Non c’è niente da ridere

Ho già avuto modo di parlare di RaiPlaySound e dei suoi diversi contenuti (radio, podcast, audiolibri, musica…) realizzati appositamente per essere ascoltati e non guardati, e di come io abbia scoperto gli audiolibri, con le loro rose e le loro spine.

Ho voluto quindi provare qualcosa di diverso e la mia attenzione è stata attratta da questo podcast dal titolo: Non c’è niente da ridere. 

Il programma è ideato e condotto da Carlo Amatetti, editore della casa editrice Sagoma, che negli anni si è impegnato affinché le biografie di comici e attori brillanti potessero venire date alle stampe. La voce dello stesso Amatetti ci guida in questo viaggio lungo 10 puntate attraverso le vite, contrassegnate da alti e bassi, fama e disperazione, successo e infamia, di 10 tra i più grandi nomi legati alla comicità Made in USA.

Questa discesa agli inferi, che spesso si nascondono dietro le risate scatenate nel pubblico entusiasta, inizia con la vita di Richard Pryor, che io personalmente ricordo come divertentissimo partner di gene Wilder nello spassoso Non guardarmi, non ti sento, la cui vita viene distrutta dalla malattia (sclerosi multipla) ma soprattutto dalla droga.

La seconda tappa si concentra proprio su Gene Wilder, indimenticabile Willy Wonka nel celebre film tratto dal libro di Roald Dahl La Fabbrica di Cioccolato e impagabile Dottor Frankenstein (ma si pronuncia “Frankenstin!) per la regia di Mel Brooks.

La terza puntata ha come protagonista John Belushi, mai dimenticato Jake Blues nel mitico Blues Brothers di John Landis, e la sua troppo prematura scomparsa causata dalla droga, che per la prima volta scuote gli animi di tutte le celebrità di Hollywood che all’epoca consumavano cocaina ed eroina senza freni.

Discorso simile per Robin Williams, che mi ha accompagnato  a partire dalla mia infanzia interpretando classici come L’Attimo Fuggente, Mrs. Doubtfire, Jumanji: dietro il suo incredibile talento abitavano purtroppo i demoni dell’alcol, della droga e della depressione che ce lo hanno portato via troppo presto.

Fa ridere solo a guardarlo: Marty Feldman, il fedele Igor (ma si pronuncia “Aigor”!) che rende, insieme al genio di Mel Brooks e al talento di Gene Wilder, il film Frankenstein Junior un capolavoro senza tempo. Ma anche nella sua vita ci sono stati moltissimi problemi…

Andy Kaufman, un personaggio che sembra inventato ma che è esistito davvero, con uno strabordante talento che lo ha portato alla gloria ma anche all’eccesso, fino a perdere se stesso dentro ai suoi personaggi.

L’episodio per me più scioccante è stato il settimo, in cui ho scoperto che Bill Cosby, che tanto mi ha fatto ridere da piccola con la serie I Robinson, era in realtà uno stupratore che ha abusato di decine di ragazze: la domanda “E’ possibile scindere l’artista dall’uomo?” ancora una volta non trova risposta.

Non conoscevo per niente invece Lenny Bruce, pioniere della stand up comedy finito più volte nei guai a causa della volgarità, scorrettezza e oscenità dei suoi spettacoli.

Un’altra dolorosa scoperta per me, quella della follia di Peter Sellers, comico eccezionale (per me raggiunge i massimi livelli in Hollywood Party di Blake Edwards) ma anche attore drammatico (superba la sua interpretazione del giardiniere protagonista di Oltre il Giardino di Hal Ashby, eppure nella vita squilibrato, maleducato, irrispettoso, scostante e sgradevole con tutti, amici, colleghi e familiari.

L’ultimo episodio è invece incentrato sulla figura esemplare di Lucille Ball, la prima donna a intraprendere, e con grandissimo successo, la carriera di stand up comedian e attrice brillante, dimostrando una volta per tutte che una donna può essere bella, intelligente e divertente allo stesso tempo.

Consiglio vivamente questo podcast a tutti gli amanti del cinema, che siano amanti della commedia o meno: perchè, in fondo, Non c’è niente da ridere.

20 pensieri riguardo “Non c’è niente da ridere

  1. Ottima segnalazione 😉
    I giovani comici di oggi (lo dicono loro stessi) sono cresciuti nel mito e nell’adorazione di Lenny Bruce, dimenticando che però lui parlava in un’epoca diversa e a una platea diversa, con una base culturale profondamente diversa: qualcuno un giorno dovrà studiare i giovani italiani degli anni Dieci e Venti del Duemila che imitano un comico americano degli anni Cinquanta del secolo precedente 😛

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  2. Ottima segnalazione 😉
    I giovani comici di oggi (lo dicono loro stessi) sono cresciuti nel mito e nell’adorazione di Lenny Bruce, dimenticando che però lui parlava in un’epoca diversa e a una platea diversa, con una base culturale profondamente diversa: qualcuno un giorno dovrà studiare i giovani italiani degli anni Dieci e Venti del Duemila che imitano un comico americano degli anni Cinquanta del secolo precedente 😛

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      1. Infatti in Italia è ampiamente ristampato (e amato) il celebre saggio del comico: “Come parlare sporco e influenzare la gente”. Però capisci che parlare sporco negli anni Cinquanta è una cosa, farlo nel 2023 è un po’ diverso. Soprattutto se chi lo fa si limita a essere volgare e non ha un sottotesto di satira sociale.
        I comici anglofoni contemporanei usano le parolacce sì, ma perché la lingua inglese si basa all’80% su “Shit” e “Fuck”, non sono parolacce, sono costrutti grammaticali 😀
        Curiosamente tutti i giovani comici italiani citano Ricky Gervais ma col cavolo che si rifanno a lui per la millimetrica costruzione dei monologhi, molto più facile parlare sboccato.
        P.S.
        Visto che non l’hai citato, nel caso ti consiglio il film “Lenny” (1974) di Bob Fosse, con il pulitino Dustin Hoffman a interpretare il ruvido comico. Certo, il doppiaggio italiano non è il modo migliore per capire un personaggio che viveva di parole, ma lo ricordo come un film interessante per farsi un’idea del personaggio.

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      2. Sono d’accordo, è la stessa differenza che passa tra i punk degli anni ’80 e quelli che oggi si fanno i capelli blu o verdi: non lo nota più nessuno! Grazie del consiglio, non conoscevo proprio il film, cercherò la versione originale magari se no avrò l’impressione di vedere un film di Scorsese con De Niro visto che il doppiatore è sempre Amendola 🙂

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  3. Bill Cosby è stato un colpo un po’ per tutti, io adoravo la sua serie, anche perché non è stato semplicemente accusato di usare i sonniferi per stuprare diverse donne, lo ha ammesso direttamente lui.
    E la cosa più assurda è che la collega Phylicia Rashad (Claire ne I Robinson) lo ha difeso per anni, nonostante la sua ammissione di colpevolezza.

    Non è un comico, ma se ti può interessare, pare che l’attore del Reverendo in Settimo cielo abbia anche lui uno scandalo sessuale nel curriculum: abusi su minori.
    Vatti a fidare dei padri di famiglia televisivi…

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    1. Tantissimi attori, registi e personaggi dello spettacolo sono stati coinvolti in scandali e hanno tenuto comportamenti non sempre irreprensibili: Woody Allen, Roman Polanski, Charlie Chaplin, Charlie Sheen. Bisogna scindere l’uomo dall’artista o condannare le sue opere in toto in virtù della sua condotta? Non è un dilemma di semplice risposta. Ma dal Reverendo di Seventh Heaven proprio non me l’aspettavo, dico davvero!

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      1. Personalmente ho sempre separato l’artista dall’uomo, questione che da giovane mi è stata portata all’attenzione dal te citato Woody, che in “Pallottole su Broadway” parla proprio di questo, con una persona pessima come un gangster che però esce fuori essere un bravissimo drammaturgo. La sua arte merita anche se la sua vita è spregevole?
        Vogliamo parlare di che personcina “squisita” fosse Picasso? O di cosa facessero tutti gli artisti della storia occidentale nel loro tempo libero? Non cose moralmente ineccepibili.
        Una vita morigerata me l’aspetto e la pretendo da chi “vende” la propria vita, tipo un politico (ahahah), ma gli artisti non offrono la propria vita, bensì la propria arte quindi le due cose per me vanno scisse, esattamente come quando compro il pane non mi informo sulla vita sessuale del panettiere 😛

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      2. Certo, l’artista non deve necessariamente essere anche un santo, noi lo ammiriamo per quello che crea non per quello che fa nel suo tempo libero, non c’è niente di sbagliato in questo. Però, e qui parlo solo per me stessa, in alcuni casi trovo quasi impossibile godermi le opere dell’artista dopo essere venuta a conoscenza di determinati comportamenti. Ad esempio, io adoravo Woody Allen, ho visto Prendi e Scappa un milione di volte, ma da quando ho saputo che ha sposato sua figlia non sono più riuscita a godermi nulla di fatto da lui. Forse è un mio limite, ma con Woody è stato così. Lo stesso però non mi è successo con Chaplin. Misteri della psiche.

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      3. Credo che molto lo faccia anche l’apprezzamento per l’artista prima della scoperta: se non lo conoscevo prima che si sapesse dei fattacci, mi passa un po’ la voglia di conoscerlo dopo.
        Se l’apprezzamento era blando prima del fattaccio, idem.
        Se invece era venerazione artistica, passa la religione e rimane il piacere delle opere.
        Almeno per me.

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      4. Personalmente, ho deciso che da certa gente prenderò il meglio e lascerò loro il pattume, senza scordare le porcate che hanno fatto. Vedi alla voce Polanski: lavoro notevole, persona orribile.
        Il problema è quando l’accesso alle opere viene bloccato alla fonte, per non dover sentire le critiche dei “guerrieri della giustizia sociale”: film che spariscono dai palinsesti, libri mai più ristampati, doppiaggi cambiati…

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    1. Non ne sapevo niente e mi ha scioccato. A quanto pare Phylicia Rashad, che nella sitcom I Robinson interpretava la moglie di Cosby, ha continuato a difenderlo fino alla fine nonostante l’evidenza della sua colpevolezza: tale era il fascino che Bill esercitava su chi gli stava attorno, e sugli spettatori.

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      1. Nel post hai nominato un altro comico che mi ha fatto molto ridere, Robin Williams. Tra l’altro non ho mai creduto che si sia suicidato: la modalità che avrebbe scelto per togliersi la vita (legare l’estremità di una cintura alla maniglia di una porta, sedersi davanti alla porta, legarsi al collo l’altra estremità della cintura e tirare fino a rimanere soffocato) è decisamente troppo cervellotica, è chiaro come il sole che si è trattato di una messinscena.
        Mi ha causato altrettanto dispiacere la vicenda legale che ha riguardato Bill Cosby: un po’ perché è stato un mito della mia infanzia, un po’ perché mai nella vita avrei pensato che quell’uomo così simpatico e adorabile potesse avere un lato così oscuro. Non ci avrei creduto neanche se l’avessi visto con i miei occhi (e infatti per un bel pezzo gli ho concesso il beneficio del dubbio, poi ho dovuto arrendermi all’evidenza).

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      2. Già la morte di Robin Williams rimane ancora non del tutto chiara, anche se nel podcast spiegano che soffriva di una malattia che poteva facilmente portare a depressione e pensieri suicidi. In ogni caso ricordo bene che la notizia è stata un colpo, era una presenza stabile e sempre divertente della mia infanzia. Per quanto riguarda Cosby, come te, faccio fatica a crederci: da piccolina vedevo sempre i Robinson e mi faceva tanto ridere, chi se lo sarebbe mai potuto aspettare?

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