Sky High – Scuola di Superpoteri

Titolo originale: Sky High

Anno: 2005

Regia: Mike Mitchell

Interpreti: Kurt Russell, Kelly Preston, Michael Angarano, Mary Elizabeth Winstead, Danielle Panabaker, Bruce Campbell, Lynda Carter, Cloris Leachman

Dove trovarlo: Disney Plus

Il giovane Will Stronghold è molto nervoso per il suo primo giorno alle scuole superiori: infatti Will non frequenterà una scuola qualunque, ma la prestigiosa Sky High, la scuola per ragazzi e ragazze dotati di superpoteri. Will è figlio di ben due supereroi: Commander (Kurt Russell) e Jetstream (Kelly Preston), i migliori di tutti! Peccato che Will… non abbia nessun superpotere! Infatti alla Sky High viene inserito non nel corso per eroi, ma nel corso per spalle di eroi… E oltre a questo deve giostrarsi tra nuovi amici, nuovi nemici, nuovi amori e… il ballo della scuola!

Stavo cercando un film che fosse divertente per i bambini ma possibilmente anche per i genitori… e sono stata piacevolmente sorpresa da Sky High, disponibile su Disney Plus. Il film infatti, pur reggendosi sui classici clichè dei film per famiglie, ha dei personaggi molto simpatici, delle scene e delle battute molto divertenti e un cast di tutto rispetto. Il nome di richiamo è certamente Kurt Russell, perfetto nel ruolo del supereroe tutto d’un pezzo Commander, che non arriva nemmeno a concepire che il figlio possa non avere superpoteri o non voler essere esattamente come lui. Ma ci sono moltissimi volti che si rivedono con immenso piacere: Bruce Campbell nel ruolo del coach Boomer, che non si fa alcun problema a lanciare automobili sui suoi studenti per testarne i poteri; Cloris Leachman (meglio nota come Frau Blucher), la perfetta infermiera della scuola dotata di vista a raggi X; e naturalmente Lynda Carter, celebre per aver interpretato Wonder Woman nella celebre serie tv degli anni ‘60 e che qui ha il ruolo della severa preside Powers. L’ambientazione scolastica non è una novità, ma Sky High riesce a rivisitare le classiche dinamiche popolari/impopolari con freschezza, sfruttando al meglio le dinamiche tra gli studenti e la simpatia degli attori e dei personaggi che interpretano. Certo gli effetti speciali sono un po’ datati e la storia del tutto prevedibile, ma il film resta godibile, anzi molto divertente e simpatico, adatto anche ai più piccoli perchè la violenza è all’acqua di rose, ma senza mai cadere nel buonismo stucchevole di alcuni prodotti contemporanei. Consigliato a tutte le famiglie con bambini, ma anche a tutti coloro che cercano una visione leggera e simpatica in compagnia di volti amici.

Voto: 3 Muffin

Il Mio Giardino Persiano

Titolo originale: Keyke mahboobe man (titolo inglese: My Favourite Cake)

Anno: 2024

Regia: Maryam Moghadam, Behtash Sanaeeha

Interpreti: Lili Farhadpour, Esmaeil Mehrabi

Mahin (Maryam Moghadam) è vedova da decenni e vive sola a Teheran dopo che i figli sono andati a vivere all’estero, trascorrendo le giornate in casa e in solitudine, per lo più prendendosi cura del suo giardino. Ma le sue amiche insistono perchè esca di casa e incontri un uomo per alleviare la sua solitudine, così Mahin, ormai settantenne, decide di provare a rimettersi in gioco.

È davvero molto difficile parlare di questo film iraniano e dei suoi significati senza svelarne il finale, ma preferisco essere criptica e concisa piuttosto che rischiare di rovinare la visione, perchè Il Mio Giardino Persiano è un film molto bello, che non annoia nemmeno per un secondo nonostante la trama sia davvero scarna e che porta il lettore a provare, empatizzando con i personaggi, una serie di stati d’animo molto diversi tra loro in rapida sequenza. Il merito della buona riuscita del film è da attribuire ai due bravissimi interpreti principali, Lili Farhadpour e Esmaeil Mehrabi, ai registi e sceneggiatori Behtash Sanaeeha e Maryam Moghadam (nella vita marito e moglie) e al direttore della fotografia Mohamad Hadadi, che riesce a rendere cangiante, vivo e parlante l’ambiente quasi unico in cui il film si svolge, cioè la casa di Mahin con il suo giardino. Quelle stesse stanze, quegli stessi oggetti di arredo e quegli stessi angoli nel giro di appena un’ora e mezza assumono significati e incarnano emozioni diversissime tra loro, portando lo spettatore su una montagna russa di emozioni e aspettative. Come ripeto non è mia intenzione rivelare nulla più dello stretto necessario, ma il film mi è piaciuto molto e ne consiglio la visione, avendo spiegato come esso contenga una vasta gamma di emozioni e stati d’animo.

Quello che posso sicuramente rivelare senza timore è l’ambientazione del film, cioè quella stessa capitale dell’Iran in cui si svolgono anche le vicende di Leggere Lolita a Teheran: una luogo in cui tutti i cittadini, ma soprattutto le donne, vivono nell’angoscia e nella paura, perchè molti dei comportamenti che in Italia sono normali e condivisi vengono invece considerati immorali, deprecabili, e possono portare anche alla prigione e talvolta alla morte. In questo contesto di oppressione sociale e personale, i registi riflettono sulla possibilità di trovare comunque la felicità e l’amore, ad ogni età, per quanto difficile possa sembrare. In alcuni casi, però, riflettere non significa fornire risposte.

Voto: 4 Muffin

L’Orchestra Stonata

Titolo originale: En Fanfare

Anno: 2024

Regia: Emmanuel Courcol

Interpreti: Benjamin Lavernhe, Pierre Lottin

Thibaux (Benjamin Lavernhe) è un affermato direttore d’orchestra che ha dedicato tutta la sua vita alla musica. Quando scopre di essere malato di leucemia e di aver bisogno di un trapianto di midollo per sopravvivere, si rivolge subito alla sorella nella speranza che sia compatibile. Scopre così che la sorella in realtà non è sua sorella, perchè è stato adottato. Rintraccia però il fratello che non sapeva di avere, anche lui andato in adozione, ma non a una famiglia benestante come la sua. Il fratello Jimmy (Pierre Lottin) infatti ha anche lui la musica nel sangue, ma ha vissuto una vita molto meno agiata (lavora come operaio in una fabbrica) e non ha avuto le stesse possibilità di Thibaux. Jimmy non ci pensa due volte e aiuta il fratello ritrovato offrendogli il suo midollo osseo per salvargli la vita; in cambio, Thibaux decide di aiutarlo con la sua piccola band di paese e la sua carriera da musicista.

Dal trailer L’Orchestra Stonata sembrava essere un film in parte comico e in parte drammatico, mentre invece non è nessuno dei due. Il trailer contiene tutte le battute e le scene del film che possono essere considerate divertenti, mentre il dramma, nonostante sulla carta sia presente, non si esplicita mai a causa del buonismo di fondo di tutti i personaggi e dei loro rapporti. Certo ci sono qui e lì delle scaramucce, ma sono tutte presto risolte per ritornare alla generale serenità e armonia che unisce tutti: familiari di sangue o acquisiti, musicisti e operai, ricchi e poveri. L’Orchestra Stonata dovrebbe mettere in scena un dramma su più livelli: personale, familiare e di classe, mostrando l’abisso che separa il ricco e sviluppato sud della Francia dall’arretrato e disagiato sud del Paese; questo abisso è mostrato ma non viene percepito come tale dallo spettatore, perchè si resta sempre in superficie e non si scava mai a fondo, né nel disagio sociale né nei sentimenti dei singoli. Il risultato è quindi un film prevedibile e noioso, interessante forse giusto per gli appassionati di musica che potrebbero apprezzare le scene in cui il direttore d’orchestra spiega come lavora o le esibizioni dei musicisti ai diversi livelli, dall’eccellenza dell’orchestra di Parigi alla goffaggine della fanfara del piccolo paese del Nord. Per me, che non sono appassionata di musica se non nella forma del musical, la visione è stata insapore e molto noiosa.

Voto: 2 Muffin

Malcolm

Titolo originale: Malcolm in the Middle

Anno: 2000 – 2006

Interpreti: Frankie Muniz, Bryan Cranston, Jane Kaczmarek, Justin Berfield, Erik Per Sullivan, Christopher Masterson

Dove trovarlo: Disney Plus

Tempo fa mi ero lamentata qui sul blog di come la serie tv Malcolm non fosse disponibile su nessuna piattaforma. Ora invece sono molto felice perchè la serie è disponibile su Disney Plus e me la sono potuta gustare tutta in lingua originale, dal primo all’ultimo episodio.

Si tratta di una sitcom, con puntate della durata di venti minuti circa, che racconta le vicissitudini di una famiglia americana moderna con pochi soldi e tanti figli dal punto di vista del figlio di mezzo (il titolo originale infatti è Malcolm in the Middle). Anche se, per essere precisi, Malcolm è il terzo figlio su quattro, all’inizio della serie, ma essendo il primogenito sventato e combinaguai Francis (Christopher Masterson) lontano da casa, malcolm è il fratello di mezzo tra il maggiore Reese (Justin Berfield), un bulletto di scarsa intelligenza, e il minore Dewey (Erik Per Sullivan), eccentrico e rassegnato ad essere poco considerato dal resto della famiglia. Malcolm, protagonista e narratore, è interpretato da Frankie Muniz, il cui faccione è molto spesso in primo o primissimo piano mentre racconta le sue tribolazioni di teenager guardando dritto in camera e rivolgendosi allo spettatore, un espediente narrativo cui oggi siamo abituati ma che all’epoca è stato una trovata molto originale. Quando ho iniziato a vedere la serie non mi aspettavo che si componesse addirittura di sette stagioni, tutte con venti o più episodi, e devo dire che non tutti sono divertenti e memorabili allo stesso modo. Vale comunque la pena resistere fino alla fine per non perdersi alcune situazioni e battute assurde ed esilaranti. La vera forza di Malcolm consiste nel talento dei due attori che interpretano i genitori: Jane Kaczmarek nei panni di Lois, la madre inflessibile e psicotica, e Bryan Cranston nei panni di Hal, padre giocherellone e smidollato. Tra i due c’è una grande alchimia ed essendo personaggi diametralmente opposti facilmente si creano situazioni paradossali e divertenti. Io trovo che in questa serie Bryan Cranston offra un’interpretazione meravigliosa e un talento comico ragguardevole, anche se poi è diventato famoso per un prodotto molto più serioso come Breaking Bad. Oltre ai protagonisti della serie,tre cui ciascuno può scegliere il suo preferito, la serie offre un lungo elenco di celebrità o future celebrità in ruoli minori o camei. Un ruolo ricorrente hanno due veterani del regista Mel Brooks come Cloris Leachman (meglio nota come Frau Blücher) che interpreta la madre di Loir e Kenneth Mars (che sempre in Frankenstein Junior ha il ruolo dell’Ispettore Kemp), mentre tra i nomi illustri che compaiono nella serie abbiamo: Emma Stone, Susan Sarandon, Hayden Panettiere, George Takei, Christopher Lloyd, Rose Abdoo, Oscar Nunez e Kurt Fuller, per citarne alcuni.

In conclusione, Malcolm è una sitcom vivace, che alterna episodi un po’ mosci a puntate esilaranti e regala in ogni caso ottime interpretazioni e un po’ di spensieratezza, che non fa mai male di questi tempi.

Diamanti

Anno: 2024

Regia: Ferzan Ozpetek

Interpreti: Luisa Ranieri, Jasmine Trinca, Geppi Cucciari, Mara Venier, Stefano Accorsi, Paola Minaccioni, Aurora Giovinazzo, Milena Vukotic, Elena Sofia Ricci, Kasia Smutniak

La scena d’apertura del film mostra lo stesso regista, Ferzan Ozpetek, che ha riunito per un pranzo conviviale un gran numero di attrici italiane di ogni età per parlare del film che ha intenzione di girare insieme a tutte loro. Entriamo poi nel vivo del film stesso, ambientato in un prestigioso atelier romano negli anni ‘70 fondato e gestito da due sorelle, Alberta (Luisa Ranieri) e Gabriella (Jasmine Trinca) dal carattere molto diverso ma molto legate e affezionate al lavoro. Nell’atelier lavorano moltissime donne e ragazze, ciascuna con il suo ruolo e ciascuna con i propri problemi personali, che però devono essere messi da parte per realizzare i costumi dei film, che sono la specialità della casa di moda. Moltissime saranno le sfide collettive e per i singoli personaggi femminili, ma tutte verranno affrontate con grande determinazione, coraggio e soprattutto collaborazione, tra premi Oscar capricciosi, mariti violenti e registi prepotenti.

In questo periodo in cui di “donne” si sente parlare sempre, comunque e ovunque, dai tg al cinema, dei loro diritti, delle loro lotte, dei soprusi e della violenza fisica a non solo che hanno subìto nei secoli, il regista Ferzan Ozpetek non si tira indietro ma decide di lasciare da parte i toni polemici e denunciatori facendo a tutte le donne un meraviglioso regalo: Diamanti. Il film è una poesia d’amore per la donna, di ogni età, con ogni passato alle spalle, con ogni fragilità e debolezza, con abilità, talento e capacità. Ozpetek riunisce uno straordinario cast femminile tutto italiano e riesce a sfruttare appieno l’immenso potenziale di ciascuna attrice, esaltandone le caratteristiche e assegnando con sapienza i ruoli da interpretare, di modo che anche le stelle della tv (una sorprendente e bravissima Mara Venier o una esilarante Geppi Cucciari) o della radio (Paola Minaccioni, celebre per i personaggi e le imitazioni del Ruggito del Coniglio ma qui in un ruolo drammatico) possano rifulgere accanto alle attrici di cinema, siano queste giovani (Kasia Smutniak), giovanissime (Aurora Giovinazzo), esperte (Jasmine Trinca, Luisa Ranieri) o veterane (Milena Vukotic). “Da sole siamo niente, ma insieme siamo tutto” è una delle molte frasi da incorniciare in questo film corale che diverte molto e commuove molto nel raccontare le vite, mai perfette, di queste donne lavoratrici talentuose e coraggiose, che pur essendo molto diverse tra loro affrontano unite le piccole e grandi difficoltà di ogni giorno, senza bisogno di grandi discorsi o di retorica: semplicemente loro sono lì l’una per l’altra e tutte per la squadra, cioè l’atelier di moda. L’ambientazione scelta permette di mostrare alcuni dietro le quinte della realizzazione dei film nel nostro paese, oltre che una serie di costumi mozzafiato, il cui processo di realizzazione viene mostrato in tutte le sue sfaccettature. Il dettaglio che ho apprezzato molto è stata l’idea del regista di origine turca di inserire nella narrazione dei personaggi maschili secondari avvenenti che le donne dell’atelier trattano come oggetti dando loro ordini e comandi, senza cattiveria ma con grande schiettezza: se per decenni abbiamo visto al cinema uomini sbavare dietro a segretarie in minigonna e vicine di casa procaci, perchè un gruppo di donne lavoratrici non può godersi la presenza di un bel ragazzo, garzone del pasticcere o attore di belle speranze, e magari chiedergli di cantare e ballare per una pausa rilassante e rinvigorente dal duro lavoro della sartoria?

Il film è un sincero omaggio di Ozpetek a tutte quelle donne, attrici ma non solo, senza le quali i suoi film non sarebbero mai stati realizzati; e sarebbe stata una perdita per tutti noi.

Consiglio questo film a chi ama le donne, ne apprezza lo spirito e il talento e ama divertirsi insieme a loro. Preparatevi e ridere ma anche a piangere un pochino. Splendida anche la canzone Diamanti cantata da Giorgia che accompagna i titoli di coda: giuro che è stata la prima in vita mia volta in cui al riaccendersi delle luci nessuno in sala si è mosso fino alla fine dello scorrere dei nome degli interpreti!

Voto: 4 Muffin

Conclave

Anno: 2024

Regia: Edward Berger

Interpreti: Ralph Fiennes, Stanley Tucci, John Lithgow, Sergio Castellitto, Carlos Diehz, Isabella Rossellini

Dopo la morte del Santo Padre, come da protocollo tutti i cardinali si riuniscono in conclave, isolati dal resto del mondo, per decidere chi tra loro diventerà il nuovo Pontefice. Al cardinale decano Thomas Lawrence (Ralph Fiennes) spetta il difficile compito di guidare il conclave, nonostante egli avesse chiesto al Papa quando era ancora in vita di dispensarlo da questo ruolo per permettergli di chiarire alcuni suoi dubbi legati alla fede; il Pontefice però non aveva avallato la sua richiesta. Lawrence si ritroverà perciò a gestire un conclave molto complesso, teatro di scontro in particolare tra alcuni cardinali che hanno grande influenza ciascuno a suo modo: il grande amico del defunto Pontefice Cardinale Bellini (Stanley Tucci), l’ambizioso Cardinale Tremblay (John Lithgow), il reazionario Cardinale Tedesco (Sergio Castellitto) e l’outsider Benitez, Cardinale di Kabul di origine messicana. 

Nonostante il film, tratto dal romanzo omonimo di Robert Harris, metta in scena con grande rigore e precisione quelle che sono le procedure seguite dalla Chiesa cattolica dopo la dipartita di un Pontefice, appare chiaro fin da subito come questo film non sia e non voglia essere un atto d’accusa contro la Chiesa. Il conclave infatti non è altro che una stanza chiusa piena di uomini potenti e ambiziosi in guerra tra di loro per il potere, sebbene ciascuno abbia i propri metodi e le proprie motivazioni. Ma c’è un’altra lotta in corso sulla scena: quella per l’interprete migliore. Ralph Fiennes, John Lithgow, Stanley Tucci e Sergio Castellitto, con l’aggiunta di Isabella Rossellini nel ruolo piccolo ma cruciale di Suor Agnes, offrono tutti interpretazioni splendide nei panni di personaggi tra loro diversissimi, ciascuno caratterizzato la luci e ombre, difetti e punti di forza, certezze apparenti e inversioni di rotta. Le dinamiche dello scontro tra questi diversi personaggi e le loro inconciliabili vedute sono il cuore del film, che dall’inizio alla fine avvince e rapisce, nonostante tutta l’azione si svolga in ambienti chiusi e avvenga tramite parole. La regia sapiente, la sceneggiatura solida e le efficaci interazioni tra i personaggi rendono il film non solo appassionante e coinvolgente, ma perfino avvincente in un crescendo di tensione in cui i rapporti di forza cambiano in continuazione e i pronostici si ribaltano costantemente. Fino al finale.

Il finale, che non rivelerò, è a dir poco sorprendente, scioccante, e sembra quasi inficiare tutto quanto detto e costruito fino a quel momento, salvo poi dimostrarsi coronamento perfetto di un percorso accidentato e dalla meta incerta ma intriso di fiducia nel genere umano e speranza per il futuro. 

Basta, ho detto anche troppo: le otto nomination agli Oscar si spiegano facilmente non solo alla luce della conclusione proposta ma soprattutto per lo spessore dei talenti dispiegati.

Vi lascio con un’immagine che, da quando lo schermo del cinema si è fatto nero al termine della visione, non sono più riuscita a levarmi dalla testa: chi ha visto o vedrà Conclave capirà, inizialmente riderà, ma poi riflettendoci meglio comprenderà appieno.

Voto: 4 Muffin

Brothers & Sisters

La serie tv Brothers & Sisters (Fratelli e Sorelle) è andata in onda per cinque stagione, dal 2006 al 2011, e per chi fosse interessato è disponibile su Disney Plus.

Io mi sono avvicinata alla serie perchè curiosa di scoprire qualcosa di più sulle abilità recitative di Sally Field dopo aver letto la sua interessante autobiografia, In Pieces (2018), anche se nel libro l’attrice non spende molte parole per la serie ma si limita a dire quanto fosse un conforto lavorarci in uno dei molti momenti complicati e travagliati della sua vita.

In Brothers & Sisters Sally Field interpreta Nora Walker, che nel primo episodio rimane vedova di William Walker (Tom Skerritt), abile imprenditore e uomo di famiglia energico e affettuoso, ma che nascondeva anche moltissimi segreti, come si scopre nelle diverse stagioni. Con la morte del marito però Nora non rimane certo sola, avendo avuto da lui cinque figli e avendo accanto anche il fratello Saul (Ron Rifkin). La serie racconta le vicende familiari di questi fratelli e sorelle, a partire dai segreti emersi con la morte di William e proseguendo con la gestione dell’azienda di famiglia, i legami familiari, le problematiche legate ai figli e alle rotture dei rapporti, oltre naturalmente a diverse vicissitudini sentimentali.

Ho seguito la serie con molto interesse all’inizio, ma devo dire che con il passare delle stagioni e la chiusura di alcuni argomenti aperti nei primi episodi la curiosità sul destino dei vari membri della famiglia Walker è andata scemando, suscitando anzi un certo sollievo al termine della visione. L’episodio conclusivo, il finale della quinta stagione, mi ha comunque lasciata molto soddisfatta per come ha chiuso tutte le parentesi aperte in precedenza (dimenticandosi per strada giusto un figlio, Ryan (Luke Grimes), ma poco male) e dato una conclusione lieta a tutti i personaggi.

Brothers & Sisters resta comunque un buon prodotto, con livelli sempre molto buoni di recitazione e di messa in scena (salvo qualche difficoltà con il sonoro in alcune scene girate in esterno). Nel cast spiccano le due stelle Sally Field e Calista “Ally McBeal” Flockhart, ma tutti gli altri interpreti tengono loro testa senza problemi, e tra questi ci sono molti volti noti del cinema e della televisione e alcuni nomi illustri (Beau Bridges, Marin Hinkle, Rob Lowe, Pedro Pascal, Sonia Braga, Mitch Pileggi, Danny Glover, Marion Ross, Chevy Chase) tra cui molti dei fedelissimi del produttore della serie, Greg Berlanti, che arrivano direttamente nella sua creazione Everwood (Treat Williams, Emily VanCamp) terminata proprio nel 2006.

Il punto di forza della serie sono i personaggi, tutti diversi e ben caratterizzati, e i legami tra di loro, tra litigi, segreti, bugie e divergenze varie.

La sceneggiatura, come è tipico di questi prodotti, in alcuni casi presenta delle forzature dovute alla necessità di inserire determinate scene o situazioni, e anche i personaggi in alcuni casi vengono un po’ piegati a queste necessità, ma senza mai avere stonature troppo eclatanti.

Quello che rende spesso difficile empatizzare con i membri della famiglia Walker è il fatto che la famiglia sia molto benestante, per cui molti problemi della vita per loro sono già di base inesistenti. Inoltre tutti i personaggi riescono sempre senza alcune difficoltà a ottenere o cambiare lavoro, trovando sempre la strada spianata in qualunque luogo, ambito e settore decidano di cimentarsi: vendita di frutta, produzione di vino, ristorazione, avvocatura, politica, letteratura, radio, in qualunque caso i Walker cadono sempre in piedi e ottengono ruoli manageriali e ricchi stipendi.

Per godersi Brothers & Sisters bisogna mettere da parte ogni pretesa di realismo, di critica sociale e di conflitto etnico/razziale, per lasciarsi invece coinvolgere dalle dinamiche degli scontri tra consanguinei e dei segreti di famiglia, consapevoli del fatto che comunque vadano le cose i Walker, questa grande famiglia borghese bianca americana, cadrà sempre in piedi. 

Accettate queste premesse la serie è molto godibile, soprattutto agli inizi, ma di certo non è un prodotto adatto a tutte le esigenze e a tutti i gusti.

Come Uccidere Vostra Moglie

Titolo originale: How to Murder your Wife

Anno: 1965

Regia: Richard Quine

Interpreti: Jack Lemmon, Virna Lisi, Terry-Thomas

Dove trovarlo: Prime Video

Stanley Ford (Jack Lemmon) è un uomo felice e soddisfatto: ha una splendida casa a New York, un maggiordomo devoto (Terry-Thomas) e un lavoro appagante e remunerativo come disegnatore di fumetti. Ma tutto cambia quando, dopo aver bevuto troppo a una festa, si ritrova sposato con una bellissima ragazza straniera (Virna Lisi) che rivoluzionerà completamente i suoi princìpi, la sua casa e la sua vita.

Un film come questo oggi sembra inconcepibile: un film in cui un uomo viene portato in trionfo da altri uomini quale esempio di libertà e coraggio perchè ha presumibilmente ucciso la moglie. Un film in cui le donne in generale e le mogli in particolare vengono rappresentate come noiose e prepotenti zavorre che privano l’uomo della sua libertà e della sua gioia di vivere. L’unica speranza per la donna di non venire ripudiata è quella di essere bellissima e sessualmente disponibile. Per quanto questa morale oggi ci appaia ripugnante senza alcun dubbio, dobbiamo ricordare che Come Uccidere Vostra Moglie è stato girato nel 1965, aderendo alla cultura e alla moralità americana (ma non solo) dell’epoca, e si inserisce nel filone della commedia americana di quegli anni che rappresenta l’uomo come una sfortunata vittima della moglie in cerca di quella libertà e di quella passione che il matrimonio non ha saputo dargli, ma che alla fine, dopo aver combinato diversi guai, si pente e ritorna ad essere un marito e un padre fedele e devoto, anzi riconoscente. Alcuni grandi classici di questo genere sono: È Ricca, la sposo e l’ammazzo (1971) con Walter Matthau (non a caso sodale di Jack Lemmon in moltissimi film), che ha la particolarità di essere stato diretto e sceneggiato da una donna, Elaine May, anche protagonista del film; Quando la Moglie è in Vacanza (1955), con Tom Ewell e Marilyn Monroe, sceneggiato da George Axelrod come How to Murder your Wife, e il mio preferito Una Guida per l’Uomo Sposato (1967), ancora con Walter Matthau e con Terry-Thomas (che in Come Uccidere Vostra Moglie interpreta il maggiordomo Charles) nel ruolo esilarante dell’uomo la cui vita è rovinata dal momento in cui l’amante perde il reggiseno in casa sua.

Quindi, stabilito inequivocabilmente che l’imbarazzante e inaccettabile sottostrato morale e culturale di Come Uccidere Vostra Moglie non solo era presente negli Stati Uniti degli anni ‘50 e ‘60 (e in parte è presente ancora oggi, e non solo in America) ma era imperante tanto da generare situazioni da commedia e da essere condiviso, come abbiamo visto, dalle donne stesse, posso dire che io ho sempre trovato questo genere di film molto divertenti e che quelli che ho citato sono dei grandi classici in casa Verdurin.

Come Uccidere Vostra Moglie però non si può collocare al livello degli altri che ho citato, perchè non è altrettanto divertente, anche se ha sicuramente delle scene e dei personaggi di contorno davvero irresistibili, come il maggiordomo Charles, interpretato dal già citato Terry-Thomas. Inoltre mi è piaciuto moltissimo il fatto che il protagonista fosse un disegnatore di fumetti d’avventura che, per etica professionale, non rappresenta mai nelle sue strisce qualcosa che lui stesso non abbia fatto: il suo lavoro richiede quindi, nella prima fase, di organizzare e portare a termine imprese rocambolesche mentre il suo fedele maggiordomo lo fotografa, offrendo poi prezioso materiale per le sue tavole.

Jack Lemmon recita divinamente, come sempre, ma questo ruolo nella sua carriera non può certo spiccare su altri ben più intensi e divertenti (penso a La Strana Coppia, A Qualcuno Piace Caldo, Non per Soldi ma per Denaro…): in ogni caso vale sempre la pena di vedere una sua interpretazione. L’italiana Virna Lisi interpreta la ragazza che esce dalla torta e poco dopo diventa la signora Ford, nella versione originale naturalmente è italiana, mentre nella versione doppiata diventa greca (il che però cozza parecchio con i piatti che cucina e la borsa Alitalia che porta con sè). Virna in questo film è di una bellezza mozzafiato e ricopre a perfezione il ruolo che le è stato assegnato, quello della moglie un po’ svampita fin troppo servizievole, disponibile e amorevole verso un marito che inizialmente non pensa ad altro che ad allontanarla e a divorziare da lei per ritrovare la sua libertà.

Il film, che ha una trama di per sé piuttosto semplice e lineare, soffre della lunghezza eccessiva di alcune scene (la festa in casa, il processo) e della perdita lungo la strada del ruolo di narratore esterno del maggiordomo, che rende invece l’inizio così accattivante.

Il finale non riserva sorprese (anzi, una piccolina sì), come abbiamo detto il film si inserisce esattamente in un filone con canoni prestabiliti e consolidati.

Consiglio la visione solo agli amanti dei film, e in particolare delle commedie, degli anni ‘50-‘60, ma consiglio più che altro la visione dei film citati sopra per una declinazione più riuscita, leggera e divertente delle stesse tematiche.

Voto: 2 Muffin

Napoli – New York

Anno: 2024

Regia: Gabriele Salvatores

Interpreti: Pierfrancesco Favino, Omar Benson Miller, Dea Lanzaro, Antonio Guerra

Napoli, 1949. Un ordigno inesploso della seconda guerra mondiale provoca il crollo della palazzina in cui la piccola Celestina (Dea Lanzaro) abita con la zia: Celestina rimane illesa, ma la zia perde la vita, lasciando la bambina sola senza alcun parente in vita, eccezion fatta per la sorella maggiore Agnese, che però vive a New York. Non avendo un posto dove andare, Celestina si rifugia dall’amico Carmine (Antonio Guerra), che dorme in un edificio dichiarato pericolante e vive di espedienti. Una sera, inseguendo George (Omar Benson Miller), un americano che deve loro dei soldi e lavora come cuoco sul transatlantico Victory, i due ragazzi si ritrovano bloccati sulla nave e non possono far altro che tentare di nascondersi a bordo fino all’arrivo a New York, dove Celestina spera di riabbracciare la sorella. Ma il commissario di bordo Garofalo (Pierfrancesco Favino) è sulle tracce dei due clandestini.

Siamo lontanissimi da quel pasticcio incredibile di Nirvana, l’unico altro film che ho visto di Gabriele Salvatores: ora non potrò che cercare di recuperare tutti gli altri suoi film, perchè la sua ultima opera Napoli-New York mi ha davvero conquistata come capita molto raramente con i prodotti italiani contemporanei. Il trailer, ingannatore, mi aveva fatto credere che il film fosse serio e drammatico, mentre invece, anche se i temi affrontati sono molto importanti (guerra, povertà, immigrazione), la narrazione mantiene sempre un tono leggero e fiabesco, raccontando con infinita grazia le vicissitudini di due scugnizzi napoletani nella Grande Mela. Il soggetto di questo film era stato elaborato da Federico Fellini e Tullio Pinelli, sceneggiatore che oltre ad aver collaborato con Fellini in alcuni dei suoi capolavori (8 1/2, La Strada, La Dolce Vita) ci ha anche regalato quella pietra miliare della comicità italiana che è la saga di Amici Miei. Da un’idea di partenza così blasonata Salvatores riesce con grande abilità a trarre un film dolce, simpatico e delicato che ricorda, soprattutto per la parte ambientata sulla nave, La Leggenda del Pianista sull’Oceano di Giuseppe Tornatore, mentre la parte sul processo ad Agnese a New York mi ha ricordato il musical Chicago per l’acume e l’ironia con cui rappresenta il sistema giudiziario americano. A proposito di musica, la colonna sonora, curata dal collaboratore storico di Salvatores Federico De Robertis, è molto variegata e riesce a trovare la canzone giusta per ogni diversa situazione o stato d’animo. La storia raccontata è molto semplice, e poteva venire declinata in modi diversi, ma Salvatores sceglie saggiamente la leggerezza mai superficiale e l’ironia che non scade mai in farsa, regalando divertimento e risate che permeano anche eventi e situazioni tragici e incerti (gli strascichi della guerra, la vita per le strade dei ragazzi di Napoli, l’ostilità verso gli immigrati) e mostrando New York come un luogo quasi irreale in cui davvero tutto può accadere. Il dialetto napoletano in cui recitano i bambini protagonisti può sembrare uno scoglio all’inizio ma viene presto superato grazie alla varietà di personaggi e all’empatia che presto si instaura tra lo spettatore e i due piccoli sgugnizzi. La recitazione è ottima da parte di tutti, dai due bambini quasi neofiti del cinema Dea Lanzaro e Antonio Guerra al veterano Pierfrancesco Favino, e contribuisce a dar vita a dialoghi, scene e personaggi indimenticabili. Da vedere e rivedere, fino al finale che mi ha soddisfatta pienamente e compresi i bellissimi titoli di coda in cui ai nomi degli interpreti e delle maestranze vengono associate inquadrature significative del film stesso.

Voto: 4 Muffin

Il Ragazzo dai Pantaloni Rosa

Anno: 2024

Regia: Margherita Ferri

Interpreti: Claudia Pandolfi, Samuele Carrino, Andrea Arru, Sara Ciocca

Il film racconta la storia vera e tragica di Andrea Spezzacatena (interpretato da Samuele Carrino), uno studente di Roma che si tolse la vita nel 2012, a soli quindici anni, dopo essere stato vittima di bullismo e cyberbullismo da parte dei compagni di scuola. Le prese in giro, i maltrattamenti e le vessazioni erano iniziati dopo che Andrea si era presentato a scuola con dei pantaloni di colore rosa, comprati dalla madre Teresa Manes (Claudia Pandolfi) e stinti con il lavaggio.

Il film, presentato nel 2024 alla Festa del Cinema di Roma, racconta la drammatica vicenda realmente accaduta di Andrea Spezzacatena, che è divenuta emblematica delle problematiche legate al bullismo e al cyberbullismo, sempre più approfondite e dibattute nelle scuole italiane, come è giusto che sia. Infatti, se è difficile per genitori e insegnanti gestire un caso di bullismo che si manifesta con un occhio nero o un abito strappato, è ancora più complesso gestirne uno che non lascia tracce visibili se non sul web e, come viene chiaramente mostrato, nelle anime dei bambini e dei ragazzi: ecco perchè è così diffiicle individuare il cyberbullismo, comprenderne le dinamiche e combatterlo. Il Ragazzo dai Pantaloni Rosa è stato proiettato in diverse scuole all’interno di percorsi di educazione contro la violenza e il bullismo. E le scuole sono il posto più adatto a questa pellicola. Le scuole medie, magari, perchè già alle superiori i ragazzi si renderanno conto che al valore contenutistico e cronachistico del film non ne corrisponde affatto uno cinematografico di uguale portata. Il film è girato, ripreso e montato in modo 100% convenzionale, con grossi problemi di messa a fuoco e di ritmo. Tutto ciò che vediamo è scontato fin dal principio, e non solo perchè la voce narrante fuori campo ce lo anticipa, ma perchè si ha continuamente l’impressione di star vedendo uno qualunque dei film e delle serie tv che hanno affrontato, anche solo marginalmente, l’argomento dei maltrattamenti in ambiente scolastico. La recitazione di tutti è pessima, e il sonoro, anch’esso pessimo, non aiuta ad estrapolare qualche frase di senso compiuto dai farfugliamenti in mezzo romanesco; c’è da dire che i dialoghi sono così banali e stantii che probabilmente la perdita non è grave. La colonna sonora, con il gran finale dei miagolii insopportabili di Arisa, è banale all’inverosimile. Una visione che dovrebbe essere, in particolar modo per una madre, drammatica e straziante risulta invece noiosa e insopportabile a causa dell’imperizia della messa in scena a tutti i livelli. Come nel caso di Berlinguer – La Grande Ambizione, sono convinta che sarebbe stato molto più efficace un documentario, magari della durata di un’oretta, per raccontare la vera storia di Andrea e di sua madre Teresa Manes, insignita nel 2022 da Sergio Mattarella dell’onorificenza di Cavaliere della Repubblica per il suo impegno, realizzatosi attraverso libri e altre attività sociali, contro il bullismo e il cyberbullismo; ridurre una storia autentica e significativa come questa a una delle tante fiction televisive di bassa qualità mi sembra un vero peccato. Se poi la regista (a me sconosciuta) Margherita Ferri decide di mostrare come primissima scena la nascita di Andrea, cioè una madre cinquantenne (tale l’età anagrafica di Claudia Pandolfi, che nonostante la chirurgia estetica li dimostra tutti) nell’atto di partorire un bambino che nasce già grande di alcune settimane, con gli occhi aperti e tutto il resto, mi sia concesso di non appassionarmi a questa storia non per quello che rappresenta ma per come è stata raccontata.

Voto: 1 Muffin