che però nulla tolgono al fascino del personaggio di Kuroda (ricordiamo che Mifune ha interpretato molti dei film storici del maestro del cinema giapponese Akira Kurosawa, come Rashomon, I Sette Samurai e Il Trono di Sangue) e all’efficacia delle dinamiche tra lui e il sardonico cowboy Link, splendida canaglia da cuore d’oro.

In conclusione Sole Rosso è un western classico condito con un pizzico di wasabi che lo rende particolarmente gustoso e che consiglio a tutti, soprattutto a chi ama il genere nella sua veste classica (John Wayne, per capirci). Simpatico, avventuroso, ben fatto: consigliato!

Voto: 3 Muffin

Shadow

Titolo originale: Ying

Anno: 2018

Regia: Zhang Yimou

Interpreti: Chao Deng, Li Sun, Ryan Zeng, Wang Qianyuan

Dove trovarlo: Prime Video

Il comandante dell’esercito Ziyu, dopo essere stato sconfitto in duello dal rivale Yang Kang, si nasconde in una grotta e addestra segretamente un suo perfetto sosia affinché un giorno possa sconfiggere Yang Kang e riabilitare il suo nome. Non ha però considerato i sentimenti che la moglie segretamente prova per la sua “ombra” e i mille intrighi che la corte nasconde.

Il regista cinese Yimou Zhang nel 2002 aveva realizzato il suggestivo film Hero rielaborando la trama del capolavoro del grande maestro del cinema giapponese Akira Kurosawa, Rashomon, in cui una stessa storia viene raccontata e rappresentata da punti di vista diversi a seconda del personaggio narrante, dando vita ad un trionfo estetico di colori e movimenti davvero notevole, supportato da una storia coinvolgente con un twist interessante nel finale e attori molto fascinosi. 

Hero, 2002

Anche con Shadow Yimou Zhang procede da spunti e suggestioni prese da Kurosawa: la pioggia battente e senza fine (Rashomon), la figura femminile che spicca nel finale per colori a contrasto, movenze ed espressioni molto cariche (Trono di Sangue), il sosia “ombra” che sostituisce il combattente nelle situazioni più pericolose (Kagemusha). Questa volta però, a contrasto con la saturazione policroma di Hero, il regista mette in scena un mondo in bianco e nero rappresentando e al contempo negando la classica contrapposizone tra Yin e Yang, bianco e nero, bene e male: in modo fin troppo didascalico i personaggi si allenano al combattimento in un’arena a forma di Yin-Yang, e i personaggi stessi proclamano come non esistano giusto o sbagliato ma solamente ciò che accade e ciò che non accade. In questo film non ci sono buoni o cattivi, eroi o malvagi, ma ogni personaggio è “grigio”, amorale, guidato da motivazioni imperscrutabili e in fin dei conti irrilevanti. Lo stesso finale aperto ci lascia nell’ignoranza di cosa sia accaduto, quale decisione sia stata presa: eppure la scelta finale non è rilevante, in quanto nulla di ciò che accade può dirsi giusto o sbagliato. Se l’idea di fondo è abbastanza interessante, la resa è decisamente poco incisiva: gli attori appaiono a loro volta “grigi”, senza saper infondere vita nei loro personaggi, che restano sagome di cartone utili al regista per esporre la sua tesi ma prive di anima; la continua ricerca estetica in ogni singola inquadratura sovrasta ogni dialogo, ogni azione e ogni dinamica tra i personaggi; il ridicolo involontario arriva con forza nella scena in cui si invitano i combattenti a “maneggiare gli ombrelli con movenze femminili” per vincere la battaglia.

In definitiva questa nuova estetica e filosofia cinematografica del regista cinese non mi ha convinta, soprattutto per via della decisione di anteporre il messaggio alla rappresentazione, a discapito ovviamente della forza del film, divenuto manifesto di una visione interessante ma trasmessa in modo troppo diretto: più manifesto estetico/filosofico che film.

Voto: 2 Muffin

Doom Slayer Collection Tag

Non sono esperta di videogiochi, anche se ce ne sono alcuni che mi hanno appassionato.

A Doom non ho mai giocato, ho solo visto il film (ovviamente, c’è The Rock!), però ho deciso di rispondere comunque al tag del Blog di Tony, ricorrendo al cinema quando non avevo esperienze di videogiochi sufficienti per rispondere (cioè spesso).

Ho quindi risposto alle domande poste da Austin Dove nel suo blog: leggendole potreste scoprire qualche curiosità in più su di me…

  1. Doom Slayer Collection, la prima raccolta importante di cui ti ricordi

Ovviamente il cofanetto con tutti i film di 007 (tutti fino a Skyfall): in realtà il proprietario è Papà Verdurin ma ormai l’ho usucapito.

  1. The Ultimate Doom, il primo capitolo di una saga iconica che ami

Le emozioni provate alla prima cinematografica della Compagnia dell’Anello saranno molto difficilmente replicabili.

  1. Doom 2, un videogioco che colleghi a tuo padre

Prince of Persia: lo avevo su floppy disc e ci giocavo sempre da piccola ma non riuscivo a sconfiggere lo scheletro al terzo livello: ci ha pensato Papà Verdurin!

  1. Doom 3, un videogioco che colleghi a tua sorella

Non ho una sorella, ma sarò per sempre grata a mio fratello che mi ha fatto scoprire la Play Station con l’Assassin’s Creed di Ezio Auditore in un momento in cui avevo proprio bisogno di qualcosa che mi distraesse.

  1. Doom 2016, un acquisto indotto dai consigli ricevuti

Molti film di Kurosawa, consigliati naturalmente da Papà Verdurin. Alcuni non li ho ancora visti ma degli altri mi sono innamorata.

  1. Torre di Babele, un videogioco o un film di cui hai tanto sentito parlare prima di provarlo

Non volevo assolutamente vedere Moulin Rouge, pensavo fosse una scemata romantichella… ora è tra i miei film preferiti!

  1. Torre Argent, l’opera che hai amato ma che ha un dettaglio che odi

Adoro il film Labyrinth, la sua colonna sonora, i pupazzi, David Bowie, tutto… tranne Jennifer Connelly!

  1. Pinky Demon, il nemico più difficile da sconfiggere ma non boss

Nel videogioco Ni No Kuni (splendido!) prima del boss finale, la Strega Cinerea, c’era un mostro marino con tentacoli che ne spawnava altri mille… difficilissimo!

  1. Rune, il libro di cui ha volutamente saltato pagine durante la lettura

Mai fatto. Semmai abbandono il libro, ma la paura di essermi persa qualcosa sarebbe troppo grande (timore congenito in ogni appassionato di libri gialli immagino).

  1. La terra dei giganti, il videogioco in cui vi siete persi

Ni No Kuni, l’ho rifatto due volte cercando di fare ogni quest/obiettivo secondario/trofeo eccetera e ogni volta staccarmene è un supplizio!

  1. Cybermancubus, un’aggiunta al franchise divenuta iconica e che ami

Il Re Scorpione, nato da una costola della serie La Mummia, con protagonista Dwayne “The Rock” Johnson: lo adoro! Ed ecco anche il collegamento con Doom 😉

  1. Cyberdemon, il boss o villain più iconico

Qui entro nella saga di 007. I cattivi sono tutti ben riusciti e molti interpretati da grandi attori, ma su tutti spicca lo Scaramanga di Christopher Lee in L’Uomo dalla Pistola d’Oro.

  1. Spider Mastermind, il boss o villain più bistrattato nel franchise

Sempre epopea bondiana, il povero Ernst Stavro Blofeld, che se in questo nuovo capitolo ha fatto proprio una brutta fine era già stato precedentemente gettato in una ciminiera, nonostante fosse in sedia a rotelle: inclusività alla 007!

  1. I corridoi di Marte, il film o videogioco che ti ha trasmesso più ansia

In genere sono terrorizzata dagli horror asiatici, in particolare Ringu, Yu-On e Two Sisters mi hanno tolto il sonno per mesi!

  1. Doom Slayer, il personaggio protagonista più temerario e misterioso

Ezio Auditore. No, Michael Fassbender proprio per niente!

U: Solit – Udine

U – SOLIT – UDINE

Trovo che sia meraviglioso il modo in cui le nostre passioni (nel mio caso, inutile dirlo, il cinema) possano avvicinare tra loro persone completamente diverse, che magari non si sarebbero mai neppure rivolte la parola se non si fossero trovate sedute vicine in una sala cinematografica o in coda per farsi firmare un autografo. Io mi ritengo una persona molto fortunata perchè sono riuscita nel corso degli anni a mantenere molte delle amicizie a cui tenevo di più. Tra queste una mia cara amica conosciuta a soli quindici anni sui banchi di scuola cui mi riferirò col suo titolo nobiliare “Contessa Arruffapopoli“. È davvero difficile immaginare due ragazze più diverse di noi per idee politiche, modo di vestire, scelta degli hobby, degli amici e dei passatempi (non sempre dei ragazzi, tuttavia, e questo portò all’unico e solo screzio tra di noi): ma proprio per questo, in questi anni, abbiamo avuto modo di arricchirci a vicenda di esperienze che, da sole, di certo non avremmo mai fatto, e di allargare l’una gli orizzonti dell’altra. Alla base di tutto, certo, abbiamo sempre avuto in comune l’amore per le famigerate materie umanistiche (che ci portò ad attraversare assieme prima il liceo classico e poi la facoltà di lettere), letteratura, teatro, e anche cinema. Fu così che decidemmo di prenderci qualche giorno tutto per noi e partecipare al FEFF (Far East Film Festival) di Udine insieme. Prenotammo un piccolo B&B e partimmo, entusiaste e curiose. Eravamo partite con un giorno di anticipo per avere il tempo di visitare la città, ma Udine si rivelò una delusione, una cittadina piccola e con poche attrattive, giusto appena animata da alcune bancarelle a tema orientale in occasione del festival. Avremmo dovuto sospettarlo quando, arrivando dalla stazione verso il centro, ci imbattemmo in una gigantesca scritta su un muro: SOLIT – UDINE. Insomma, più chiaro di così… Poi iniziò il festival, e per quattro giorni non ci fu più tempo per niente altro, a malapena per mangiare. Le proiezioni  iniziavano alle dieci del mattino e continuavano senza soluzione di continuità (giusto un’oretta scarsa per il pranzo) fino a sera. Fu un’esperienza immersiva stupenda, di quelle che poi, una volta messa su casa e famiglia, diventano un’utopia. Vedemmo film belli e brutti, divertenti e tristi, violenti e romantici… si passava da un genere all’altro, da un paese orientale all’altro, senza respiro. Ricordo che, mentre passavamo come al solito di fretta da una sala all’altra, dissi alla Contessa Arruffapopoli: “Finora il film che mi è piaciuto di più è stato quel drammone vietnamita… quello che abbiamo visto l’altro ieri…”. La mia amica mi guardò sorniona e mi corresse: “Guarda che lo abbiamo visto stamattina!”. In contesti del genere il tempo si dilata, e si finisce per perderne completamente la cognizione. Ritornammo a casa stordite, un po’ confuse, ma sicuramente felici e soddisfatte dell’esperienza. Ritentammo l’anno successivo, ma lo sciopero dei treni ce lo impedì. Così quei quattro giorni restano unici e memorabili, come esperienza culturale senza dubbio ma anche come tassello di una grande e duratura amicizia. Alla faccia della solit-Udine.