T – Un Uomo Tranquillo

Ricordo molto bene cosa provai quando vidi dal vivo la scritta bianca “Hollywood” sulle colline di Los Angeles. Ero del tutto sopraffatta, gli occhi si erano riempiti di lacrime ma non potevo piangere, e non riuscivo a convincermi di essere davvero lì, nel mitico luogo su cui avevo letto, studiato e fantasticato così tanto. Sapevo di avere la bocca spalancata, proprio come una bimba piccola, ma non potevo richiuderla. Poi, ad essere sinceri, Los Angeles non mi piacque. È una città brutta, sporca, in cui nessuno parla inglese, in cui hai la continua sensazione che se giri l’angolo sbagliato sarai come minimo rapinato, in cui anche i figuranti che posano per le foto con i turisti sono sbronzi già dal mattino, e nemmeno la fasulla e patinata Beverly Hills mi ha fatto cambiare idea. Per fortuna però quella non era l’unica tappa del meraviglioso viaggio che feci con i miei genitori, mio fratello e il mio futuro marito. A New York potei vedere a teatro lo spettacolo ispirato al film Frankenstein Junior di Mel Brooks, uno dei grandi cult di casa Verdurin. Ma la parte più bella fu quella del viaggio in auto attraverso il deserto, lungo la mitica Route 66, verso il Gran Canyon e tutti i luoghi prediletti da John Ford, il maestro del western classico. Una sera ci fermammo in un locale così country che più country non si poteva, tanto che ci guardavamo dicendo: «Ci manca solo che ora suonino Rawhide, come nei Blues Brothers!» Neanche il tempo di finire la frase che la band passa senza colpo ferire da Country Roads a Rawhide. Noi ci scambiavamo occhiate incredule, con grandi sorrisi stampati sul viso. I miei genitori ballarono. Una serata indimenticabile. Per tutta la durata del viaggio mi sentii dentro ai film che conoscevo tanto bene, e mi piacque tutto. Anche Las Vegas. Anzi, soprattutto Las Vegas. Non ho giocato d’azzardo nemmeno una volta, è una cosa che non riuscirò mai a trovare emozionante: conosco un milione di modi più divertenti per buttare via i soldi! Per esempio la meravigliosa sala giochi del Circus Circus di bondiana memoria, in cui sparare ai bersagli o lanciare polli di plastica nelle pentole: questo sì! Rimasi molto delusa da Los Angeles, è vero, ma c’è un ricordo che me la rende cara ugualmente: quella di Papà Verdurin che, inginocchiato davanti alla stella di John Wayne sulla Walk of Fame, rende omaggio al suo grande eroe, il Duca, il figlio di Katie Elder, il Grinta, l’Uomo Tranquillo. 

Quando, da piccola, andavo in vacanza al mare, il mio divertimento preferito era andare alla sala giochi Las Vegas (guarda caso) e salire sul calesse da cui sparare agli indiani: quanto mi piaceva! Poi però arrivò il film Disney Pocahontas e tutto cambiò: scoprii cosa era capitato davvero ai nativi americani, mi interessai alla loro storia e lessi molti libri. Cinematograficamente parlando questo significò passare da John Ford a Soldato Blu, Il Piccolo Grande Uomo, Un Uomo Chiamato Cavallo e Balla coi Lupi, per poi rendermi conto che, in realtà, il Duca aveva, anche se alla lontana, anticipato anche questo: quando in Sentieri Selvaggi il suo Ethan ritrova la nipotina, che dopo aver vissuto per anni con gli indiani è diventata una di loro. Noi guardiamo Ethan sollevarla con impeto e ci domandiamo: ora la ucciderà o la abbraccerà? Potrà accettare di avere per nipote uno di quei selvaggi che ha da sempre odiato e combattuto? Il genere western, come tutti gli altri generi a lungo (e a torto) considerati “minori”, si incarica di raccontare le contraddizioni e le idiosincrasie più profonde della società, della nostra prima che di quella del selvaggio West. John Wayne, lungi dall’essere solo un cowboy duro e tutto d’un pezzo, ha scandalizzato parteggiando per una prostituta in Ombre Rosse, ha fatto sbellicare dalle risate in Un Uomo Tranquillo, ha fatto commuovere in Il Grinta. Non è certo un caso se, in Mezzogiorno e Mezzo di Fuoco di Mel Brooks, quando lo sceriffo vuole convincere i personaggi a mettere a rischio le proprie vite li esorta così: “Per John Wayne lo fareste!” Noi, a casa Verdurin, lo faremmo.

Penn & Teller : Fool Us

Penn Jillette e Teller sono una strana, affiatata e simpaticissima coppia di prestigiatori americani: grande, grosso e chiacchierone il primo, minuto e silenzioso il secondo. Si esibiscono in coppia da decenni e il loro è stato a lungo uno degli show di punta di Las Vegas, ma spesso li si può trovare come ospiti in programmi tv (ad esempio Top Gear o Earth To Ned) o in piccoli ruoli da attori in molteplici film e serie tv (Penn era in Paura e Delirio a Las Vegas, mentre Teller è stato il padre di Amy Farrah Fowler in The Big Bang Theory).

Tutti noi, almeno da piccoli, abbiamo amato i maghi e i trucchi di magia; poi c’è chi come me, anche in età adulta, continua a sbalordirsi quando un coniglio esce da un cappello o una donna segata a metà esce dalla scatola magicamente incolume. Ma ci sono anche molte persone in grado di capire come funzionino i trucchi, le quali godono più della loro prestazione intellettuale che della magia in sé. Lo show Penn & Teller: Fool Us, disponibile su Netflix, nasce per accontentare entrambe le categorie di spettatori. In ogni puntata diversi illusionisti, mentalisti, maghi e prestigiatori si esibiscono davanti ai grandi Penn & Teller nel tentativo di ingannare i maestri con i loro trucchi. Chi riesce nell’ardua impresa vince la possibilità di esibirsi con i due celebri maghi a Las Vegas. Per chi non riesce a ingannare Teller (che a detta di Penn è il vero cervello della coppia), invece, i due prestigiatori hanno sempre un complimento e una parola di incoraggiamento, cosa che non sarebbe possibile in un programma della televisione italiana, in cui chi si mette in gioco viene ad ogni piè sospinto offeso, deriso e denigrato da chi se ne arroga il diritto (sono consapevole del fatto che, trattandosi di programmi tv, la maggior parte di ciò che vediamo è stata stabilita in anticipo, infatti non mi stupisco certo dei concorrenti o dei giudici più o meno qualificati, mi stupisco che agli italiani piaccia vedere persone insultate e svilite per essersi messe in gioco, cosa che non sempre accade con i medesimi format in altri paesi). Quando Penn e Teller riescono a individuare il trucco, inoltre, il concorrente non è costretto a cambiare mestiere, perché il suo trucco non verrà rivelato. Sta alla vostra arguzia scoprirlo, magari con l’aiuto dei piccoli indizi lasciati da Penn e Teller (nel mio caso credo di aver capito giusto un paio dei trucchi più semplici, sentendomi comunque molto intelligente e godendomi invece quelli che mi stupivano davvero). Il programma è condotto dal simpatico comico inglese Jonathan Ross e al termine di ogni puntata Penn & Teller si esibiscono in uno dei loro strabilianti giochi di prestigio.

Per adesso sono disponibili solamente le prima due stagione di Penn&Teller: Fool Us, ma mi auguro che presto arrivino su Netflix anche le cinque stagioni successive, durante le quali si aggiungerà ai due maghi un terzo elemento, la bella e brava Alyson Hannigan (che interpretava Lily in How I Met Your Mother) e si vedranno anche molti ospiti con volti noti (per ora ha partecipato Simon Pegg). Le prime due stagioni non sono doppiate, il che rappresenta uno svantaggio per chi non conosce l’inglese, che intento a seguire i sottotitoli potrebbe non riuscire a godersi al meglio alcune esibizioni. In ogni caso, che siate eterni bambini che ancora si domandano quando lo zio restituirà loro il naso o smaliziati pragmatisti che hanno sempre una spiegazione per tutto, vi consiglio di dare una possibilità a Penn&Teller: Fool Us!