Un Anno da Leoni

Titolo originale: The Big Year

Anno: 2011

Regia: David Frankel

Interpreti: Steve Martin, Jack Black, Owen Wilson, Rosamund Pike, Jim Parsons, Corbin Bernsen

Dove trovarlo: Disney Plus

Ogni anno gli americani appassionati di ornitologia si sfidano a chi riesce a vedere il maggior numero di esemplari appartenenti a specie diverse di uccelli sul territorio statunitense. Questa sfida prende il nome di Big Year (“Grande Anno”), e ogni anno vi partecipano centinaia di appassionati di ornitologia. Ed è proprio in questa sfida che si incrociano le vite di tre uomini diversissimi tra loro ma accomunati dalla passione per i pennuti: Brad (Jack Black), reduce da un divorzio che abita con i genitori ed è in grado di distinguere i volatili dal loro verso; Stu (Steve Martin), imprenditore ricco e di successo; e infine Kenny (Owen Wilson), veterano del birdwatching e vincitore delle ultime edizioni del Big Year, fermamente intenzionato a mantenere intatto il suo record di 732 specie avvistate.

Non fatevi ingannare dal titolo italiano: The Big Year, anche se tradotto in italiano con Un Anno da Leoni, immagino, per cavalcare l’onda lunga del successo della commedia Una Notte da Leoni, non è una commedia demenziale ma invece una commedia molto garbata e originale, con tre ottimi protagonisti e un tema originale. Come avverte il film nel suo incipit, il film racconta una storia vera, sono stati inventati solamente i fatti. Tuttavia, anche se i personaggi e gli eventi specifici sono frutto di fantasia, il Big Year esiste davvero, ed è assai suggestivo immaginare queste migrazioni di “birders” (guai a dire “birdwatching”!) per tutti gli Stati Uniti (ma la competizione esiste anche in altri Paesi e si svolge anche a livello mondiale) all’inseguimento di uno stormo di folaghe o del sito di accoppiamento delle cinciallegre. Quello che ho trovato molto affascinante è lo spirito stesso della competizione, basata interamente sulla fiducia: per dichiarare di aver avvistato un esemplare infatti non è necessario produrre prove fotografiche o di altro tipo, ma è sufficiente affermare di aver visto (o anche solo sentito!) quel particolare uccello. Inutile dire che nell’inseguimento dei pennuti, ciascun personaggio troverà o perderà qualcosa di più importante: l’amore, l’amicizia, la realizzazione di un sogno. Il film non annoia mai, grazie ad un buon ritmo di regia (dietro la macchina da presa c’è David Frankel, regista di una commedia di culto come Il Diavolo veste Prada), un’ottima e variegata scelta delle musiche e soprattutto le interpretazioni perfette di tre divi come Jack Black, Steve Martin e Owen Wilson, tutti perfettamente a loro agio nel genere commedia e bravissimi nel rendere questi personaggi e le relazioni ondivaghe tra di loro. Oltre ai tre protagonisti, anche tutti i comprimari e i personaggi secondari sono incarnati al bacio, grazie al casting impeccabile di Margery Simkin, che ci regala, tra gli altri, un Jim “Sheldon Cooper” Parsons per una volta affascinato e non terrorizzato dagli uccelli e un Corbin Bernsen micidiale pilota di elicottero.

Come dicevo all’inizio, una commedia garbata come se ne vedono poche, adatta volendo anche ai bambini, con un uso non esclusivo né fastidioso della CGI nel riprodurre gli animali e un buon mix di scene divertenti e commoventi. Molto adatto alle serate tranquille, anche in famiglia, e da godere se possibile in lingua originale per assaporare meglio le interpretazioni.

Voto: 3 Muffin

“Lo vedete anche voi? Un muffin per ciascuno!”

Chris Hemsworth: Un memorabile viaggio on the road

So cosa state pensando: Madame si sorbirebbe qualunque idiozia che abbia dentro Chris Hemsworth. Vero. Infatti, dopo le sue peripezie alla ricerca di squali, sto aspettando con trepidazione Chris Hemsworth fa la fila in posta, Chris Hemsworth prepara le uova strapazzate e Chris Hemsworth sceglie il dentifricio. A questo pensavo, leggendo il titolo italiano di questo speciale di National Geographic. ma la traduzione italiana perde una sfumatura che è essenziale per comprendere le motivazioni dietro a questo viaggio di Chris con suo padre: infatti l’originale A road trip to remember, oltre a significare “un viaggio da ricordare” può anche voler dire “un viaggio per ricordare”. Infatti a Craig, il padre di Chris, è stato diagnosticato l’Alzheimer, i cui sintomi iniziano purtroppo a manifestarsi. Purtroppo, ad oggi, non esistono cure per questa malattia degenerativa, ma gli specialisti suggeriscono alcune strategie per rallentarne il decorso, mantenendo il più possibile la persona attiva e stimolata. Questo ha spinto Chris a decidere di partire con il padre per un viaggio non solo negli splendidi paesaggi australiani, ma nel tempo, alla ricerca di luoghi e persone un tempo molto familiari per Craig, che potessero stimolare il più possibile il suo cervello a ricostruire vecchi ricordi.

Per Chris si tratta di passare del tempo con il padre, ma c’è dell’altro: anche lui è geneticamente predisposto a sviluppare, nel tempo, la stessa malattia, e non nasconde di essere in ansia anche per il proprio futuro e quello della sua famiglia.

Ricordiamo che Chris è sposato con la splendida attrice Elsa Pataky e che la meravigliosa coppia ha tre figli: India Rose, Sasha e Tristan.

E così padre e figlio, in sella alle loro motociclette (Craig è stato pilota professionista, tra le altre cose), partono verso la casa in cui Chris ha trascorso la sua infanzia, per poi fare tappa in altri luoghi importanti, come il laghetto presso cui era stata scattata la fotografia che si vede in locandina o il luogo in cui Craig lavorava come domatore di bufali (dove tutti lo ricordano affettuosamente come “Chuck Norris”).

Il viaggio è ricco di rimembranze, emozioni, momenti di gioia che si alternano a momenti di ansia per il futuro, ma non diventa mai eccessivamente patetico o angosciante, rimanendo dilettevole per la sua intera durata.

Una bella occasione, per i fan di Chris, di scoprire qualcosa di più su di lui, sulla sua famiglia e sui luoghi in cui è cresciuto, ma anche una riflessione a livello più generale sul valore della famiglia, delle relazioni e della vita stessa.

Lo trovate su Disney Plus, insieme alle altre avventure di Chris.

C’é qualcuno nel mio scantinato

Titolo originale: The Man in my Basement

Anno: 2025

Regia: Nadia Latif

Interpreti: Corey Hawkins, Willem Dafoe

Dove trovarlo: Disney Plus

Charles (Corey Hawkins) non sa cosa fare della sua vita ed è al verde, tanto che pensa di vendere la casa di famiglia, suo unico bene. Inaspettatamente, un eccentrico sconosciuto che si presenta come Anniston (Willem Dafoe) gli offre una cifra folle per prendere in affitto la sua cantina. Charles, dopo le prime resistenze, accetta, senza sapere che si sta cacciando in un grosso guaio…

Mi sembra lapalissiano: se Willem Dafoe ti bussa alla porta e ti offre una cifra da capogiro per prendere in affitto la tua cantina, qualcosa di terribile succederà. Ma questo lo intuisce perfino il protagonista, Charles, che ha la faccia assente e obnubilata di Corey Hawkins. Nonostante questo guizzo di lungimiranza, l’unico di tutto il film, Corey accetta di avere Willem Dafoe nel suo scantinato. Ci sono le premesse per un ottimo horror psicologico, da camera, ma la regista Nadia Latif si guarda bene dal realizzarlo, preferendo mettere sul fuoco un minestrone di ingredienti casuali trovati qui e lì: body horror, thriller psicologico, esoterismo, oggetti maledetti e chi più ne ha più ne metta. Inutile dire che il risultato non ha un buon sapore. Non è mai chiaro dove il film voglia andare a parare, se voglia spaventare o analizzare o far riflettere o evocare in questo guazzabuglio di sogni, flashback, stati di alterazione di ogni genere e passato che tormenta. Sembra incredibile la convinzione con cui il sempre eccezionale Willem Dafoe recita le battute assurde che gli vengono assegnate davanti ad un Corey Hawkins con lo screensaver in viso e nulla di interessante da controbattere. La premessa, per quanto improbabile, si potrebbe anche accettare, ma è tutto il resto che non funziona proprio. La grande sorpresa finale, che dovrebbe spiegare il comportamento insensato di Charles, si intuisce già dopo qualche minuto, ma arriva senza sortire alcun effetto visto che il personaggio è insulso e antipatico e le sue motivazioni non suscitano alcun interesse. Un completo disastro, da evitare se non siete completisti di Willem Dafoe.

Voto: 1 Muffin

Affari d’Oro

Titolo originale: Big Business

Anno: 1988

Regia: Jim Abrahms

Interpreti: Bette Midler, Lily Tomlin, Fred Ward, Edward Herrmann, Michael Gross

Dove trovarlo: Disney Plus

Nell’ospedale di un paesino sperduto nella provincia americana nascono lo stesso giorno due coppie di gemelle, una da una prolifica coppia del luogo, l’altra da una ricca coppia newyorkese in viaggio. Per un’incredibile coincidenza alle bambine vengono dati gli stessi nomi: Sadie e Rose. Le due coppie però vengono accidentalmente “scoppiate” dall’infermiera, così per ciascuna coppia una delle due figlie crescerà sentendosi sempre in qualche modo fuori posto. Fino all’incredibile coincidenza che le porta tutte e quattro assieme in un lussuoso hotel di New York…

La trama del film richiama subito alla mente alcuni classici della commedia in cui viene usato il trucco dello “sdoppiamento” di attori e attrici che interpretano gemelli, come ad esempio Un Cowboy col Velo da Sposa o Non c’è Due senza Quattro. In effetti non c’è nulla di particolarmente sorprendente nello spunto di partenza e nello svolgimento della trama, tanto meno nel finale. Questa frizzante commedia però vale la pena di essere vista per la divertenti e divertite doppie interpretazioni delle star Bette Midler e Lily Tomlin, oltre che per i numeri musicali (lo yodel di Bette Midler è sensazionale!) e i siparietti comici insospettabilmente spassosi messi in scena dai molti comprimari. 

D’altro canto il regista è la “a” del celebre trio di registi e sceneggiatori ZAZ (Zucker-Abrahams-Zucker) che ci hanno regalato perle della comicità americana come Una Pallottola Spuntata, Hot Shots! e L’Aereo più Pazzo del Mondo.

Consigliato per una serata vintage in totale relax e serenità.

Curiosità: fanno parte del cast sia Fred Ward che Michael Gross, che troveremo insieme due anni dopo nel cult Tremors: coincidenza?

Voto: 3 Muffin

Mettetevi comodi, inizia il film!

Interior Chinatown

Anno: 2024

Regia: Taika Waititi e altri

Dove trovarlo: Disney Plus

Il giovane Willis Wu (Jimmy O. Yang) lavora come cameriere nel ristorante cinese dello zio, il Golden Palace, e tutta la sua vita si svolge nel quartiere di Chinatown, tra vecchi genitori e vecchi amici, senza che accada mai nulla di speciale. Finchè un giorno incontra una detective della polizia che gli chiede di aiutarla in un’indagine complicata: scoprire la verità sulla morte di Johnny (Chris Pang), fratello di Willis, misteriosamente scomparso dodici anni prima.

Cosa fare quando ci si imbatte in Taika Waititi? Il regista che ci ha regalato capolavori (Jojo Rabbit), film divertenti (Thor – Ragnarok, Chi Segna Vince) e scempiaggini senza appello (Thor – Love and Thunder)? La serie Interior Chinatown non è ascrivibile a nessuna di queste categorie, anche perchè è molto disomogenea: parte con una paio di puntate (di cui la prima diretta dallo stesso Waititi) simpatiche, che divertono e incuriosiscono, ma prosegue deragliando verso una svolta complottistica e un finale aperto in cui nessuno dei molti (troppi) spunti viene chiarito o portato a compimento. Troppe idee e molto confuse fagocitano anche le trovate più riuscite (come l’esilarante “cameriere cattivo”) in un guazzabuglio di kung fu, spionaggio, crime, metafiction e tanto altro senza capo né coda.

Non è nociva né tossica, e sinceramente non so se, con premesse così variegate e confuse, avesse qualche possibilità di riuscire bene, ma di sicuro la visione non lascia soddisfatti.

Mi auguro che il finale aperto non preluda a una nuova stagione: archivierei questo esperimento narrativo con un “meh” e andrei avanti.

Mid-Century Modern

L’improvvisa morte di un loro carissimo amico fa decidere ai tre amici omosessuali Bunny (Nathan Lane), Arthur (Nathan Lee Graham) e Jerry (Matt Bomer) di andare a vivere tutti assieme in una lussuosa villa di Palm Springs per non essere mai più soli.

“Mid-Century Modern” è un termine che si usa per indicare l’arredamento lineare e modernista diffuso in particolare negli Stati Uniti tra gli anni ‘50 e gli anni ‘70 e ritornato oggi di gran moda. Questo stile architettonico e decorativo elegante e minimale ha attecchito in particolar modo nella ricca Palm Springs, in California, in cui sono presenti moltissime ville in stile Mid-Modern Century. Da questo deriva il titolo di questa serie tv di una sola stagione, in tutto dieci episodi, disponibile su Disney Plus.

Non posso dire che Mid-Modern Century sia una serie per tutti: Disney Plus avverte che il contenuto contiene “discriminazioni”, ma non saprei dire se si riferisca agli omosessuali, ritratti in modo assai sguaiato e appariscente, oppure agli uomini eterosessuali, che invece sono del tutto assenti dalla narrazione e in più occasioni derisi e scherniti.

Non appartenendo a nessuna delle due categorie, posso solo dire che questa serie, prodotta tra gli altri da quel Ryan Murphy che ha regalato al mondo la meravigliosa serie Glee, mi ha divertito moltissimo.

Mid-Modern Century è un prodotto leggero, una sitcom divertente senza pretese con l’unico intento di divertire, e con me la formula ha funzionato in pieno.

Il mattatore è senza dubbio Nathan Lane, star indiscussa del cinema e del teatro, attore e cantante di grande talento e dalla simpatia irrefrenabile.

Al suo fianco un esilarante Nathan Lee Graham e un divertente quanto affascinante Matt Bomer; il terzetto di attori e personaggi è molto ben calibrato e affiatato, e dà vita a dialoghi, battute e siparietti davvero spassosi (non potrò mai più riempire un portapillole senza cantare il Cell Block Tango di Chicago).

Affiancano i tre protagonisti alcuni altri volti noti della tv (Jesse Tyler Ferguson, Richard Kind) e, nei panni di Sybil, la madre di Bunny, la talentuosa attrice e cantante Linda Lavin, scomparsa durante le riprese (forse per questo motivo la serie non ha avuto un maggior numero di puntate o una seconda stagione).

Se amate i musical, le piume di struzzo e le paillettes, questa serie fa sicuramente per voi, ma in caso contrario non credo che la trovereste di vostro gradimento.

Non credo serva aggiungere altro

Only Murders in the Building – Stagione 4

Nella puntata conclusiva delle terza stagione avevamo visto Saz Pataki (Jane Lynch) venire uccisa da un colpo di fucile (Steve Martin). La quarta stagione si apre quindi con la preoccupazione di Charles per l’amica scomparsa, ma soprattutto con l’invito per lui e i suoi due colleghi di podcast Oliver (Martin Short) e Mabel (Selena Gomez) a recarsi ad Hollywood, dove la Paramount ha intenzione di girare un film tratto proprio dal loro podcast Only Murders in the Building.
Arrivati alla quarta stagione (che Disney Plus aveva tentato di farmi vedere un episodio alla settimana alcuni mesi orsono)  non si può negare che la formula indagine + star + siparietti comici nostalgici inizi a non funzionare più così bene. Il delitto da risolvere continua a rimanere tutto sommato marginale rispetto alle vicissitudini dei protagonisti, sempre più surreali e sconclusionate. La parata di stelle a ricoprire ruoli grandi e piccoli (Meryl Streep, Paul Rudd, Eugene Levy, Zach Galifianakis, Eva Longoria, Melissa McCarthy) non aiuta a recuperare la verve delle prime stagioni e la serie procede in modo faticoso e farraginoso per i dieci episodi. Personalmente, l’unico volto famoso che ho visto davvero volentieri, anche se per pochi minuti, è stato quello di Ron Howard. Tutte le altre celebrità interpretano ruoli sopra le righe, parodistici e sconclusionati, che non aiutano una storia già di per sé poco chiara, raccontata a forza di flashback nel tentativo di tappare i buchi, che però fallisce, così come anche la velleità di trovare un filo conduttore a partire dalla primissima stagione. Non si ride, non ci si emoziona, non ci si incuriosisce in questa sarabanda di scene surreali, slapstick e ingiustificate che ha chiaramente deragliato dai binari. Anche i riferimenti al teatro che tanto amavo sono quasi del tutto scomparsi. Restano molte citazioni cinematografiche (imprescindibili visto che la stagione è ambientata nel mondo del cinema) didascaliche e fini e sé stesse. Sono arrivata alla fine con grande fatica e rimasta quasi dispiaciuta per il finale di questa quarta stagione che ne annuncia inequivocabilmente anche una quinta in arrivo: non era meglio finirla qui? Anzi, meglio ancora, una stagione fa?

Eva Longoria / Selena Gomez; Eugene Levy / Steve Martin; Martin Short / Zach Galifianakis

Stanley Tucci in Italy

L’autobiografia di Stanley Tucci mi aveva lasciato, oltre all’acquolina in bocca, anche una gran curiosità riguardo la serie tv Stanley Tucci: Searching for Italy, che finalmente ora è disponibile (anche se solo la prima stagione per ora) su Disney Plus.

In cinque puntate il celebre attore americano di origini calabresi esplora altrettante regioni italiane (Toscana, Trentino, Lombardia, Abruzzo, Lazio) alla ricerca, oltre che dei paesaggi e luoghi più suggestivi, anche della cucina più tradizionale e dei piatti invece più insoliti e particolari.

Diciamo che il programma è interessante all’incirca come una puntata di Melaverde, e che se io non avessi letto nell’autobiografia di Tucci cosa significhi esattamente il cibo per lui e la sua famiglia potrei bollare la serie come “noiosetta”. Oltretutto sembra che io e Stanley abbiamo gusti estremamente diversi: di sicuro non condivido la sua passione per le interiora e le frattaglie di qualunque tipo.

La serie resta carina e con alcune curiosità interessanti sul nostro bel paese, ma se devo essere sincera a “Stanley Tucci che mangia cose” preferisco di gran lunga “James May che prova cose” o “Jeff Goldblum che guarda cose”.

Justified | Justified – City Primeval

Anno: 2010 – 2015 (6 stagioni) | 2023 (1 stagione)

Interpreti: Timothy Olyphant, Walton Goggins, Nick Searcy, Joelle Carter, Jacob Pitts, Erica Tazel, Natalie Zea, Jere Burns, Raymond J. Barry

Dove trovarli: Disney Plus

Protagonista indiscusso della serie è Raylan Givens (Timothy Olyphant), U.S. Marshal dal grilletto facile che, dopo aver eliminato l’ennesimo boss del crimine, viene mandato a prestare i suoi servigi nell’ultimo posto in cui avrebbe voluto mettere di nuovo piede: Harlan, Kentucky, sua città natale.

Lo ammetto: è stato il cappello. Quello Stetson che lo US Marshal (traducibile con “sceriffo degli Stati Uniti”) non toglie mai e che già dalla locandina della serie mi faceva venire una gran voglia di western moderno. E non sono stata delusa. Se quello che ci racconta la serie Justified (basata sul romanzo di Elmore Leonard Fire in the Hole) è almeno in parte vero, c’è una vasta porzione del Kentucky che sembra davvero il selvaggio west che abbiamo visto in tanti vecchi film, in cui tutti sono armati e tutti nascondono qualcosa di losco e illegale in cantina o dietro casa. Ma per Raylan Givens l’intero territorio statunitense è un O.K. Corral in cui al cattivo si può sparare: se lui ha estratto la pistola per primo ma tu sei stato più abile e svelto, allora l’omicidio è “giustificato” (da cui il titolo). Ma il numero di uccisioni giustificate di Raylan è cresciuto a dismisura, e i suoi capi, coscienti della sua grande abilità e incorruttibile integrità, lo spostano da uno Stato all’altro finché ne rimane solo uno: il Kentucky, in cui Raylan è cresciuto e in cui si trovano ancora la sua famiglia, la sua ex moglie, le sue vecchie fiamme, i suoi amici, ma soprattutto i suoi nemici. 

Questa è la premessa di una serie che ho adorato dall’inizio alla fine per così tanti motivi che l’elenco sarà lungo, a differenza della durata percepita della serie: sei stagioni che sono sembrate una sola. All’inizio veniva raccontato un caso diverso in ogni puntata, e ciascuno di essi era pensato e scritto benissimo, ma presto gli autori hanno scelto di concentrarsi piuttosto su una storia principale, inserendo un nuovo “cattivo” in ogni serie come avversario di Raylan, e a mio parere la scelta è stata molto soddisfacente. Raylan Givens è un personaggio solo all’apparenza repulsivo per lo spettatore: troppo bello, troppo bravo, troppo pieno di sé; ma in realtà ci si affeziona subito sia alla sua integrità, così fuori posto in un contesto simile, alla sua grande sagacia e al suo umorismo. Ma naturalmente un personaggio così non potrebbe funzionare senza una serie di spalle adeguate, e qui entrano in gioco gli attori secondari, tutti bravissimi. E soprattutto dobbiamo parlare dei cattivi, che sono tutti diversi e tutti efficaci, ma su tutti troneggia la nemesi del protagonista, amico di gioventù e suo pari per fascino e astuzia: Boyd Crowder, interpretato magistralmente da Walton Goggins, la vera arma segreta della serie. L’eterno scontro tra Raylan e Boyd è coinvolgente e intrigante dall’inizio alla fine e dà vita ai dialoghi più sfiziosi.

Infatti un altro grande punto di forza di questa serie sono la sceneggiatura, originale e solidissima, e i dialoghi, elaborati ma mai noiosi, anzi sorprendenti.

Un’altra cosa che ho amato moltissimo è stata l’ambientazione così particolare: il profondo Kentucky, terra selvaggia e variegata, ricca di miniere di carbone in cui si sviluppano legami profondi quanto la terra che viene scavata, di campi coltivati su cui è meglio non indagare e di zone comandate da questa o da quella famiglia da cui è meglio stare alla larga.

Inevitabile quindi che questo reticolato di alleanze, rivalità e giochi di potere crei un tessuto meraviglioso in cui far sviluppare delle storie avvincenti.

Nel 2023 è stata realizzata una nuova stagione, Justified – City Primeval (“Città Primordiale”), che pur non avendo grossi difetti mancava di molti dei punti di forza delle sei stagioni precedenti: cattivi davvero memorabili, comprimari adeguati e un’ambientazione succosa (a Detroit succede di tutto, questo è certo, ma non è particolare come Harlan, Kentucky).

Inoltre le prime sei stagioni erano impreziosite dalla partecipazione di alcune grandi star della tv in ruoli più o meno corposi ma sempre rilevanti: Danielle Panabaker, Sam Shepard, Jim Beaver, David Koechner e a sorpresa il mio beniamino Patton Oswalt, oltre a molti altri.

In conclusione, consiglio senza ombra di dubbio la serie Justified (rigorosamente in lingua originale, magari aiutandosi con i sottotitoli perchè alcune parlate e alcuni termini non sono facili da capire): City Primeval non è altrettanto bella ma si guarda con piacere (anche grazie alla durata di soli 8 episodi) e ha una conclusione che lascia del tutto soddisfatti.

Fire in the hole!

Wonder Years

Questa serie tv americana andata in onda per due stagioni dal 2021 al 2023 non è affatto conosciuta, ed è un peccato perchè, pur senza uscire mai dai binari della sitcom, ha un’ambientazione non banale e riesce a essere a tratti davvero molto molto divertente.

Gli “anni meravigliosi” del titolo per il protagonista Dean (Elisha Williams) sono quelli del passaggio dall’infanzia alla pubertà. E fin qui niente di nuovo: sono moltissime le serie tv che hanno affrontato, con toni comici o seri, questo argomento. Ma la particolarità qui è che Dean è un ragazzo di colore appartenente a una famiglia benestante dell’Alabama alla fine degli anni ‘60, con tutto ciò che questo implica. La narrazione mantiene sempre un tono leggero e delicato, ma non manca di affrontare temi molto seri come la discriminazione razziale e il conflitto in Vietnam, lasciandoli però sullo sfondo delle vicende di una famiglia unita e solidale in tutte le avversità e disavventure. Il vero punto forte della serie sono le situazioni divertenti e le scene comiche, alcune davvero simpatiche e ben riuscite, anche grazie a un buon cast di protagonisti. E naturalmente non posso non citare colui che è il motivo principale per cui ho seguito questa serie: Dulé Hill, di cui già conoscevo il grande talento comico dalla serie Psych e che in Wonder Years ricopre il ruolo del padre di famiglia a cavallo tra la severità e la freddezza delle generazioni precedenti e la complicità ed ecletticità che i nuovi tempi richiedono ad un papà e ad un artista.

Una sola citazione da un discorso motivazionale da padre a figlio: “Son, you gotta learn your ABC: Always Be Cool”.

Vi ho convinti?

No?

E se vi dicessi che la voce narrante fuori campo, cioè quella di Dean che ormai adulto rivive i ricordi della sua adolescenza, è di Don Cheadle?

Ma solo se guardate la versione originale! Ma tranquilli, Disney Plus permette di inserire i sottotitoli!