
Avevo solo dieci anni quando uscì il film In&Out. Ricordo che andai a vederlo ad un cinema all’aperto con mia madre, una compagna di scuola e sua madre. Prendemmo un numero che entrambe le nostre madri considerarono esagerato di pacchettini di M&M’s. Quello delle M&M’s al cinema, comprate in loco o trafugate nella borsa per risparmiare qualche euro, è per me ancora oggi una parte imprescindibile del rituale cinematografico: se vado a vedere un film al cinema devo avere le mie M&M’s (rigorosamente gialle, quelle con la nocciolina, e in confezione grande), altrimenti, giuro, non me lo godo nemmeno. Il film ci fece divertire, anche se naturalmente eravamo troppo piccole per capire la maggior parte delle cose che venivano dette. Nel corso degli anni, anche In&Out divenne uno dei grandi classici di casa, guardato ad ogni passaggio televisivo, poi comprato in dvd, rivisto e citato a memoria in ogni occasione. Ancora oggi lo trovo un film davvero riuscito, che ha superato brillantemente la prova del tempo, con dialoghi sagacissimi e spassosi, un cast meraviglioso (con un inedito Tom Selleck in versione bionda e gay) e un modo efficace di riflettere su un tema importante come quello della discriminazione degli omosessuali a colpi di sonore risate (si tratta di umorismo davvero intelligente, mai volgare né triviale). Sebbene tutti gli attori e tutti i personaggi siano fantastici, mia mamma si è sempre riconosciuta nella madre del protagonista (interpretato magistralmente da Kevin Kline), che ha le sembianze apparentemente miti ma sotto sotto diaboliche di Debbie Reynolds (che qualche anno più tardi, quando esplose la mia passione per i musical, ebbi modo di apprezzare anche da giovane nel classicissimo Cantando sotto la pioggia). Quando venne il momento di organizzare il mio matrimonio mia madre decise che lei sarebbe stata, in quell’occasione, proprio come Debbie Reynolds in In&Out. Comprò un vestito lilla e si fece confezionare un cappellino viola con veletta, intonato alle scarpe, giusto per essere sicura che nessuno degli invitati potesse avere dubbi su chi fosse la madre della sposa. E, poiché è la madre della sposa a dettare i canoni dell’eleganza della cerimonia, anche mia suocera (che per fortuna è una persona estremamente adattabile e dalla pazienza infinita) dovette dotarsi di adeguato copricapo. Quando avevo deciso di sposarmi, non avevo ancora nessuna idea su come sarebbe stato il mio matrimonio, tranne una: il tema sarebbe stato il cinema. La mia più grande passione non poteva certo rimanere esclusa dal giorno più importante della mia vita. Oltretutto si dà il caso che il matrimonio sia una cosa di per sé estremamente cinematografica (come dimostra lo stesso In&Out), anche nel caso in cui qualcosa vada storto e uno degli sposi ci ripensi. In quegli anni andava di moda connotare ognuno dei tavoli del pranzo in modo diverso, secondo un tema prestabilito e scelto in base ai gusti degli sposi. Io naturalmente avevo deciso che su ogni tavolo ci sarebbe stata la locandina di un diverso film, scelto tra i miei preferiti. Ci sarebbero naturalmente stati il tavolo Casablanca e il tavolo Moulin Rouge, mentre avevo alcune riserve sul tavolo Quattro matrimoni e un funerale, per ovvi motivi… Quando mancavano ancora molti mesi al matrimonio partecipammo a quello di un collega di mio marito. Dopo la cerimonia in chiesa raggiungemmo il ristorante per il rinfresco. Quando arrivai nella sala da pranzo rimasi paralizzata: su ogni tavolo c’era la locandina di un film. Cercai di ricompormi e, con la vecchia ma sempre buona scusa di incipriarmi il naso mi recai in bagno; da lì telefonai a mia madre piangendo disperata. Lei cercò di consolarmi, mi disse che noi avremmo scelto dei film più belli e messo delle locandine più grandi, ma io sapevo che non potevo utilizzare lo stesso tema di una coppia di amici che si era sposata qualche mese prima di me, e che naturalmente sarebbe stata tra gli invitati. Pian piano mi rassegnai all’idea di non poter fare del cinema il tema del mio matrimonio… però mi restava sempre la mia personale Debbie Reynolds! Ripiegammo sulla poesia come tema, e mia madre realizzò personalmente il tableaux de marriage e trascrisse (con la sua grafia enormemente migliore della mia) i versi che designavano ciascun tavolo. Feci fruttare appieno la mia laurea in lettere scegliendo con molta cura i poeti e i componimenti (mia madre censurò solamente Tolkien, che doveva troneggiare sul tavolo degli amici più nerd, perchè avevo scelto una poesia troppo lunga). Il giorno del mio matrimonio fu memorabile, tutto filò liscio (beh, come per ogni matrimonio ci sono molti aneddoti che si potrebbero raccontare, dalle bottoniere rubate agli avanzi di cibo saccheggiati, ma io, che temevo di inciampare lungo la navata o che il velo mi prendesse fuoco, lo considero un buon risultato) e tutto fu bello, buono e raffinato. Un bellissimo ricordo che non potrà mai essere cancellato. E io auguro a tutti che, quando verrà anche per loro il momento del “Lo voglio”, possano avere accanto un maestro di cerimonia col panciotto e una Debbie Reynolds che tenga tutti in riga e vegli sulla loro felicità.
Grande Ale!! Una descrizione inimitabile della “tua” Debbie Reynolds!!
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Che gradevole compagnia questo articolo che m’induce a scavare tra ricordi gioiosi. È come una delicata e confortante carezza che stempera per qualche attimo la cupezza del periodo.
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Beautiful article. Commovente per me. Tu e tua mamma eravate bellissime quel giorno molto speciale. So happy to have participated.
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