Un Anno da Leoni

Titolo originale: The Big Year

Anno: 2011

Regia: David Frankel

Interpreti: Steve Martin, Jack Black, Owen Wilson, Rosamund Pike, Jim Parsons, Corbin Bernsen

Dove trovarlo: Disney Plus

Ogni anno gli americani appassionati di ornitologia si sfidano a chi riesce a vedere il maggior numero di esemplari appartenenti a specie diverse di uccelli sul territorio statunitense. Questa sfida prende il nome di Big Year (“Grande Anno”), e ogni anno vi partecipano centinaia di appassionati di ornitologia. Ed è proprio in questa sfida che si incrociano le vite di tre uomini diversissimi tra loro ma accomunati dalla passione per i pennuti: Brad (Jack Black), reduce da un divorzio che abita con i genitori ed è in grado di distinguere i volatili dal loro verso; Stu (Steve Martin), imprenditore ricco e di successo; e infine Kenny (Owen Wilson), veterano del birdwatching e vincitore delle ultime edizioni del Big Year, fermamente intenzionato a mantenere intatto il suo record di 732 specie avvistate.

Non fatevi ingannare dal titolo italiano: The Big Year, anche se tradotto in italiano con Un Anno da Leoni, immagino, per cavalcare l’onda lunga del successo della commedia Una Notte da Leoni, non è una commedia demenziale ma invece una commedia molto garbata e originale, con tre ottimi protagonisti e un tema originale. Come avverte il film nel suo incipit, il film racconta una storia vera, sono stati inventati solamente i fatti. Tuttavia, anche se i personaggi e gli eventi specifici sono frutto di fantasia, il Big Year esiste davvero, ed è assai suggestivo immaginare queste migrazioni di “birders” (guai a dire “birdwatching”!) per tutti gli Stati Uniti (ma la competizione esiste anche in altri Paesi e si svolge anche a livello mondiale) all’inseguimento di uno stormo di folaghe o del sito di accoppiamento delle cinciallegre. Quello che ho trovato molto affascinante è lo spirito stesso della competizione, basata interamente sulla fiducia: per dichiarare di aver avvistato un esemplare infatti non è necessario produrre prove fotografiche o di altro tipo, ma è sufficiente affermare di aver visto (o anche solo sentito!) quel particolare uccello. Inutile dire che nell’inseguimento dei pennuti, ciascun personaggio troverà o perderà qualcosa di più importante: l’amore, l’amicizia, la realizzazione di un sogno. Il film non annoia mai, grazie ad un buon ritmo di regia (dietro la macchina da presa c’è David Frankel, regista di una commedia di culto come Il Diavolo veste Prada), un’ottima e variegata scelta delle musiche e soprattutto le interpretazioni perfette di tre divi come Jack Black, Steve Martin e Owen Wilson, tutti perfettamente a loro agio nel genere commedia e bravissimi nel rendere questi personaggi e le relazioni ondivaghe tra di loro. Oltre ai tre protagonisti, anche tutti i comprimari e i personaggi secondari sono incarnati al bacio, grazie al casting impeccabile di Margery Simkin, che ci regala, tra gli altri, un Jim “Sheldon Cooper” Parsons per una volta affascinato e non terrorizzato dagli uccelli e un Corbin Bernsen micidiale pilota di elicottero.

Come dicevo all’inizio, una commedia garbata come se ne vedono poche, adatta volendo anche ai bambini, con un uso non esclusivo né fastidioso della CGI nel riprodurre gli animali e un buon mix di scene divertenti e commoventi. Molto adatto alle serate tranquille, anche in famiglia, e da godere se possibile in lingua originale per assaporare meglio le interpretazioni.

Voto: 3 Muffin

“Lo vedete anche voi? Un muffin per ciascuno!”

Chris Hemsworth: Un memorabile viaggio on the road

So cosa state pensando: Madame si sorbirebbe qualunque idiozia che abbia dentro Chris Hemsworth. Vero. Infatti, dopo le sue peripezie alla ricerca di squali, sto aspettando con trepidazione Chris Hemsworth fa la fila in posta, Chris Hemsworth prepara le uova strapazzate e Chris Hemsworth sceglie il dentifricio. A questo pensavo, leggendo il titolo italiano di questo speciale di National Geographic. ma la traduzione italiana perde una sfumatura che è essenziale per comprendere le motivazioni dietro a questo viaggio di Chris con suo padre: infatti l’originale A road trip to remember, oltre a significare “un viaggio da ricordare” può anche voler dire “un viaggio per ricordare”. Infatti a Craig, il padre di Chris, è stato diagnosticato l’Alzheimer, i cui sintomi iniziano purtroppo a manifestarsi. Purtroppo, ad oggi, non esistono cure per questa malattia degenerativa, ma gli specialisti suggeriscono alcune strategie per rallentarne il decorso, mantenendo il più possibile la persona attiva e stimolata. Questo ha spinto Chris a decidere di partire con il padre per un viaggio non solo negli splendidi paesaggi australiani, ma nel tempo, alla ricerca di luoghi e persone un tempo molto familiari per Craig, che potessero stimolare il più possibile il suo cervello a ricostruire vecchi ricordi.

Per Chris si tratta di passare del tempo con il padre, ma c’è dell’altro: anche lui è geneticamente predisposto a sviluppare, nel tempo, la stessa malattia, e non nasconde di essere in ansia anche per il proprio futuro e quello della sua famiglia.

Ricordiamo che Chris è sposato con la splendida attrice Elsa Pataky e che la meravigliosa coppia ha tre figli: India Rose, Sasha e Tristan.

E così padre e figlio, in sella alle loro motociclette (Craig è stato pilota professionista, tra le altre cose), partono verso la casa in cui Chris ha trascorso la sua infanzia, per poi fare tappa in altri luoghi importanti, come il laghetto presso cui era stata scattata la fotografia che si vede in locandina o il luogo in cui Craig lavorava come domatore di bufali (dove tutti lo ricordano affettuosamente come “Chuck Norris”).

Il viaggio è ricco di rimembranze, emozioni, momenti di gioia che si alternano a momenti di ansia per il futuro, ma non diventa mai eccessivamente patetico o angosciante, rimanendo dilettevole per la sua intera durata.

Una bella occasione, per i fan di Chris, di scoprire qualcosa di più su di lui, sulla sua famiglia e sui luoghi in cui è cresciuto, ma anche una riflessione a livello più generale sul valore della famiglia, delle relazioni e della vita stessa.

Lo trovate su Disney Plus, insieme alle altre avventure di Chris.

C’é qualcuno nel mio scantinato

Titolo originale: The Man in my Basement

Anno: 2025

Regia: Nadia Latif

Interpreti: Corey Hawkins, Willem Dafoe

Dove trovarlo: Disney Plus

Charles (Corey Hawkins) non sa cosa fare della sua vita ed è al verde, tanto che pensa di vendere la casa di famiglia, suo unico bene. Inaspettatamente, un eccentrico sconosciuto che si presenta come Anniston (Willem Dafoe) gli offre una cifra folle per prendere in affitto la sua cantina. Charles, dopo le prime resistenze, accetta, senza sapere che si sta cacciando in un grosso guaio…

Mi sembra lapalissiano: se Willem Dafoe ti bussa alla porta e ti offre una cifra da capogiro per prendere in affitto la tua cantina, qualcosa di terribile succederà. Ma questo lo intuisce perfino il protagonista, Charles, che ha la faccia assente e obnubilata di Corey Hawkins. Nonostante questo guizzo di lungimiranza, l’unico di tutto il film, Corey accetta di avere Willem Dafoe nel suo scantinato. Ci sono le premesse per un ottimo horror psicologico, da camera, ma la regista Nadia Latif si guarda bene dal realizzarlo, preferendo mettere sul fuoco un minestrone di ingredienti casuali trovati qui e lì: body horror, thriller psicologico, esoterismo, oggetti maledetti e chi più ne ha più ne metta. Inutile dire che il risultato non ha un buon sapore. Non è mai chiaro dove il film voglia andare a parare, se voglia spaventare o analizzare o far riflettere o evocare in questo guazzabuglio di sogni, flashback, stati di alterazione di ogni genere e passato che tormenta. Sembra incredibile la convinzione con cui il sempre eccezionale Willem Dafoe recita le battute assurde che gli vengono assegnate davanti ad un Corey Hawkins con lo screensaver in viso e nulla di interessante da controbattere. La premessa, per quanto improbabile, si potrebbe anche accettare, ma è tutto il resto che non funziona proprio. La grande sorpresa finale, che dovrebbe spiegare il comportamento insensato di Charles, si intuisce già dopo qualche minuto, ma arriva senza sortire alcun effetto visto che il personaggio è insulso e antipatico e le sue motivazioni non suscitano alcun interesse. Un completo disastro, da evitare se non siete completisti di Willem Dafoe.

Voto: 1 Muffin

Weird – La storia di Al Yankovic

Titolo originale: Weird: The Al Yankovic Story

Anno: 2022

Regia: Eric Appel

Interpreti: Daniel Radcliffe, Evan Rachel Wood, Rainn Wilson, Patton Oswalt, Jack Black, Lin-Manuel Miranda

Dove trovarlo: Prime Video

Come ve la immaginate l’autobiografia del cantante di parodie Weird (=”strambo”) Al Yankovic, che in qualità di sceneggiatore racconta se stesso in questo film? Pazza, assurda, fuori di testa, come le sue canzoni. Avete indovinato: Weird: La storia di Al Yankovic è esattamente così. Racconta la vita del cantautore e suonatore di fisarmonica partendo dall’infanzia fino ad arrivare al successo e alla fama, ma lo fa, e non poteva essere altrimenti, a modo suo. Molti fatti, episodi e personaggi sono reali, ma a trionfare è la fantasia, l’esagerazione, la burla. Come quella volta che Al, insieme a Madonna, uccise Pablo Escobar, per fare un esempio.

Inutile elencare tutti i fatti assurdi che vengono raccontati, bisogna vedere il film e lasciarsi contagiare dalla sua buffa follia e dal suo modo fanciullesco e irresistibile di raccontare. Il tutto impreziosito da piccoli ruoli, a volte camei, ricoperti da personaggi di prim’ordine come Rainn Wilson, Patton Oswalt, Jack Black e molti altri. Ma su tutti si staglia un ottimo Daniel “Harry Potter” Radcliffe, che offre un’interpretazione ottima, ironica e sfrontata al punto giusto. E ancora una volta, vergogna a Prime Video che non offre l’audio del film in lingua originale.

Voto: 3 Muffin

Frankenstein

Anno: 2025

Regia: Guillermo del Toro

Interpreti: Oscar Isaac, Jacob Elordi, Mia Goth, Christoph Waltz, Charles Dance

Dove trovarlo: Netflix

Il piccolo Victor Frankenstein, sconvolto per il fatto che il padre, chirurgo di eccelsa fama, non sia riuscito a salvare la vita della madre, decide che diventerà a sua volta medico per cercare il segreto della vita eterna. Ma quando riesce nel suo intento, si rende tragicamente conto delle conseguenze delle sue azioni…

C’era bisogno di un altro film basato sul romanzo di Mary Shelley? Di un’altra rivisitazione della storia che ormai tutti conoscono? Prima di vedere il film non ne ero sicura, soprattutto perchè ho adorato il libro e non ho mai trovato al cinema una trasposizione degna del materiale originale di Mary Shelley. La versione che più mi ha colpito l’ho incontrata nella serie tv Penny Dreadful, ma quella si distaccava molto dalla storia raccontata nel romanzo.

Il regista Guillermo del Toro invece riesce ad essere allo stesso tempo molto fedele e assolutamente infedele, sia nei contenuti che nello spirito della sua opera.

Alcuni cambiamenti sono funzionali alla rappresentazione dei temi che più interessano il regista, mentre altri sono, almeno per me, più difficili da spiegare. Appare evidente che del Toro voglia descrivere, prima di tutto, il rapporto tra padre e figlio. Il piccolo Victor ha un legame ambivalente con il padre, che disprezza tanto lui quanto la madre per il loro carattere umorale e nervoso, oltre che per alcune caratteristiche fisiche (pallore, capelli corvini); Victor è molto legato alla madre, con cui ha molto in comune, mentre teme il padre (interpretato da Charles Dance), uomo freddo e insegnante severo. Quando la madre (interpretata da Mia Goth) muore dando alla luce il suo fratellino William, Victor incolpa il padre, chirurgo di grande fama, che non è stato in grado di salvarla. Oppure non ha voluto salvarla: anche questo sospetto si fa strada nella mente del giovane Victor, che ora è messo in ombra dal carattere aperto e solare del fratellino, opposto al suo, taciturno e contemplativo. Eppure, nonostante il rancore e la freddezza che prova per il padre, Victor finisce non solo per seguirne le orme diventando a sua volta medico chirurgo, ma per comportarsi esattamente come lui quando diventa, in qualche modo, padre. Quando riesce a dare la vita a una creatura composta di parti di cadaveri da lui assemblate, Victor assume verso di essa gli stessi atteggiamenti che aveva il padre nei suoi confronti: assenza di empatia, rigidità, delusione, amarezza, disprezzo. Victor desiderava una creatura dall’intelligenza viva e pronta, un altro se stesso; ma la sua creatura, come un neonato, apprende con lentezza, frustrando le sue aspettative e portandolo a maltrattare la creatura come suo padre faceva con lui. La scelta del regista di far interpretare a Mia Goth sia la madre che l’interesse amoroso di Victor, Elizabeth, è addirittura pleonastica, perchè è già chiaro allo spettatore che Victor soffre di un grave complesso di Edipo (amando la madre e disprezzando il padre) e che sia incapace di amore disinteressato. Ed ecco perchè Elizabeth, che all’inizio sembra attratta da lui (pur essendo la promessa sposa del fratello William) finisce col respingerlo, vedendo l’assenza di empatia e di compassione in lui. Quando la creatura, cui Victor insistentemente ordina di parlare, pronuncia infine il nome di Elizabeth, forma la propria condanna a morte: il creatore non può sopportare nè capire il rapporto di complicità e intesa che si sta creando tra la sua amata e suo “figlio”, come suo padre non poteva accettare il legame troppo stretto tra lui e sua madre. Victor si rivela essere uguale a suo padre e rifiuta la sua progenie, considerandola un fallimento. Quel fallimento però ha dei sentimenti, comprende e soffre, anela e patisce, consumato da sensazioni che non riesce a comprendere e bisognoso, come ogni creatura appena venuta al mondo, di aiuto e di amore.

Ho apprezzato la scelta di dividere la narrazione in due parti, il punto di vista di Victor prima e quello della creatura poi (così come è nel libro), perchè non può essere altrimenti: Victor abbandona la sua creatura, ritenendola morta, e il “mostro” fa esperienze per suo conto del mondo e dell’ambivalenza dell’essere umano, che può essere tanto amorevole quanto spietato. Quello che invece non ho capito è il personaggio del padre di Elizabeth, interpretato da Christoph Waltz, il quale finanzia le ricerche e gli esperimenti di Victor per una motivazione che non è difficile da intuire ma in definitiva non ha alcun peso sulla vicenda. Così come non ne ha il fatto che Elizabeth sia la promessa sposa del fratello e non dello stesso Victor, anche se questo si allinea con l’immagine che il regista ci offre della creatura, molto meno spietata di quella presentata nel libro, che uccide la moglie di Victor per punirlo del suo rifiuto di creare una campagna per il “mostro”.

A proposito di creazione, devo dire che la scena dell’assemblaggio del corpo della creatura è stata piuttosto difficile da guardare per via del suo crudo realismo e dell’indugiare su ogni raccapricciante dettaglio, ma una volta superata quella mi sono goduta in tutto e per tutto questa versione del racconto, non percependo la durata di 130 minuti.

Ho apprezzato molto le interpretazioni. I due veterani Charles Dance e Christoph Waltz non hanno bisogno di ricevere adulazioni da parte mia, mentre Oscar Isaac a mio giudizio ha dato vita al barone Frankenstein più antipatico, egocentrico e insopportabile di sempre. Mia Goth, con il suo aspetto ultraterreno, interpreta molto bene una donna che si sente fuori posto nel mondo (un po’ didascalico il fatto che lei stessa si descriva così in punto di morte in realtà) ma che è capace di grande sintonia con il suo prossimo, cosa di cui Victor non sembra essere capace (come non lo era suo padre). Infine non si può non menzionare Jacob Elordi, senza dubbio il “mostro” più affascinante e avvenente della storia dei cinema, ma che risulta convincente nella sua ricerca di risposte e di un suo posto nel mondo.

La creatura ha un aspetto molto meno ripugnante dei suoi predecessori cinematografici e televisivi, in linea con lo sguardo profondamente estetizzante di Guillermo del Toro, per cui ogni scenografia, ogni costume, ogni oggetto deve andare a comporre un quadro, un dipinto gotico affascinante e ridondante. Le crinoline fruscianti con cui Elizabeth passa a malapena attraverso le porte, gli archi, le candele, gli angeli, gli specchi: tutto rende lo sfondo impossibile da ignorare, anche se a volte il significato sembra passare in secondo piano rispetto al puro godimento estetico.

Però, se si accetta che il regista ama vedere il mondo attraverso questa lente goticizzante, se si sorvola su alcuni simboli smaccati (i guanti rossi indossati sempre da Victor, lo stesso colore degli abiti della madre) e su alcune modifiche narrativamente non impattanti, cosa rimane?

Non voglio svelare il finale, talmente differente da quello del romanzo (e da tutti quelli mostrati fino ad oggi al cinema) da potersi considerare sorprendente, ma dirò questo: in questo film ho visto la rappresentazione dell’essere umano, genitore o figlio, in ogni caso abitante di questo nostro pianeta, che si rende conto di aver commesso errori e di essere imperfetto e si ritrova a dover gestire questa consapevolezza.

A tutti noi è capitato, o capiterà, almeno una volta nella vita, di sentirsi sopraffatti dalla consapevolezza dei nostri difetti, delle nostre mancanze, dei nostri limiti. Come reagire? Questo film contiene la risposta di Guillermo del Toro a questa domanda. Non è giusta, non è sbagliata: è la sua risposta. E io l’ho apprezzata molto.

Quindi: c’era bisogno di un altro Frankenstein?

Posso solo dire: io non sapevo di averne bisogno, ma l’avevo.

Voto: 4 Muffin

Eat Local(s) – A Cena con i Vampiri (e con i Bloggables!)

Titolo originale: Eat Local(s)

Anno: 2017

Regia: Jason Flemyng

Interpreti: Charlie Cox, Eve Myles, Freema Agyeman, Billy Cook, Mackenzie Crook, Annette Crosbie, Tony Curran

Dove trovarlo: RaiPlay

I vampiri vivono in mezzo a noi. Da centinaia di anni. Quindi hanno avuto tutto il tempo per organizzarsi: esiste in Europa un Consiglio supremo, dopodiché ogni nazione viene gestita dal vampiro più anziano, in ottemperanza con tutte le norme vigenti nella comunità vampirica. Chi trasgredisce viene eliminato e sostituito. Ed è per questo scopo che il giovane zingaro (ma lui preferisce “rom”) Sebastian (Billy Cook) viene sedotto dalla splendida Vanessa (Eve Myles) e portato in un’isolata fattoria della campagna inglese: qui la congrega britannica, composta da otto vampiri, deciderà se il nuovo arrivato diventerà uno di loro o se diventerà piuttosto la loro cena…

Quando il mio caro amico e collega Lucius Etruscus mi ha chiesto di partecipare a questa deliziosa iniziativa di recensioni di film horror coordinate per il giorno di Halloween, ho accettato subito con entusiasmo, naturalmente. Oggi non siamo più solamente una manciata di bloggers raminghi: siamo i Bloggables! Poi però mi sono ricordata che a me gli horror fanno impressione! Ricordo giusto quelli visti in gioventù, quando il mio stomaco era meno suscettibile, ma non sopporto le scene troppo sanguinolente o impressionanti. 

Che fare?

Mi è venuto in soccorso il catalogo di RaiPlay, che alla ricerca “horror” mi ha proposto questa commedia inglese.

Chi bazzica talvolta CineMuffin già sa che, nonostante il nickname francofono, sono da sempre un’anglofila convinta, e tutto ciò che rischia di contenere dello humor british stuzzica inevitabilmente la mia curiosità.

E questo film, già dal titolo, appare davvero divertente: Eat Local(s), e cioè “Mangia Locale” (il famoso “km 0”) con l’aggiunta di quella “s” che lo trasforma in “Mangia I Locali” (ma sempre a km 0 comunque).

Infatti i vampiri protagonisti si nutrono, come da tradizione, di sangue umano, e per poterlo fare in serenità si sono spartiti l’Inghilterra in modo che ciascuno possa avere il controllo di un “territorio di caccia” in cui agli altri è tassativamente vietato sconfinare.

I vampiri hanno, come noi, le loro preferenze alimentari, come spiegano in una scena che ricorda molto le discussioni tra i giganti nel libro Il GGG di Roald Dahl (anche lui inglese), anche se qualcuno afferma fieramente di non avere preferenze di sorta.

Chi invece ha scelto una dieta radicale è Henry, il vampiro interpretato da Charlie “Daredevil” Cox, che per principio non si è mai nutrito di sangue umano, preferendo quello animale: una scelta etica, in quanto, come ci spiega: “Ero anche io umano una volta”.

Il film mi ha conquistato da subito per l’atmosfera di filmino girato in casa tra amici. L’incipit è addirittura una lunga inquadratura statica che ci mostra l’arrivo nella remota fattoria di tutti e 8 i vampiri inglesi, e anche andando avanti si ha l’impressione che la semplicità sia stata scelta come cifra di stile e non sia dovuta (o almeno non del tutto) alla mancanza di fondi, perché i trucchi prostetici sono ottimi e ci sono anche alcuni trucchi digitali di bella qualità, usati con saggezza e parsimonia.

Ho amato l’impostazione del film, che nella parte iniziale è quasi teatrale, nove personaggi chiusi in una stanza che parlano: hanno creato un mondo efficace e credibile con mezzi semplici, e ci bastano le parole dei personaggi per comprenderli e appassionarci alle loro differenze.

Ma l’idillio della riunione cinquantennale viene interrotto dall’esercito: i militari hanno scoperto della riunione, si sono nascosti nel bosco, osservano e attendono.

Ma cosa attendono? Potrebbero sbarazzarsi di tutti i vampiri dell’Inghilterra in un colpo solo…

Come vorrebbe l’inviato del Vaticano, che sollecita il colonnello a sterminare gli empi abomini. Ma il colonnello ha altri piani…

ATTENZIONE: SPOILER!

Non è per il gusto di rovinare la visione, ma è perchè l’ho trovato incredibilmente acuto e spassoso, che riporto qui le segrete motivazioni del colonnello: una blasonata ditta di cosmetici gli ha offerto una lauta ricompensa per poter avere un vampiro vivo su cui fare esperimenti per creare un siero della giovinezza.

Non svelo poi il finale correlato, ma è molto divertente.

FINE SPOILER

Quando entrano in scena i militari assistiamo anche ad alcune scene in esterno, che mi sono sembrate fatte molto bene, nonostante l’oscurità, e una scena di combattimento particolarmente ben riuscita. 

Alla fine del film ho guardato i titoli di coda fino alla fine e mi ha colpito un nome, quello del “consulente alle scene di combattimento”: un tale Jason Statham

Studiando le filmografie poi ho trovato altre connessioni, ad esempio ho scoperto che il regista Jason Flemyng ha partecipato come attore a Lock&Stock (1998) di Guy Ritchie insieme a Jason Statham; inoltre ha all’attivo un solo film da regista: questo. Si vede che gli è bastato…

Scherzi a parte, Eat Local(s) è un film divertente, fatto bene, in cui si vede pochissimo sangue (obiettivo centrato!) e si usano le parole più delle zanne.

Ci sono alcune piccole stranezze: inquadrature bizzarre, cambi di scena strani, movimenti accelerati, rotture della quarta parete… perfino una citazione musicale da La Grande Fuga che sembra un po’ fuori posto…

Ma nel complesso mi sento di consigliare questo film come visione di Halloween, anche per i deboli di cuore e di stomaco.

RaiPlay offre solamente la versione doppiata, ma per fortuna il film è stato doppiato da un cast italiano di prim’ordine, praticamente la famiglia Ward al completo, quindi non c’è troppo da lamentarsi.

Voto: 3 Muffin

E adesso, se ancora non l’avete fatto, passate da Lucius, Cassidy, Sam, Lisa, TOM, Babol, Cannibal Kid, Kris, Il Moro, Kukuviza, A.M. e Catia ovvero i Bloggables al completo, per altre raccapriccianti sorprese di Halloween!

Visitate gli altri blog o la nonna vi spara!

La Riunione di Condominio

Titolo originale: Votemos

Anno: 2025

Regia: Santiago Requejo

Interpreti: Raúl Fernández de Pablo, Clara Lago, Pepe Carrasco

Dove trovarlo: al cinema

Durante la riunione di condominio uno dei proprietari, Alberto (Raúl Fernández de Pablo) annuncia che ha intenzione di affittare il suo appartamento a un collega, Joachim (Pepe Carrasco), un suo collega di lavoro che ha un problema mentale. Gli altri condomini però non sono d’accordo e pretendono di mettere la cosa ai voti, o almeno di poter incontrare Joachim per valutare se la sua malattia mentale possa essere pericolosa per loro.

Il film ha un’impostazione molto teatrale: l’intera vicenda, della durata perfetta di 90 minuti, si svolge in un unico ambiente, il salotto dell’appartamento di Alberto, senza salti temporali nè stacchi di montaggio invadenti, per cui è proprio come prendere parte dal vivo ad una riunione di condominio in cui ciascuno mette i suoi interessi prima di quelli di tutti gli altri ed enuncia quelle che ritiene siano ragioni valide per prendere una determinata decisione.

Il tema è molto serio e molto attuale: quanti e quali pregiudizi ha ciascuno di noi verso le malattie mentali? Quanto sappiamo e quanto invece crediamo di sapere su chi ne soffre? Quanto siamo spaventati dall’idea che i problemi altrui possano turbare la nostra serenità?

La risposta a queste domande che si è posto il regista spagnolo Santiago Requejo si evince dalle diverse reazioni dei vari personaggi coinvolti, i condomini, tutti preoccupati all’idea che il nuovo inquilino, in quanto affetto da malattia mentale, possa essere per loro una minaccia, tanto da volerne proibire l’arrivo. Ma proprio dai loro confronti emergerà una verità incontrovertibile: ciascuno di noi, a modo suo, ha i suoi problemi mentali, a dispetto dei quali cerca di condurre un’esistenza “normale”; ammesso che la “normalità” possa esistere davvero.

La mossa vincente del film, in originale Votemos, “votiamo”, appunto, è quella di usare un tono molto leggero e ironico per descrivere queste reazioni e questi pregiudizi, creando scambi e situazioni davvero esilaranti e facendoci riflettere su un tema molto importante senza però ammorbare lo spettatore con una morale spicciola o un senso di colpa indotto.

Utile per fornire ottimi spunti di riflessione, ma soprattutto divertente, ben fatto e scorrevole, ottimamente recitato da tutti gli interpreti e con dialoghi costruiti con grande sapienza che portano con naturalezza anche agli esiti più assurdi.

Consigliatissimo, non solo a tutti coloro che sono avvezzi alle assurdità delle riunioni di condominio.

Voto: 4 Muffin

Scrúgulus

Qualche volta, strano a dirsi, i social sono utili. Ad esempio, non credo che avrei mai scoperto dell’esistenza di Scrúgulus se non mi fosse comparso su Facebook un post del Professor Andrea Maggi, che avevo visto tante volte nel programma tv condotto da Geppi Cucciari Splendida Cornice.

Il Prof Maggi ha infatti scritto la prefazione di Scrúgulus e sul suo profilo lo stava appunto pubblicizzando.

Ma che cos’è Scrúgulus?

Sapevo che il celebre fumetto Topolino da qualche tempo stava proponendo alcune storie tradotte in alcuni dialetti italiani. Quello che non sapevo è che ne avesse preparata anche una… in latino!

Ebbene sì, Scrúgulus è una storia a fumetti bilingue, latino (a colori) e italiano (in bianco e nero) a fronte; per cui non tema chi non è familiare con il latino, ogni pagina è doppia e la storia può essere letta facilmente in entrambi gli idiomi.

Ma da dove deriva questo strano titolo, Scrúgulus?

Non è altro che la traduzione in latino del nome originale inglese di Paperon de’ Paperoni, ovvero Scrooge, come il protagonista del Canto di Natale di Charles Dickens.

Infatti una delle cose più divertente è proprio scoprire come sono stati tradotti in latino i nomi propri dei personaggi. Ad esempio, Paperino è Donaldum Anas (Donald Duck), mentre Rockerduck e King Kong… li lascio scoprire a voi!

Un’altra cosa divertentissima è leggere come sono state rese in latino le invenzioni moderne, come l’automobile, il telefono… e soprattutto il macchinario di Archimede!

Mi unisco perciò al Professor Maggi nell’invitare tutti a correre in libreria per acquistare Scrúgulus.

Anche per i bambini e per chi non conosce il latino, perché la storia è molto divertente.

Chi invece pensava di aver dimenticato tutto il latino imparato a scuola o all’università, scoprirà che invece è la storia è molto facile da seguire.

Altro che trattati di Cicerone e poesie di Orazio, se al liceo l’avessimo studiato sui fumetti, ora sì che lo conosceremmo bene il latino! Altro che lingua morta…

Mythos, Heroes, Troy, Odissey di Stephen Fry

Stephen Fry. Attore inglese, in Italia non conosciuto come in patria, un po’ perchè ha lavorato moltissimo in tv, oltre che al cinema, un po’ a causa del suo humor così smaccatamente british che forse non sempre ottiene grande successo oltremanica.

Scorrendo la sua filmografia il ruolo che ritorna più spesso è “narratore”, e infatti Stephen Fry ha una voce perfetta proprio per raccontare storie. Non per niente è stato scelto come lettore per la serie degli audiobook di Harry Potter in versione originale, e come voce della stessa Guida Galattica per Autostoppisti nel film tratto dai romanzi di Douglas Adams.

Come attore, per me rimarrà sempre indissolubilmente alla figura di Oscar Wilde, che ha interpretato nel 1997 nella biografia dello scrittore irlandese. Una parte piccola ma molto intensa anche in V per Vendetta, a fianco di Natalie Portman. Più recentemente, lo abbiamo visto nel ruolo di Mycroft, il fratello di Sherlock Holmes nel film Gioco di Ombre con Robert Downey Jr. e Jude Law. Ancora più recentemente, nel film Rosso, Bianco e Sangue Blu, è stato scelto addirittura per interpretare il re d’Inghilterra…

Ma la sua apparizione più divertente appartiene sicuramente al programma automobilistico Top Gear: vedere per credere!

Quello che però ho scoperto più recentemente è che Stephen Fry, oltre che attore, doppiatore e regista, è anche scrittore: come potevo non gettarmi a capofitto nella lettura di… beh, qualunque cosa avesse scritto?

Ancora però non sapevo che Stephen avesse affrontato un argomento affascinante e complesso come la mitologia greca in modo così onnicomprensivo, trattandolo in ben 4 volumi: Mythos, Heroes, Troy e Odissey

Io però, ancora ignara di ciò, ho iniziato con Odissey, essendo personalmente molto legata alla storia di Ulisse, che Papà Verdurin mi raccontava (non leggeva) spesso quando ero piccola.

Mi sono innamorata del modo in cui Stephen racconta una storia già nota, rendendola scorrevole e accattivante, ma soprattutto divertente. Questo però senza prescindere da un immenso lavoro di studio e documentazione sull’argomento, che prevede lo studio del greco antico e di tutta la saggistica pertinente. Le note a piè di pagina, infatti, sono la parte più interessante, ma anche quella più divertente, perchè l’autore si diverte a nasconderci richiami alla contemporaneità e osservazioni argute.

Terminato Odissey ho recuperato l’ordine cronologico corretto, leggendo Mythos, che racconta della nascita e l’insediamento delle divinità dell’Olimpo, seguito a ruota da Heroes, che narra le gesta degli eroi semidivini come Ercole, e infine Troy, che parla naturalmente della guerra di Troia e dei suoi molti protagonisti.

Un viaggio straordinario, affascinante, arricchente e divertente in quella che perde tutto dello “scolastico” e diventa un piacere e una gioia per la mente.

Consiglio la lettura a chiunque ami la mitologia greca, anche a chi non la conosce bene, perchè Stephen Fry è molto scrupoloso nel raccontare ogni evento, anche i più noti, senza dare mai nulla per scontato; inoltre lo consiglio a chi ama lo humor britannico, perché troverà dialoghi e osservazioni esilaranti; infine lo consiglio a chiunque ami la lettura, perché le pagine scorrono via come una tazza di tè caldo in un pomeriggio invernale.

Se possibile, consiglio la lingua originale, per non perdere nulla della piacevolezza della lingua utilizzata da Stephen Fry.

Affari d’Oro

Titolo originale: Big Business

Anno: 1988

Regia: Jim Abrahms

Interpreti: Bette Midler, Lily Tomlin, Fred Ward, Edward Herrmann, Michael Gross

Dove trovarlo: Disney Plus

Nell’ospedale di un paesino sperduto nella provincia americana nascono lo stesso giorno due coppie di gemelle, una da una prolifica coppia del luogo, l’altra da una ricca coppia newyorkese in viaggio. Per un’incredibile coincidenza alle bambine vengono dati gli stessi nomi: Sadie e Rose. Le due coppie però vengono accidentalmente “scoppiate” dall’infermiera, così per ciascuna coppia una delle due figlie crescerà sentendosi sempre in qualche modo fuori posto. Fino all’incredibile coincidenza che le porta tutte e quattro assieme in un lussuoso hotel di New York…

La trama del film richiama subito alla mente alcuni classici della commedia in cui viene usato il trucco dello “sdoppiamento” di attori e attrici che interpretano gemelli, come ad esempio Un Cowboy col Velo da Sposa o Non c’è Due senza Quattro. In effetti non c’è nulla di particolarmente sorprendente nello spunto di partenza e nello svolgimento della trama, tanto meno nel finale. Questa frizzante commedia però vale la pena di essere vista per la divertenti e divertite doppie interpretazioni delle star Bette Midler e Lily Tomlin, oltre che per i numeri musicali (lo yodel di Bette Midler è sensazionale!) e i siparietti comici insospettabilmente spassosi messi in scena dai molti comprimari. 

D’altro canto il regista è la “a” del celebre trio di registi e sceneggiatori ZAZ (Zucker-Abrahams-Zucker) che ci hanno regalato perle della comicità americana come Una Pallottola Spuntata, Hot Shots! e L’Aereo più Pazzo del Mondo.

Consigliato per una serata vintage in totale relax e serenità.

Curiosità: fanno parte del cast sia Fred Ward che Michael Gross, che troveremo insieme due anni dopo nel cult Tremors: coincidenza?

Voto: 3 Muffin

Mettetevi comodi, inizia il film!