
Ognuno ha un modo diverso di trascorrere il tempo sotto l’ombrellone in estate: qualcuno ama dormicchiare, qualcuno si dedica alle parole crociate o ai sudoku, qualcuno passa tutto il tempo a parlare a voce altissima al cellulare infastidendo tutti quelli che gli stanno intorno, molti si dedicano a letture leggere, come i “romantichelli” o i “gialletti”.
Io? Io leggo Stephen King.
Ho già raccontato in passato del mio complicato rapporto con lo scrittore americano, ma, che sia di amore o di odio, non è una relazione che sono in grado di troncare. Così, quando si è trattato di decidere cosa leggere in vacanza, la scelta è caduta su un romanzo scritto da Stephen King nel 1987: Misery.

La traduzione italiana del titolo, Misery non deve morire, non si può dire sbagliata, però porta via al titolo la sua deliziosa ambivalenza semantica. Misery infatti non è solo il nome di un personaggio di finzione nella finzione (come vedremo), ma in inglese significa “miseria, disperazione, infelicità”, e descrive perfettamente la situazione in cui si vengono a trovare i due protagonisti.
Appena 3 anni dopo l’uscita del romanzo, nel 1990, Misery era già diventato un film interpretato da attori eccezionali (Kathy Bates, James Caan e Lauren Bacall) e diretto da Rob Reiner, il regista di classici come Harry ti presento Sally, La Storia Fantastica, Stand by Me.
Avevo visto il film molti anni fa e l’avevo trovato magnifico, quindi ero molto curiosa di leggere il romanzo da cui era stato tratto. E poi naturalmente di rivedere il film, per giudicarlo partendo da una nuova prospettiva.
Alla domanda, che forse ha poco senso fare ma che poi tutti fanno, “Ma è meglio il libro o il film?”, rispondo senza alcuna esitazione: “E’ molto meglio il film”.
Questa affermazione ovviamente va motivata, ma vorrei comunque iniziare con una breve sinossi della trama, che è la stessa per il libro e per il film.
Lo scrittore americano Paul Sheldon ha raggiunto fama e ricchezza grazie ad una serie di romanzi d’amore che hanno come protagonista la bella e disinibita Misery Chastain, ma non ha abbandonato il desiderio di scrivere qualcosa di più serio e importante. Decide quindi, nel suo ultimo romanzo, di far morire il personaggio di Misery, per potersi finalmente dedicare ad altro. Mentre l’ultima avventura di Misery viene data alle stampe, Paul intanto scrive la sua opera impegnata. Ma, proprio mentre è in viaggio per portare il manoscritto appena terminato al suo editore, lo sorprende una tempesta di neve e la sua auto finisce fuori strada, capovolta. Ma qualcuno ha assistito all’incidente, salva Paul e lo porta a casa sua, al riparo dalla tormenta, per prestargli le prime cure. Si tratta di Annie Wilkes, che subito lo scrittore riconosce come “la sua fan numero uno”. Annie è un’infermiera che vive sola in una casa isolata tra i boschi del Maine, e si ritiene molto fortunata per aver potuto prestare aiuto al suo idolo. Mentre Paul è bloccato a letto a causa delle ferite riportate nell’incidente quasi mortale, nelle librerie esce Il Figlio di Misery, e Annie corre immediatamente ad acquistarlo. Ma quando scopre che, nel finale, il personaggio di Misery muore, il suo atteggiamento verso il suo ospite convalescente cambierà radicalmente…

Non è difficile vedere come Paul Sheldon sia un alter ego dello stesso Stephen King, come lui stesso spiega nel suo saggio sulla scrittura On Writing, e come la sua crescente dipendenza dai farmaci antidolorifici, somministrati con zelo dalla solerte Annie, ricalchi la dipendenza da farmaci che ha attanagliato King per molto tempo. King, sempre in On Writing, confessa di aver scritto Misery come un grido di aiuto per la sua dipendenza da eroina (da qui l’equazione Annie Wilkes = eroina, che Paul odia ma da cui è dipendente). Si può dire quindi che Misery sia uno dei suoi libri più sentiti e personali (la macchina da scrivere che Annie procura per Paul, la Royal, è la stessa che la madre regala al piccolo Stephen King per il suo undicesimo compleanno). King nel suo saggio spiega però che tutti i suoi personaggi rappresentano una parte di lui stesso, pur essendo alcuni più affini, come Paul Sheldon, e altri più alieni, come Annie Wilkes (questi ultimi però però, svela King, sono i più divertenti da sviluppare – essere per un po’ Annie Wilkes è stata “una gita a Disneyland”). Anche Jack Torrance (interpretato nel film da Jack Nicholson), il protagonista di Shining, è come Paul Sheldon uno scrittore che, nel libro, è dipendente dai farmaci.
A proposito di Shining, che King aveva scritto nel 1977, nel libro Misery ad un certo punto Annie spiega come alcuni giornalisti, di tanto in tanto, si avventurino da quelle parti spinti dalla curiosità verso l’Overlook Hotel… che è l’albergo in cui è ambientato Shining! Questo rimando da un libro all’altro per un attimo mi ha fatto pensare alla possibilità di un “King-verso” in cui tutti i mostri e le creature spaventose dei suoi libri e racconti si trovino a convivere: i fantasmi dell’Overlook Hotel, il San Bernardo crudele Cujo, il clown assassino di IT, l’indemoniata Carrie… e naturalmente Annie Wilkes.
L’idea per la trama di Misery è venuta a King in sogno, mentre si trovava su un aereo diretto a Londra: il suo sogno conteneva tutti gli elementi principali della storia, compreso il maiale con il nome dell’eroina dei libri e uno scrittore che “potrei essere stato io, ma di sicuro non era James Caan” puntualizza King. Al suo risveglio scribacchia i dettagli del suo sogno su un tovagliolino di carta, e non appena giunto in hotel a Londra chiede subito se ci sia un posto quieto dove può mettersi a scrivere. Il solerte consierge lo accompagna in uno studio con una grande scrivania di legno. “Qui” spiega orgoglioso il consierge “ha scritto anche Rudyard Kipling“. “Davvero?” domanda distrattamente King, impaziente di mettersi al lavoro. “Sì, Kipling è morto proprio a questa scrivania. Ha avuto un infarto.” E con questa rivelazione King viene lasciato solo nello studio, dove inizia a prendere forma Misery.
Per fortuna, mentre scrive il libro King abbandona l’idea iniziale che l’infermiera Annie voglia il nuovo libro su Misery stampato sulla pelle della suo maialina omonima. Ma il cambiamento di rotta non impedisce a King, che scrive sempre sotto l’effetto di alcol e droghe, di divertirsi moltissimo (parole sue).
Il film è molto fedele al libro nella trama, nella descrizione dei personaggi, nelle situazioni, nell’atmosfera e nei dialoghi, molti dei quali sono identici parola per parola. Ovviamente il film rispetto al libro deve anche sforbiciare molte cose, ma nel caso di King, questo non è mai un male. Mi spiego: a dispetto del suo mantra “Show, don’t tell” enunciato molte volte in On Writing, King tende invece a spiegare troppo e troppo dettagliatamente e ad esagerare le situazioni (come accadeva anche per Shining). Tanti deliri allucinatori di Paul dovuti ai farmaci, tante situazioni ripetute, tante descrizioni di fenomeni fisiologici, risultano pleonastici ai fini sia della trama che dell’atmosfera. E i lunghi brani del nuovo romanzo su Misery scritto da Paul (su “gentile” richiesta di Annie), sebbene facciano apprezzare il talento di King per il genere “Harmony”, distolgono parecchio e spezzano il crescendo della tensione.
Perchè Misery, in entrambe le versioni, ha come suo punto di forza la costruzione della tensione, che arriva a livelli di puro terrore per il lettore e lo spettatore: questo è innegabile.
Se da una parte la sceneggiatura, inevitabilmente, deve togliere, dall’altra però aggiunge qualcosa, il che va a tutto vantaggio della scorrevolezza e del realismo. Nel libro sono assenti sia il personaggio dell’editore che quello dello sceriffo, che invece aiutano a mostrare come, al di fuori del piccolo mondo a sé che è casa Wilkes, le ricerche del famoso scrittore Paul Sheldon, misteriosamente scomparso durante una tempesta di neve, proseguano senza sosta: queste aggiunte, oltre a rendere più credibile la catena degli eventi, aiutano a portare al massimo la tensione verso il finale, quando Annie inizia a rendersi conto che prima o poi il suo sequestro verrà smascherato. Il film spiega anche alcuni dettagli che nel libro erano tralasciati, come ad esempio il fatto che Annie non abbia trovato per caso Paul durante la tempesta ma lo stesse seguendo. Anzi, che lo spiasse sempre quando si rintanava nel suo hotel preferito per scrivere i suoi libri: un’informazione non da poco, per capire che tipo di persona dia Annie Wilkes, un personaggio su cui si potrebbero scrivere saggi di psicologia, di psichiatria e di letteratura.
E poi c’è il pinguino: è presente anche nel libro, ma nel film è causa di una delle scene più ansiogene e raccapriccianti. Vedere per credere…
La bravura immensa dei due attori protagonisti del film è fondamentale: se James Caan è perfetto, Kathy Bates è divina. La sua Annie Wilkes è tenera, infantile e dolce, in un primo momento, ma si trasforma gradualmente in un vero demonio, crudele e spaventoso e senza alcuna pietà, che nulla ha da invidiare agli altri mostri soprannaturali di King per ferocia, potenza e terrore che è in grado di suscitare.
Per concludere: Misery è sicuramente il libro che finora ho apprezzato di più di Stephen King; tuttavia, come Shining, non esce bene dal confronto con il film, anche se, proprio come Shining, ha saputo creare un’atmosfera, un’ambientazione e dei personaggi memorabili, che altro non chiedevano se non di diventare un film. E questo, innegabilmente, è un grande merito.
Se qualcuno, dopo la visione di Misery, dice di non essersi voltato nemmeno una volta a guardare se, nascosta nel buio, c’era l’infermiera Wilkes con un coltello… beh, sta mentendo.





