
Mi sono laureata in filologia moderna, ma ho sempre calibrato il mio percorso di studi universitari in modo da seguire tutti i corsi inerenti al cinema che potevo. Questo ha incluso anche un paio di esami di filmologia, una sottospecie di materia umanistica che vorrebbe applicare la psicologia al cinema, con risultati piuttosto inconsistenti. Ma tutto quello che mi permetteva di conoscere nuovi film e nuovi autori andava bene, anche se ancora oggi fatico a credere che lo schermo bianco della sala cinematografica ricordi il candore del seno materno… Decisamente più interessante invece è stato l’esame di storia del cinema, sia la parte storica che quella di tecniche cinematografiche. Il corso, oltre a molti spezzoni, comprendeva anche la visione integrale di alcune pellicole capitali; e secondo il mio professore, quasi tutte le opere riconducibili al Neorealismo e alla Nouvelle Vague appartenevano a tale categoria. Accettai la cosa con rassegnazione, ben sapendo che per capire davvero l’arte di oggi e di domani bisogna conoscere a fondo quella di ieri, ed ero anzi molto grata al professore che mi costringeva a vedere film che per conto mio non avrei mai scelto ma che erano così importanti dal punto di visto socio-culturale. Detto ciò, io quei film proprio non li sopporto. Noiosi, deprimenti, affettati nella loro pretesa adesione alla realtà, fintamente semplici ma in realtà intellettualmente boriosi, disperatamente patetici ma incapaci di coinvolgere e suscitare davvero empatia… insomma, sarà un mio limite, una mia ignoranza, ma io detesto il Neorealismo e la Nouvelle vague, almeno fino al punto in cui arrivò Vittorio De Sica con Cesare Zavattini e con il suo magico e meraviglioso Miracolo a Milano. Nonostante questo apprezzai molto il corso e l’esame durante la triennale. Con grande gioia poi scoprii che anche il corso magistrale prevedeva un esame di storia del cinema. Stranamente non trovai su internet il programma del corso, perciò dovevo aspettare che il professore ce lo svelasse direttamente alla prima lezione. Quella mattina, come facevo molto spesso, mi ritrovai a fare colazione con i miei compagni di corso al bar di fronte alla facoltà. Il bar ha cambiato più volte gestione durante i miei anni universitari, ma in quel periodo c’era la nostra preferita, quella di due ragazze simpaticissime e gentilissime, che ci facevano sentire proprio come a casa nostra. Una delle due era anche molto appassionata di cinema, e aveva fatto decorare la parete di fondo del bar con una serie di locandine di film, promettendo uno spritz in omaggio a chi li avesse indovinati tutti. Naturalmente mi cimentai, ma purtroppo li indovinai tutti (erano circa una ventina) tranne uno, e così niente spritz. Tra queste locandine c’era anche quella di La casa sul lago del tempo, con Keanu Reeves e Sandra Bullock. Una mattina, entrando nel bar, vidi attaccato al muro con il nastro adesivo un foglio con disegnato un autobus, così chiesi: “Come mai La Casa sul Lago del Tempo è diventato Speed?”. Lei rise e mi disse che ero l’unica ad averlo capito. Quando fu l’ora della mia lezione mi alzai e salutai gli altri dicendo: “Vado al corso di storia del cinema, ma se è sulla Nouvelle Vague ritorno subito”. Andai in aula, mi sedetti in primo banco e tirai fuori carta e penna. Il professore arrivò, si sedette e ci annunciò che il corso di quel semestre sarebbe stato sulla Nouvelle Vague. Rimisi in borsa carta e penna, mi alzai in piedi e lasciai l’aula. Un minuto dopo ero di nuovo al tavolo del bar. Agli sguardi interrogativi dei miei compagni risposi: “Il corso era sulla Nouvelle Vague…”