Mythos, Heroes, Troy, Odissey di Stephen Fry

Stephen Fry. Attore inglese, in Italia non conosciuto come in patria, un po’ perchè ha lavorato moltissimo in tv, oltre che al cinema, un po’ a causa del suo humor così smaccatamente british che forse non sempre ottiene grande successo oltremanica.

Scorrendo la sua filmografia il ruolo che ritorna più spesso è “narratore”, e infatti Stephen Fry ha una voce perfetta proprio per raccontare storie. Non per niente è stato scelto come lettore per la serie degli audiobook di Harry Potter in versione originale, e come voce della stessa Guida Galattica per Autostoppisti nel film tratto dai romanzi di Douglas Adams.

Come attore, per me rimarrà sempre indissolubilmente alla figura di Oscar Wilde, che ha interpretato nel 1997 nella biografia dello scrittore irlandese. Una parte piccola ma molto intensa anche in V per Vendetta, a fianco di Natalie Portman. Più recentemente, lo abbiamo visto nel ruolo di Mycroft, il fratello di Sherlock Holmes nel film Gioco di Ombre con Robert Downey Jr. e Jude Law. Ancora più recentemente, nel film Rosso, Bianco e Sangue Blu, è stato scelto addirittura per interpretare il re d’Inghilterra…

Ma la sua apparizione più divertente appartiene sicuramente al programma automobilistico Top Gear: vedere per credere!

Quello che però ho scoperto più recentemente è che Stephen Fry, oltre che attore, doppiatore e regista, è anche scrittore: come potevo non gettarmi a capofitto nella lettura di… beh, qualunque cosa avesse scritto?

Ancora però non sapevo che Stephen avesse affrontato un argomento affascinante e complesso come la mitologia greca in modo così onnicomprensivo, trattandolo in ben 4 volumi: Mythos, Heroes, Troy e Odissey

Io però, ancora ignara di ciò, ho iniziato con Odissey, essendo personalmente molto legata alla storia di Ulisse, che Papà Verdurin mi raccontava (non leggeva) spesso quando ero piccola.

Mi sono innamorata del modo in cui Stephen racconta una storia già nota, rendendola scorrevole e accattivante, ma soprattutto divertente. Questo però senza prescindere da un immenso lavoro di studio e documentazione sull’argomento, che prevede lo studio del greco antico e di tutta la saggistica pertinente. Le note a piè di pagina, infatti, sono la parte più interessante, ma anche quella più divertente, perchè l’autore si diverte a nasconderci richiami alla contemporaneità e osservazioni argute.

Terminato Odissey ho recuperato l’ordine cronologico corretto, leggendo Mythos, che racconta della nascita e l’insediamento delle divinità dell’Olimpo, seguito a ruota da Heroes, che narra le gesta degli eroi semidivini come Ercole, e infine Troy, che parla naturalmente della guerra di Troia e dei suoi molti protagonisti.

Un viaggio straordinario, affascinante, arricchente e divertente in quella che perde tutto dello “scolastico” e diventa un piacere e una gioia per la mente.

Consiglio la lettura a chiunque ami la mitologia greca, anche a chi non la conosce bene, perchè Stephen Fry è molto scrupoloso nel raccontare ogni evento, anche i più noti, senza dare mai nulla per scontato; inoltre lo consiglio a chi ama lo humor britannico, perché troverà dialoghi e osservazioni esilaranti; infine lo consiglio a chiunque ami la lettura, perché le pagine scorrono via come una tazza di tè caldo in un pomeriggio invernale.

Se possibile, consiglio la lingua originale, per non perdere nulla della piacevolezza della lingua utilizzata da Stephen Fry.

Ricky Stanicky

Titolo originale: Ricky Stanicky

Anno: 2024

Regia: Peter Farrelly

Interpreti: John Cena, Zac Efron, William H. Macy

Dove trovarlo: Prime Video

Dean (Zac Efron), JT (Andrew Santino) e Wes (Jermaine Fowler) sono amici da sempre, e da sempre condividono un bizzarro segreto: un quarto amico, Ricky Stanicky, che ogni tanto ha bisogno di loro e li manda a chiamare con urgenza. Peccato però che Ricky Stanicky non esista! Altro non è che un escamotage utilizzato dai tre quando vogliono allontanarsi per un po’ da mogli, compagni e responsabilità per potersi divertire come quando erano giovani. Quando le loro famiglie iniziano a chiedere a gran voce di incontrare questo famoso Ricky, ai tre amici non resta che confessare tutto… oppure ingaggiare un attore scarso, volgare e alcolizzato per interpretare Ricky Stanicky! Cosa potrebbe andare storto?

L’idea di base del film, quella dell’amico immaginario da poter sfruttare in caso di necessità, non è certo nuova: Oscar Wilde in persona, nel suo meraviglioso testo teatrale The Importance of Being Earnest, ci racconta che il personaggio di Algernon (che nel bellissimo film che Oliver Parker ne ha tratto è interpretato da Rupert Everett) ha inventato un caro vecchio amico, Bunbury, la cui cagionevole salute lo costringe sovente ad evitare noiosi eventi mondani. Wilde fa utilizzare addirittura ai suoi personaggi il sostantivo “Bunburism” per descrivere questo genere di stratagemma furbesco, che inevitabilmente porta a fraintendimenti ed equivoci di vario genere.

Tuttavia, anche se la trama non è così originale, il film mi ha lasciata molto soddisfatta, divertita e allietata, il che non è certo poco. In particolar modo ho apprezzato l’uso intelligente della comicità, anche di quella meno raffinata, per cui mi sono sempre trovata sorpresa e divertita. Questo è un crisma caratteristico dei fratelli Farrelly (anche se qui troviamo solamente Peter alla regia), che però non sempre mi hanno saputa conquistare con il loro umorismo: in questo caso, obiettivo centrato in pieno. Fin dall’inizio della storia, quando capiamo che i tre amici sono sì complici nella “truffa Stanicky”, ma che ciascuno non manca di utilizzare il buon vecchio Ricky a suo esclusivo vantaggio se ne ha l’occasione, si capisce che il film ha voluto scavare un po’ nei personaggi per dare loro differenziazione e spessore, presentandoceli in modo più realistico, il che rende più facile affezionarsi a loro e appassionarsi alle loro vicissitudini. Gli attori sono tutti adeguati – compreso uno Zac Efron per una volta a torso coperto e senza sottofondo musicale – gli scambi tra i personaggi e le scene divertenti, l’evolversi della vicenda spassoso. Inutile dirlo, il vero mattatore della storia è John Cena, che, a differenza della Notte degli Oscar, qui compare non solo vestito, ma anche con vari bizzarri travestimenti, uno migliore dell’altro (“Costumes are SO important!”). Il suo personaggio è molto ben costruito e si evolve in maniera non del tutto attesa, divertendo, deliziando e perfino commuovendo. 

Nota di merito anche per William H. Macy, in un ruolo secondario ma fondamentale. Ricky Stanicky è senza dubbio una commedia senza pretese, ma proprio per questo è divertente e lascia sereni e soddisfatti. Concludo con una piccola nota: non avrei mai pensato di ridere così tanto per una scena (in cui nulla viene mostrato, ovviamente) di circoncisione! 

Voto: 3 Muffin

W – Oscar Wilde

W – Oscar Wilde

Ho sempre amato moltissimo Oscar Wilde, fin da piccola, quando avevo una videocassetta con una versione animata della suo Principe Felice: mi faceva piangere tutte le volte, eppure la riguardavo all’infinito e la trovavo piena di saggezza. Poi naturalmente lo studiai a scuola, e avrei tanto voluto fare su di lui la tesina della maturità. Peccato che lo facessero già una manciata di miei compagni, per cui, siccome detesto non apparire originale, dovetti farmi venire un’altra idea (della quale parlerò in un altro momento). Naturalmente amavo tutti i suoi divertenti ma al contempo sagaci aforismi e apprezzavo The Picture of Dorian Gray, ma il mio cuore batteva per altre cose: The Importance of Being Earnest, che è tutt’oggi la sua opera che amo di più, e le Short Stories, di cui The Happy Prince fa parte (mentre The Canterville Ghost è tutt’oggi una delle storie della buonanotte per i miei bambini, anche se ho dovuto per forza di cose intervenire con un finale leggermente meno traumatizzante). In sintesi, la sua opera più divertente e quella più triste (eccezion fatta per il De Profundis, il poema scritto dopo aver scontato la condanna ai lavori forzati, che mi ha talmente emozionata da non riuscire a leggerla fino in fondo). E proprio riflettendo su questo paradosso ho capito una cosa importante sui miei gusti letterari e cinematografici: un’opera, per conquistarmi completamente, deve riuscire a farmi ridere di gusto e poi piangere intensamente. Come Moulin Rouge. In gioventù fortunatamente ero circondata da un fantastico gruppo di amici, e con alcuni di loro condividevo questo grande amore per Oscar Wilde. Per far capire la misura di questo attaccamento, dirò solo che, quando giocavamo al gioco dei mimi, utilizzavamo solo tre segni condivisi e sempre uguali: “Uomo”, “Donna” e “Oscar Wilde”, tanto sovente lo scrittore compariva nei nostri indovinelli. Anche i miei compagni di scuola, con i quali raramente condividevo degli interessi, apprezzavano Oscar Wilde, se non altro per la sua vena divertente e per il fatto che nel suo unico romanzo spiegava come si potesse all’occorrenza far sparire un cadavere sciogliendolo con determinate sostanze chimiche. Perciò non si opposero quando convinsi la professoressa di inglese dell’assoluta necessità non solo di leggere per intero The Importance of Being Earnest, ma anche di guardare in seguito il film che Oliver Parker ne aveva (molto fedelmente) tratto. Non ho molti bei ricordi legati alla scuola superiore, ma il momento in cui, dopo aver visto il film tutti insieme a scuola, i miei compagni iniziarono a cantare insieme a Rupert Everett e Colin Firth Lady Come Down è senza dubbio uno di quelli.