Road House

Titolo originale: Road House

Anno: 2024

Regia: Doug Liman

Interpreti: Jake Gyllenhaal, Conor McGregor, Billy Magnussen

Dove trovarlo: Prime Video

Dalton (Jake Gyllenhaal) è un ex pugile senza lavoro, affetti né ambizioni, che vive alla giornata con combattimenti clandestini e non sembra avere uno scopo nella vita. Questo fino a quando Frankie (Jessica Williams) non gli propone di lavorare per lei come buttafuori nel suo locale, Road House. Dalton, che inizialmente non sembra interessato, decide invece di accettare la sua proposta, senza sapere che il figlio di un boss locale (Billy Magnussen) ha deciso di mettere le mani ad ogni costo su Road House.

Un giorno forse gli psicanalisti studieranno questa particolare forma di psicopatologia: quando mi trovo a scegliere un film in piena libertà, inevitabilmente ne trovo uno con Jake Gyllenhaal. Non posso proprio farne a meno! In alcuni casi mi va molto bene; in altri è un completo disastro o una tremenda sofferenza; altre volte è una vera sorpresa; oppure un trauma indelebile. Nonostante questo persisto nella mia idiosincrasia. Questa volta, però, devo dire che mi è andata davvero bene!

Non ho visto l’originale Il Duro del Road House, film del 1989 con Patrick Swayze come protagonista, perciò non sono in grado di fare paragoni tra i due film. Mi limito quindi a parlare di questo Road House appena uscito su Prime Video, la cui trama è semplice, anzi direi quasi archetipica, tanto che il film la condivide con, per fare alcuni esempi di film di diverso genere ma con la stessa storia di base, Altrimenti ci Arrabbiamo o Herbie il Maggiolino sempre più Matto. Per questo ho apprezzato molto la scelta del tono ironico, che rende il film molto gradevole e scorrevole, e che non avrei mai associato a un regista come Doug Liman (The Bourne Identity, Edge of Tomorrow). Già dal fatto che Dalton si trovi a fare in buttafuori in un roadhouse (un locale tipico degli USA) che si chiama Road House e dorma in una barca di nome “Barca” (“Boat”) ci fa capire che ci troviamo in una specie di fiaba, in cui nulla di veramente brutto può accadere. L’atmosfera disneyana poi mi si è palesata ancora di più nella scena in cui il villain di turno (Billy Magnussen, che non a caso era il Principe Azzurro del musical Into the Woods) si fa sbarbare da uno scagnozzo sul ponte della sua nave – e le somiglianze con Peter Pan non si fermano qui ma non voglio rovinare una delle scene più divertenti del film.

Un’altra cosa che mitiga il realismo di questo film è il modo di mostrare i combattimenti: ogni volta che due persone si colpiscono, la scena è ritoccata in CGI, dando l’effetto di trovarsi in un videogioco. E questo nonostante Jake Gyllenhaal si sia sottoposto a un allenamento durato più di un anno per poter sfoggiare i muscoli che vediamo nel film, come ci racconta lo special di Men’s Health disponibile su Youtube (ringrazio di cuore Lucius Etruscus del Zinefilo per questo suggerimento!), e nonostante il suo principale avversario sia Conor McGregor, campione di MMA e pugile professionista. In ogni caso, preferendo di gran lunga l’ironia e la bonarietà (Dalton viene soprannominato dai cattivoni “Smile Man” perchè, in effetti, sorride sempre) alla violenza gratuita e autocompiaciuta, io ho molto apprezzato il film, che di certo non inventa nulla ma si fa guardare volentieri e lascia soddisfatti dopo la visione.

Voto: 3 Muffin

Aladdin

Anno: 2019

Regia: Guy Ritchie

Interpreti: Mena Massoud, Naomi Scott, Marwan Kenzari, Navid Negahban, Will Smith, Billy Magnussen

Dove trovarlo: Disney Plus

Lo spietato Jafar (Marwan Kenzari), il Gran Visir del sultano (Navid Negahban), trama per conquistare il trono di Agrabah. Per riuscirci deve impossessarsi della lampada magica, che però solo il “diamante allo stato grezzo”, un uomo dall’animo puro, può toccare. Così convince il ladruncolo di strada Aladdin (Men Massoud) a recuperarla per lui, cercando poi di uccidere il ragazzo, che però si salva e si tiene anche la lampada, da cui esce un Genio magico blu (Will Smith) che si mette al suo servizio: esaudirà per lui tre desideri. Aladdin non ha dubbi su cosa chiedere: il genio può aiutarlo a conquistare il cuore della bella principessa Jasmine (Naomi Scott).

Ormai siamo tutti rassegnati: i remake in live-action dei grandi classici Disney non si fermeranno. Anche se fino ad ora nessuno di questi mi ha incantata, mi sono avvicinata a Aladdin con una certa curiosità, soprattutto per vedere come se la sarebbe cavata Will Smith nei panni blu del Genio, che nel cartone animato del 1992 era stato magistralmente doppiato da Robin Williams (in italia la sua voce era del bravissimo Gigi Proietti). Per quanto mi riguarda Will Smith ha fatto un ottimo lavoro in questo film, anche se la CGI non permette tutta la pazza libertà che davano invece carta e matita, quindi il Genio è risultato un pochino più ingessato di come me lo aspettavo, scevro anche delle citazioni anacronistiche di cui il cartoon invece era pieno. Lo stesso vale per tutti i personaggi non umani del film: la scimmietta Abu, il pappagallo Jago, la tigre Raja e il tappeto volante; per quanto la tecnologia della computer grafica sia sempre più sofisticata, questo non li può rendere simpatici come lo erano nel cartone animato. Questo può essere un limite del mezzo scelto, ma altre differenze tra il cartone animato e il film (che ovviamente non possono non esserci, per quanto la Disney possa tentare di ricalcare i suoi cavalli di battaglia alla perfezione) invece derivano da scelte deliberate e molte di queste mi hanno lasciata perplessa. Chiunque abbia frequentato le produzioni Disney più recenti (non solo i lungometraggi ma anche le serie animate come La Dottoressa Peluche, La Principessa Sofia, Jake e l’Isola dei Pirati eccetera) non può non aver notato che ormai i villains stanno scomparendo dall’universo Disney (tranne quelli storici che sono un must del reparto merchandising), rimpiazzati da antagonisti che non sono davvero cattivi cattivi, tuttalpiù sono un po’ egoisti e dispettosi, ma alla resa dei conti sono simpatici e pronti a redimersi. I motivi di questa linea d’azione derivano secondo me dal desiderio di essere politically correct e di insegnare ai bambini (e non solo a loro) la tolleranza e il perdono. Questa è una tendenza generale cui i live-action aderiscono pienamente e non voglio dire che sia ideologicamente sbagliata, ma non la trovo drammaturgicamente valida. Alfred Hitchcock diceva che serve un cattivo terrificante per fare un bel film, e credo che lui ne sapesse qualcosa: come può un film, d’animazione o meno, essere emozionante e coinvolgente se i protagonisti non sembrano mai essere davvero in serio pericolo e se i cattivi non sono poi così tanto malvagi ma hanno solo avuto una brutta giornata? Il capo delle guardie di Agrabah, per esempio, che nel cartone era grande, grosso e cattivo, qui invece, alla fine, si redime e si schiera anche lui contro Jafar, in virtù di un passato di fedeltà e dedizione al sultano di cui non si era mai parlato prima. Lo stesso Jafar non è nemmeno lontanamente spaventoso come quello del cartone, e ci viene anche raccontato come da giovane lui stesso fosse un ladruncolo da strada proprio come Aladdin. Questo permette di inserire un paio di scene di “borseggio” divertenti, ma in definitiva non è che un voler fornire una giustificazione alla sua cattiveria, oltre che il più squallido dei “io e te in fondo siamo uguali!” detto dal cattivo al buono prima dello scontro finale. Viene poi da chiedersi come sia stato possibile per un borseggiatore di strada diventare il primo consigliere del sultano… Vengono poi eliminate molte scene che potevano forse creare troppa ansia: Jasmine non viene intrappolata in una clessidra gigante ma semplicemente viene detto alle guardie di portarla via, cosicché possa facilmente liberarsi e cantare la nuova canzone aggiunta apposta per lei, che la trasforma (nelle intenzioni di Guy Ritchie) da donna oggetto del desiderio a donna d’azione (paradossalmente Jasmine mostrava molta più intraprendenza nel cartone animato); Aladdin non viene messo in prigione e condannato a morte, il che rende il suo ritorno nei panni del principe Alì molto meno d’impatto. Ma quello che secondo me è il cambiamento meno riuscito è il fatto che Jasmine non desideri sposarsi perché ritiene che la carica di sultano spetti a lei stessa: nonostante il suo desiderio di aiutare il suo popolo sia encomiabile, non riesco a convincermi che affidare il trono ad una ragazza che non ha mai lasciato il suo palazzo e che ha mostrato di non sapere che il pane, al mercato, bisogna pagarlo, non mi sembra essere una gran buona idea. Ma, come anche Frozen ci insegna, ormai i personaggi maschili della Disney non possono che aspirare al ruolo di “principe consorte” e nulla più. E a proposito di principi, peccato che non sia stata assegnata una canzone anche al principe pretendente Anders, perché in Into the Woods Billy Magnussen ha mostrato un gran talento canoro e una grande ironia che avrebbero fatto comodo anche a questo film. Nel complesso poi il film si lascia vedere e il tempo passa in fretta, gli attori se la cavano bene anche col canto e le canzoni sono nel giusto numero e non troppo diverse da quelle originali che tanto amiamo (ovviamente il principe Alì non possiede più “schiave che non sono mai stanche”) e l’effetto nostalgia funziona. Funziona così bene che fa venire moltissima voglia di rivedere il cartone del ‘92 oppure qualche film molto meglio riuscito di Guy Ritchie, come ad esempio i due Sherlock Holmes con Robert Downey Jr. oppure Snatch.

Voto: 2 Muffin