Patton Oswalt: chi è costui?

Lo scorso Natale ho ricevuto in regalo un libro: Silver Screen Fiend (Il Demone dello Schermo d’Argento) di Patton Oswalt. poiché autore e titolo non mi dicevano niente ho chiesto spiegazioni a Babbo Natale che mi ha risposto: “Ma come, era nella tua letterina!”. Insomma, devo aver letto di questo libro su uno dei blog di cinema che seguo (se per caso il/la blogger in questione sta leggendo si faccia pure avanti nei commenti!) e l’ho inserito nella mia wishlist per poi dimenticarmene. Ma per fortuna Babbo Natale se ne è ricordato, perché non solo ho letto un bellissimo libro ma ho anche scoperto un grandissimo attore, sceneggiatore e stand up comedian americano: Patton Oswalt. Silver Screen Fiend è il secondo libro di Oswalt, dopo il suo esordio nel 2011 con Zombie Spaceship Wasteland (che, inutile dirlo, finirà nella prossima letterina per Babbo Natale). Il sottotitolo è Learning about life from an addiction to film (= imparare delle cose sulla vita da un’ossessione per il cinema) e infatti Oswalt racconta di un periodo della sua giovinezza in cui vedere film al cinema era l’occupazione principale della sua vita, in un’operazione maniacale di studio e catalogazione che lo avrebbe dovuto portare a diventare un bravo sceneggiatore. Oswalt ha una scrittura davvero frizzante e accattivante, per cui è un piacere leggere il suo racconto di questo strano periodo, le sue recensioni dei film visti, ma soprattutto il modo in cui è uscito da questa fase drammatica della sua vita, in cui tutti i rapporti umani e ogni aspetto della socialità erano stati accantonati: la visione in sala di Star Wars – La Minaccia Fantasma nel 1999 è la scintilla che gli fa realizzare che, forse, non sta gestendo nel migliore dei modi la sua vita, il suo tempo e il suo talento. Segue quindi il racconto dei suoi primi passi nel mondo della stand up comedy, della sceneggiatura e della recitazione (esilarante e indimenticabile il racconto della sua prima esperienza come attore sul set di Giù le mani dal mio periscopio).

Dopo aver divorato il libro mi sono informata meglio su Patton Oswalt, scoprendo che ha partecipato come attore a moltissime serie tv e che ha lavorato molto anche come doppiatore di cartoni animati.

Ma la cosa migliore è stata scoprire che su Netflix sono disponibili ben 4 suoi spettacoli di stand up comedy: Talking for Clapping (2016), Annihilation (2017), I Love Everything (2020) e We All Scream (2022). In questi spettacoli Patton Oswalt affronta, con arguta intelligenza e comicità irresistibile, gli argomenti più diversi: dalla presidenza Trump al politically correct, dalla morte della moglie ai fast food, dal rapporto con la figlia ai clown. Guardandoli sono rimasta davvero colpita dalla sua simpatia, dal suo talento, dalla sua capacità di affrontare argomenti anche molto personali e delicati con ironia e sagacia; ma soprattutto mi sono affezionata al suo modo di dire in falsetto “Really?” quando parla di una situazione assurda.

Un grande personaggio, sconosciuto al grande pubblico ma che può saltare fuori senza preavviso facendo zapping (in una puntata di Due Uomini e Mezzo o Modern Family ad esempio) o leggendo i titoli di coda di un film d’animazione: una presenza sempre simpatica e gradita, uno scrittore divertentissimo e un vero, autentico amante del cinema: ecco chi è Patton Oswalt.

Malcolm

In quest’epoca d’oro per le cosiddette “couch potatoes”, le “patate da divano”, coloro che passano volentieri l’intera giornata stesi sul divano a guardare la tv e mangiare patatine, in cui le proliferanti piattaforme streaming hanno messo a disposizione di tutti una scelta fino a qualche anno fa inimmaginabile di film, cartoni animati e serie tv, sembra impossibile che ci siano ancora prodotti introvabili. Non mi riferisco a quei vecchi film che erano introvabili già da decenni (l’indefesso inseguimento di Papà Verdurin dei film di Robert Mulligan temo non avrà mai fine), ma alle serie tv del passato recente che, incredibilmente, non sono disponibili su nessuna delle piattaforme più diffuse, nonostante il grandissimo successo di pubblico riscosso.

Una di queste è la serie Malcolm, andata in onda negli Stati Uniti dal 2000 al 2006 e da noi (con il classico ritardo) dal 2004 al 2008 su Italia 1. Ci sono diversi motivi per ricordare questa serie, in cui ogni puntata si apriva con la simpatica canzone Boss of Me dei They Might be Giants. La prima cosa a colpire quando la si guarda per la prima volta è il fatto che il protagonista, il giovane Malcolm, spesso guarda in macchina e si rivolge direttamente allo spettatore per commentare ciò che gli sta accadendo. Oggi questa rottura della quarta parete nelle serie tv ci sembra normale perchè l’abbiamo vista in moltissime serie recenti (Ned: Scuola di Sopravvivenza ma soprattutto l’acclamatissima Modern Family, prima che nel film Enola Holmes, solo per citarne alcuni), ma tutto è iniziato con Malcolm. Ricordo anzi che all’epoca mi faceva un po’ impressione, all’inizio, vedere il faccione di Frankie Muniz (l’attore che interpreta il protagonista) inquadrato in primo piano che commentava la sua vita, spesso in toni lamentosi.

Una volta superato il primo shock, però, si scopre una serie molto ben fatta e soprattutto divertentissima, che infatti ha ottenuto diversi premi e riconoscimenti. Il titolo originale della serie è Malcolm in the Middle, cioè “Malcolm nel mezzo” in riferimento al fatto che il protagonista, alle prese con i classici problemi adolescenziali, sia il figlio di mezzo in una famiglia con quattro figli maschi, di cui il maggiore, Francis, viene presto mandato all’accademia militare nel tentativo di domare il suo spirito ribelle e combinaguai. Nel corso delle stagioni la famiglia Wilkerson crescerà con la nascita di un quinto maschietto, Jamie, che già in tenerissima età darà del filo da torcere a genitori e fratelli. Tutti i personaggi della serie, anche se non sono molto realistici, sono ben caratterizzati. Ho già accennato alla propensione di Francis per i guai e i colpi di testa. Reese invece è un sempliciotto svogliato e con atteggiamenti da bullo. Malcolm, con le sue mille manie, insicurezze e idiosincrasie, cerca di barcamenarsi tra la sua stramba famiglia e il mondo complicato dell’adolescenza. Dewey, il piccolino di casa fino alla nascita di Jamie, è incredibilmente intelligente per la sua età ma viene sempre ignorato dagli altri membri della sua famiglia, troppo impegnati in discussioni e bisticci. I genitori di Malcolm sono una coppia esplosiva con dinamiche credibili (anche se portate spesso all’eccesso, come quasi tutto in questa serie) ed esilaranti. La madre Lois è una maniaca del controllo che si scalda facilmente, mentre il marito Hal cerca di trovare un equilibrio tra i suoi isterismi e le esigenze della prole. Hal è interpretato da un attore allora poco conosciuto ma che oggi è famosissimo: Bryan Cranston, attore salito alla ribalta con la serie Breaking Bad che, in Malcolm, può esibire tutto il suo grande talento comico (e anche canoro in un paio di occasioni). Bryan Cranston è sicuramente il membro del cast che ha avuto la carriera più sfolgorante, mentre Frankie Muniz, dopo un paio di titoli per il giovane pubblico come agente Cody Banks, è sparito dai radar, salvo comparire in un paio di film della serie Sharknado. Più ci penso e più mi sembra strano che una serie che ha cambiato le regole della serialità, che è stata più volte ripresa e copiata (la serie The Middle, fin dal titolo, ne è la copia carbone) e che ha un cast così talentuoso non venga replicata a ciclo continuo in televisione e non sia in primo piano su almeno una delle principali piattaforme streaming. Mi auguro che gli omaggi diretti a Malcolm visti recentemente nell’unica parte godibile della serie Marvel Wandavision (cioè quella girata in stile sitcom) possano smuovere un po’ le cose e riportare alla luce questa serie esilarante.