Jojo Rabbit

Titolo originale: Jojo Rabbit

Anno: 2019

Regia: Taika Waititi

Interpreti: Roman Griffin Davis, Scarlett Johansson, Thomasin McKenzie, Taika Waititi, Sam Rockwell, Rebel Wilson, Archie Yates, Stephen Merchant

Dove trovarlo: Disney Plus

Germania, 1945. Jojo (Roman Griffin Davis) è un bambino di 10 anni che vive solo con la madre Rosie (Scarlett Johansson) e che fa orgogliosamente parte della gioventù hitleriana, dedicandosi a tutte le attività sportivo-militari con grande entusiasmo ma scarso successo; nonostante questo il suo amico immaginario Adolf Hitler (Taika Waititi) non manca mai di spronarlo e incoraggiarlo a diventare un grande eroe della patria. Ma tutto è destinato a cambiare quando Jojo scopre che sua madre nasconde segretamente una giovane ragazza ebrea (Thomasin McKenzie) nella loro soffitta…

La buona fama e il successo di questo film (premio Oscar 2020 per la miglior sceneggiatura non originale – il film è infatti tratto dal romanzo Caging Skies di Christine Leunens – e ha ricevuto anche altre 5 candidature agli Oscar 2020) sono del tutto meritati. 

Si tratta infatti di un film originale, divertente e intelligente, recitato molto bene, che riesce a far ridere, piangere e riflettere, abbattendo fin dalle prime scene l’idea che ormai su Hitler e sulla Germania nazista si sia detto proprio tutto. Senza la minima pretesa di voler essere una ricostruzione storica (ma non per questo desideroso di riscrivere i fatti), il film si concentra sul personaggio del piccolo Jojo (un bravissimo Roman Griffin Davis), nazista e antisemita più per desiderio di accettazione e inclusione che per reale convinzione, come l’evolversi della vicenda dimostrerà chiaramente e come probabilmente erano tanti altri bambini e ragazzini nella realtà. L’idea che il bambino, orfano di padre, abbia come amico immaginario il Fuhrer in persona è davvero ottima: le interazioni tra Hitler e Jojo sono esilaranti e Taika Waititi (anche regista e sceneggiatore del film) incarna perfettamente un leader come lo potrebbe immaginare appunto un bambino: affettuoso, solidale e sciocco come un amichetto, ma anche incoraggiante e severo come quel padre di cui Jojo sente tanto la mancanza, nonostante la mamma (meravigliosa Scarlett Johansson, candidata anche all’oscar come miglior attrice non protagonista) faccia di tutto per essere per lui sia madre che padre. Quando Jojo scopre che la mamma nasconde segretamente in soffitta una ragazza ebrea per proteggerla dai nazisti tutte le sue certezze vengono messe in discussione e man mano che si instaura un rapporto tra lui e la misteriosa Elsa (splendida Thomasin McKenzie) Jojo deve rivalutare tutte le sue convinzioni sulla famiglia, sugli ebrei e sulla superiorità della razza ariana, e conseguentemente anche il rapporto con il suo Fuhrer. Il concetto di famiglia è centrale nel film e viene trattato con freschezza e intelligenza, senza mai scadere nel didascalico, nel patetico o nel già visto. Se proprio si vuole trovare un difetto, il film soffre di un leggero calo di ritmo verso i tre quarti, ma si riprende in fretta e si mantiene interessante fino alla conclusione.

Tutti gli interpreti offrono ottime prestazioni, dal piccolo amico di Jojo Archie Yates alla figura paterna davvero inaspettata Sam Rockwell, dalla fanatica Rebel Wilson al kafkiano burocrate Stephen Merchant. La colonna sonora di Michael Giacchino accompagna le emozioni senza mai sovrastarle e utilizza con intelligenza brani pop arcinoti ma cantati in lingua tedesca per un effetto di “familiare eppure nuovo” che è poi la cifra di tutto il film.

Tenete a portata di mano un fazzoletto per un paio di scene toccanti ma fate anche attenzione a non soffocare con i pop corn quando il Fuhrer ne combina una delle sue: risate di cuore assicurate, insieme a una lacrimuccia.

Voto: 4 Muffin

Il mio nome è Widow, Black Widow

Anno: 2021

Regia: Cate Shortland

Interpreti: Scarlett Johansson, Florence Pugh, David Harbour, Rachel Weisz, William Hurt, Olga Kurylenko

Dove trovarlo: Disney Plus

Si potrebbe pensare che io sia un po’ fissata e che veda riferimenti a 007 dappertutto… ma questa volta è vero!

Non sono una grande conoscitrice di supereroi e di fumetti, ma negli ultimi anni ho seguito con molto divertimento i film Marvel. Quando il personaggio della Vedova Nera è comparso per la prima volta, nel film Iron Man 2, non lo conoscevo, anche se conoscevo benissimo la splendida attrice che lo interpreta, Scarlett Johansson, che oltre ad essere di una bellezza mozzafiato è anche un’ottima attrice, come ha dimostrato fin da giovanissima: La Ragazza con l’Orecchino di Perla, Lost in Translation, Match Point, tutte sue ottime interpretazioni. Quando la sua Black Widow è entrata nella vita di Tony Stark/Iron Man, tenendogli testa e rendendo gelosissima la sua fidanzata Pepper/Gwyneth Paltrow, è subito apparso chiaro come il personaggio avesse delle potenzialità, e infatti è stato sfruttato al massimo dalla Marvel: la Vedova Nera è comparsa nella maggior parte dei film successivi (Avengers, Captain America: Winter Soldier, Captain America: Civil War, Avengers: Age of Ultron, Avengers: Infinity War) e costituisce lo zoccolo duro della squadra di supereroi chiamata Avengers. La cosa che rende questo personaggio così interessante però è il suo passato da spia nemica (il suo vero nome è Natasha Romanoff e viene dalla Russia) che successivamente si redime ed entra nello SHIELD, mettendo le sue eccezionali abilità di spia e di combattente al servizio dei buoni, fino ad arrivare a sacrificare la sua vita per la salvezza dell’umanità. Ma la storia cinematografica di Black Widow non poteva terminare con il suo eroico sacrificio, e così è arrivata la origin story Black Widow, che racconta della sua infanzia, della sua famiglia e della sua vendetta nei confronti del potente e prepotente Segretario Ross (interpretato da William Hurt, altro personaggio ricorrente nei film Marvel).

Tuttavia, per quanto io ami la Vedova e l’attrice che la interpreta, non posso dire che sentivo il bisogno di conoscere il suo passato: mi era sufficiente quanto rivelato da Loki/Tom Hiddleston (che, a proposito, è in lizza per diventare il successore di Daniel Craig nei panni di James Bond, e visto il disastro della serie su Loki credo proprio che gli farebbe bene) in una scena davvero ben fatta del film Avengers (che per me resta il migliore). Invece ai piani alti della Marvel è stato deciso che doveva essere fatto un film incentrato sulla Vedova Nera e sul suo passato. Purtroppo, però, nessuno ha pensato che questo film, oltre a molte tutine attillate, dovesse avere anche una sceneggiatura

Il film è stato scritto da tre sceneggiatori, tutti piuttosto giovani ma già veterani di film e serie di supereroi oltre che di produzioni di casa Disney: Eric Pearson, Jac Shaeffer e Ned Benson. Anche se Jac è una donna, inevitabilmente la memoria corre ai tre sceneggiatori della serie Boris. Nel caso di Black Widow, ai tre scrittori è stato detto di realizzare non un classico film di supereroi (d’altra parte Natasha, sebbene sia estremamente forte e agile, di fatto non ha dei veri superpoteri) ma un classico film di spie. Dopo forse un momento iniziale di smarrimento, i nostri hanno pensato che la cosa migliore da fare fosse andare direttamente alla fonte, alla saga di film di spionaggio per antonomasia: quella di 007. Sono stati comunque sufficientemente onesti da rendere la cosa palese, inserendo i film di James Bond all’interno del film stesso: infatti Natasha in televisione guarda proprio Moonraker- Operazione Spazio, film del 1979 in cui l’agente segreto britannico è interpretato da Roger Moore. Così, quando nel finale si scopre che l’introvabile nascondiglio del villain (la Stanza Rossa) si trovava proprio nello spazio, non si può gridare “plagio!” ma tuttalpiù “omaggio!”. Questo è il riferimento più evidente, mentre l’esercito di super soldatesse mentalmente condizionate tramite l’uso di droghe rimanda al film Al Servizio Segreto di Sua Maestà del 1969, in cui 007 ha il volto di George Lazenby. Altri elementi tipicamente bondiani riguardano il cattivo, la sua megalomania, il suo piano diabolico ma carente nelle motivazioni (tramite il suo esercito di Vedove Ross è effettivamente in grado di manipolare la politica mondiale… ma perché? Quale sarebbe il suo scopo? Come per i cattivi bondiani, non viene specificato). Questo tuttavia non impedisce a Ross, come ogni villan bondiano che si rispetti, di snocciolare il suo arguto piano davanti all’avversario, in questo caso la nostra Natasha, che mentre lui si autocelebra per la sua astuzia gliela fa ovviamente sotto il naso. Come in ogni film bondiano che sia tale, la trama passa in secondo piano rispetto alle scene d’azione (quanti combattimenti! Davvero, quanti…) lasciando anche qualche perplessità su tutta la questione della finta famiglia e del complicato (ma non troppo) rapporto tra sorelle. Oltre a un aroma diffuso di Dalla Russia con Amore è difficile identificare gli altri riferimenti alla mitologia bondiana soprattutto perché la figura maschile e il concetto generale di attrazione o amore tra uomo e donna non trova posto in questo film; a dirla tutta, l’intero genere maschile viene segregato nel ruolo di arcinemico (Ross) o di fallimentare e comica figura paterna (Alexei/David Harbour). Fa eccezione solo il personaggio di Mason (O-T Fagbenle), una sorta di Q che procura a Natasha i gadget di cui nessuna spia può fare a meno. Tutti i personaggi principali sono femminili e sono positivi, perfino quello di Antonia, la sfigurata e mentalmente plagiata figlia di Ross, interpretata da un’irriconoscibile Olga Kurylenko. Il fatto che Melina, la finta madre di Natasha e Yelena (Florence Pugh) interpretata da Rachel Weisz (ancora splendida nella sua tutina attillata), abbia chiamato uno dei suoi maiali Alexei come il collega nonché finto marito la dice lunga sul contrappasso che la figura maschile deve subire in questo film in seguito ai decenni di sexy Bond-girls in bikini.

Nella inevitabile scena che segue i titoli di coda (altro rovesciamento di un paradigma bondiano, in cui invece le sorprese avvengono prima dei titoli di testa) capiamo che il film è, come spesso accade in questo periodo, un lungo trailer per il prossimo lungometraggio Marvel, che avrà come protagonista Clint Burton/Occhio di Falco (Jeremy Renner), e che la sorellina meno fortunata (ma non meno bella né meno capace) Yelena avrà un ruolo fondamentale.

Visto che la conclusione del film rimanda alla serie The Falcon and the Winter Soldier, desidero concludere con una piccola fantasia: e se l’aereo pieno di belle e disadattate ex-Vedove atterrasse proprio nel porticciolo del paesino di pescatori della Louisiana dove Sam e Bucky sono intenti a riverniciare la Paul & Darlene? What If…?

Lost in Translation

Titolo originale: Lost in Translation

Anno: 2003

Regia: Sofia Coppola

Interpreti: Bill Murray, Scarlett Johansson, Giovanni Ribisi, Anna Faris

Dove trovarlo: Netflix

Bob Harris (Bill Murray), famoso attore americano che sta attraversando la crisi di mezza età si trova a Tokyo per girare la pubblicità di un whiskey quando si imbatte nella giovane e bella Charlotte (Scarlett Johansson), laureata in filosofia ma ancora incerta sul proprio futuro, che il marito fotografo lascia spesso sola in hotel. Tra i due nascerà un legame particolare e profondo.

Secondo lungometraggio di Sofia Coppola, che dimostra da subito di non essere solo la figlia di Francis Ford ma di avere un suo stile personale e una grande abilità nello scegliere e nel dirigere gli attori giusti. Lost in Translation (che si può tradurre con “quel che viene perso nella traduzione”) non è certo un film denso di eventi, anzi, quello che fa è narrare il limbo dell’attesa da due punti di vista diversi ma affini: quello dell’attore di grande successo che vive una crisi personale Bob Harris e quello di Charlotte, giovane laureata in filosofia e neosposina che non sa ancora cosa fare della sua vita e se il matrimonio sia stato la scelta giusta. Bill Murray, che si può pensare stia interpretando se stesso, rende alla perfezione lo sconforto dell’uomo di mezza età che, nonostante la fama e il successo, non sembra inserirsi armonicamente nella sua stessa vita familiare e nel mondo in generale. Scarlett Johansson, di cui la regista è abilissima a sottolineare non solo la grande bellezza ma anche il talento, è perfetta nel ruolo della ragazza che ha smarrito la via ancora prima di trovarla, e anticipa alcune delle caratteristiche che saranno del personaggio di Maria Antonietta interpretato da Kirsten Dunst nel film del 2006 sempre diretto da Sofia Coppola: grande bellezza, un matrimonio precoce, smarrimento e noia (la stessa noia che può diventare pericolosa, come accadrà per i protagonisti di Bling Ring del 2013) . L’alterità della metropoli di Tokyo non fa che esasperare le insicurezze di questi due personaggi, che si incontrano per caso e si sintonizzano l’uno con l’altro nonostante la differenza di età. Ci sono alcune scene davvero divertenti nella parte iniziale, legate alle incomprensioni tra Bob e i suoi ospiti e colleghi giapponesi, ma per il resto il film si distende nel racconto placido ma mai noioso del fortuito incontro tra Bob e Charlotte e di quello che i due condividono nei pochi giorni in cui possono stare insieme. Gli spunti di riflessione, universali ma non banali, non vengono mai sbattuti in faccia allo spettatore ma scaturiscono con naturalezza dalle situazioni e dai dialoghi tra i due protagonisti. Lost in Translation è un film intelligente, tenero e delicato, che intrattiene e fa riflettere senza annoiare, senza drammi e senza pretendere di dare lezioni o risposte, tanto che a noi spettatori non resta che domandarci cosa abbia sussurrato Bob all’orecchio di Charlotte al loro ultimo incontro.

Voto: 4 Muffin