Chiami il mio Agente!

Titolo originale: Dix pour Cent

Anno: 2015-2020

Episodi: 4 stagioni da 6 episodi

Interpreti: Camille Cottin, Thibault de Montalembert, Grégory Montel, Liliane Rovère, Fanny Sidney, Nicolas Maury, Laure Calamy

Dove trovarlo: Netflix

Come raccontavo non molto tempo fa, nella mia vita il cinema è proprio dappertutto. Inevitabile quindi che, anche quando decido di vedere una serie tv, questa parli in qualche modo di cinema. Chiami il mio agente! (in originale Dix pour Cent, “Dieci per cento” in riferimento alla percentuale di guadagno di un agente sugli incassi dal talento da lui rappresentato) è ambientata a Parigi e racconta di una prestigiosa agenzia, la ASK, che da decenni cura gli interessi di alcuni tra i volti più noti del cinema francese, oltre che di molti giovani talenti. Quando il fondatore della ASK muore all’improvviso, durante la prima vacanza che si concedeva da anni, i suoi soci devono trovare il modo di mandare avanti l’agenzia senza di lui, gestendo i complicati rapporti con gli attori e i registi, tenendo a bada la spietata concorrenza, ma soprattutto imparando a contare l’uno sull’altro. Il personaggio centrale della storia è la giovane Camille (Fanny Sidney), che sentendo troppo stretta la vita di provincia lascia la madre per trasferirsi a Parigi ed entrare nel mondo dello spettacolo. Per poterlo fare conta sull’aiuto del padre, Mathias (Thibault de Montalembert), che lavora in un’agenzia di spettacolo; lui però rifiuta per paura di ferire la moglie e il figlio, visto che Camille era nata da una sua relazione clandestina. Fortuna vuole però che, mentre Camille si trova nella sede dell’ASK per parlare col padre, l’assistente di un’altra agente, la dura e esigente Andréa (Camille Cottin), abbia un crollo di nervi e abbandoni il lavoro: ad Andréa serve con urgenza una nuova assistente, e Camille si trova al posto giusto al momento giustissimo. Attraverso lo sguardo della neofita Camille scopriamo un po’ alla volta cosa significhi davvero dedicare la propria vita al mondo dello spettacolo pur rimanendo sempre nell’ombra, come fanno gli agenti, che spesso arrivano a sacrificare completamente la propria vita privata in nome del lavoro. Bisogno dire che quattro stagioni, considerando che non esiste una vera e propria trama generale della serie, sono abbastanza lunghe, ma si guardano con piacere grazie alla bravura degli interpreti e ai toni sempre sopra le righe che non appesantiscono mai nemmeno i momenti emotivamente più impegnativi. La vera forza di Chiami il mio Agente! però risiede nelle star che hanno accettato, sempre con grande classe e autoironia, di interpretare se stesse senza risparmiarsi: una Monica Bellucci affamata di uomini, Jean Reno vestito da Babbo Natale, Juliette Binoche che seduce uomini nei corridoi, Sigourney Weaver che balla in un cafè parigino; sono solo alcuni dei grandi nomi coinvolti, una vera gioia per qualunque cinefilo. Grazie a questa ricchezza di grandi star e situazioni surreali lo spettatore è portato a passare sopra ai molti cali di ritmo, alla sceneggiatura spesso forzata o banale e all’ironia che quasi mai riesce a restituire il pieno potenziale delle situazioni comiche che si presentano. Per questo sono stata molto felice di scoprire che è in arrivo anche la versione britannica di Chiami il mio Agente!: la serie sarà costituita da 8 episodi di un’ora e verrà distribuita nel Regno Unito nel 2022. Attendo la versione inglese con impazienza e mi domando se anche l’Italia tenterà di sfruttare l’onda di questo successo di Netflix, magari con una declinazione prettamente comica in stile Boris. Nel frattempo ripenso con divertimento alla puntata di Chiami il mio Agente! con Jean Reno, in cui scopriamo che l’attore francese era da decenni cliente dell’agenzia ASK: finalmente ho scoperto chi è stato a consigliargli di interpretare quel bel noir francese!

R – Reno, Jean, L’Immortale

Papà Verdurin è sempre stato un grande appassionato di cinema (ma non solo), e sicuramente il mio amore per la settima arte è dovuto in parte a lui, che fin da piccolissima, anziché mostrarmi i soliti cartoni animati, mi intratteneva con i classici di Chaplin, Capra e perfino Sergio Leone (il che gli è costato anche qualche tirata d’orecchie da parte di mia madre). Innamorato dei classici, è rimasto però sempre anche uno spettatore vorace e curioso delle novità. Cascasse il mondo, ogni martedì, ovunque si trovi, lui rintraccia l’edicola più vicina e si procura il settimanale con i programmi tv, dedicandosi poi a studiarli con minuziosa dedizione; basandosi poi sui giudizi dei critici e i voti in stelline, cerchia con la penna tutti i film che ha intenzione di vedere. Di norma poi, di questi, non ne vede che una minima parte, distratto da altri impegni, o più facilmente dagli eventi sportivi. Una sera, dopo cena, io e lui ci ritrovammo sul divano a decidere cosa guardare. Mio fratello disertava sempre questo genere di visioni, preferendo vedere film e serie tv nella privacy della sua stanza. Io invece adoravo quelle serate di cinema in famiglia (mia madre era presente a spizzichi, spesso vedeva solo qualche pezzo del film, o si metteva vicino a noi a leggere, e quasi sempre andava a dormire prima della fine del film). Quella sera mio padre mi prospettò la visione del film L’Immortale, presentato dal suo “libercolo dei programmi” (come lo chiama lui) come un “bellissimo noir francese”. Protagonista, se c’è bisogno di dirlo, l’onnipresente Jean Reno. Così, sulla fiducia, decidemmo di guardarlo, ritrovandoci un banalissimo thriller ingenuo e sanguinolento con dialoghi (pochi) addirittura ridicoli (con tanto di “in fondo io e te siamo uguali!” nel finale…), in cui Jean Reno sopravviveva miracolosamente ad un tentativo di omicidio e si vendicava naturalmente con grande violenza. Il giorno dopo mia madre ci chiese com’era il film: io e mio padre ci guardammo a scoppiammo a ridere. Da allora, in casa mia, l’espressione “un bel noir francese” indica un brutto film che non vale la pena di vedere (con buona pace dei veri bei noir francesi, che non ho dubbi possano esistere).