Nightbitch

Anno: 2024

Regia: Marielle Heller

Interpreti: Amy Adams, Scoot McNairy

Dove trovarlo: Disney Plus

La protagonista, che rimane senza nome per tutto il film, è una madre che ha scelto di mettere in pausa la sua carriera di artista per occuparsi esclusivamente del figlio, mentre il marito (anche lui senza nome) è quasi sempre lontano da casa per lavoro. Essere mamma e casalinga per tutto il tempo però si rivela più faticoso del previsto, fisicamente ed emotivamente. Quando la madre inizia ad avvertire alcuni inspiegabili cambiamenti nel suo corpo, come la crescita anomala di peli, l’intensificazione del senso dell’odorato e l’insaziabile voglia di carne, cerca risposte in biblioteca, dove incontra anche alcune altre mamme con cui scopre di avere molto in comune.

Oggi io e Lucius Etruscus abbiamo deciso di fare un po’ di cagnara in compagnia! Vi invito a correre a leggere i suoi post sul Dizionario del Doppiaggio e su Non quel Marlowe sempre riguardo a Nightbitch.

Molto, moltissimo è già stato detto o scritto sulla maternità e sulle difficoltà, i disagi e i conflitti che provoca nella donna sotto ogni aspetto. Nel caso di Nightbitch (ricordiamo che in inglese “bitch” significa “cagna”, ma anche “stronza”) tutto parte dal libro d’esordio di Rachel Yoder, che la regista Marielle Heller trasporta su schermo in modo molto fedele, scegliendo però di modificare il finale. Non voglio rivelare nulla a chi non abbia ancora letto il libro e/o visto il film, ma personalmente non ho amato il finale del libro. Quello del film invece, per quanto sia sicuramente all’acqua di rose, è meno arduo e repulsivo, anche se tendente alla semplificazione: non è di certo una cosa così banale riappropriarsi della propria vita e dei propri sogni, e soprattutto far comprendere uno stato d’animo così variegato e complesso a chi non sia disposto a mettersi davvero nei panni altrui. Resta comunque una possibilità. Ma la forza del film non sta di sicuro nel suo finale, quanto invece nelle riflessioni che la madre riesce a fare su se stessa. Gran parte di questi pensieri, dei monologhi e dei dialoghi sono presi parola per parola dal libro, e sono la parte più interessante; in corso d’opera il tono si modifica dal comico iniziale al tragico, forse volutamente per mostrare l’altalena di emozioni di una mamma che sì, adora il suo bambino e vive per lui, ma inizia a realizzare che il suo essere madre non può essere l’unico paradigma della sua esistenza. Il fatto che la madre resti senza nome per tutto il film indica la spersonalizzazione subìta dalla donna, che sceglie di occuparsi del figlioletto senza aver capito inizialmente a quanto e a cosa stia realmente rinunciando. Ma non è la sola, perchè nessuno intorno a lei, nemmeno il marito, sembra rendersi conto della reale entità di quella rinuncia. La trasformazione della madre in cane (la cagna notturna, appunto, ma anche la stronza che desidera mollare tutte quelle cose che sono diventate suoi doveri e sue responsabilità per ritrovare se stessa) è ovviamente una metafora (che nel film avvenga realmente o sia solo frutto della fantasia di un’artista ingabbiata in una vita che non è vita non ha importanza) di questa anelata liberazione da un ruolo imposto e autoimposto che però non è abbastanza, non è sufficiente a definire una persona, un’artista, una donna.

Amy Adams mette tutta se stessa e tutto il suo smisurato talento in questo ruolo difficile, multiforme, sublime e grottesco allo stesso tempo, e la regia abile di Marielle Heller è al suo servizio. Personalmente mi sarei volentieri risparmiata la parte body horror del film, ma mi rendo conto di come serva a comunicare meglio uno stato d’animo e mentale così potentemente complicato. Non mi sento di consigliare questo film a tutti, perchè forse chi non ha avuto figli non può empatizzare con un personaggio che si comporti in questo modo e provi questi sentimenti così contrastanti, scioccanti, inconcepibili. Il film però offre uno spunto di riflessione importantissimo sul ruolo della donna e della madre nella famiglia e nella società, e di questo credo non si possa parlare mai abbastanza.

Voto: 3 Muffin

The Office

Anno: 2005 – 2013

Interpreti: Steve Carell, John Krasinski, Jenna Fischer, Rainn Wilson, B.J. Novak, Ed Helms

Dove trovarlo: Prime Video

The Office (“L’Ufficio) è una serie tv statunitense, remake di una serie britannica ideata da Ricky Gervais, che racconta sotto forma di documentario con interviste ai protagonisti la vita di ogni giorno degli impiegati della Dunder Mifflin, azienda produttrice di carta di Scranton. Ci troviamo così a seguire le vicissitudini di persone comuni alle prese con scartoffie, clienti, colleghi e, soprattutto, con un capo davvero particolare: Michael Scott.

Ho amato fin da subito la formula del documentario, per cui gli impiegati della Dunder Mifflin sono ripresi e registrati ogni giorno sul posto di lavoro (e non solo), e inoltre vengono intervistati in presa diretta riguardo agli avvenimenti dell’ufficio, che inevitabilmente si intrecciano con quelli delle loro vite personali. Scherzi, amori, amicizie, rivalità, bizzarrie, nulla sfugge alle telecamere! Il vero cuore pulsante dell’ufficio, e della serie, è l’incontenibile, scorretto, ingenuo e malizioso Michael Scott, magistralmente interpretato dal Steve Carell. Il capo che nessuno vorrebbe mai avere, che pensa più alla sua vita sentimentale che al lavoro, non perde occasione per esibirsi, non ha alcun senso del pudore e della misura e mette sempre in imbarazzo tutti, se stesso in primis. Eppure, eppure, è proprio quando il personaggio di Michael lascia la serie che questa perde il suo mordente. Non bastano nemmeno le sfide tra Dwight Schultz (Rainn Wilson) e Jim Halpert (John Krasinski), senza dubbio l’elemento più divertente della serie, per dare alle ultime stagioni il brio degli inizi. Sono arrivata con una certa fatica al termine dell’ultima stagione, ma ne è comunque valsa la pena, perchè quel finale in cui si tirano le fila di tutto mi ha sinceramente commossa. Ho già raccontato che mi sono anche sognata questa serie di notte, no?

Una sitcom con ritmo e brio diseguale, con puntate divertentissime e puntate mosce, con tantissimi personaggi che, inevitabilmente, non risultano tutti allo stesso modo simpatici o interessanti, anche se gli interpreti si dimostrano sempre all’altezza. In molti mi hanno detto di aver visto alcune puntate ed aver interrotto, non trovando la serie divertente; questo però non è successo a me, che ho divorato le prime stagioni e fatto alcune profonde risate di pancia, affezionandomi a quell’ufficio sgangherato e a quegli impiegati che tutto hanno in mente tranne che la carta.

Consiglio a tutti di vedere almeno un paio di puntate: se l’umorismo cattura, allora invito a procedere a passo spedito fino alla fine, perchè ci sono in serbo molte sorprese e molte risate. Il tutto poi è condito da un gran numero di guest star di eccezione (Amy Adams, Jim Carrey, James Spader, Will Ferrell, ma soprattutto l’immensa Kathy Bates) e da battute che, inevitabilmente, entreranno nel vostro modo di esprimervi (“That’s what she said”).

Animali Notturni

Titolo originale: Nocturnal Animals

Anno: 2016

Regia: Tom Ford

Interpreti: Amy Adams, Jake Gyllenhaal, Michael Shannon, Michael Sheen, Aaron Taylor-Johnson, Isla Fisher, Armie Hammer, Laura Linney

Dove trovarlo: Prime Video

Apparentemente, Susan (Amy Adams) ha tutto: marito affascinante, casa da sogno, abiti mozzafiato e un lavoro prestigioso come organizzatrice di mostre ed eventi d’arte. Ma tutto questo non è che apparenza: Susan sa che il marito la tradisce e ritiene che la cosiddetta “arte contemporanea” di cui si occupa e si circonda sia in realtà “spazzatura”. Un giorno Susan riceve un manoscritto, intitolato Animali Notturni: è un romanzo scritto dal suo primo marito, Edward (Jake Gyllenhaal), e dedicato a lei. Susan si immerge nella lettura e presto ne viene travolta…

Sono passate settimane da quando ho visto Nocturnal Animals; non riuscivo a decifrare i miei sentimenti riguardo al film, che da una parte mi ha conquistata, dall’altra mi ha contrariata. Ho perfino fatto un sogno, in cui Amy Adams e Jake Gyllenhaal in persona davano una lettura dei loro personaggi: “In questo film noi siamo bellissimi, ma abbiamo anche tanti, tanti, tanti problemi”. Ora, magari non è deontologicamente consigliabile fare una recensione sulla base di un sogno, ma credo che un qualcosa di vero in questo sogno bizzarro ci fosse. Credo che il concetto di Bellezza abbia un ruolo fondamentale nel film: la bellezza non è dove immaginiamo che sia (non, ad esempio, nei corpi umani, come è già molto chiaro dai titoli di testa e come vedremo ripetutamente nel corso del film) e quando c’è in ogni caso non è altro che un involucro che racchiude disperazione e rimpianto. Il personaggio di Susan, interpretato benissimo da Amy Adams, incarna questa scissione tra bellezza e felicità: lei è sempre perfettamente vestita (non a caso il regista, Tom Ford, qui anche sceneggiatore, è stato un designer di alta moda), truccata e pettinata, e la sua casa è da copertina di rivista… Eppure la felicità non le appartiene. Perchè? Diversi flashback ci fanno capire che nel suo passato c’è stato un grande amore, quello con Edward (un Jake Gyllenhaal sempre all’altezza), che però è finito per sua scelta; e non passa giorno in cui Susan non si domandi se quella sia stata la scelta giusta. Ma Edward non rappresenta solo l’amore perduto, ma anche l’occasione persa di realizzarsi come artista a causa della paura di fallire. Un’altra parola chiave del film infatti è questa: Paura. Susan ha avuto troppa paura per cercare di inseguire i suoi sogni e di portare avanti il suo primo matrimonio. Non ha avuto il coraggio, e ora è condannata all’infelicità. Non ci sono seconde possibilità, per nessuno. Questo lo capiamo dal manoscritto di Edward, che Susan divora avidamente, notte dopo notte, in cerca di risposte: perchè l’ex marito, che non ha visto o sentito per anni, le ha inviato e dedicato il suo libro? Forse l’ha perdonata? Forse le vuole inviare un messaggio? Per scoprirlo non resta che leggere. E la parte in cui viene messo in scena il romanzo di Edward, Nocturnal Animals (altro riferimento a Susan, che fin da giovane non dorme mai e viene soprannominata “animale notturno” è la più coinvolgente di tutto il film, per quanto dura e cruda sia. Il protagonista del romanzo, Toby, è interpretato dallo stesso Gyllenhaal, quindi è facile intuire che si tratti di un alter ego dell’autore Edward. Ed ecco che si affaccia la cosa che più mi ha disturbato in tutto il film (oltre ai titoli di testa, che mi avevano quasi dissuaso dal vedere il film, lo dico come avvertimento): la sua didascalicità. Ecco un esempio: come mai Edward ha mandato il manoscritto all’ex moglie?

Risposta:

Ecco cosa intendevo: messaggi velati, appena accennati, rivolti dal regista allo spettatore, che però probabilmente non è in cerca di massime pessimiste sull’esistenza (come dicevo, non esistono seconde possibilità per nessuno) ma soltanto di un bel film, anche se per niente allegro. I primi venti minuti del film consistono in una sfilata di personaggi minori, che servono solo a permettere a Susan di raccontare la sua infelicità; di fatto, il film inizia solamente con il romanzo, che ne costituisce il cuore pulsante. Toby, il protagonista del romanzo, è stato debole, e ne paga tutte le più tremende conseguenze: la Debolezza infatti è un altro tema reiterato, perchè tutti coloro che sono deboli, cioè non hanno il coraggio di perseguire il proprio sogno, sono condannati all’infelicità senza via di scampo. 

In conclusione, sebbene il film sia volutamente respingente verso lo spettatore fin dai titoli di testa, ho amato molto la messa in scena del romanzo e l’intreccio speculare distorto tra finzione e vita reale. Ho amato anche le performance degli attori (oltre ai due ottimi protagonisti bisogna citare lo sceriffo Michael Shannon). Quello che non ho amato è stata la poca fiducia del regista nelle doti intellettive dello spettatore, che lo ha portato a reiterare allo sfinimento immagini e parole per far passare il suo messaggio. In secondo luogo, non ho amato il suo messaggio, o meglio la necessità di veicolarne uno a tutti i costi e con tanta insistenza.

Non mi sento di sconsigliare il film, ma ritengo che non sia una visione per tutti, e di certo non lo guarderei una seconda volta. Tuttavia lo ricordo ancora molto bene a distanza di settimane, quindi il film, nel bene o nel male, si fa ricordare.

Voto: 2 Muffin

La Donna alla Finestra

Titolo originale: The Woman in the Window

Anno: 2021

Regia: Joe Wright

Interpreti: Amy Adams, Gary Oldman, Anthony Mackie, Julianne Moore, Jennifer Jason Leigh, Fred Hechinger, Wyatt Russell

Dove trovarlo: Netflix

Anna Fox (Amy Adams) è una psicologa infantile che soffre di agorafobia e da anni non esce più di casa. Trascorre il tempo in compagnia del suo gatto, guardando la televisione, bevendo finché non viene raggiunta dal sonno e dagli incubi: la massiccia terapia di psicofarmaci cui si sottopone non sembra dare risultati. In questa situazione diventa normale per Anna trascorrere molto tempo alla finestra, osservando la strada e i vicini di casa. Quando la famiglia Russell si trasferisce nell’appartamento di fronte Anna incontra dapprima il figlio, il timido e introverso Ethan (Fred Hechinger), poi sua madre, l’allegra e amichevole Jane (Julianne Moore) e infine il padre, Alistair (Gary Oldman), dal carattere possessivo e violento. Alistair non gradisce che la dirimpettaia stringa legami con i suoi familiari e cerca di tenerla a distanza, ma quando Anna assiste dalla finestra all’omicidio di Jane non può evitare di rimanere coinvolta. Dalle indagini della polizia però la sua vicina Jane Russell risulta viva e vegeta… che sia stato tutto un incubo frutto della sua mente alterata?

A partire dal titolo stesso del film, La Donna alla Finestra esplicita i suoi richiami verso il capolavoro di Alfred Hitchcock La Finestra sul Cortile, in cui il giornalista James Stewart, immobilizzato da una gamba fratturata, si convinceva di aver assistito dalla sua finestra ad un omicidio. Giusto per ribadire il concetto, Anna guarda molto spesso vecchi film, tra cui proprio La Finestra sul Cortile ma anche Io Ti Salverò, altro film di Hitchcock affine per le tematiche affrontate (problemi psichici, rimozione di traumi, percezione alterata della realtà). Se nel film con James Stewart l’immobilità forzata era simbolo della riluttanza del protagonista a lasciarsi andare ai sentimenti per la bella Grace Kelly, in questo caso invece l’agorafobia (la paura degli spazi aperti e delle folle) scaturisce dalla difficoltà ad affrontare un trauma che ci viene rivelato (senza grosse sorprese, a dire il vero) solo in un secondo momento. Si tratta in entrambi i casi di una condizione che immobilizza i protagonisti, impedendo loro di vivere appieno la propria vita. Qui finiscono tutte le rassomiglianze con il film di Hitchcock: ci troviamo ad un livello decisamente più basso da ogni punto di vista. Il regista Joe Wright in passato si è dimostrato molto abile soprattutto nei film in costume, patinati eppure incisivi e divertenti come Orgoglio e Pregiudizio; purtroppo però non si mostra affatto a suo agio nel genere giallo/thriller, dove non riesce a costruire una suspense (non riceve nemmeno l’aiuto della colonna sonora di Danny Elfman, decisamente poco incisiva), a creare un mistero (la svolta finale è, come minimo, lapalissiana), a dare ambiguità ai personaggi. Questo non a causa degli attori, che invece si comportano tutti molto bene. Amy Adams accetta di sacrificare la sua bellezza per diventare una donna distrutta e disturbata, mettendo il suo talento al servizio di una protagonista con cui lo spettatore fatica, dall’inizio alla fine, a trovare empatia. Gary Oldman fatica a brillare a causa di una sceneggiatura balorda che, nel tentativo di dare ambiguità al suo personaggio lo rende poco efficace. Scintilla invece Julianne Moore in un ruolo vitale e cardinale, anche se di breve durata, mettendo in ombra la pur brava Jennifer Jason Leigh. Il migliore in campo, a sorpresa, è Wyatt Russell, l’affittuario ambiguo e misterioso, nonostante il personaggio venga usato come risolutore di tutte le storture della sceneggiatura. Riprovevoli, a mio parere, gli inserti come le macchie rosse sul tovagliolo, la mela rossa o i fiocchi di neve, nati sicuramente dal tentativo di richiamare le tecniche di Hitchcock (inserti e filtri cromatici per rappresentare una percezione distorta della realtà o un trauma affiorante) ma che qui non funzionano affatto. Purtroppo in questo film niente funziona: niente giallo, niente suspence, niente mistero, nessuno scavo psicologico interessante, nessun personaggio memorabile. Curiosità: anche se qui ha un ruolo molto piccolo come marito di Anna, Anthony Mackie ha da poco goduto di grande fama come protagonista della serie Disney Plus Falcon and the Winter Soldier, in cui interpreta appunto l’avenger Falcon che si incontra/scontra con il nuovo Captain America, interpretato guarda caso da Wyatt Russell. Il fatto che questa sia la curiosità più interessante di questo film la dice lunga sulla sua qualità, ahimè.

Voto: 1 Muffin

Big Eyes

Anno: 2014

Regia: Tim Burton

Interpreti: Amy Adams, Christoph Waltz, Krysten Ritter, Terence Stamp, Jason Schwartzman

Dove trovarlo: RaiPlay

Tratto dalla storia vera della pittrice Margaret Keane, che negli anni ‘60 ha dovuto sostenere una durissima battaglia legale contro il marito per riappropriarsi dei diritti delle proprie opere, i quadri da lei dipinti che ebbero enorme diffusione e successo negli anni ‘50 ma che il marito reclamava come proprie creazioni. Il titolo del film deriva dalla caratteristica principale dei ritratti di Margaret, tutti raffiguranti bambini e bambine dai grandissimi occhi.

Incredibile come talvolta realtà e finzione si integrino alla perfezione. L’ambientazione di Big Eyes, infatti, ricorda moltissimo quella rappresentata da Tim Burton in molti dei suoi film. Forse quello più indicativo in questo caso è Edward – Mani di Forbice e della sua provincia americana a tinte pastello con casette a schiera, giardini curati e staccionate bianche, dove però l’aspetto idilliaco nasconde in realtà i sentimenti più meschini; lo stesso si può dire di Walter Keane (interpretato egregiamente da Christoph Waltz, che non smentisce la sua fama di villain perfetto), il marito, così generoso e galante ma in realtà egoista e menzognero fin dall’inizio. E i ritratti di bambini dai grandi occhi sproporzionati ricordano moltissimo i personaggi dei film in stop-motion del regista, come Nightmare Before Christmas (di cui in realtà è solo produttore ma che si può senz’altro considerare una sua creazione) e La Sposa Cadavere. Non è dunque una sorpresa apprendere che il regista stesso è appassionato e anche collezionista dei quadri di Margaret Keane. Impossibile quindi pensare ad un diverso regista per raccontare la storia vera, tribolata ma a lieto fine, della pittrice Margaret Keane, interpretata magistralmente da Amy Adams, bravissima a rendere tanto il lato fragile e sottomesso quanto quello sicuro e determinato del suo personaggio. Pur trattandosi della biografia di un’artista il film non ha mai un momento noioso grazie alla ricchezza con cui sono caratterizzati i personaggi principali e alla felice abbondanza di comprimari di lusso: Terence Stamp temibile critico d’arte; Jason Schwartzman intransigente gallerista modaiolo; Krysten Ritter, finalmente libera dal chiodo nero di Jessica Jones, in veste chiacchierona e sbarazzina. Nei titoli di coda viene raccontato cosa accadde realmente dopo il processo Keane vs. Keane e si scopre che la stessa Margaret Keane, ancora oggi in vita e ancora in attività all’epoca del film, ha dato il suo contributo incontrando personalmente Amy Adams. Un gran bel film adatto ai fan di Tim Burton ma anche a coloro che normalmente lo evitano; una piacevolissima occasione per scoprire qualcosa di più sulla storia dell’artista Keane ma anche del regista Tim Burton, evidentemente influenzato dalle sue opere fin dall’inizio.

Voto: 4 Muffin