Mel Brooks – All About Me

Nel 2020, durante il surreale periodo del lockdown, tutti noi ci siamo dovuti ingegnare per passare il tempo senza poter uscire di casa né vedere parenti e amici. Molti si sono dati alla cucina, qualcuno al bricolage o al giardinaggio, altri ancora al binge watching di serie tv, qualcuno ha dovuto inventare ogni giorno un passatempo nuovo per i bambini…

Qualcuno invece, ben consigliato dal figlio Max, ha deciso di scrivere un’autobiografia: Mel Brooks.

Il mio film preferito di Mel Brooks: Silent Movie

Il regista americano, che ci ha regalato inarrivabili capolavori della risata come Frankenstein Junior, Mezzogiorno e Mezzo di Fuoco, e il mio preferito L’Ultima Follia di Mel Brooks, ha sfruttato al meglio l’occasione per riversare su carta i suoi ricordi e raccontarci la sua vita e la sua lunghissima carriera nel mondo dello spettacolo.

Il sorriso che spontaneamente sorge quando si pensa a uno qualunque dei suoi film si trasforma in risata già leggendo il titolo che Brooks ha scelto per la sua autobiografia: All About Me – My Remarkable Life in Show Business (Tutto su di me – La mia ragguardevole vita nel mondo dello spettacolo).

Questo libro ha un gran numero di pregi. Numero uno, è ponderoso. E nonostante questo, una volta arrivati all’ultima pagina non si è ancora pronti per chiuderlo: per favore Mel, un altro aneddoto, un altro nome illustre, un’altra risata… Di Mel Brooks non si è mai sazi!

Il secondo pregio è la metodicità con cui è stato impostato: iniziando naturalmente dalla nascita di Melvin James Kaminsky, il 28 giugno 1926, e dall’infanzia trascorsa con la madre e i fratelli a New York. Tutto è esposto in ordine cronologico, con tutte le date, i nomi e i riferimenti: non male per un signore di 97 anni! 

Un’altra caratteristica che rende il libro una vera chicca per tutti i cinefili è il gran numero di personaggi noti del cinema con cui Mel Brooks ha avuto occasione di collaborare: dai fedelissimi come Gene Wilder, Marty Feldman, Madeline Kahn, alle grandi amicizie come Alan Ladd Jr, Woody Allen, Ezio Greggio, fino alle star di primissimo ordine che con lui hanno lavorato come Orson Welles, Alfred Hitchcock, Liza Minnelli, Paul Newman…

Mel Brooks a pranzo con Alfred Hitchcock

Ma il merito più grande di questo libro secondo me è questo: in tutto il libro, Mel non ha mai una parola cattiva, un giudizio negativo, un accenno di risentimento verso nessuno. Anche i momenti più problematici come le difficoltà economiche della famiglia, il servizio militare, l’esacerbante gavetta come autore di programmi televisivi, ci vengono raccontati con tono sereno, tra ricordi affettuosi di tutti quelli che gli erano accanto e risate condivise con loro. Tutta la vita di Mel Brooks, leggiamo, è stata un’intensa, felice e gioiosa gita verso il successo e la felicità, sul lavoro, nell’arte e nel privato.

Padre di cinque figli, sposato, in seconde nozze, con la meravigliosa attrice Anne Bancroft (la donna matura che seduce il giovane Dustin Hoffman in Il Laureato), Mel si innamora fin da piccolo del teatro e inizia a sognare Broadway. Diventerà presto autore di testi per la stand up comedy, per poi passare alla stesura di copioni per spettacoli, musiche comprese; diventerà poi sceneggiatore, regista e attore. Mel Brooks è uno dei pochissimi appartenenti al mondo dello spettacolo a poter vantare nel suo curriculum un EGOT – acronimo con cui si indicano i 4 premi più importanti del settore: Emmy, Grammy, Oscar e Tony, tutti quanti vinti da Mel nel corso della sua brillante carriera. Ancora oggi Mel non mostra di volersi fermare, continuando a ricoprire il ruolo di doppiatore, attore e produttore, ed essere ricoperto di premi e onorificenze varie (tra cui la National Medal of Arts conferitagli dall’allora Presidente Barack Obama). Mel è riuscito perfino a riportare in vita (“SI PUO’ FARE!”) un progetto che sembrava ormai dimenticato: La Pazza Storia del Mondo Parte 2, seguito annunciato (in originale infatti il titolo del film diretto da Mel Brooks nel 1981 era History of the World Part I) che è diventato una serie tv andata in onda pochi mesi fa.

“Mi serve una casa più grande!”

All About Me riesce a raccontare tutto questo, e molto di più, senza essere noioso nemmeno per una riga. Le vicende produttive di ciascun film, la vita sul set, i rapporti con cast e troupe, gli escamotage per non farsi mettere i bastoni tra le ruote dai produttori: ce n’è per tutti i gusti! 

Gli aneddoti poi, che spesso coinvolgono celebrità del mondo dello spettacolo, sono il piatto forte. 

Il giovanissimo Dustin Hoffman che non può recitare nel ruolo di Franz Liebkind in Per favore non toccate le vecchiette perché deve girare Il Laureato con… Anne Bancroft, la moglie di Brooks!

La gamba della moglie di Mel Brooks

Mel Brooks che va a casa di James Caan per convincerlo a partecipare a Silent Movie e ne esce con una firma sul contratto… e un cagnolino, Pongo, che resterà con lui per ben 15 anni!

James Caan che si pente di aver dato quel cucciolo a Brooks…

Gene Wilder che, al termine delle riprese di Frankenstein Junior, continua ad insistere per rigirare alcune scene, fino ad ammettere di non voler andare a casa perché quello sul set di Mel Brooks è il periodo più felice della sua vita.

(da sinistra) Mel Brooks, Peter Boyle, Marty Feldman, Gene Wilder e Teri Garr

Potrei continuare ad elogiare questa meravigliosa autobiografia per ore (non ho nemmeno parlato della prefazione, una delle cose più divertenti che io abbia mai letto!), ma mi fermo qui insistendo perchè chiunque abbia visto e amato anche un solo film in vita sua (non necessariamente di Mel Brooks, intendo un film qualunque!), e a maggior ragione chi da sempre ama e segue Mel, non esiti un istante di più e corra a procurarsi una copia di All About Me (ricordate che mancano solo 91 giorni a Natale!)

Ecco l’idea regalo perfetta per Natale!

MISERY

Ognuno ha un modo diverso di trascorrere il tempo sotto l’ombrellone in estate: qualcuno ama dormicchiare, qualcuno si dedica alle parole crociate o ai sudoku, qualcuno passa tutto il tempo a parlare a voce altissima al cellulare infastidendo tutti quelli che gli stanno intorno, molti si dedicano a letture leggere, come i “romantichelli” o i “gialletti”. 

Io? Io leggo Stephen King.

Ho già raccontato in passato del mio complicato rapporto con lo scrittore americano, ma, che sia di amore o di odio, non è una relazione che sono in grado di troncare. Così, quando si è trattato di decidere cosa leggere in vacanza, la scelta è caduta su un romanzo scritto da Stephen King nel 1987: Misery.

La traduzione italiana del titolo, Misery non deve morire, non si può dire sbagliata, però porta via al titolo la sua deliziosa ambivalenza semantica. Misery infatti non è solo il nome di un personaggio di finzione nella finzione (come vedremo), ma in inglese significa “miseria, disperazione, infelicità”, e descrive perfettamente la situazione in cui si vengono a trovare i due protagonisti.

Appena 3 anni dopo l’uscita del romanzo, nel 1990, Misery era già diventato un film interpretato da attori eccezionali (Kathy Bates, James Caan e Lauren Bacall) e diretto da Rob Reiner, il regista di classici come Harry ti presento Sally, La Storia Fantastica, Stand by Me

Avevo visto il film molti anni fa e l’avevo trovato magnifico, quindi ero molto curiosa di leggere il romanzo da cui era stato tratto. E poi naturalmente di rivedere il film, per giudicarlo partendo da una nuova prospettiva.

Alla domanda, che forse ha poco senso fare ma che poi tutti fanno, “Ma è meglio il libro o il film?”, rispondo senza alcuna esitazione: “E’ molto meglio il film”.

Questa affermazione ovviamente va motivata, ma vorrei comunque iniziare con una breve sinossi della trama, che è la stessa per il libro e per il film.

Lo scrittore americano Paul Sheldon ha raggiunto fama e ricchezza grazie ad una serie di romanzi d’amore che hanno come protagonista la bella e disinibita Misery Chastain, ma non ha abbandonato il desiderio di scrivere qualcosa di più serio e importante. Decide quindi, nel suo ultimo romanzo, di far morire il personaggio di Misery, per potersi finalmente dedicare ad altro. Mentre l’ultima avventura di Misery viene data alle stampe, Paul intanto scrive la sua opera impegnata. Ma, proprio mentre è in viaggio per portare il manoscritto appena terminato al suo editore, lo sorprende una tempesta di neve e la sua auto finisce fuori strada, capovolta. Ma qualcuno ha assistito all’incidente, salva Paul e lo porta a casa sua, al riparo dalla tormenta, per prestargli le prime cure. Si tratta di Annie Wilkes, che subito lo scrittore riconosce come “la sua fan numero uno”. Annie è un’infermiera che vive sola in una casa isolata tra i boschi del Maine, e si ritiene molto fortunata per aver potuto prestare aiuto al suo idolo. Mentre Paul è bloccato a letto a causa delle ferite riportate nell’incidente quasi mortale, nelle librerie esce Il Figlio di Misery, e Annie corre immediatamente ad acquistarlo. Ma quando scopre che, nel finale, il personaggio di Misery muore, il suo atteggiamento verso il suo ospite convalescente cambierà radicalmente…

Non è difficile vedere come Paul Sheldon sia un alter ego dello stesso Stephen King, come lui stesso spiega nel suo saggio sulla scrittura On Writing, e come la sua crescente dipendenza dai farmaci antidolorifici, somministrati con zelo dalla solerte Annie, ricalchi la dipendenza da farmaci che ha attanagliato King per molto tempo. King, sempre in On Writing, confessa di aver scritto Misery come un grido di aiuto per la sua dipendenza da eroina (da qui l’equazione Annie Wilkes = eroina, che Paul odia ma da cui è dipendente). Si può dire quindi che Misery sia uno dei suoi libri più sentiti e personali (la macchina da scrivere che Annie procura per Paul, la Royal, è la stessa che la madre regala al piccolo Stephen King per il suo undicesimo compleanno). King nel suo saggio spiega però che tutti i suoi personaggi rappresentano una parte di lui stesso, pur essendo alcuni più affini, come Paul Sheldon, e altri più alieni, come Annie Wilkes (questi ultimi però però, svela King, sono i più divertenti da sviluppare – essere per un po’ Annie Wilkes è stata “una gita a Disneyland”). Anche Jack Torrance (interpretato nel film da Jack Nicholson), il protagonista di Shining, è come Paul Sheldon uno scrittore che, nel libro, è dipendente dai farmaci.

A proposito di Shining, che King aveva scritto nel 1977, nel libro Misery ad un certo punto Annie spiega come alcuni giornalisti, di tanto in tanto, si avventurino da quelle parti spinti dalla curiosità verso l’Overlook Hotel… che è l’albergo in cui è ambientato Shining! Questo rimando da un libro all’altro per un attimo mi ha fatto pensare alla possibilità di un “King-verso” in cui tutti i mostri e le creature spaventose dei suoi libri e racconti si trovino a convivere: i fantasmi dell’Overlook Hotel, il San Bernardo crudele Cujo, il clown assassino di IT, l’indemoniata Carrie… e naturalmente Annie Wilkes.

L’idea per la trama di Misery è venuta a King in sogno, mentre si trovava su un aereo diretto a Londra: il suo sogno conteneva tutti gli elementi principali della storia, compreso il maiale con il nome dell’eroina dei libri e uno scrittore che “potrei essere stato io, ma di sicuro non era James Caan” puntualizza King. Al suo risveglio scribacchia i dettagli del suo sogno su un tovagliolino di carta, e non appena giunto in hotel a Londra chiede subito se ci sia un posto quieto dove può mettersi a scrivere. Il solerte consierge lo accompagna in uno studio con una grande scrivania di legno. “Qui” spiega orgoglioso il consierge “ha scritto anche Rudyard Kipling“. “Davvero?” domanda distrattamente King, impaziente di mettersi al lavoro. “Sì, Kipling è morto proprio a questa scrivania. Ha avuto un infarto.” E con questa rivelazione King viene lasciato solo nello studio, dove inizia a prendere forma Misery.

Per fortuna, mentre scrive il libro King abbandona l’idea iniziale che l’infermiera Annie voglia il nuovo libro su Misery stampato sulla pelle della suo maialina omonima. Ma il cambiamento di rotta non impedisce a King, che scrive sempre sotto l’effetto di alcol e droghe, di divertirsi moltissimo (parole sue).

Il film è molto fedele al libro nella trama, nella descrizione dei personaggi, nelle situazioni, nell’atmosfera e nei dialoghi, molti dei quali sono identici parola per parola. Ovviamente il film rispetto al libro deve anche sforbiciare molte cose, ma nel caso di King, questo non è mai un male. Mi spiego: a dispetto del suo mantra “Show, don’t tell” enunciato molte volte in On Writing, King tende invece a spiegare troppo e troppo dettagliatamente e ad esagerare le situazioni (come accadeva anche per Shining). Tanti deliri allucinatori di Paul dovuti ai farmaci, tante situazioni ripetute, tante descrizioni di fenomeni fisiologici, risultano pleonastici ai fini sia della trama che dell’atmosfera. E i lunghi brani del nuovo romanzo su Misery scritto da Paul (su “gentile” richiesta di Annie), sebbene facciano apprezzare il talento di King per il genere “Harmony”, distolgono parecchio e spezzano il crescendo della tensione.

Perchè Misery, in entrambe le versioni, ha come suo punto di forza la costruzione della tensione, che arriva a livelli di puro terrore per il lettore e lo spettatore: questo è innegabile.

Se da una parte la sceneggiatura, inevitabilmente, deve togliere, dall’altra però aggiunge qualcosa, il che va a tutto vantaggio della scorrevolezza e del realismo. Nel libro sono assenti sia il personaggio dell’editore che quello dello sceriffo, che invece aiutano a mostrare come, al di fuori del piccolo mondo a sé che è casa Wilkes, le ricerche del famoso scrittore Paul Sheldon, misteriosamente scomparso durante una tempesta di neve, proseguano senza sosta: queste aggiunte, oltre a rendere più credibile la catena degli eventi, aiutano a portare al massimo la tensione verso il finale, quando Annie inizia a rendersi conto che prima o poi il suo sequestro verrà smascherato. Il film spiega anche alcuni dettagli che nel libro erano tralasciati, come ad esempio il fatto che Annie non abbia trovato per caso Paul durante la tempesta  ma lo stesse seguendo. Anzi, che lo spiasse sempre quando si rintanava nel suo hotel preferito per scrivere i suoi libri: un’informazione non da poco, per capire che tipo di persona dia Annie Wilkes, un personaggio su cui si potrebbero scrivere saggi di psicologia, di psichiatria e di letteratura.

E poi c’è il pinguino: è presente anche nel libro, ma nel film è causa di una delle scene più ansiogene e raccapriccianti. Vedere per credere…

La bravura immensa dei due attori protagonisti del film è fondamentale: se James Caan è perfetto, Kathy Bates è divina. La sua Annie Wilkes è tenera, infantile e dolce, in un primo momento, ma si trasforma gradualmente in un vero demonio, crudele e spaventoso e senza alcuna pietà, che nulla ha da invidiare agli altri mostri soprannaturali di King per ferocia, potenza e terrore che è in grado di suscitare.

Per concludere: Misery è sicuramente il libro che finora ho apprezzato di più di Stephen King; tuttavia, come Shining, non esce bene dal confronto con il film, anche se, proprio come Shining, ha saputo creare un’atmosfera, un’ambientazione e dei personaggi memorabili, che altro non chiedevano se non di diventare un film. E questo, innegabilmente, è un grande merito.

Se qualcuno, dopo la visione di Misery, dice di non essersi voltato nemmeno una volta a guardare se, nascosta nel buio, c’era l’infermiera Wilkes con un coltello… beh, sta mentendo.

Lo Strano Caso della Crasi di John Krasinski

Lo Strano Caso della Crasi di John Krasinski

L’offerta di film, serie e programmi tv in streaming è aumentata a dismisura in questi ultimi anni, questo lo sanno tutti. E’ anche vero però che non è possibile essere abbonati contemporaneamente a tutti i servizi, diventerebbe molto costoso, e inoltre, come tutti i cinefili purtroppo sanno, il tempo da poter passare davanti alla tv non è infinito… Quindi in casa mia ( e sicuramente non siamo i soli)abbiamo adottato la politica degli abbonamenti “a salti”: un mese questa piattaforma, un mese quest’altra e così via.

Il mese scorso era il turno di Prime Video. Con mia grande gioia, così ho potuto infatti proseguire la visione della serie The Office, che continuo a trovare esilarante (puntata più e puntata meno) ancora alla nona stagione. Ovviamente guardare The Office implica, oltre a un’overdose di risate e di Steve Carell, anche un abbondante contorno di John Krasinski, che nella sit-com interpreta Jim, uno dei personaggi principali: non certo il più simpatico (anzi, spesso penso che se avessi un collega come lui nella realtà lo vorrei prendere a pugni tutti i giorni) ma di sicuro quello che crea gli scherzi e i raggiri più divertenti, di solito ai danni del collega e arcinemico Dwight.

Fatalità ha poi voluto che, proprio in agosto, sia uscita su Prime Video la quarta (e ultima) stagione della serie spy-action Jack Ryan, che racconta le avventure dell’analista della CIA divenuto agente sul campo creato da Tom Clancy e interpretato, guarda caso, dal nostro altissimo e inflazionatissimo John Krasinski.

Non che io abbia qualcosa contro di lui, anzi, ho avuto modo di apprezzarlo molto come regista per A Quiet Place (mi riferisco al primo, ritengo invece che il seguito fosse pleonastico e meno originale e coinvolgente), ma in questo periodo ho spesso avuto l’impressione di vederlo ovunque. Quando me lo sono ritrovato davanti inaspettatamente anche nel Multiverso della Follia del Doctor Strange ho seriamente pensato per un attimo a un’allucinazione. Poi ho capito che, se sei fantastico, non ci puoi proprio fare niente…

Ho guardato (a tratti dormicchiando, a tratti proprio russando mi dicono) tutte le 4 stagioni di Jack Ryan. Fin dall’inizio l’ho trovato noioso, privo di umorismo (cosa che una bondiana come me non può tollerare in un film di spie), con trame complicate e poco interessanti e personaggi del tutto privi di spessore. Ciononostante, tra un sonnellino e l’altro, sono arrivata in fondo (salvo ovviamente futuri sequel/prequel/spin-off/reboot).

Che cosa poteva accadere però dopo questa krasinskica abbuffata?

Semplice: una notte ho sognato John Krasinski.

Nel sogno io mi trovavo in ufficio (!) con tutti i miei colleghi. A un certo punto uscivamo tutti sul terrazzo per osservare un fenomeno meteorologico stranissimo: il cielo era pieno di nuvole dalle forme più strane, che si muovevano a bassissima quota a grande velocità in tutte le direzioni e, quando incontravano un edificio, un albero, oppure si scontravano tra di loro, si dissolvevano schizzando milioni di goccioline d’acqua tutt’intorno.

Noi eravamo tutti ammaliati e divertiti da quello spettacolo, galvanizzati a guardare le nuvole che si rincorrevano ed entusiasti degli schizzi freschi che spesso ci colpivano.

Ma qualcuno non era altrettanto entusiasta.

In un angolo, Jack Ryan (nel sogno un nostro collega) osservava tutto con espressione indifferente e le mani in tasca. Poi, d’un tratto, decideva di uccidere la nostra gioia infantile con una lunga, monotona, prolissa e dettagliata spiegazione scientifica del fenomeno.

“Non c’è nulla di insolito. Si tratta di cumulonembi i quali, in seguito alla differenza di pressione e alla divergenza delle masse…” bla bla bla. Fine della magia.

Non ho faticato, al risveglio, a capire di aver realizzato nel mio subconscio una fusione (crasi) tra i due personaggi di Krasinski che mi avevano tenuto compagnia per tante ore: Jim Halpert, il collega d’ufficio, e Jack Ryan, l’analista che snocciola dati e teorie socio-politiche senza mai cambiare espressione o tono di voce per un attimo.

Ma la bellezza del cinema (e delle serie tv) è anche questa: a volte, anche dalle cose che sembrano più banali, noiose e insignificanti, può scaturire qualcosa di buffo e bizzarro, come questo strambo sogno.