Berlinguer – La Grande Ambizione

Anno: 2024

Regia: Andrea Segre

Interpreti: Elio Germano, Paolo Pierobon, Roberto Citran, Giorgio Tirabassi, Paolo Calabresi

Racconto dei principali avvenimenti della vita privata e politica di Enrico Berlinguer, segretario del Partito Comunista Italiano negli anni ‘70.

Premettendo che né la politica né la storia italiana hanno mai suscitato in me particolare interesse, al di là dei doverosi studi scolastici, e che il cinema italiano contemporaneo in generale riesce difficilmente a farmi sussultare in qualunque modo, Berlinguer – La grande ambizione resta comunque un film insulso e noioso. A partire dalla schermata iniziale che spiega come si tratti di un film basato su fatti e documenti, fino a che gli sceneggiatori (Marco Pettenello e lo stesso regista, Andrea Segre) non hanno ritenuto meglio inventare e romanzare. Ma quindi, a che pro realizzare un film noioso come un brutto documentario e fasullo come una storia inventata? Avrei preferito di gran lunga un vero e proprio documentario, con autentiche interviste e spezzoni di telegiornali dell’epoca, o in alternativa un racconto appassionato di un determinato aspetto della persona Enrico Berlinguer, al di là del leader politico che tutti conosciamo. Cosa ci offre invece Andrea Segre? Un’agiografia di un Berlinguer che sa sempre cosa dire e cosa fare, che non teme nulla, che affronta qualunque leader politico italiano e straniero a testa alta, che ama stare con i figli, ricorda sempre l’anniversario della moglie, beve solo latte e fa anche ginnastica. Un superuomo, in definitiva, senza mai un’esitazione e senza alcun difetto che possa renderlo umano e suscitare nello spettatore empatia nei suoi confronti. Sono sicura che Elio Germano ce l’abbia messa tutta nella sua interpretazione, ma non gli serviva alcuno sforzo per svettare sugli altri membri del cast, alcuni incapaci (i ragazzi che interpretano i figli in particolare) e altri molto bravi ma relegati al ruolo di tappezzeria, una moltitudine di grigi uomini politici che fanno da sfondo (o da contraltare, come nei casi di Giulio Andreotti e Aldo Moro, molto ben interpretati rispettivamente da Paolo Pierobon e Roberto Citran) alla stella scintillante di Berlinguer.

Se a questo grosso difetto nell’impostazione di base si aggiungono una regia ballerina, un montaggio arbitrario e una colonna sonora composta solamente da rumori molesti, ecco che il piatto è servito: noia con contorno di fastidio. 

Potrebbe essere recuperato magari dalle scuole per mostrarlo agli alunni e dare loro un’idea di quel periodo cruciale per la storia italiana, ammesso e non concesso che arrivino davvero a studiarlo.

Voto: 1 Muffin

Freaks Out

Anno: 2021

Regia: Gabriele Mainetti

Interpreti: Aurora Giovinazzo, Claudio Santamaria, Pietro Castellitto, Giancarlo Martini, Franz Rogowski, Giorgio Tirabassi, Olivier Bony

Dove trovarlo: Netflix

Roma, 1943. Il piccolo Circo Mezzapiotta, guidato con bonaria saggezza da Israel (Giorgio Tirabassi), per i quattro artisti che vi si esibiscono è tutto: lavoro, casa e famiglia. Fulvio (Claudio Santamaria), uomo completamente ricoperto di pelo e dalla forza straordinaria; Mario (Giancarlo Martini), il nano che può comandare a suo piacimento il metallo; Cencio (Pietro Castellitto), ragazzo albino in grado di comandare gli animali; e infine Matilde (Aurora Giovinazzo), l’unica “normale” (anzi bellissima) nell’aspetto ma che può sprigionare dal suo corpo grandi quantità di energia elettrica: questa è la stramba famiglia del Circo Mezzapiotta. A causa della guerra gli affari però vanno sempre peggio, così Israel si allontana, portando con sé tutto il denaro del gruppo, per procurare a tutti un biglietto per l’America. Quando Israel non fa ritorno, i “mostri” dapprima lo rinnegano, convinti del suo tradimento; poi però si mettono sulle sue tracce, temendo che sia stato preso dai Nazisti e deportato insieme agli altri ebrei. Ma mentre i “freaks” cercano Israel, qualcuno sta cercando loro: il crudele e megalomane nazista Franz (Franz Rogowski), che nelle sue visioni allucinate del futuro ha visto come i quattro, con i loro eccezionali poteri, potrebbero determinare le sorti della guerra…

Dopo il grande e meritato successo del suo film d’esordio Lo Chiamavano Jeeg Robot, il regista Gabriele Mainetti riesce non solo a dimostrarsi all’altezza delle enormi aspettative per la sua opera seconda, ma anche ad alzare ulteriormente il tiro e dar vita, ancora una volta, a qualcosa di completamente alieno nel panorama del cinema italiano contemporaneo.

Freaks Out si inserisce infatti nel genere fantastico, così poco frequentato dalla nostra cinematografia, e lo fa utilizzando scenografie, costumi ed effetti speciali che nulla hanno da invidiare ai film americani cui siamo abituati. L’utilizzo da parte degli interpreti della parlata romanesca sembra strano all’inizio, abituati come siamo ai nostri doppiatori dalla dizione perfetta, ma si rivela molto efficace nel conferire realismo al contesto e ai personaggi, rimanendo sempre perfettamente comprensibile per lo spettatore. L’intero cast recita benissimo e dà vita a dei personaggi che difficilmente si dimenticano. Claudio Santamaria, già protagonista in Lo Chiamavano Jeeg Robot, riesce a non scomparire dentro la pelliccia di Fulvio e a caratterizzare bene il suo personaggio; Giancarlo Martini offre grande simpatia con il suo nano Mario; Pietro Castellitto rende vitale il suo Cencio, volubile e solo apparentemente cinico e spavaldo; Giorgio Tirabassi nelle sue poche scene riesce a far capire come il suo Isreal possa essere un punto di riferimento imprescindibile per la strana famiglia Mezzapiotta; ma la vera luce del film è Aurora Giovinazzo, bella e brava, che ricopre con disinvoltura il ruolo più complesso del film. Freaks Out è una favola, che parte dalla realtà della storia d’Italia per costruire un mondo fantastico, abitato da supereroi e supercattivi crudeli e megalomani: l’unico ruolo raccontato con un po’ troppa enfasi è proprio quello del villain nazista Franz, con le eccessive lungaggini dei suoi deliri allucinati, ma non era facile rappresentare il male assoluto, incarnato in questo caso proprio dai nazisti. Una scelta diversa e coraggiosa viene invece compiuta nei riguardi dei partigiani italiani, mostrati forse per la prima volta nella loro umanità, con difetti e debolezze, che alla fine però non impediscono loro di compiere la scelta giusta e diventare eroi al servizio del bene, e anzi dà ancora più importanza al loro gesto. Se da una parte Mainetti richiama senza dubbio il cinema di Quentin Tarantino e la sua visione alternativa della storia (Bastardi senza Gloria in particolare), dall’altra nel rappresentare il potere nazista l’iconografia è quella del Grande Dittatore di Charlie Chaplin (con tanto di pallone-mondo) ma anche di Per Favore non Toccate le Vecchiette (e il remake The Producers) di Mel Brooks, con il suo assurdo e sgargiante musical Springtime for Hitler (a sinistra nell’immagine) di cui ho rivisto moltissimo nel grande circo nazista di Freaks Out (a destra nell’immagine). Omaggi e citazioni graditi e non fini a se stessi, io credo, ma che restituiscono con stile la complessità che ancora sussiste nel raccontare il periodo storico della Seconda Guerra Mondiale, anche al cinema, qualunque genere si scelga come veicolo.

Concludo con una nota personale, visto che ho la grande fortuna di conoscere personalmente uno degli stuntman che ha lavorato a Freaks Out: complimenti a tutto il comparto tecnico e a tutte le maestranze per la grande qualità di questo film, che testimonia come in Italia si possano fare ottimi film diversi per genere, ambientazione e complessità.

Si ride, si piange, ci si emoziona e all’uscita si può raccontare ai bambini come favola della buonanotte: per me un risultato davvero eccellente.

Voto: 4 Muffin