Inside Out 2

Inside Out 2

Anno: 2024

Regia: Kelsey Mann

Dove trovarlo: Disney Plus

Nel film Inside Out (2015) avevamo fatto la conoscenza di Riley, una bambina dolce e affettuosa ma spaventata e confusa all’idea di trasferirsi con la famiglia in un’altra città. Ma soprattutto avevamo incontrato le Emozioni di Riley: Gioia, saldamente al comando, Paura, Disgusto, Rabbia e Tristezza.

Nel secondo capitolo Riley è ormai adolescente (ha appena compiuto 13 anni) e sviluppa alcune emozioni nuove: Imbarazzo, Ennui, Invidia e Ansia. Nel caos che segue l’arrivo di questi nuovi stati d’animo, Gioia e le altre “vecchie” emozioni vengono allontanate dalla sala controllo di Riley, perchè Ansia vuole gestire tutto quanto; per il bene di Riley. Gioia farà di tutto per riprendere il controllo e rimettere a posto le cose.

Il primo Inside Out era stato davvero audace nell’introdurre la psicoanalisi nel mondo dei cartoni animati rendendola non solo comprensibile per i più piccoli ma anche divertente per tutti: e infatti è stato molto apprezzato da grandi e piccini. Io stessa, dopo averlo visto, mi sono spesso trovata ad immaginare la mia personale sala controllo, con Disgusto saldamente al comando, nei momenti in cui dentro di me emozioni diverse lottavano per il predominio, o per comprendere le motivazioni di certe mie scelte e decisioni all’apparenza incoerenti con la mia natura. Nel primo film avevamo imparato che per crescere, maturare, sviluppare una personalità completa, sono necessarie tutte le emozioni, anche quelle che sembrano essere soltanto negative. Gioia inizialmente cercava di respingere Tristezza, di tenerla lontana da Riley, ma alla fine si rendeva conto che la bambina aveva bisogno non solo della felicità e della gioia, ma anche della malinconia e della tristezza. Nessuna emozione è da respingere o sopprimere, tutte sono necessarie.

Detto questo, ho detto tutto. Anche del secondo film.

Inside Out 2 è un film bello, divertente, commovente, istruttivo e accurato. Ma secondo me non dice nulla che non fosse già stato detto nel primo film. Anche in questo caso vediamo Riley crescere, questa volta passando dall’infanzia alla pubertà, e avere difficoltà ad accettare i cambiamenti nella sua vita. Se nel primo film a spaventarla era il trasloco, in questo caso è la paura di perdere le sue due migliori amiche, che andranno in una scuola diversa dalla sua. Di nuovo vediamo delle emozioni che inizialmente sembrano dannose per Riley ma che in realtà, in collaborazione con tutte le altre, formano le varie sfaccettature della sua personalità, che con la crescita si fa più complessa e variegata. Riley è una brava bambina, ma a volte si comporta male. Riley è una buona amica, ma a volte commette errori. Riley è una figlia affettuosa, ma a volte si arrabbia con i genitori. Crescere e maturare significa appunto accettare questi stati d’animo e questi comportamenti, e tutte le emozioni che li causano. E questo succede infatti. Proprio come nel primo film.

Non sto dicendo che il film non mi sia piaciuto, mentirei, perchè la visione è molto piacevole e ci sono scene davvero spassose e ben realizzate: il caos nel centro di controllo all’inizio della pubertà, gli strani personaggi rinchiusi nel caveau dei segreti (chi non ha riso vedendo la mossa d’attacco del guerriero Lance Slashblade?), le reazioni delle emozioni dei genitori ai primi segnali della pubertà di Riley.

Dico però che questo secondo film secondo me non ha aggiunto nulla di nuovo a quanto già raccontato e mostrato nel primo. Anzi, in questo caso ho trovato che la narrazione si impantanasse spesso, con il vagabondare delle “vecchie” emozioni di qua e di là senza incontri o episodi davvero significativi e mostrando una pletora di episodi della vita di Riley, concentrati in poco tempo, per condensare i cambiamenti del suo carattere in un paio di giornate, seppur cruciali.

Consiglio comunque di vederlo, non solo per completezza ma perchè è una visione interessante e piacevole, ma senza aspettarsi quella scintilla originale che aveva caratterizzato il numero uno.

Portate pazienza fino alla fine dei titoli di coda (come i supereroi Marvel/Disney infatti vi hanno insegnato a fare).

E ora, quando esce lo spinoff su Nostalgia?

Voto: 3 Muffin

Cattiverie a Domicilio

Titolo originale: Wicked Little Letters

Anno: 2023

Regia: Thea Sharrock

Interpreti: Olivia Colman, Timothy Spall, Jessie Buckley, Anjana Vasan

Dove trovarlo: Al cinema

In un piccolo paesino inglese, poco dopo la fine della Grande Guerra, la rispettabile e devota zitella Edith Swan (Olivia Colman) inizia a ricevere una serie di lettere offensive, volgari e diffamatorie. Il padre infuriato (Timothy Spall) la spinge a sporgere denuncia alla polizia locale. Alla centrale nessuno ha dubbi: la colpevole è la vicina di casa di Edith, l’irlandese sboccata Rose Gooding (Jessie Buckley), che viene immediatamente arrestata. Ma la donna poliziotto Gladys Moss (Anjana Vasan) dubita della colpevolezza di Rose e inizia un’indagine per conto suo.

Inizio con un piccolo aneddoto: ho visto il film nella sala cinematografica della scuola salesiana ed ero seduta accanto ad una suora. Quando i personaggi hanno iniziato a leggere ad alta voce le lettere ingiuriose, piene di parolacce, volgarità e riferimenti a pratiche sessuali di vario genere, mi sono un attimo irrigidita sbirciando con la coda dell’occhio la suora… che si stava sganasciando dalle risate! Tutto a posto quindi, il film poteva andare avanti.

MI ero fatta l’idea che il film fosse una commedia, mentre invece, sebbene qualche scena e situazione buffa ci sia, si tratta di una riflessione seria sulla condizione della donna nell’Inghilterra di inizio secolo scorso (e non solo, ovviamente). La donna deve essere devota, sottomessa, obbediente, monogama, pia, casta e diligente; deve tenere la casa pulita e in ordine (“La donna che non pulisce bene il pavimento è una sgualdrina” declama la protagonista); deve preparare il tè per gli uomini che lavorano; deve stare in silenzio.

Inevitabilmente tutte queste restrizioni portano i molti personaggi femminili della storia a reazioni e comportamenti molto diversi, ma tutti in qualche modo affini. Non c’è poi molta differenza tra una donna poliziotto cui viene proibito di svolgere indagini in quanto donna e una bambina cui non è permesso suonare la chitarra perchè “non è una cosa che fa una bambina per bene”. La regista inglese Thea Sharrock, di cui già avevo apprezzato L’Unico e Insuperabile Ivan, sa come gestire un cast in gran forma e personaggi diversi tutti caratterizzati da luci e ombre. Jessie Buckley dà vita a una donna sguaiata e irriverente cui non si può proprio non voler bene; Anjana Vasan conquista nei panni della bistrattata donna poliziotto. Ma le stelle che oscurano tutte le altre sono Olivia Colman, che nei panni di Edith riesce a dare vita a un personaggio tanto fulgente quanto oscuro utilizzando al minimo, che in questo caso è il massimo, espressività fisica e vocale; Timothy Spall ha un ruolo molto difficile ma che ricopre alla perfezione, da grande interprete quale è sempre stato.

Il rischio di cadere nella trappola modaiola di rappresentare una dicotomia donna-buona / uomo-cattivo viene evitata dalle mille sfaccettature dei personaggi femminili e dall’inserimento dell’uomo forte ma saggio, innamorato ma non beota, Bill (il bravo e simpatico Malachi Kirby). Il punto debole del film sono però i personaggi femminili secondari, le amiche di Edith che collaborano all’indagine: molto simpatiche ma presentate e caratterizzate troppo in fretta (“anche io lo so che la mia igiene personale è tremenda” è una battuta che definire didascalica è dire poco). Inutile spendere parole su come l’oppressione vissuta dalle donne del film sia tutt’altro che relegata all’Inghilterra del secolo scorso, ma il film ha il grande merito di riflettere sulla condizione fimminile attraverso le storie dei personaggi senza mai strillare alcuna verità morale o ideologica.

Il titolo originale, Wicked Little Letters (“Piccole Lettere Malvagie”) ha un doppio significato che nella traduzione italiana si perde, ma a parte questo dettaglio il film è davvero molto godibile.

Voto: 3 Muffin

50 km all’ora

Regia: Fabio De Luigi

Anno: 2024

Interpreti: Fabio De Luigi, Stefano Accorsi, Alessandro Haber, Marina Massironi, Paolo Cevoli

Dove trovarlo: Prime Video

Quando il padre Corrado (Alessandro Haber) muore, i fratelli Rocco (Fabio De Luigi) e Guido (Stefano Accorsi) si ritrovano dopo 30 anni in occasione del funerale. E’ chiaro fin da subito che i vecchi rancori familiari non sono sopiti: Rocco è colpevole di aver rivelato al padre il tradimento della madre, mentre Guido se n’è andato da casa giovanissimo per far carriera lasciando il fratello solo ad occuparsi del burbero e rancoroso padre. Eppure, dopo poco, l’affetto fraterno prevale, e i due decidono di portare insieme le ceneri del padre sulla tomba della madre, come lui aveva chiesto prima di morire. Il mezzo prescelto per il viaggio dalla Lombardia alla Romagna? I due motorini costruiti per loro proprio dal padre! L’avventura ha inizio…

Conoscendo il regista (lo stesso Fabio De Luigi), i nomi coinvolti e la trama, mi sono approcciata al film in cerca di una visione senza pretese di originalità ma simpatica e non impegnativa. Ma se avevo ragione da una parte, avevo torto dall’altra. L’assunto di partenza del film è molto banale e abusato: due persone tra loro diversissime per carattere e senso morale si (ri)avvicinano grazie ad un viaggio fatto insieme, come abbiamo visto accadere in decine di road movie. Ero prontissima ad accettare questa premessa, nella speranza di trovare qualche scena divertente, e soprattutto delle dinamiche interessanti tra due personaggi che, sulla carta, sono l’uno l’opposto dell’altro. In realtà il film non è mai divertente, ma proprio mai, in nessun caso, né nei dialoghi nè nelle situazioni nè negli incontri lungo il percorso. E, considerando che si tratta di un film diretto e interpretato da un attore comico, questo mi sembra un difetto importante. Perfino Paolo Cevoli, nel ruolo potenzialmente esilarante di sacerdote che celebra il funerale di un noto egoista burbero e misantropo, resta una macchietta sprecata. In secondo luogo, tutte le azioni e le scelte dei personaggi sono piegate al servizio di una trama che, come già detto, è banale e monodirezionale, a discapito della credibilità e incisività dei personaggi stessi. Rocco dovrebbe essere il figlio timido, introverso, timoroso, che non ha mai trovato il coraggio di allontanarsi dal padre e di correre rischi: eppure gli basta un attimo per mollare tutto e partire, sedurre una completa sconosciuta, partecipare a festini notturni, fare uso di droghe non identificate e altro ancora. Viceversa Guido dovrebbe essere il figlio superficiale, egoista ed egocentrico, ma gli bastano due parole per partire in missione per conto del padre che odiava, mollare il lavoro su due piedi e mettere in discussione tutte le sue scelte di vita. Questo rende molto meno percepibili i conflitti e molto meno interessante l’evoluzione dei personaggi, che anche in un film volutamente leggero ci deve essere. Tutte le situazioni che i due fratelli si trovano davanti sono forzate e poco credibili, così come lo è il loro comportamento: questo rende impossibile giudicare le loro interpretazioni, visto che i personaggi sono inconsistenti e incoerenti (al massimo posso congratularmi per la scena di ballo coreografato). Il film è un vero disastro dal punto di vista della scrittura sotto ogni punto di vista. Dopo un po’ ho capito che il titolo 50 km all’ora non si riferisce solo ai motorini scassati dei due protagonisti, ma anche alla velocità di scorrimento della pellicola percepita dallo spettatore: alla fine del film ero stesa sul divano implorando pietà. Non capisco infatti perchè il film dovesse durare così tanto (1 ora e 50 minuti) quando a stento c’era materiale per un’ora e venti: infatti le scene sono eterne, soprattutto considerando che la loro funzione narrativa è ovvia, sembrano non terminare mai (penso alla festa psichedelica, ma anche al disastroso amplesso con la sedicente cavallerizza o alla partita di calcio nel parco). La parte peggiore però è quella del furto dei motorini, persi ad una scommessa: possibile che un tizio qualunque scovato in un bar possa estrarre una balestra per rincorrere i ladri? Soprattutto quando li avrebbe raggiunti comodamente a piedi? Una scena che nelle mani di Maccio Capatonda sarebbe stata un capolavoro, mentre qui è un pasticcio incomprensibile.

Non è giusto però parlare solo dei lati negativi di questo film italiano. Devo fare infatti i complimenti ad Alessandro Haber, che in pochissime battute riesce a rendersi del tutto insopportabile. Ma soprattutto mi ha sorpreso Marina Massironi, con un’interpretazione della canzone Girls just wanna have fun che non ha nulla da invidiare a quella di Madonna.

Il film non mi è piaciuto e non lo consiglio, ma non per questo voglio male a chi me l’ha consigliato: sono sempre esperienze dopotutto!

Voto: 1 Muffin ipocalorico

Lezioni di Cinema di Paolo Mereghetti

Da quando non ho più il televisore in cucina (sigh), sentendo formentente la mancanza di quel chiacchiericcio che da sempre mi teneva compagnia mentre facevo colazione o lavavo i piatti, ho scoperto i podcast e gli audiolibri, che posso ascoltare comodamente dallo smartphone in qualunque stanza della casa. In particolare ho trovato molti bei podcast, completamente gratuiti (a patto di ascoltare qualche breve spot di quando in quando), sull’app RaiplaySound, di cui ho già parlato.

L’ultimo programma che ho seguito con grande piacere sono le Lezioni di Cinema di Paolo Mereghetti. Mi è già capitato di parlare del noto critico cinematografico italiano, che ho avuto il piacere e l’onore di conoscere di persona, e che da decenni è sempre presente nella mia dimora con il suo imprescindibile Dizionario del Cinema. Il Dizionario, o come scherzosamente lo chiama Papà Verdurin, la “Bibbia”, viene consultato come primissima risorsa in caso di dubbi, amnesie, curiosità e ricerche riguardo alla settima arte; tanto che, man mano che le edizioni si accumulavano, le abbiamo distribuite anche nelle case di vacanza, giusto per essere sicuri di avere sempre un Mereghetti a portata di mano.

Stabilita dunque insindacabilmente l’autorità di Mereghetti, sono stata davvero deliziata nel sentire, dalla sua viva voce, il racconto della nascita e diffusione del cinema, dell’affermarsi via via delle sue diverse figure (l’attore, il regista, lo sceneggiatore), con particolare attenzione al cinema italiano e a ciò che lo ha caratterizzato nel corso dei decenni, dal Neorealismo ai Cinepanettoni. Un ascolto interessante sia per chi già conosce bene la storia del cinema sia per chi vuole farsela raccontare per la prima volta da una delle voci più autorevoli nel panorama della critica italiana. E anche per chi si annoia lavando i piatti…

Taste – My Life through Food

Chi ha avuto occasione di bazzicare di quando in quando Cinemuffin ormai sa che io faccio molto spesso sogni bizzarri. Anche questa volta, tutto è iniziato così: ho sognato Stanley Tucci. La cosa era già incredibile di per sè, visto che non mi capita di vedere un film o una serie con lui da vari anni; anzi, quando ci ho riflettuto mi sono resa conto di ricordare L’attore statunitense principalmente per il suo ruolo in Il Diavolo veste Prada, anche se lo avevo visto in ruoli minori in moltissimi altri film. Nel mio sogno Stanley Tucci aveva pubblicato una sua autobiografia, che era diventata immediatamente un best seller, anzi, uno dei libri più venduti di tutti i tempi, che lo aveva reso celebre in ogni dove. Al mio risveglio non ricordavo il sogno e sono andata, come avevo programmato, a fare delle spese in centro. Passando davanti alla libreria, improvvisamente mi è tornato in mente il sogno… “Ma no, dai…non può essere…” mi dicevo… eppure non ho potuto resistere! Sono entrata e sono andata diretta al (minuscolo) settore biografie della (striminzita) sezione dei libri in lingua originale. Beh, sono rimasta basita (F4) quando mi sono ritrovata tra le mani Taste – My Life through Food (Ci vuole Gusto – La mia Vita attraverso il Cibo, edizione italiana Baldini-Castoldi), di Stanley Tucci! Non propriamente una biografia, anche se l’attore e regista racconta molti episodi della sua vita e della sua carriera, ma un’analisi completa di un determinato aspetto dell’esistenza, per lui imprescindibile: il cibo. Scoprirlo, prepararlo, condividerlo, per Stanley (la cui famiglia ha origini italiane, per la precisione calabresi) sono parte integrante della vita in ogni suo aspetto: lavoro, viaggi, famiglia… e anche l’amore, visto che l’attore e la sua seconda moglie si sono innamorati proprio davanti ai fornelli.

Nel libro, scorrevole e divertente dall’inizio alla fine, Stanley racconta di come la madre gli abbia insegnato ad apprezzare, fin da piccolo, il buon cibo e la convivialità a tavola. Seguono poi i racconti dei suoi esperimenti culinari personali, talvolta disastrosi ma spesso di gran successo, e delle sue incursioni alla ricerca di ingredienti, piatti e sapori unici. Il libro è adatto a tutti, anche a chi non conosca bene l’attore e le sue opere, ma i cinefili apprezzeranno ancora di più i racconti delle esperienze diversissime tra loro con i catering sui set e di come, in alcuni casi, la parte più interessante della lavorazione di un film fossero i ristoranti di cui si poteva godere al termine della giornata lavorativa. Con disinvoltura l’autore ci delizia con grandi nomi del grande schermo, che per lui sono anche grandi amici: Meryl Streep, Marcello Mastroianni, Oliver Platt, George Clooney, Ryan Reynolds. Quest’ultimo in particolare ha un ruolo centrale nell’ultima parte del libro, quando Stanley racconta di come, tra mille difficoltà e sofferenze, abbia superato un tumore alla gola, malattia che per lungo tempo lo ha tenuto lontano dalle scene, ma soprattutto dalla sua grande passione: il cibo! I racconti di quando il suo amico Ryan lo accompagnava alle visite e i dottori (uomini e donne) erano talmente emozionati da rischiare di sbagliare le procedure mediche sul povero Tucci sono esilaranti, pur essendo inseriti in un capitolo molto intenso della narrazione.

Mi sento di consigliare questo libro particolarmente a chiunque ami il cinema e il cibo: all’interno troverà le ricette per una varietà di manicaretti succulenti, suggerimenti per il menù di un banchetto nuziale, una lista di ristoranti da provare (molti dei quali purtroppo ormai chiusi) e una di piatti da evitare ad ogni costo. Inoltre leggerlo mi ha permesso di scoprire una serie di film e di serie tv interpretati o anche diretti da Stanley Tucci che non conoscevo e di cui mi sono messa alla ricerca: diciamo che Taste mi ha messo un certo appetito…

A Proposito dei Ricardo

Titolo originale: Being the Ricardos

Anno: 2021

Regia: Aaron Sorkin

Interpreti: Nicole Kidman, Javier Bardem, J.K. Simmons

Dove trovarlo: Prime Video

Mi sono imbattuta nel nome “Lucille Ball” per la prima volta ascoltando il podcast di Raiplay Sound Non c’è Niente da ridere, in cui Carlo Amatetti presentava in ogni puntata un personaggio del cinema che, sebbene esilarante sullo schermo, spesso aveva avuto una vita privata tormentata. Un’intera puntata era dedicata proprio a Lucille Ball, quasi sconosciuta da noi ma molto famosa invece negli Stati Uniti, dove aveva esordito come modella, per poi diventare attrice di cinema (interpretando anche pellicole di rilievo accanto a star come Katharine Hepburn, Henry Fonda e Ginger Rogers), reinventandosi poi come celebrità radiofonica e approdando infine alla televisione, il mezzo che ha definitivamente consacrato il suo talento. Possiamo dire che Lucille Ball ha inventato, negli anni ‘50, la sit-com come la conosciamo noi, con l’unica differenza che lei amava registrare davanti ad un pubblico dal vivo, mentre oggi le risate di sottofondo vengono quasi sempre aggiunte in postproduzione. Lucille Ball era straordinariamente bella, ma, a differenza di molte sue colleghe, non esitava mai a mostrarsi goffa, impacciata o ridicola. aveva infatti imparato diversi trucchi della clownerie niente meno che da Buster Keaton! La sitcom I Love Lucy!, che per un decennio fermava l’America per mezz’ora ogni sera (ottenendo ascolti più alti dell’incoronazione della Regina Elisabetta, per dire), offriva il palcoscenico perfetto per le acrobazie, i travestimenti e le smorfie di Lucy.

Inevitabilmente un personaggio del genere rimane impresso, così quando mi sono imbattuta nel film A Proposito dei Ricardo che racconta un periodo della vita di Lucille Ball e di suo marito Desi Arnaz (musicista cubano ma anche produttore e co-protagonista dello show I Love Lucy!) non ho resistito. Ricardo è il cognome del personaggio di Desi nella sitcom, il che fa di lui e di sua moglie Lucy, appunto, “I Ricardo”. In genere non sono attratta dalle biografie, perchè tendono a romanzare o comunque piegare gli eventi della storia o della cronaca alle esigenze narrative. Non è questo il caso di questo film, che invece racconta gli eventi con grande realismo (è impostato proprio come un documentario, con tanto di interviste a collaboratori di Lucy e Desi): ma ha ben altri difetti, come vedremo.

In primo luogo, se Javier Bardem è un ottimo Desi Arnaz, bravissimo sia ad esibirsi in sfrenati numeri di conga e di rumba che a dare volto a un personaggio molto innamorato ma anche egocentrico ed egomaniaco, Nicole Kidman è una scelta sbagliatissima per il ruolo di Lucille Ball, per molti motivi. Non che io non apprezzi il fascino e il talento di Nicole, sia chiaro, ma per tutto il film mi sono ritrovata a fissare la vacuità botulinica del suo volto cercandovi una qualche espressività e un barlume della meravigliosa interprete di Moulin Rouge: senza trovare nulla. Mi rendo conto che, nel momento in cui si sceglie una sessantenne per interpretare una splendida quarantenne (che in quel periodo oltretutto metteva al mondo i suoi due figli) le difficoltà siano molteplici. Ma, se Nicole Kidman è molto brava a rendere la Lucille produttrice, che impone con il suo carisma il controllo sulla regia e la sceneggiatura del suo show, non fa nemmeno un tentativo per restituirci la Lucille pagliaccio, con le sue acrobazie e le smorfie che l’hanno resa così popolare. Al contrario, il modo in cui J.K.Simmons aderisce al personaggio di William Frawley (star di I Love Lucy!) è quasi inquietante. Ma per l’altro grosso difetto del film il cast è da assolvere completamente: dilaga infatti negli ultimi tempi la moda di realizzare film biografici che non rispettino la continuità temporale. Questa impostazione inevitabilmente rende difficile, se non impossibile, seguire l’evoluzione del personaggio ritratto per chi già non ne conosca a menadito la vita. Nel film vediamo prima Lucy che lavora in tv, poi Lucy che riceve l’offerta di lavorare in tv, poi Lucy con un bebè, e successivamente Lucy incinta… che guazzabuglio!

Sono rimasta molto insoddisfatta dalla visione, anche se il film ha una conclusione incisiva, con un aneddoto che, per quanto sembri incredibile, è realmente accaduto: quando Lucille venne accusata di essere un membro del partito comunista (ricordiamo che negli anni ‘50 la “caccia alle streghe” contro i comunisti o presunti tali avviata dal senatore McCarthy ha posto fine a molte carriere nel mondo dello spettacolo e non solo) il marito Desi riuscì a mandare in onda, in diretta nazionale, una telefonata con J. Edgar Hoover (allora capo dell’F.B.I.) che scagionò completamente la moglie. Un fatto così straordinario da sembrare inventato!

Stando così le cose, dopo aver visto il film ero amareggiata per i suoi enormi difetti e delusa per non aver potuto approfondire seriamente (quanto si può farlo con un clown) la conoscenza di questo personaggio straordinario.

Per mia fortuna, Prime Video mi ha subito proposto un documentario su Lucille Ball e Desi Arnaz: proprio quello che ci voleva! Lucy and Desi, diretto dall’attrice Amy Poehler, finalmente mi ha fatto conoscere per davvero queste due persone eccezionali, con quasi due ore di interviste, immagini e filmati di spettacoli, programmi radiofonici, film, e perfino alcuni filmini delle vacanze. Desi, arrivato in America dopo che la sua agiata famiglia aveva perso tutto a causa dei comunisti, ha iniziato pulendo le gabbie dei canarini; ed è arrivato, passando per la conga e la rumba, e fondare con la moglie uno dei più grandi studi di produzione di Hollywood, la Desilu production (responsabile, tra le altre cose della messa in onda della serie classica di Star Trek). Desi e Lucy hanno senza ombra di dubbio fatto la storia della tv e del costume in America. E questo documentario è il modo perfetto per conoscere quella storia (la voce narrante è solamente in inglese ma sono disponibili i sottotitoli in italiano).

Consiglio quindi, a chiunque si sia un po’ incuriosito riguardo la figura eclettica di Lucille Ball, di lasciar perdere il film e concedersi la visione del bellissimo documentario.

Voto A proposito dei Ricardo: 1 Muffin ipocalorico

Voto Lucy and Desi: 3 Muffin

Jackpot – Se vinci ti uccido!

Titolo originale: Jackpot!

Anno: 2024

Regia: Paul Feig

Interpreti: John Cena, Awkwafina, Sean William Scott, Simu Liu

Dove trovarlo: Prime Video

Katie (Awkwafina) ha messo da parte la carriera di attrice per dedicarsi alla madre malata, e le è stata accanto, isolata dal mondo, fino alla fine. Ora è arrivato il momento di riprendere la sua vita da dove l’aveva lasciata. Katie torna quindi a Los Angeles per entrare nel mondo dello spettacolo. Non sa nulla della bizzarra lotteria istituita da alcuni anni dallo Stato della California: il vincitore del jackpot viene comunicato immediatamente a tutta la popolazione… e chi lo uccide entro 24 ore può, legalmente, tenersi il montepremi, senza essere perseguito per omicidio! Per puro caso Katie entra in possesso di un biglietto… e se ne rende conto quando tutti intorno a lei cercano di ucciderla! Tutti, tranne il muscoloso Noel (John Cena), che promette di proteggerla dai suoi assalitori in cambio del 10% della sua vincita. Ma il ricchissimo jackpot fa gola davvero a tutti!

Anche se il film è ambientato in un futuro che potremmo definire distopico, in cui uccidere è non solo legale ma incoraggiato in virtù dello spettacolo, non aspettatevi alcun tipo di critica o analisi sociologica, antropologica o politica (anche se ovviamente non è un caso se l’intera vicenda si svolge a Los Angeles, patria del cinema e dello showbusiness, e se il gioco della morte ha preso vita proprio nello Stato della California). La regola del gioco per cui non è possibile uccidere il vincitore con le armi da fuoco è una buon pretesto per mantenere i personaggi vivi per un paio d’ore ma anche per introdurre armi improprie assai improbabili e scontri fisici di ogni genere. Jackpot! è lontano anni luce da film con trame e ambientazioni simili come Anno 2000 – La Corsa della Morte (Death Race 2000, 1975) o L’Implacabile (The Running Man, 1987) e non ha alcune ambizione se non quella di intrattenere con infinita leggerezza per un paio d’ore. Se la premessa si accetta con facilità, viene più difficile accettare le continue mossette e battutine di Awkwafina, che se la cava bene ma resta sempre un pelo sopra le righe – cosa che comunque fanno tutti i personaggi del film e che dunque è perdonabile. John Cena è un uomo buono, anzi buonissimo, che desidera solo aiutare la sfortunata protagonista, e siccome è lui e gli vogliamo bene (beh, almeno io lo trovo sempre simpatico) ci beviamo anche questa. Tutti gli altri personaggi, luoghi ed eventi non vale la pena menzionarli, mentre un grandissimo applauso va a tutti gli stuntmen, i coordinatori e i coreografi dei combattimenti: solo verso la fine le varie lotte iniziano a diventare soporifere, e non era facile portare avanti un film fatto praticamente solo di combattimenti, salti, inseguimenti e calci volanti. Le battute a volte vanno a segno, altre invece no, ma nel complesso ci si diverte e qualche risatina a volte scappa. Adatto a una serata totalmente senza pensieri e presto dimenticato. Da evitare assolutamente le stupidate durante i titoli di coda.

Voto: 2 Muffin

My Spy | My Spy – La Città Eterna

My Spy

Titolo originale: My Spy

Anno: 2020

Regia: Peter Segal

Interpreti: Dave Bautista, Chloe Coleman, Parisa Fitz-Henley, Kristen Schaal, Ken Jeong

Dove trovarlo: Prime Video

L’agente della CIA JJ (Dave Bautista) viene incaricato di sorvegliare la bella infermiera Kate (Parisa Fitz-Henley) e sua figlia di 10 anni Sophie (Chloe Coleman) fingendosi un loro nuovo vicino di casa per proteggerle dallo zio, spietato criminale internazionale. Sophie però scopre che JJ sta spiando lei e la madre e gli propone un accordo: se lui le insegnerà ad essere una spia, lei non rivelerà il suo segreto. JJ è costretto ad accettare il patto, ma con il passare del tempo si affezionerà sempre di più a Sophie e a sua madre, mettendo a rischio la missione.

My Spy – La Città Eterna

Titolo originale: My Spy – Eternal City

Anno: 2024

Regia: Peter Segal

Interpreti: Dave Bautista, Chloe Coleman, Kristen Schaal, Ken Jeong, Anna Faris

Dove trovarlo: Prime Video

JJ (Dave Bautista) si è accasato con Kate (Parisa Fitz-Henley) e si dedica in tutto e per tutto ad essere un buon uomo di casa e patrigno per Sophie (Chloe Coleman), ormai adoloscente. Quando il coro della scuola di Sophie viene selezionato per esibirsi a Roma davanti al Papa e a diversi Capi di Stato, JJ si offre subito come accompagnatore per tenere d’occhio la ragazza, senza sapere che è in atto un complotto per far esplodere una bomba in Vaticano… 

Per un periodo ho seguito con molto trasporto ed entusiasmo il wrestling della WWE, quindi sono sempre portata a provare simpatia per i wrestler che si cimentano nella carriera cinematografica, anche perchè in passato alcuni di loro hanno dimostrato di avere talento non solo come atleti (ricordando comunque che il wrestling è tanto una disciplina sportiva quanto uno spettacolo) ma anche come attori: basti pensare alla sfolgorante carriera di Dwayne “The Rock” Johnson o alle recenti buone prove di John Cena.

Dave Bautista stesso, in questi ultimi anni, ha già dimostrato di poter portare avanti un personaggio per diversi film interpretando Drax nella serie I Guardiani della Galassia.

Per questo motivo mi sono approcciata al primo film senza grandi aspettative ma con atteggiamento tendenzialmente positivo, e My Spy si è dimostrato ciò che mi aspettavo: un filmetto d’azione con venature di commedia guardabile e innocuo, con una manciata di scenette simpatiche. Il regista Peter Segal, d’altro canto, ha diretto in passato dei film del genere spionaggio/comico cui sono molto legata: mi riferisco a Agente Smart – Casino Totale (il cui co-protagonista, guarda caso, è proprio Dwayne Johnson) ma, soprattutto, al terzo capitolo della trilogia Una Pallottola Spuntata, pietra miliare della mia infanzia. Ecco perchè sono rimasta così scottata quando, a ruota, ho visto il secondo film, e mi sono imbattuta in un escremento fumante e disgustoso con una trama che non sta in piedi, una cattiva per nulla credibile (Anna Faris è bravissima nei ruoli comici, senza dubbio, e il suo personaggio qui era comunque pensato malissimo, ma lei era comunque fuori parte), un’accozzaglia di personaggi del primo film inseriti a spinta e alcune scene davvero disgustose. Oltretutto c’erano anche dei tremendi e detestabili uccellini in CGI, una cosa che proprio non sopporto, e in aggiunta tutti i possibili stereotipi su Roma, come le Vespe abbandonate in ogni cantuccio e la Chiesa di San Pietro deserta e a completa disposizione dei cattivi e dei loro loschi piani. In conclusione, se il primo film è salvabile e innocuo, il secondo non solo non merita di essere visto ma è decisamente sconsigliato.

Voto: 2 Muffin (My Spy) e 1 Muffin Ipocalorico (My Spy – La Città Eterna)

White Men Can’t Jump

Anno: 2023

Regia: Calmatic

Interpreti: Sinqua Walls, Jack Harlow

Dove trovarlo: Disney Plus

Una ex promessa del basket e un mental coach dalle ginocchia danneggiate decidono, nonostante le molte differenze tra i due, di fare squadra in un torneo di basket per guadagnare un po’ di soldi, di cui entrambi hanno estremo bisogno. Guadagneranno entrambi molto più che il denaro.

Non sono un’appassionata di sport nè di film sullo sport, ma avevo sentito nominare molte volte il film White Men Can’t Jump, e il titolo mi era rimasto impresso. Così, quando Disney Plus me lo ha mostrato tra le proposte per una serata cinema, ho deciso di togliermi la curiosità. Fin da subito, però, ho avuto l’impressione che ci fosse qualcosa di sbagliato nel film. Anche se i dialoghi erano pieni di parolacce, di fatto era tutto molto ovattato, quieto, come smorzato. Le liti si risolvevano, le divergenze si appianavano, le mogli comprendevano e perdonavano tutto… Insomma, più che un film sulla dura vita di strada, sui conflitti razziali e sul riscatto sociale attraverso lo sport sembrava uno spot del Mulino Bianco.

Spalle comiche che non fanno ridere

Nonostante questo l’ho visto fino alla fine senza troppi fastidi, come una bonaria commedia per famiglie – con molte parolacce, ripeto, ma senza l’ombra dell’incisività e della drammaticità che mi aspettavo. Solamente all’arrivo dei titoli di coda ho finalmente capito: avevo appena guardato un remake! Il rifacimento, scritto dallo stesso sceneggiatore (Ron Shelton, che del primo era stato anche regista), del film del 1992. Remake di un film del ‘92?? Ma se era l’altro ieri!! Diretto da “Calmatic”. Ma cosa sarebbe, un ansiolitico? Un tranquillante per cavalli? Questa brutta scoperta ha portato poi a una tragica amarezza: il film originale non è disponibile su Disney Plus, nè su nessuna delle altre piattaforme streaming che ho attualmente a disposizione. E così rimango con la consapevolezza di non sapere: come era il film originale? Se hanno deciso di farne un remake qualcosa di buono lo avrà avuto, no? Quando lo potrò vedere? Mannaggia!

Voto: 2 Muffin

Io che aspetto di poter vedere il film vero

I Tre Amigos

Titolo originale: The Three Amigos

Anno: 1986

Regia: John Landis

Interpreti: Steve Martin, Martin Short, Chevy Chase, Patrice Martinez, Alfonso Arau, Randy Newman (come voce del Cespuglio Cantante)

Dove trovarlo: Prime Video

Lucky Day (Steve Martin), Ned Nederlander (Martin Short) e Dusty Bottoms (Chevy Chase) sono star di grande successo grazie a una lunga serie di musical western in cui interpretano i Tre Amigos, cowboys canterini e ballerini vestiti da mariachi che non falliscono mai nel difendere i deboli e far trionfare la giustizia. Un giorno i Tre Amigos ricevono un misterioso telegramma che li invita nel paesino di Santo Poco, in Messico, per un’esibizione che sarà generosamente ricompensata. Ma presto scopriranno che questa volta il cattivo è un vero cattivo, il famigerato El Guapo (Alfonso Arau), che da anni con la sua banda di malfattori mette in ginocchio il paese con le sue prepotenze: basteranno balletti, canzoncine e mossette per far trionfare la giustizia?

La cosa più divertente della serie tv Only Murders in the Building sono senza dubbio i duetti comici tra Steve Martin e Martin Short. Quindi, non appena ho scoperto che i due attori avevano recitato insieme, nel lontano 1986, in un film dal titolo I Tre Amigos (e che il terzo era niente meno che il celebre comico americano Chevy Chase) non ho proprio potuto resistere. Soprattutto una volta visto che il regista altri non era che John Landis, autore di film che a casa mia sono di culto assoluto come I Blues Brothers e Il Principe Cerca Moglie.

Non che questo film sia all’altezza di quei capolavori della commedia americana, però devo dire che in questo simpaticissimo film per famiglie ho trovato molto più di quanto mi aspettassi. Innanzitutto i tre protagonisti sono meravigliosi: cantano, ballano e fanno la parte degli ingenui in un modo davvero accattivante e divertente. Steve Martin, co-autore anche della sceneggiatura, si esibisce perfino in numeri con il lazo, imparati quando, giovanissimo, lavorava in un negozio di magia a Disneyland. Nella parte della Damigella in Difficoltà troviamo invece la bellissima Patrice Martinez: un volto molto familiare, visto che ha interpretato Victoria, l’amata di Don Diego de la Vega, nella serie tv Zorro degli anni ‘90. Tutti i numeri musicali sono eccezionali, ed certo che alcune delle canzoni restano in testa per molti giorni dopo la visione per quanto sono simpatiche e orecchiabili. Non a caso la colonna sonora è firmata Randy Newman, autore anche delle musiche di classici Disney come Toy Story, Monsters and Co. e Cars; Randy, qui anche sceneggiatore, ha perfino un piccolo ruolo, quello del Cespuglio Cantante. Eh sì, perchè in questo film ci sono anche un Cespuglio Cantante e un Uomo Invisibile, su cui non dirò nulla di più perchè è una scena che fa sbellicare, così come molte altre nel corso del film.

Non posso fare altro che consigliare la visione del film a tutti, grandi e piccini, amanti o meno del musical e del western: questo sì che è un film per tutti!

Voto: 3 Muffin