Leggere Lolita a Teheran

Titolo originale: Reading Lolita in Teheran

Anno: 2024

Regia: Eran Riklis

Interpreti: Golshifteh Farahani, Zar Amir, Mina Kavani

Leggere Lolita a Teheran è la vera storia, tratta dall’omonimo romanzo in cui lei stessa la racconta, di Azar Nafisi, docente di letteratura inglese all’università di Teheran, che dopo la rivoluzione islamica di Khomeini si ritrova a spiegare capisaldi della cultura occidentali come Il Grande Gatsby, Orgoglio e Pregiudizio e Lolita a dei ragazzi che li considerano osceni e immorali, ma anche a delle studentesse che solamente tramite questi testi possono concepire una vita lontana dalla repressione e dalle costrizioni che la religione e la cultura islamica impongono loro.

Il film Leggere Lolita a Teheran, che ha vinto il premio del pubblico alla Festa del Cinema di Roma, è un racconto autobiografico, e proprio in questo sta la sua grande forza, perchè ci permette di osservare dall’interno un fenomeno sociale e politico agghiacciante, ovvero l’installazione di un regime di stato religioso soffocante e oppressivo, soprattutto nei confronti delle donne, nell’Iran degli anni ‘80. La protagonista Azar Nafisi, avendo vissuto per anni in Inghilterra e negli Stati Uniti, sente tutto il peso di una realtà in cui la donna è ridotta a un nulla, senza diritti nè voce, e cerca di trasmettere alle sue alunne, prima con le lezioni all’università e poi istituendo un circolo letterario clandestino in casa sua, quella fiducia in se stesse e quelle speranze che il loro paese sta togliendo loro, senza che chi ha sempre e solo vissuto in questo ambiente oppressivo e misogino possa rendersene conto.

Il film parte molto bene, mostrando come i mutamenti sulla scena politica si riflettano sulla vita delle persone comuni, e sulle giovani donne in particolare, e di quanto queste ne soffrano ma siano spesso perfino incapaci di rendersene conto; ogni tentativo di reazione, poi, viene punito severissimamente, con il carcere, lo stupro e spesso la morte. In questa prima parte il racconto è molto incisivo, e delinea chiaramente una situazione di disagio e di pericolo costante. 

Nella seconda parte però il focus si sposta dallo studio della letteratura occidentale come strumento di riflessione, presa di coscienza ed emancipazione ai tormenti interiori della professoressa, che ama molto l’Iran ma allo stesso tempo non può più sopportare quella vita. Il tutto quindi si riduce a un conflitto interiore della protagonista, che naturalmente è comprensibile ma non così interessante da reggere il peso di tutta la narrazione. Non aiuta poi la figura dell’amico ex collega rappresentato come un guru ma che in realtà non fa che snocciolare frasi enigmatiche prive d’interesse e significato: il rapporto con lui e l’amore condiviso per i libri occidentali proibiti avrebbe meritato maggior spessore, così come le storie delle singole allieve e il punto di vista della madre di Azar.

In conclusione un film bello, necessario e con alcuni spunti potenti, ma che poteva diventare ancora più incisivo e importante. Non ho letto il libro da cui è tratto perciò non sono in grado di fare confronti, ma sarei curiosa di capire se lì la letteratura occidentale avesse un peso maggiore nello sviluppo degli eventi narrati, cosa che avrebbe arricchito enormemente il film.

Voto: 2 Muffin

Lupi Mannari

Titolo originale: Loups-Garous

Regia: François Uzan

Interpreti: Jean Reno, Franck Dubosc, Suzanne Clément

Dove trovarlo: Netflix

Una famiglia alle prese con normali problemi delle famiglie: il nonno (Jean Reno) un po’ svampito a causa dell’età, figli adolescenti problematici, difficili rapporti tra figliastri/figliastre e matrigne/patrigni, vita di coppia complicata.

Ma se tutti i membri della famiglia decidono di partecipare a un gioco da tavolo ambientato nella Francia medievale…. e improvvisamente si ritrovano catapultati indietro nel tempo? 

La famiglia deve superare le divergenze e unirsi per trovare il modo di tornare a casa… ma prima deve fare i conti con i lupi mannari!

Nel 1985 uscì un film bellissimo tratto da un gioco da tavolo: Signori il Delitto è Servito, tratto dal classico Cluedo (in originale infatti il titolo è Clue). Si tratta di un film spassoso e con un ottimo cast. 

Ecco, anche Lupi Mannari è basato su un gioco da tavolo molto famoso, Lupi Mannari di Roccascura, ma il risultato è lontano anni luce dal film interpretato da Tim Curry, Leslie Ann Warren, Madeline Kahn, Eileen Brennan e Christopher Lloyd.

Io ho giocato innumerevoli volte a un gioco di carte gemello di Lupi Mannari di Roccascura che si chiama Lupus in Tabula e mi ha regalato ore e ore di divertimento con gli amici, perciò non saprei dire se il film possa essere più divertente non conoscendo le dinamiche del gioco. Lo spettatore che le conosce bene si aspetterà fin da subito che succedano determinate cose e saprà in anticipo spiegarsi gli strani poteri che i personaggi si ritrovano ad avere una volta tornati indietro nel tempo. Nonostante questo il film resta un intrattenimento dignitoso, adatto a tutta la famiglia: infatti, anche se si parla di lupi mannari assassini, di fatto non viene mostrata alcuna uccisione o scena violenta sullo schermo. Sarebbe stato un controsenso, infatti, visto che ci troviamo di fronte al tipico film per famiglie che tratta di conflitti e difficoltà che vengono superati nel nome dell’affetto che lega tutti i familiari. Il film, pur senza avere trovate particolarmente originali, scorre via liscio e senza intoppi, a patto che si accettino alcune forzature dovute all’adesione alle dinamiche del gioco e all’ambientazione medievale. Bisogna anche portare pazienza per il senso dell’umorismo francese, che in alcune scene lascia molto perplessi.

Nel complesso però Lupi Mannari è un filmetto innocuo e divertente per passare una serata rilassante in famiglia.

Nessuno però mi toglierà dalla testa che Jean Reno, come Eddie Murphy nell’esilarante Bowfinger, sia stato ripreso a sua insaputa e non sapesse di essere in questo film, e che lo abbia scoperto solo più tardi quando gli hanno consegnato l’assegno (o il panino alla mortadella, o qualunque sia stato il suo compenso).

Una curiosità: se durante la visione vi ritrovate a pensare intensamente a Non ci Resta che Piangere, la commedia italiana in cui Roberto Benigni e Massimo Troisi si ritrovano inspiegabilmente nel 1492 (“quasi millecinque”) non è un caso: è indubbio che il regista  Francois Uzan lo conosce molto bene!

Voto: 2 Muffin

Il Tempo che ci vuole

Anno: 2024

Regia: Francesca Comencini

Interpreti: Fabrizio Gifuni, Romana Maggiora Vergano

Racconto autobiografico, scritto e diretto da Francesca Comencini, di alcuni momenti salienti del suo rapporto con il padre Luigi Comencini, celebre regista italiano autore di classici del nostro cinema come Pane Amore e Fantasia, Tutti a Casa, ll Compagno Don Camillo, La Donna della Domenica e Signore e Signori, Buonanotte, oltre al famosissimo sceneggiato televisivo tratto da libro Pinocchio. Dall‘infanzia di Francesca alla travagliata adolescenza fino a trovare la sua strada sulle orme del padre.

Il film mi è piaciuto molto, credo che nessun cinefilo possa dire di no all’idea di scoprire qualcosa di più su un regista così importante come Luigi Comencini, anche considerando il fatto che non siamo di fronte ad un documentario e che molti avvenimenti e dialoghi potrebbero non essere autentici. In ogni caso mi hanno molto colpita l’affetto e il rispetto con cui Francesca Comencini ha raccontato Luigi, che senza dubbio in alcune fasi della sua vita deve essere stato per lei un padre piuttosto ingombrante e dal quale non si sentiva capita. Ho apprezzato gli interpreti, in particolare Fabrizio Gifuni nel ruolo di Luigi, l’amore per le città di Roma e di Parigi che traspare dalle inquadrature, l’equilibrio tra racconto del cinema e racconto della vita, che scorrono a tratti parallelamente ma senza incontrarsi, a tratti indissolubilmente intrecciati. Quel pizzichino di realismo magico alla Zavattini poi mi ha soddisfatto molto, coerente con la figura di artista che ci viene raccontata e che abbiamo tutti imparato a conoscere e amare attraverso il suo cinema.

Mi resta un’unica riserva, non avendo visto altri film di Francesca Comencini, mi domando se sia in grado di raccontare altro rispetto al padre e a se stessa (sappiamo dal film che il suo esordio dietro la macchina da presa, nel 1984 con Pianoforte, è stato sempre all’insegna dell’autobiografia): non mi resta che procurarmi altri film diretti da lei per scoprirlo!

Voto: 3 Muffin

Little Miss Sunshine

Anno: 2006

Regia: Jonathan Dayton, Valerie Faris

Interpreti: Abigail Breslin, Steve Carell, Toni Collette, Greg Kinnear, Alan Arkin, Paul Dano, Bryan Cranston

Dove trovarlo: Disney Plus

Quando la piccola Olive (Abigail Breslin) viene selezionata per partecipare al concorso di bellezza e talent show per bambine Little Miss Sunshine in California, tutta la sua famiglia si mette in viaggio con lei a bordo di uno scalcinato furgoncino giallo: il padre (Greg Kinnear) in attesa che il suo libro motivazionale venga pubblicato, la madre (Toni Collette) che fuma di nascosto, il fratello (Paul Dano) che ha fatto voto di silenzio fino a che non sarà accettato alla scuola militare per piloti, il nonno (Alan Arkin) cocainomane e sboccato, e lo zio (Steve Carell) che ha da poco tentato il suicidio.

Questo piccolo gioiello del 2006 ha vinto moltissimi premi in vari festival; tra questi riconoscimenti spiccano le 4 nomination agli Academy Awards che lo hanno portato a vincere 2 premi Oscar: migliore sceneggiatura originale per Michael Arndt e miglior attore non protagonista per Alan Arkin, che nel film interpreta il peculiare nonno di Olive.

Tutti gli allori ricevuti sono più che meritati: il film infatti è una gioia per gli occhi e per il cuore, divertentissimo ma anche molto commovente e intelligente, interpretato da tutti in modo magistrale (anche Bryan Cranston ha un ruolo, seppur minore, arricchendo anche il cast di comprimari). Si potrebbe dire che i coniugi Jonathan Dayton e Valerie Faris (che 11 anni dopo torneranno a dirigere Steve Carell nell’ottimo Battle of the Sexes) hanno vita facile, con una sceneggiatura così fresca e acuta e un cast meraviglioso, ma non è da sottovalutare la loro abilità nel creare sequenze divertenti, inquadrature significative e collegamenti tra le scene che sottolineano l’evoluzione dei personaggi. faccio un esempio di quest’ultima tipologia: mentre alla partenza alcuni personaggi hanno bisogno di aiuto per salire sullo scalcinato pulmino giallo in corsa, nel finale tutti riescono a montare in autonomia, ad indicare l’arricchimento psicologico ed emotivo che tutti hanno guadagnato con quello strano viaggio e quella improbabile compagnia. Little Miss Sunshine è un road-movie corale che sposa tutti gli stilemi del genere ma li sa sfruttare tutti con grande intelligenza e originalità, dando vita a un’opera ricca, spassosa, acuta e senza un solo momento di noia. Avevo visto il film molti anni fa ma lo ricordavo bene, perchè scene e personaggi si erano impressi con forza nella mia memoria. Rivedendolo oggi, questa volta in lingua originale, ho avuto modo di apprezzare ancora una volta la sapienza con cui è costruito, le ottime interpretazioni e l’intelligenza dei dialoghi; certo la prima volta resta unica per la sorpresa dell’esibizione al talent show, di cui non svelerò nulla per non togliere il divertimento a chi non ha mai visto il film. Non saprei cosa aggiungere per convincere tutti a vederlo, è un film davvero splendido, che critica molti aspetti dello show business americano (e non solo) senza risultare mai scontato o pedante, in grande leggerezza e con simpatia infinita. Gli attori fanno a gara di bravura, i personaggi entrano nel cuore, lo scassato furgoncino giallo diventa icona e simbolo di evoluzione personale e legami indissolubili.

Da vedere e rivedere.

P.S. Nel film il personaggio di Steve Carell è il massimo esperto mondiale di Marcel Proust: poteva Madame Verdurin rimanere indifferente?

Voto: 4 Muffin

Vermiglio

Anno: 2024

Regia: Maura Delpero

Interpreti: Tommaso Ragno, Martina Scrinzi, Giuseppe De Domenico

La Seconda Guerra Mondiale sta per volgere al termine quando la numerosa famiglia Graziadei, si ritrova a dare rifugio a un disertore siciliano, Pietro (Giuseppe De Domenico), che ha salvato la vita al giovane Attilio. Ma una presenza straniera in un minuscolo paese di montagna come Vermiglio non può non avere conseguenze.

Su Cinemuffin ho sempre e solo riportato pareri originali, condivisibili o meno, tutta farina del mio sacco; questa volta invece voglio citare testualmente la recensione, succinta e caustica, fatta di questo film da Papà Verdurin: “Vermiglio è la versione povera di L’Albero degli Zoccoli”. E non c’è alcun dubbio sul fatto che la regista e sceneggiatrice Maura Delpero si sia ispirata moltissimo al maestro del cinema italiano Ermanno Olmi, in particolar modo nell’incipit del film, privo di parole ma ricco di paesaggi e squarci di vita rurale molto suggestivi. Quello che purtroppo manca è la grande poesia che Olmi sapeva infondere nei suoi capolavori (ammetto di non averli visti tutti, ma faccio riferimento a, appunto, L’Albero degli Zoccoli e Cantando Dietro i Paraventi), che lasciava senza parole e teneva lo spettatore avvinghiato alle immagini del film nonostante i ritmi lentissimi. Vermiglio rimane comunque un bel film, che non solo ha vinto il Leone d’Argento a Venezia, ma è anche stato selezionato per rappresentare l’Italia agli Oscar del 2025, che però manca di quel guizzo che contraddistingue i capolavori. Regia e fotografia sono encomiabili, la visione in sala accentua la bellezza delle immagini e dei paesaggi; peccato però che, dopo gli infiniti titoli di testa enuncianti i numerosissimi enti sponsor, lo spettatore abbia a tratti l’impressione di assistere ad uno spot pubblicitario sulle vacanze in Trentino Alto Adige. Gli attori, non tutti professionisti, fanno un ottimo lavoro, recitando in dialetto del Trentino (il film infatti è sottotitolato per facilitare la comprensione dei dialoghi) e dando vita a personaggi molto realistici e sfaccettati, anche se non tutti hanno sufficiente spazio per mostrarsi ed evolversi sullo schermo: penso al giovane Attilio, quasi parte dell’arredamento, e alla zia Cesira, mera voce narrante del sentire comune. Ho notato inoltre una tendenza tutta contemporanea, che molto stona con il realismo di base, a rappresentare tutti i personaggi maschili come negativi oppure imbelli pusillanimi, senza vie di mezzo e senza appello; si salvano giusto i bambini piccoli. Un peccato, perchè una rappresentazione più equilibrata dei personaggi avrebbe giovato moltissimo al film, che di dinamiche tra pochi personaggi vive, fino al finale in cui, se non gli sbadigli, comunque un pochino di insofferenza arriva.

Concludendo, Vermiglio è un bel film, da vedere ma difficilmente da rivedere, con grandi pregi e alcuni difetti importanti: diciamo che non ho contattato l’allibratore per scommetterci come miglior film straniero agli Oscar, ecco.

Voto: 2 Muffin