Shadow

Titolo originale: Ying

Anno: 2018

Regia: Zhang Yimou

Interpreti: Chao Deng, Li Sun, Ryan Zeng, Wang Qianyuan

Dove trovarlo: Prime Video

Il comandante dell’esercito Ziyu, dopo essere stato sconfitto in duello dal rivale Yang Kang, si nasconde in una grotta e addestra segretamente un suo perfetto sosia affinché un giorno possa sconfiggere Yang Kang e riabilitare il suo nome. Non ha però considerato i sentimenti che la moglie segretamente prova per la sua “ombra” e i mille intrighi che la corte nasconde.

Il regista cinese Yimou Zhang nel 2002 aveva realizzato il suggestivo film Hero rielaborando la trama del capolavoro del grande maestro del cinema giapponese Akira Kurosawa, Rashomon, in cui una stessa storia viene raccontata e rappresentata da punti di vista diversi a seconda del personaggio narrante, dando vita ad un trionfo estetico di colori e movimenti davvero notevole, supportato da una storia coinvolgente con un twist interessante nel finale e attori molto fascinosi. 

Hero, 2002

Anche con Shadow Yimou Zhang procede da spunti e suggestioni prese da Kurosawa: la pioggia battente e senza fine (Rashomon), la figura femminile che spicca nel finale per colori a contrasto, movenze ed espressioni molto cariche (Trono di Sangue), il sosia “ombra” che sostituisce il combattente nelle situazioni più pericolose (Kagemusha). Questa volta però, a contrasto con la saturazione policroma di Hero, il regista mette in scena un mondo in bianco e nero rappresentando e al contempo negando la classica contrapposizone tra Yin e Yang, bianco e nero, bene e male: in modo fin troppo didascalico i personaggi si allenano al combattimento in un’arena a forma di Yin-Yang, e i personaggi stessi proclamano come non esistano giusto o sbagliato ma solamente ciò che accade e ciò che non accade. In questo film non ci sono buoni o cattivi, eroi o malvagi, ma ogni personaggio è “grigio”, amorale, guidato da motivazioni imperscrutabili e in fin dei conti irrilevanti. Lo stesso finale aperto ci lascia nell’ignoranza di cosa sia accaduto, quale decisione sia stata presa: eppure la scelta finale non è rilevante, in quanto nulla di ciò che accade può dirsi giusto o sbagliato. Se l’idea di fondo è abbastanza interessante, la resa è decisamente poco incisiva: gli attori appaiono a loro volta “grigi”, senza saper infondere vita nei loro personaggi, che restano sagome di cartone utili al regista per esporre la sua tesi ma prive di anima; la continua ricerca estetica in ogni singola inquadratura sovrasta ogni dialogo, ogni azione e ogni dinamica tra i personaggi; il ridicolo involontario arriva con forza nella scena in cui si invitano i combattenti a “maneggiare gli ombrelli con movenze femminili” per vincere la battaglia.

In definitiva questa nuova estetica e filosofia cinematografica del regista cinese non mi ha convinta, soprattutto per via della decisione di anteporre il messaggio alla rappresentazione, a discapito ovviamente della forza del film, divenuto manifesto di una visione interessante ma trasmessa in modo troppo diretto: più manifesto estetico/filosofico che film.

Voto: 2 Muffin

U: Solit – Udine

U – SOLIT – UDINE

Trovo che sia meraviglioso il modo in cui le nostre passioni (nel mio caso, inutile dirlo, il cinema) possano avvicinare tra loro persone completamente diverse, che magari non si sarebbero mai neppure rivolte la parola se non si fossero trovate sedute vicine in una sala cinematografica o in coda per farsi firmare un autografo. Io mi ritengo una persona molto fortunata perchè sono riuscita nel corso degli anni a mantenere molte delle amicizie a cui tenevo di più. Tra queste una mia cara amica conosciuta a soli quindici anni sui banchi di scuola cui mi riferirò col suo titolo nobiliare “Contessa Arruffapopoli“. È davvero difficile immaginare due ragazze più diverse di noi per idee politiche, modo di vestire, scelta degli hobby, degli amici e dei passatempi (non sempre dei ragazzi, tuttavia, e questo portò all’unico e solo screzio tra di noi): ma proprio per questo, in questi anni, abbiamo avuto modo di arricchirci a vicenda di esperienze che, da sole, di certo non avremmo mai fatto, e di allargare l’una gli orizzonti dell’altra. Alla base di tutto, certo, abbiamo sempre avuto in comune l’amore per le famigerate materie umanistiche (che ci portò ad attraversare assieme prima il liceo classico e poi la facoltà di lettere), letteratura, teatro, e anche cinema. Fu così che decidemmo di prenderci qualche giorno tutto per noi e partecipare al FEFF (Far East Film Festival) di Udine insieme. Prenotammo un piccolo B&B e partimmo, entusiaste e curiose. Eravamo partite con un giorno di anticipo per avere il tempo di visitare la città, ma Udine si rivelò una delusione, una cittadina piccola e con poche attrattive, giusto appena animata da alcune bancarelle a tema orientale in occasione del festival. Avremmo dovuto sospettarlo quando, arrivando dalla stazione verso il centro, ci imbattemmo in una gigantesca scritta su un muro: SOLIT – UDINE. Insomma, più chiaro di così… Poi iniziò il festival, e per quattro giorni non ci fu più tempo per niente altro, a malapena per mangiare. Le proiezioni  iniziavano alle dieci del mattino e continuavano senza soluzione di continuità (giusto un’oretta scarsa per il pranzo) fino a sera. Fu un’esperienza immersiva stupenda, di quelle che poi, una volta messa su casa e famiglia, diventano un’utopia. Vedemmo film belli e brutti, divertenti e tristi, violenti e romantici… si passava da un genere all’altro, da un paese orientale all’altro, senza respiro. Ricordo che, mentre passavamo come al solito di fretta da una sala all’altra, dissi alla Contessa Arruffapopoli: “Finora il film che mi è piaciuto di più è stato quel drammone vietnamita… quello che abbiamo visto l’altro ieri…”. La mia amica mi guardò sorniona e mi corresse: “Guarda che lo abbiamo visto stamattina!”. In contesti del genere il tempo si dilata, e si finisce per perderne completamente la cognizione. Ritornammo a casa stordite, un po’ confuse, ma sicuramente felici e soddisfatte dell’esperienza. Ritentammo l’anno successivo, ma lo sciopero dei treni ce lo impedì. Così quei quattro giorni restano unici e memorabili, come esperienza culturale senza dubbio ma anche come tassello di una grande e duratura amicizia. Alla faccia della solit-Udine.