L’Uomo dalla Pistola d’Oro

Dopo il grande successo del primo film in cui l’agente segreto britannico James Bond è interpretato da Roger Moore, Vivi e Lascia Morire, la United Artists chiede ai produttori Harry Saltzman e Albert “Cubby” Broccoli di girare immediatamente un altro film di 007.

E i due pigmalioni non si fanno certo trovare impreparati: avevano già da anni messo gli occhi sull’ultimo romanzo scritto da Ian Fleming, L’Uomo dalla Pistola d’Oro, ma la situazione politica internazionale aveva reso impossibile girare in tutte le location prescelte: Iran, Beirut e Vietnam. Il romanzo di Fleming in realtà è ambientato in Giamaica, ma siccome lì è stato appena girato Live and Let Die l’attenzione dei produttori si concentra invece sulla Thailandia e su Hong Kong, scelte come location principali di The Man with the Golden Gun.

Per adattare la trama del romanzo a questi luoghi viene subito chiamato Tom Mankiewicz, già sceneggiatore di Una Cascata di Diamanti e Vivi e Lascia Morire, che però, dopo aver elaborato una prima stesura, abbandona il ruolo, afflitto da problemi di salute e convinto di non star dando il proprio meglio, salvo poi tornare per rivedere il copione scritto da Richard Maibaum, anche lui veterano di Bond (autore del copione di Licenza di Uccidere, Dalla Russia con Amore, Goldfinger, Thunderball, e Al Servizio Segreto di Sua Maestà).

Alla regia Saltzman e Broccoli vanno sul sicuro chiamando Guy Hamilton, reduce dal grandissimo successo di Vivi e Lascia Morire. Il regista ha già un’idea su dove collocare il nascondiglio del cattivo, il killer Francisco Scaramanga: su una minuscola isoletta al largo del villaggio ai Phuket, in Thailandia, che ha scoperto grazie a National Geographic. Quell’isola, ancora inesplorata nel 1973, è diventata oggi un’ambitissima meta turistica ed è conosciuta come “l’isola di Bond”. 

A interpretare il fascinoso agente segreto inglese ritorna Roger Moore; per interpretare il suo rivale, anche se Tom Mankiewicz avrebbe voluto Jack Palance, Guy Hamilton sceglie la leggenda Christopher Lee, all’epoca famosissimo per aver interpretato il Conte Dracula in ben cinque pellicole. Lee ha già recitato con Roger Moore in Ivanhoe e ha già lavorato per Broccoli, ma soprattutto è cugino di Ian Fleming, con il quale aveva militato nei servizi segreti durante la Seconda Guerra Mondiale e si incontrava spesso per giocare a golf. Lee conosce molto bene il libro e riesce a dare vita, come se fosse una cosa naturale, a un villain perfettamente bondiano nonché estremamente efficace, temibile ed affascinante. Il nome “Scaramanga” è stato scelto da Fleming perché un suo compagno di studi particolarmente antipatico di Eton si chiamava proprio così. 

Christopher Lee è Francisco Scaramanga

Christopher Lee, che parla fluentemente svariate lingue, sul set si diverte a parlare in svedese con le due bond girls Britt Eckland (che interpreta la spia Mary Goodnight e che, alcuni anni dopo, sposerà l’attore Peter Sellers) e Maud Adams (Andrea Anders, l’amante di Scaramanga; l’attrice viene scelta da Cubby Broccoli e da sua moglie Dana per il ruolo). Curiosità: prima dell’arrivo della Madeleine Swann di Lea Seydoux, Maud Adams è l’unica attrice a ricoprire due ruoli consistenti in due diversi film della saga di James Bond (anche Eunice Gayson e Martine Beswick erano apparse in due film di 007, ma in uno dei due avevano avuto un ruolo molto marginale). 

E se hanno dovuto attendere il 1983 e Octopussy per rivedere Maud, i fan di Bond non hanno dovuto attendere per rivedere Clifton James, che torna nei variopinti panni (l’attore ha acquistato personalmente le camicie hawaiane sfoggiate dal suo personaggio) dello sceriffo Pepper, già apparso in Vivi e Lascia Morire e che qui ritroviamo mentre è in vacanza con la moglie e si imbatte, ancora una volta, in James Bond.

Clifton James è di nuovo lo Sceriffo Pepper

Per il ruolo di Nick Nack, il solerte servitore di Scaramanga, viene scritturato Hervé Villechaize, pittore francese che, nonostante sia alto appena un metro e venti, si rivela da subito un gran seduttore e amante della bellezza femminile: sul set Hervé lascia fiori e disegni nei camerini delle attrici e sulla macchina da scrivere di Elaine Shreyeck, la segretaria di edizione.

Hervè Villechaize è Nick Nack

Completa il cast l’imprescindibile trio: Bernard Lee (M), Desmond Llewelyn (Q) e Lois Maxwell (Miss Moneypenny).

Come da tradizione, il film si apre con una scena che precede la sigla con i titoli di testa: in questo caso serve a presentarci il cattivo, Francisco Scaramanga, che vediamo accogliere sulla sua isola un collega assassino allo scopo di usarlo come bersaglio per la sua esercitazione. Nei panni del malcapitato killer c’è Marc Lawrence, che era già apparso in Una Cascata di Diamanti (nel ruolo di impresario funebre) e che, a detta di Roger Moore, “nella sua carriera ha interpretato più gangster di Humphrey Bogart”. Il regista è molto divertito dall’idea di portare un gangster di Chicago in Thailandia: Guy ama molto i gangster, fin da quando il suo maestro di catechismo a New York gli raccontava storie incredibili su Al Capone, di cui era stato vicino di casa a Chicago. Infatti, nel labirinto degli specchi di Scaramanga (progettato dallo scenografo Peter Murton, già aiutante di Ken Adam sul set di Goldfinger e Thunderball), troviamo proprio Capone tra i personaggi che, pur sembrando manichini, sono interpretati da attori in carne ed ossa: Ray Marion è Al Capone, lo stuntman Les Crawford il cowboy. Quella di Roger Moore invece è proprio una statua di cera, per quanto incredibilmente somigliante. Il set è studiato con grande cura in modo che la macchina da presa non compaia mai, ovunque la si posizioni per girare. Nella scena in cui Scaramanga scivola sulla rampa per arrivare alla sua pistola Christopher Lee è sostituito dallo stuntman Eddie Powell, che già aveva lavorato con lui in Dracula: Principe delle Tenebre nel 1966.

Con questa scena rocambolesca ci viene presentato un altro elemento fondamentale della storia: la pistola d’oro di Scaramanga, che è smontabile e spara proiettili d’oro massiccio. L’oggetto di scena viene realizzato a Londra da Peter Murton in tre versioni, di cui una costituita da oggetti di uso comune (un accendino, una penna…) placcata in oro e smontabile e una che premendo il grilletto emette una scintilla: nessuna versione in ogni caso può sparare. La pistola d’oro esercita un grandissimo fascino anche su Christopher Lee, che dopo aver superato la difficoltà di assemblare l’arma mentre recita e addirittura senza guardare ci si affeziona e insiste per poterla tenere ma non ottiene il permesso, se non per presenziare ad alcuni eventi promozionali. L’attore, nella sua autobiografia, racconta di come la pistola di scena gli sia stata confiscata alla dogana e sia stato costretto a presentarsi al Johnny Carson’s Show disarmato; un’altra volta, fuori da uno studio, una guardia gli grida di gettare l’arma puntandogliene addosso una vera; un’altra volta ancora, mentre si sta recando a un’intervista, Lee si imbatte nel regista Billy Wilder (che lo aveva diretto in Il Fratello più Furbo di Sherlock Holmes) che alza le mani e gli dice: “Non vorrai mica sparare a un vecchio ebreo?”

Chi sparerebbe a Billy Wilder?

I titoli di testa, accompagnati dalla canzone Man with the Golden Gun interpretata dalla cantante scozzese Lulu, vengono in parte proiettati sul corpo della splendida modella di Hong Kong Wei Wei Wong, che ritroveremo come cameriera nella scena ambientata al club Bottom’s Up. Come al solito la produzione del film di 007 si destreggia per evitare la censura e riesce a farla franca nonostante le parole allusive della sigla che descrivono Scaramanga: “He has a powerful weapon”. Un’altra scena in cui il rischio di incorrere nella censura è davvero elevato è quella in cui l’attrice svedese Maud Adams, che interpreta l’amante di Scaramanga, viene trovata da Bond mentre è sotto la doccia: in questo caso il pericolo viene evitato grazie all’utilizzo di un vetro opaco per la parete della doccia e una grande attenzione all’illuminazione e all’angolazione di ripresa.

Dopo i titoli di testa Hamilton inserisce la scena secondo lui più tediosa ma necessaria, la spiegazione fatta dal capo M riguardo la crisi energetica (argomento di forte attualità), per liquidarla e potersi così concentrare solamente sull’azione. A rendere la scena interessante arriva però il commento di Sir Roger Moore, che ricorda come, mentre girava la scena, il suo stomaco vuoto brontolasse rumorosamente; il regista allora ordina di portargli qualcosa da mangiare, ma i rimasugli di biscotto tra i denti peggiorano le cose: e tutto sotto lo sguardo truce dei dirigenti della United Artists!

La scena nel camerino della danzatrice del ventre Saida (interpretata da Carmen Sautoy) è stata in realtà girata per ultima: forse è per questo che la troupe, ormai spossata, ha commesso un errore: se osservate attentamente lo specchio durante la rissa (coreografata dal cowboy della casa degli specchi Les Crawford) ci vedrete chiaramente la macchina da presa e i tecnici riflessi!

Specchio riflesso!

La primissima scena (il 6 novembre 1973, appena cinque mesi dopo l’uscita di Vivi e Lascia Morire) girata invece è l’esterno del Queen Elizabeth, il relitto della nave britannica semiaffondata nel porto di Hong Kong, che sarebbe stato rimosso poco dopo: la troupe deve quindi fare in fretta a riprenderla, e al posto di Roger Moore, che non è ancora arrivato, viene impiegata la controfigura Mike Lovitt. L’interno della nave invece, dove l’MI6 ha installato un quartier generale, viene poi ripreso negli studi Pinewood di Londra insieme a tutti gli altri interni. Peter Murton deve utilizzare tutta la sua abilità per realizzare un set inclinato di 45 gradi (come è inclinata la nave) in cui però gli attori possano camminare in piano, così come lo ha immaginato il regista: lo scenografo studia un ingegnoso sistema di passerelle per muoversi sul set.

Nell’aprile del 1974 si inizia a fare sul serio: la troupe e il cast al completo vanno in Thailandia per girare le scene a Khow-Ping-Kan, l’isola di Scaramanga, che si trova al largo di Phuket. Broccoli, che cerca sempre di offrire il meglio a chi lavora per lui, cerca un alloggio per i suoi collaboratori, ma non è facile trovarlo in quel piccolo villaggio di pescatori: l’edificio più adatto allo scopo si rivela essere il bordello. Cubby manda in vacanza tutte le prostitute con un cospicuo indennizzo e con l’aiuto di Guy Hamilton trasforma il lupanare in un albergo (alla troupe e agli attori non verrà detta la verità sul loro alloggio però).

Ogni mattina tutti raggiungono l’isoletta con delle piccole imbarcazioni e, lungo il tragitto, devono fare attenzione ai pirati che bazzicano quelle acque. Le piccole barche poi fungono anche da camerini e da sala trucco. Nonostante la frugalità della sistemazione e dei mezzi di trasporto Christopher Lee è molto colpito dalla generosità di Broccoli: tutti i cibi e le bevande utilizzati per le riprese sono infatti autentici, compresi il caviale, le ostriche e lo champagne. Quando per la prima volta l’attore raggiunge la grotta che nel film sarà il nascondiglio del suo personaggio e viene accolto da un turbinio di pipistrelli in fuga, con la faccia seria e a sua voce profonda si rivolge a loro dicendo: “Non ora, Stanislav”, improvvisandosi ancora una volta Conte Dracula e facendo scoppiare a ridere tutti i presenti. Da bravo vampiro, Christopher Lee ha la pelle chiarissima e deve essere truccato ogni giorno per poter interpretare l’abbronzato Scaramanga; dopodichè, ogni sera, l’attore è costretto a trasportare dal furgone delle provviste secchi di acqua calda per potersi lavare. Ma non tutti sentono la fatica come lui: Hervé Villechaize trascorre le notti a Bangkok a fare baldoria e si presenta ogni mattina per le riprese stremato; deve inoltre recitare nei panni del maggiordomo Nick Nack indossando giacca e cravatta.

Nel frattempo a Guy Hamilton vengono consegnate le 200 scarpe per elefanti ordinate da Harry Saltzman per la scena della corsa dei pachidermi: peccato che il produttore non avesse prima letto il copione, in cui quella scena non esiste affatto! L’unico elefante presente nel film è quello che fruga nelle tasche dello sceriffo Pepper e poi lo spinge nel fiume: questa scena però non era nel copione, e quando il regista vede l’attore cadere in acqua si spaventa molto. Non c’è da scherzare con l’acqua dei canali di Bangkok: su tutti i copioni distribuiti a cast e troupe infatti è scritto non solo cosa fare in caso di morso di serpente ma anche di non entrare in contatto con l’acqua dei klongs (i canali) per evitare di contrarre infezioni e malattie. Quando infatti Roger Moore, nella scena dell’inseguimento in barca nei klongs, cade in acqua e sparisce per un po’ (per evitare di essere colpito dall’elica dell’imbarcazione) la sua preoccupazione una volta riemerso è quella di non bagnarsi le labbra con quell’acqua pestifera; anche al produttore Broccoli capita di cadere in acqua, ma la sua prima preoccupazione quando ne esce è quella di asciugare le numerose banconote che ha in tasca.

Dopo le ristrettezze di Phuket è una gioia per tutti il trasferimento a Hong Kong, dove finalmente Broccoli può viziare i suoi nel miglior hotel (il Peninsula, con Rolls Royce di servizio e valletto personale in ogni suite) e nei migliori ristoranti; Britt e Maud, che ormai hanno fatto amicizia, possono finalmente rilassarsi e fare shopping. Chi non può godersi questi lussi invece è il direttore della fotografia Ted Moore, che si ammala e deve essere sostituito da Ossie Morris (oscar per Il Violinista sul Tetto), inizialmente recalcitrante per via delle differenze di stile tra lui e Moore ma poi persuaso da Broccoli, che mette a sua disposizione tutti i mezzi ma gli impone la direttiva di non fare esperimenti con i filtri e l’illuminazione come suo solito (Morris utilizzava ogni tipo di materiale, dai collant alla vaselina, per ottenere una qualità inedita dell’immagine): nei film di Bond l’immagine deve essere sempre chiara e nitida!

Poiché riempire uno stadio di comparse sarebbe troppo costoso, per la scena dell’incontro tra Bond e Scaramanga la produzione organizza degli autentici incontri di lotta tra atleti affermati di Hong Kong: il pubblico che vediamo nel film è reale e anche spazientito per le lunghe pause tra un combattimento e l’altro, necessarie per organizzare le riprese. Per Maud Adams è molto difficile rimanere immobile senza respirare per tutta la scena, anche a causa del caldo soffocante.

Il primo giugno 1974 Guy Hamilton si appresta a girare le scena più incredibile del film: l’Astro Spiral Jump, il salto tra due rampe, al di sopra di un canale, con avvitamento dell’auto a 360 gradi. In quegli anni lo stunt show di Jay Milligan Jr., l’American Thrill Show, spopola negli Stati Uniti, mostrando al pubblico le sue rocambolesche acrobazie in auto al limite del possibile. Il pezzo forte dello show è appunto l’Astro Spiral Jump, che Broccoli e Hamilton vogliono nel film: questa acrobazia, ipotizzata per la prima volta dall’ingegnere Raymond McHenry, era stata resa possibile dallo studio meticoloso, anche tramite simulazioni al computer realizzate con lo stesso software utilizzato dalla polizia stradale per ricostruire le dinamiche degli incidenti. Per la riuscita dello Spiral Jump è indispensabile la precisione: il margine d’errore è di pochi millimetri. L’automobile prescelta, la Javelin della General Motors (molto difficile da trovare in Thailandia, per la verità) viene modificata per poter compiere l’impresa: il peso deve essere distribuito simmetricamente, perciò il volante viene spostato al centro del cruscotto; vengono poi montate ruote più resistenti, un sostegno per il radiatore, una gabbia di protezione per il pilota e una quinta ruota di acciaio inossidabile che evita l’interferenza del telaio con la rampa. La rampa ha un segmento retrattile, che si ritira quando l’auto spicca il salto per permettere all’auto di avere la stessa velocità nella parte anteriore e posteriore. Per guidare la Javelin viene scelto il pilota Lauren Willet detto “Bumps”, consapevole del rischio che sta correndo: se la rampa dovesse rompersi lui finirebbe in fondo al canale legato da cintura e imbracatura. Sul set, oltre a cinque macchine da presa, sono presenti diversi medici, un’ambulanza, un argano e dei sub pronti a ripescare l’auto dal canale. Nell’auto ci sono anche due fantocci dipinti di nero che rappresentano 007 e lo sceriffo Pepper. Il salto riesce al primo tentativo! Cubby stappa immediatamente lo champagne e promette un bonus a tutti. Guy Hamilton invece chiede a Bumps di rifare il salto, perché la ripresa,a  suo dire, è “troppo perfetta“. Lui risponde: “era la prima volta che lo facevo e non lo farò una seconda”. Jay Milligan, assunto da Broccoli come coordinatore stunt man del film, commenta: “Non c’è altra aspirazione nella vita dopo aver realizzato uno stunt in un film di 007”. L’unico che non sarà soddisfatto del suo contributo è John Barry, autore della colonna sonora, che tempo dopo ammetterà di essersi pentito di aver accompagnato questa eccezionale acrobazia con il suono buffo di uno zufolo.

Nessun effetto speciale qui!

Oltre al mozzafiato Spiral Jump, Milligan coordina anche la scena dell’inseguimento in auto, durante il quale guida personalmente l’auto che sfonda la vetrina del concessionario: quello che non sa è che il proprietario del negozio, emozionato all’idea delle riprese, aveva fatto passare la cera sul pavimento: La ruote slittano, partono scintille e si incendia uno pneumatico in esposizione!

Molte scene del film, per ridurre tempi e costi, vengano realizzate con dei modellini, realizzati e illuminati magistralmente da Derek Meddings per essere uguali ai set reali; vengono usati anche effetti ottici, per le nuvole e il raggio laser di Scaramanga per esempio (effetto ottico di Cliff Culley). Dove possibile, però, vengono utilizzati scenari e oggetti autentici a grandezza naturale, come per la fuga finale tra le esplosioni, che tanto disturbano Roger Moore (ecco perché, diversamente dal solito, lo vediamo correre velocemente) e che lasciano un’ustione sul fondoschiena di Britt Ekland.

 L’auto volante di Scaramanga esisteva davvero (prodotta dalla Goldbrick Bird) ma purtroppo il pilota era morto in un incidente, così John Stears ne realizza sia un modello a dimensioni reali che un modellino. Lo stesso accade per l’idrovolante, dato in prestito dal suo proprietario, il Colonnello Clare, a patto che lui possa pilotarlo nel film; Broccoli acconsente e il Colonnello arriva in volo dagli Stati Uniti… per poi finire in ospedale quando il suo idrovolante arriva troppo rapidamente sulla spiaggia! Le riprese, però, per Hamilton sono ok… Derek Meddings realizza poi un modellino dell’idrovolante da far esplodere.

La celebre scena del duello finale tra Bond e Scaramanga è più corta di com’era nel romanzo, dove il killer cerca di barare nascondendo un secondo proiettile nella cintura ma 007 lo costringe con l’astuzia ad utilizzarlo anzitempo. Anni più tardi, quando Christopher Lee torna sull’isola con la moglie e la trova piena di turisti, viene riconosciuto mentre rievoca quelle scene famosissime e deve fuggire.

Sia Christopher Lee che Roger Moore sono impegnatissimi sul set: mentre Lee guida personalmente l’auto nelle scene d’inseguimento, Roger Moore viene seguito da un maestro di karate per prepararsi alle sequenze di combattimento. D’altra parte, come spiega Hamilton: “Il successo della saga di Bond è dovuto al fatto che nessuno è pigro”. Ma c’è anche tempo per lo svago, quando le riprese si spostano nel casinò di Macao: Broccoli gira tra i tavoli distribuendo fiches a tutti per evitare che qualcuno resti al verde. Ma questo non è un problema per Roger Moore, che afferma di aver guadagnato più soldi al tavolo del blackjack che in cinque mesi di riprese. Oltre che fortunato, Roger Moore è anche molto spiritoso, e durante le riprese della scena in cui 007 incontra il fabbricante di armi Lazar si presenta così: “Sono Brooke Bond e faccio un ottimo tè”. Chissà se questa era tra le barzellette che lui e George Lazenby, diventato stand-up comedian, si scambiavano sempre via mail!

Alla sua uscita il film ha immediatamente un grande successo, tanto da diventare il primo film di 007 proiettato in Russia, dove Broccoli viene invitato ad una proiezione al termine della quale un funzionario russo gli dice: “Scaramanga è un personaggio interessante, anche se ha un addestramento inadeguato”.

Guy Hamilton tuttavia mette subito le mani avanti, affermando di aver esaurito, con i due film appena diretti, tutte le sue energie, e di non essere in grado di dirigere il successivo film di Bond, James Bond. A proposito, ricordate che l’autore dei romanzi Ian Fleming, al momento di scegliere il nome del suo protagonista, aveva optato per l’autore di un manuale di ornitologia che aveva in casa? Beh, è molto divertente sapere che James Bond, l’ornitologo, fece visita  a Fleming nella sua tenuta di Goldeneye mentre stava scrivendo proprio L’Uomo dalla Pistola d’Oro; in seguito Fleming gliene inviò una copia con la dedica: “Al vero James Bond dal ladro della sua identità, Ian Fleming”.

Una casa degli specchi, un’auto volante, un nano in una valigia, un killer amante del tabasco, una danzatrice del ventre e un elefante. E tutto in un solo film: che cosa potrebbe essere se non il nostro agente segreto britannico preferito, James Bond?

A presto con la prossima avventura, La Spia che mi Amava!

007: Vivi e Lascia Morire

Buongiorno a tutti, sono davvero entusiasta di tornare a pubblicare su Cinemuffin, dopo una lunga, lunghissima vacanza (noblesse oblige)!

Vi invito a guardare, nel cerchietto al centro dell’immagine sulla home page, il nuovo logo originale di Cinemuffin! E’ opera di una carissima amica che non vuole alcun riconoscimento, perciò non posso fare altro che ringraziarla ancora una volta e sperare che questa sua creazione piaccia ai miei lettori quanto piace a me.

Oggi esce nelle sale il venticinquesimo film della saga di 007, No Time To Die, l’ultimo interpretato da Daniel Craig. In attesa di scoprire quale sarà il destino del nostro eroe al servizio di Sua Maestà, noi proseguiamo il nostro viaggio attraverso le sue avventure: per Bond non è tempo di morire, ancora, perciò lasciamo che a morire siano gli altri…

Con Una Cascata di Diamanti Sean Connery ha dismesso, questa volta definitivamente, gli abiti eleganti di James Bond, lasciando ai produttori Harry Saltzman e Albert Broccoli la patata bollente di trovare un nuovo 007. I critici hanno già dichiarato defunto il personaggio creato da Ian Fleming e c’è il serio rischio di scegliere ancora una volta l’attore sbagliato. Il favorito per ottenere la parte sembrerebbe essere il fascinoso Burt Reynolds, ma Cubby Broccoli è irremovibile: James Bond deve essere alto più di un metro e ottanta e deve essere inglese. “Un Bond americano” sentenzia il produttore “sarebbe come un cowboy britannico: ridicolo!”. E Broccoli non aveva nemmeno visto un cowboy italiano…

Sull’attore inglese Roger Moore, famoso per aver interpretato Simon Templar nella serie tv Il Santo e Brett Sinclair nella serie Attenti a quei Due (in coppia con Tony Curtis), Saltzman e Broccoli avevano messo gli occhi già da tempo. Gli era stato offerto il ruolo di 007 in prima battuta per Licenza di Uccidere, ma Moore era già impegnato; lo avevano ricontattato per Al Servizio Segreto di Sua Maestà ma, di nuovo, non era disponibile. Nel frattempo però Roger Moore è diventato amico di Saltzman e Broccoli, con cui si trova sempre al Curzon House Club per giocare d’azzardo; non solo ma aveva anche interpretato James Bond nel 1964 in una divertentissima puntata del telefilm Mainly Millicent, in cui doveva vedersela con una serie di imbranate spie nemiche mentre cercava di bere in tranquillità il suo drink. Ad una telefonata di Saltzman, finalmente Roger Moore accetta di diventare il nuovo James Bond. “Interpretare Bond è come essere una gemma incastonata in un gioiello prezioso”, afferma Moore.

Sir Roger Moore all’epoca aveva 45 anni

Il “gioiello”, ossia la pregevole e affiatata squadra di attori, tecnici e maestranze che ha lavorato ai film precedenti della saga viene quindi richiamata in blocco per girare Vivi e Lascia Morire, l’ottavo film sull’agente segreto britannico con licenza di uccidere 007. Alla regia torna Guy Hamilton (il “Generale”, come veniva chiamato per la sua organizzazione impeccabile), già artefice del successo di Goldfinger e di Una Cascata di Diamanti, mentre della sceneggiatura viene incaricato Tom Mankiewicz, già autore del copione di Una Cascata di Diamanti. Quando i produttori chiedono a Tom quale dei libri di Fleming vorrebbe portare sul grande schermo lui sceglie Vivi e Lascia Morire, suggestivo per la sua ambientazione nel mondo della magia nera ma problematico in quanto tutti i villains sono personaggi di colore (siamo nel 1973, periodo in cui movimenti per i diritti delle minoranze come i Black Panthers hanno assunto grande rilevanza). Il romanzo, pubblicato nel 1954, risente delle fobie razziali di quegli anni, nonostante Fleming lo avesse scritto con le migliori intenzioni. Mankiewicz ha dunque l’arduo compito di rappresentare questi cattivi come persone sì spietate, ma anche sofisticate e intelligenti, mai ridicole, in grado di tenere testa a Bond sia in determinazione e astuzia che in eleganza.

Un film in bianco e nero

Roger Moore ha invece il difficile compito di sostituire Sean Connery nel ruolo che lo ha consacrato come star. Per quanto riguarda il sofisticato guardaroba di Bond, Moore si affida al sarto Cyril Castle di Londra, dopo che i produttori gli hanno imposto di dimagrire (cosa non difficile a farsi, visto che le scene fisiche presenti nel copione costringono l’attore a fare mezz’ora di nuoto e mezz’ora di esercizio fisico intenso ogni mattina) e di tagliarsi i capelli. Più difficile è riuscire a non imitare mai Sean Connery: lo 007 di Roger Moore ad esempio non ordina più il celeberrimo Vodka Martini ma un Bourbon senza ghiaccio. Moore sceglie, per interpretare Bond, di rifarsi al personaggio dei romanzi di Fleming, al quale non piaceva uccidere: un Bond meno violento (soprattutto verso le donne), più raffinato (non a caso Fleming avrebbe voluto David Niven nei suoi panni ed era inorridito per l’accento scozzese di Connery), meno spietato e soprattutto ancora più ironico e sarcastico, come regista e sceneggiatore sapranno ben sottolineare.

“Buongiorno, sono Roger Moore e sono il tizio in fondo alla canna della pistola”: così Sir Roger Moore apre il suo commento al film Live and Let Die, a sua detta il secondo preferito tra quelli da lui interpretati (scopriremo più avanti quale sia il primo).

Le regole della saga sono ormai consolidate: il film si apre con i titoli ideati da Maurice Binder (la sagoma di Bond che cammina di profilo per poi girarsi e sparare verso lo spettatore), una scena iniziale molto ironica che introduce l’ambientazione della storia, la sigla e a seguire il film. Guy Hamilton sa bene di doversi muovere all’interno di queste regole ma, al tempo stesso, di dover sorprendere gli spettatori che ormai le conoscono così bene.

Hamilton ci racconta come nasce un film di James Bond: “Ci si barrica in uno studio con tante sigarette e dopo tre settimane la trama è definita e divisa in tre parti. Il vero problema è decidere dove collocare 007: non può essere nei vicoli lerci o nei luoghi di villeggiatura in cui vanno tutti, questo si vede in tv ogni sera”.

La scena di apertura è ambientata al Palazzo di Vetro delle Nazioni Unite di New York. Nell’edificio non è permesso fare riprese, perciò gli interni devono essere ricostruiti in studio. Il regista visita quindi il palazzo insieme allo scenografo che lo dovrà ricreare, e i due riescono a sottrarre una planimetria dell’edificio, utilizzata per una riparazione all’impianto elettrico e lasciata poi incustodita… ecco una cosa che non si vede spesso in tv!

A Hamilton viene l’idea di girare il film a New Orleans, perché lì: “… c’è il jazz, e poi non ci sono mai stato”. Ma cosa offre di particolare New Orleans? Non si può inscenare un Mardi Gras perchè era già stato mostrato il Junkanoo in Thunderball. Però a New Orleans ci sono anche i funerali jazz: l’idea perfetta per la scena di apertura, con un agente segreto che scopre di star assistendo, suo malgrado, al suo stesso funerale. La bara utilizzata per la scena è autentica, è stato però rimosso il fondo e sono state aggiunte due maniglie cui lo stuntman si può attaccare con le mani e i piedi. La Olympia Brass Band è un’autentica banda specializzata in cortei per funerali jazz. Nessuno può scegliere di avere un funerale jazz: se te lo sei meritato, lo decide per te la gente dopo la tua dipartita, sostenendone anche il costo. Evidentemente l’agente Hamilton (interpretato da Robert Dix) se l’era proprio meritato…

Si potrebbe andare tutti quanti al tuo funerale…

I servizi segreti inglesi, dopo la misteriosa scomparsa dell’agente Hamilton, si rivolgono ovviamente al loro migliore agente con licenza di uccidere. per la prima volta ci è permesso vedere la dimora di James Bond, mentre il suo capo M (ancora interpretato da Bernard Lee) interrompe il suo incontro amoroso con un’avvenente collega di origini italiane (interpretata da Madeline Smith, suggerita da Roger Moore con cui aveva lavorato in Attenti a Quei Due). Mentre 007 mette a dura prova la pazienza di M con una macchina per il cappuccino incredibilmente sofisticata e complicata da usare, Miss Caruso riesce a nascondersi in un armadio e Bond riesce a farla franca, anche grazie alla complicità dell’inossidabile Miss Moneypenny (Lois Maxwell, che era stata allieva, insieme a Roger Moore, della Royal Academy of Dramatic Arts e aveva partecipato ad alcune puntate del telefilm Il Santo). L’orologio digitale con quadrante illuminato che Bond riceve in dotazione per la missione era una novità tecnologica in quegli anni; inoltre è un chiaro esempio del product placement (ciascun membro della troupe ne riceve uno in regalo) che ormai è prassi dei film di 007, insieme allo Champagne Bollinger (non più dunque Dom Perignon). Una volta rimasti soli (Moneypenny, che ha riconosciuto Miss Caruso, nella versione originale lo saluta con un “Ciao bello!”)  Bond può riprendere da dove si era interrotto con Miss Caruso: usa quindi il suo nuovo orologio magnetico per tirare giù la zip dell’abito della ragazza. Detto così sembra facile… In realtà, per realizzare questo trucco, un tecnico era accucciato ai piedi di Madeline e tirava l’estremità inferiore della cerniera lampo, mentre un secondo uomo stava appeso sopra di lei e, con una canna da pesca e una lenza sottilissima, agganciava la zip dell’abito. Al segnale stabilito, l’attrice tratteneva il fiato per permettere al pescatore volante di far scendere “magneticamente” la zip… altro che effetti digitali! Lo sceneggiatore Tom Mankiewicz ci tiene molto a mostrare sempre in anticipo (possibilmente con una buona dose di ironia) allo spettatore come funzionano i gadget di cui Bond sarà, anche in questo film, ampiamente fornito, nonostante manchi il personaggio di Q (è il capo M in persona ad equipaggiare 007 questa volta, e direttamente a casa sua).

“Sono l’idraulico!”

Una volta sbrigato l’”affare italiano” Bond può partire per i Caraibi per svolgere la sua missione, ma si ritrova subito coinvolto in un inseguimento automobilistico (girato a New York una domenica mattina all’alba) con cui il regista si è divertito molto. Guy Hamilton aveva infatti fatto salire alcuni pezzi grossi arrivati dalla casa di produzione (la United Artists) per assistere alle riprese, su una delle macchine che dovevano essere tamponate durante la scena: i poveretti ne escono tremanti e bianchi come lenzuola, ma illesi. Nonostante questo scherzo, la United Artists resterà un’ottima casa di produzione per il franchise di Bond, continuando a lasciare grande libertà ai registi. Tuttavia Guy Hamilton non può giustificare lo spostamento della troupe a New Orleans solo per la scena del funerale jazz, perciò inizia ad esplorare i dintorni alla ricerca di ispirazione per nuove scene, ispirazione che non tarda ad arrivare quando, dall’elicottero, il regista scopre una villa nascosta dalle alte canne che circondano i canali e decide di ambientare lì la scena, ideata sul momento, dell’inseguimento in barca e del matrimonio all’aperto, le cui riprese iniziano il 16 ottobre 1972. Due barche pilotate da stuntmen escono dal canale e attraversano il prato schiantandosi però contro un albero; una delle due si squarcia e i piloti sono feriti, quindi il regista ferma le riprese fino al giorno successivo. durante la notte, però, il canale straripa, allagando la location. Hamilton passa quindi ad un’altra scena, ma il vento freddo acutizza i calcoli renali di cui soffre da anni Roger Moore, che deve essere ricoverato d’urgenza. In ospedale, quando gli viene chiesto il suo indirizzo di casa, Moore non ricorda il numero civico; quando l’infermiere gli domanda: “Ma come fa il postino a trovarla?” lui risponde: “Sono famoso, idiota!”. Forse anche per questo, l’attore viene dimesso in fretta dall’ospedale e può tornare a girare, ma ormai ha iniziato a diffondersi l’idea che sul film gravi una terribile maledizione voodoo.

Brutto presentimento?

Di voodoo è intrisa la Giamaica, dove Ian Fleming si ritirava per scrivere i libri di 007, e conseguentemente ne è intriso il suo romanzo. Mankiewicz lo inserisce a piene mani anche nella sceneggiatura, mescolandone assieme tutti gli aspetti più evocativi (tarocchi, rituali, il personaggio del non-morto Baron Samedi) senza però temere di giocare con essi (sul retro delle carte dei tarocchi vediamo il logo di 007 o facendo indossare a Bond il mantello della sacerdotessa). Alcune cose però spaventano davvero, come ad esempio i serpenti vivi che vengono utilizzati in diverse scene. Durante il rituale voodoo (girato, anche se non sembra, in studio a Pinewood) l’attore sviene veramente alla vista del rettile. Lo stesso Moore è spaventato da alligatori e serpenti (nella scena del serpente in bagno i piedi sono infatti quelli della controfigura), così come la segretaria di edizione Elaine Shreyeck, che spesso abbandona frettolosamente il set lasciando che siano gli altri a sbrigare le sue incombenze. Perfino Geoffrey Holder, l’attore (ma anche ballerino e coreografo) che interpreta Baron Samedi, è terrorizzato dai serpenti, tanto che per il rituale voodoo se ne deve utilizzare anche uno finto da fargli tenere in mano. quando poi arriva il momento di girare la scena in cui Baron Samedi cade nella bara piena di serpenti vivi, Holder non ne vuole sapere. Accade però che, quel giorno, in visita sul set ci sia la Principessa Alexandra… Per non fare la figura del fifone davanti ad un’altezza reale, Holder si getta nella bara, con Hamilton che si affretta ad imprimere l’evento su pellicola. Per esorcizzare la paura alcuni membri del cast si rivolgono agli stregoni per farsi leggere il futuro: a Roger Moore viene predetto che avrà un figlio (e guarda caso il suo terzogenito, Christian, nato nel 1973, sembra essere stato concepito proprio in quel periodo…) e che sarà un filantropo (Sir Moore sarà per più di vent’anni Goodwill Ambassador per l’Unicef, seguendo l’esempio dell’amica Audrey Hepburn). Meno esatta si rivela invece la predizione per l’attrice Jane Seymour, cui viene detto che si sposerà tre volte: in quel momento Jane è sposata con il regista Richard Attenborough, ma dopo di lui avrà altri tre mariti, per un totale di quattro.

Prima di lasciare New Orleans non resta che girare, finalmente, l’inseguimento in barca. Durante le prove, il motoscafo di Roger Moore rimane all’improvviso senza benzina e si arresta bruscamente, catapultando in avanti l’attore che batte violentemente il viso e una gamba: fortunatamente Roger può girare la scena anche se zoppica vistosamente e le riprese continuano. Hamilton e Mankiewicz hanno immaginato che l’imbarcazione di Bond faccia un lunghissimo salto, ma nessuno stuntman riesce ad eseguirlo. Il problema viene dunque sottoposto agli allievi della facoltà di ingegneria locale, i quali riescono a calcolare esattamente la giusta velocità e inclinazione della rampa: grazie a loro, lo stuntman Jerry Comeaux (che ha insegnato a Moore a pilotare il motoscafo) riesce a saltare oltre 35 metri, stabilendo un nuovo record e portando a casa la scena al primo ciak. Nonostante alcune altre barche rovesciate, la scena avrà grande successo e diventerà una delle più famose della saga, anche grazie al divertentissimo personaggio dello Sceriffo Pepper (interpretato dal newyorkese Clifton James che indossa un’imbottitura per la pancia e imita impeccabilmente l’accento del sud) affiancato da molti veri poliziotti (coinvolti dal regista per assicurarsi la collaborazione delle forze dell’ordine locali). Quando sembra ormai tutto concluso, Roger Moore viene richiamato frettolosamente per nuove riprese in barca: alla sua controfigura mancava un pollice! A chiudere l’inseguimento viene inquadrato ironicamente il cartello “Make Boating Safe and Fun” e divertentissimo è il contrasto tra lo sceriffo Pepper, paonazzo e agitatissimo, e un flemmatico Bond che si aggiusta la cravatta. Portato finalmente a termine l’inseguimento in barca, è tempo di partire, con più di due tonnellate di attrezzatura (ma finalmente liberi dalle zanzare), per la Giamaica.

“Jamaican Inspector Man”

In fase di pre-produzione il regista, esplorando l’isola, si è imbattuto in un luogo davvero singolare: un allevamento di alligatori che aveva appeso all’ingresso il cartello “Trespassers will be eaten” (“I trasgressori verranno divorati”). Incuriosito era entrato ed aveva conosciuto il proprietario, Ross Kananga, un indiano Seminole il cui padre, anch’egli allevatore, era stato divorato da uno dei suoi alligatori. Lui stesso, da bambino, era rimasto per venti minuti con la testa incastrata tra le fauci di un coccodrillo. Hamilton decide immediatamente che quella deve diventare una location del film. Vengono realizzati un’isoletta al centro del laghetto e un ponticello retrattile per la scena in cui i cattivi cercano di uccidere Bond lasciandolo in balìa degli alligatori. Ross però li avvisa che, se si avvicinano con del cibo vero, verranno sicuramente mangiati, così vengono messe in acqua diverse reti da pollaio a protezione degli attori. Per Harris è difficilissimo afferrare la carne con il suo uncino (arma non convenzionale che lui stesso aveva voluto) e il pollo, rimasto per ore sotto il sole, è ormai rancido: per tenere buoni gli animali non resta che sacrificare il pranzo della troupe. Ciononostante, il dialogo tra Bond e Tee-Hee (interpretato da Julius Harris), che doveva durare quasi un minuto finisce per durare circa venti secondi, tanta è la fretta dei due attori di mettersi al riparo (Moore, come già detto, ha la fobia dei rettili). Lo sceneggiatore sta ancora cercando un modo per far scappare Bond dall’isolotto (l’idea iniziale della barca è esclusa, se ne sono viste già tante durante l’inseguimento) quando lo stesso Kananga propone che 007 potrebbe camminare sugli alligatori e che la scena potrebbe girarla lui stesso. Kananga indossa quindi le eleganti scarpe in pelle di coccodrillo (!) di Roger Moore e tenta di girare la scena. La suola liscia lo fa scivolare e cadere in acqua. Al secondo tentativo, dopo aver applicato dei tacchetti alle scarpe, ormai gli animali hanno capito cosa succede e tentano di assaggiare Kananga, mordendo per fortuna solamente una scarpa. Con gli alligatori strettamente legati, Kananga continua a tentare, e al quinto tentativo la camminata riesce; a Roger Moore non serve che ripeterla… su alligatori di plastica! Per omaggiare la fantasia e il coraggio di Ross Kananga, Tom decide di dare al villain del film il suo nome.

I piedi di Ross Kananga

In Giamaica Guy Hamilton trova un’altra location importantissima: un ponte su cui si possa schiantare un autobus a due piani. L’idea gli era venuta, come spesso gli accadeva, guardano la televisione e scoprendo che esiste a Londra una scuola per autisti di bus a due piani. Detto, fatto: essendo la Giamaica un’ex colonia britannica, il regista non ha problemi a trovare (a 500 sterline)un vecchio bus a due piani con cui poter provare la scena (che verrà poi girata negli Studi Pinewood con una ricostruzione di quello stesso ponte). I primi tentativi sono un disastro: prima crolla il ponte (prontamente ricostruito e rinforzato), poi il secondo piano dell’autobus non ne vuole sapere di staccarsi, fino a che i tecnici degli effetti speciali non realizzano degli appositi binari su cui possa scorrere dopo l’impatto. Grazie a questo accorgimento tecnico e alla sapiente guida di Maurice Patchett, autista e istruttore ingaggiato per l’occasione non solo per guidare ma per insegnare a Roger Moore come fare un testacoda sul bagnato con un bus di due piani senza schiantarsi, la scena è un successo. L’unica a lamentarsi è la protagonista femminile Jane Seymour, rimasta a bordo del bus per tutto il tempo (testacoda e schianti compresi).

Jane Seymour

Per scegliere l’attrice Jane Seymour (la futura Signora del West) per il ruolo dell’indovina Solitaire ai produttori è bastato vederla per un momento con i capelli sciolti: la sua bellezza ha fatto il resto. Poiché Jane è al suo primo ruolo cinematografico importante, Roger Moore la soprannomina subito Baby Bernardt e non manca di farle scherzi di ogni genere sul set. Girando il dialogo sulla barca, ad esempio, Roger fa ridere così tanto Jane che lei non riesce più a recitare la sue battute: Hamilton è costretto a riprenderle in un secondo momento mentre lei le recita all’elettricista e risolvere poi col montaggio. Jane è anche un’ottima ballerina, e spesso viene sgridata dal regista perché, durante le pause, prova le coreografie insieme ai ballerini, scompigliandosi i capelli e rovinando il trucco ogni volta.

Geoffrey Holder è Baron Samedi

Più difficile è invece trovare l’attrice giusta per il ruolo dell’agente Rosie, poiché in Giamaica non esiste ancora un’industria del cinema, così i produttori fanno venire Gloria Hendry da New York. La povera Gloria si trova spesso in imbarazzo nel girare le scene romantiche con Roger Moore poiché sua moglie, l’attrice italiana Luisa Mattioli, è sempre presente sul set. Roger, come sempre, stempera la sua tensione con battute spiritose: “Con tutto l’aglio che mangi, Gloria, sei fortunata che io sia sposato con un’italiana e ci sia abituato!”. Nella scena in cui Rosie viene uccisa, però, Gloria deve preoccuparsi di ben altro: le formiche infatti, attirate dallo zucchero presente nel sangue finto, iniziano a camminare su tutto il suo corpo mentre giace a terra!

“Vedrai che ti rimettermo in forma…”

Oltre alle formiche, anche la troupe deve rimanere spesso affamata: oltre a dover cedere il proprio pranzo agli alligatori, come abbiamo visto, in un’occasione la nave della marina che portava i viveri si allontana all’improvviso per inseguire degli spacciatori; o ancora, il produttore Harry Saltzman, male interpretando i complimenti di Roger Moore, si convince di aver speso troppi soldi per il cibo e taglia i viveri alla troupe. Ma sono solo episodi sporadici: in realtà Saltzman e Cubby Broccoli, come sempre, ci tengono a far sentire tutti i membri di cast e troupe a proprio agio e i pasti, consumati rigorosamente tutti assieme, sono sempre ricchi e generosi; tanto che Yaphet Kotto, l’attore che interpreta Kananga, al termine delle riprese continua a vivere per tre anni nel lusso “James Bondish”, stregato da quell’esperienza, prima di comprendere di non poterselo permettere.

Yaphet Kotto e mangiato

A Roger Moore, in ogni caso, la voglia di mangiare passa quando scopre che l’aviatore Bill Bennet (pioniere della tecnologia del deltaplano) gli deve insegnare a manovrare il deltaplano: Moore ha paura dell’altezza, e anche se quando gira il deltaplano è in realtà appeso ad una gru lui non si sente affatto tranquillo, anche perché il manovratore della gru non gli sembra affidabile.

Il 9 dicembre sono tutti pronti per tornare a Londra e girare gli interni negli studi Pinewood, che Roger Moore conosce molto bene per averci girato Attenti a Quei Due e che per tutti sono ormai divenuti un luogo familiare e rassicurante, scevro degli incidenti che possono capitare girando altrove. Ad esempio, girando ad Harlem, la troupe si era vista cacciare via in malo modo da una gang del posto. Poco lontano, gli addetti alla location decidono di tagliare alcuni vecchi cavi per farli penzolare e dare agli edifici abbandonati del vicolo un aspetto ancora più trasandato, quando arrivano dei funzionari della compagnia telefonica infuriati: quei cavi telefonici erano funzionanti e gli edifici abitati!

Per la prima volta la canzone del film…è nel film

Il ristorante Fillet of Soul è in realtà una lavanderia, e quando, in una scena, Bond e Felix ci devono entrare, trovano la porta chiusa: tutta la troupe si mette in cerca del proprietario per farsi aprire.

Nel locale vediamo esibirsi la cantante BJ Arnau: per la prima volta in un film di Bond la canzone dei titoli di testa (in questo caso Live and Let Die, cantata da Paul McCartney con i suoi Wings) viene introdotta nella finzione del film; restando collegati ai Beatles, la colonna sonora del film è realizzata da George Martin, produttore del quartetto di Liverpool.

Curioso, se si pensa che, in Goldfinger, 007 affermava di non poter ascoltare i Beatles senza tappi nelle orecchie…

Dalle un po’ di lenza, poi tirala su…

Negli studi Pinewood c’è tutto quello che serve ma c’è anche molto freddo: Roger Moore e Jane Seymour devono girare le scene d’amore indossando calzettoni da calcio sotto le lenzuola!

I set realizzati da Syd Cain sono senza dubbio meno monumentali di quelli di Ken Adam, ma non per questo meno efficaci. In alcuni casi però non è nemmeno necessario realizzarli: il responsabile degli effetti speciali Derek Meddings realizza delle miniature della piantagione di oppio da far esplodere, con grande sollievo di Hamilton che si era trovato in ritardo sulla tabella di marcia.

Ecco cosa fa Broccoli ai registi che ritardano

Altri effetti speciali invece, come il trucco di Mr. Big, il corpo esplosivo di Kananga e la finta testa di Baron Samedi (realizzata in ceramica) sono opera di Rick Baker.

I bossoli piani di gas esplosivo invece sono veri: in quel periodo venivano testati sugli squali.

Come da tradizione, dopo un apparente lieto fine non manca mai un ultimo scontro, che questa volta si svolge a bordo di un treno e vede Bond affrontare Tee Hee e il suo braccio d’acciaio. Gli attori non possono usare controfigure (impossibile replicare il braccio robotico) e Moore deve prestare la massima attenzione al congegno delicatissimo del braccio, che tanti problemi ha dato durante le riprese a Julius Harris, che faticava ad azionarlo mentre parlava e che maneggiava gli oggetti con goffaggine, guadagnandosi l’epiteto di “Butter-Hand” (Mano di Burro) improvvisato da Roger Moore.

Taffetà?

Alla première, che avviene il 5 luglio 1973 all’Odeon di Leichester Square di Londra, anche questa nuova fatica di questo nuovo Bond, nonostante tutti i timori, non manca di sbancare il botteghino, decretando la bontà della scelta di Roger Moore.

“Il mio nome è Roger Moore e sono il tizio che interpretava Bond”: così si chiude il commento audio e così noi ci salutiamo, per oggi, in attesa di occuparci di una nuova avventura del nostro agente segreto britannico del cuore.

Non vedo l’ora!

007 – Una Cascata di Diamanti

Dopo il disastro conclamato di Al Servizio Segreto di Sua Maestà, che delude non solo i fan di 007 ma anche i produttori (che si erano abituati a ben altri incassi per i film della saga), per Cubby Broccoli e Harry Saltzman si presenta una sfida assai ardua: trovare un nuovo James Bond. I produttori sono convinti che il nuovo 007 debba essere un po’ meno inglese e più americano per tornare a soddisfare i gusti del pubblico. Sostituiscono dunque lo sceneggiatore Richard Maibaum, che aveva già scritto una prima bozza del copione partendo dal romanzo Diamonds are Forever di Ian Fleming, con il giovane americano (ma con un stile di scrittura sufficientemente british) Tom Mankiewicz. Cercano un americano anche per interpretare Bond, ma purtroppo Adam West, già sotto contratto per il telefilm Batman, non è disponibile; accetta l’offerta invece John Gavin (l’amante di Janet Leigh nel film Psycho di Alfred Hitchcock), che viene scritturato per interpretare l’agente segreto più famoso del mondo.

La United Artists vorrebbe riavere Sean Connery, ma Broccoli e Saltzman non intendono implorare l’attore scozzese: inviano quindi la bellissima Ursula Andress, che era stata sua partner in Licenza di Uccidere ed è rimasta in ottimi rapporti con Connery, a farlo in loro vece. Connery si prende una settimana per decidere e infine accetta il compenso stratosferico di 1.200.000 dollari, che devolverà interamente in beneficenza allo Scottish International Trust, il fondo per l’educazione scozzese istituito da lui stesso tre anni prima. I produttori, nel congedare John Gavin, insistono per pagargli ugualmente il compenso stabilito e lui si fa da parte con grande eleganza (a differenza del suo predecessore George Lazenby). L’idea di americanizzare James Bond viene così accantonata, ci si accontenta di adeguarlo un tantino ai tempi, facendolo smettere di fumare. È dunque ufficiale: Sean Connery interpreterà James Bond ancora una volta!

Una Cascata di Diamanti non è certo il film di 007 migliore tra quelli interpretati da Sean Connery (personalmente lo considero anzi il peggiore), ma si tratta comunque di un livello qualitativo infinitamente superiore rispetto al precedente Al Servizio Segreto di Sua Maestà con George Lazenby, come anche pubblico e critica decreteranno. Per quanto mi riguarda, se penso all’ultimo film di Sean Connery come 007 mi viene in mente piuttosto Mai Dire Mai, che però non fa parte della saga ufficiale di Bond e ne è piuttosto una riuscitissima parodia. Senza arrivare alla presa in giro, ma i produttori capiscono che, dopo il finale tragico del film precedente i fan di 007 hanno ora bisogno di umorismo e leggerezza più che mai.

Non resta dunque che scegliere il regista: i produttori decidono di andare sul sicuro e di richiamare Guy Hamilton, considerando il suo Goldfinger il film meglio riuscito (nonché il più redditizio) della saga; seguendo lo stesso ragionamento per interpretare la canzone del film, Diamonds are Forever, viene chiamata ancora una volta la talentuosa Shirley Bassey

La trama del romanzo di Fleming è piuttosto complicata (prevede ad esempio uno scontro finale tra Bond e il fratello gemello di Blofeld) e non convince i produttori, che chiedono a Tom Mankiewicz di discostarsene liberamente. Lo spunto per la nuova trama proviene dalla fonte più inaspettata: un sogno di Cubby Broccoli. Il produttore sogna infatti di osservare il lussuoso attico dell’amico Howard Hughes (eccentrico regista e magnate di Hollywood) dalla finestra e di scorgervi quello che crede di essere l’amico ma è in realtà una persona totalmente diversa. Mankiewicz inizia subito a lavorare su un copione in cui compare un ricco ingegnere stramboide (Willard Whyte, interpretato dal musicista country Jimmy Dean che Connery chiama “the noisy American”) e, nel finale, James Bond si ritrova ad affrontare non uno ma diversi Blofeld, tutti magistralmente interpretati da Charles Gray, che era già apparso in un film di 007 (Si Vive Solo Due Volte) nei panni di Dikko Henderson.

Charles Gray è Ernst Stavro Blofeld

Una Cascata di Diamanti sarà l’ultimo film in cui compare il villain Ernst Stavro Blofeld (eccezion fatta per la spassosissima scena iniziale di Solo per i tuoi Occhi) fino al  2015, in cui il personaggio ritornerà in Spectre con le sembianze di Christoph Waltz. Per le scenografie si decide di andare sul sicuro con Ken Adam, mentre purtroppo viene modificato il comparto effetti speciali, dove l’inglese premio Oscar John Stears vine sostituito dagli americani Leslie Hillman e Whitey McMahon, con risultati a mio parere molto meno efficaci, soprattutto per quanto riguarda gli effetti visivi delle esplosioni. Le mancanze dell’effettistica vengono però bilanciate dalla bravura degli stuntmen, ancora una volta guidati dai veterani Bob Simmons e George Leech. Nei ruoli ormai consolidati di M, Q e Miss Moneypenny tornano ancora una volta Bernard Lee, Desmond Llewelyn e Lois Maxwell, quest’ultima con un look decisamente diverso dal solito: non essendoci alcuna scena ambientata nello studio del capo di 007, M, questa volta la segretaria compare ad Amsterdam con la divisa di agente delle dogana. Per indossare invece i succinti panni della nuova Bond-girl Tiffany Case viene scelta l’americana Jill St. John; in seconda posizione troviamo invece Lana Wood (sorella minore di Natalie) nel ruolo di Plenty O’Toole.

La scelta è più difficile per i ruoli dei killer omosessuali, apparentemente innocui ma in realtà spietati, Mr. Kidd e Mr. Wint: la scelta cade sul musicista Putter Smith e sull’attore Bruce Glover (anche se i produttori avrebbero voluto Peter Lorre in questo ruolo). Questi personaggi sono molto delicati in quanto, tra l’omosessualità e la forte violenza, si muovono sul filo della censura, ma si rivelano una scelta felice: c’è infatti bisogno di un nuovo antagonista per 007, qualcuno di veramente temibile (per sottolineare la grandezza di 007) ma di originale, come appunto i due ometti all’apparenza inoffensivi che James Bond fa l’erorre di non prendere sul serio.

Il 5 Aprile 1971 iniziano, nel deserto del Nevada (che nel film è quello del Sud Africa), le riprese di Agente 007: Una Cascata di Diamanti. La prima scena girata è quella dell’omicidio del dentista commesso da Wint e Kidd con uno scorpione velenoso infilato nella giacca. Viene girata anche una scena alternativa in cui lo scorpione viene messo nella bocca della vittima, poi scartata perché troppo violenta.

La prima scena girata da Sean Connery invece è quella dell’inseguimento nel centro di Las Vegas: Cubby Broccoli, grazie alle sue conoscenze influenti, riesce a ottenere la chiusura delle strade della città per ben cinque notti consecutive. La grande comodità di girare di notte a Las Vegas, è che non servono riflettori per illuminare il set. Ma non tutto si rivela così semplice: non è possibile allontanare i curiosi dal set (infatti sullo sfondo si possono ben vedere i capannelli di fan sui marciapiedi) e questo diventerà un grosso problema per la scena in cui l’auto di Bond, per infilarsi in un vicolo strettissimo, viaggia su due sole ruote. L’acrobazia di sollevare la macchina sulle ruote di destra riesce al primo colpo allo stuntman Joei Chitwood (che riceve un applauso estemporaneo dalla folla): peccato però che la ripresa dell’auto che esce dal vicolo sia inutilizzabile a causa della gente e dei poliziotti accalcati ai lati del set. La scena deve essere girata nuovamente in giugno, negli studi Pinewood: gli stuntman americani non sono più disponibili e vengono chiamati degli stuntman francesi… ma per errore la scena viene girata con l’automobile che esce dal vicolo sulle ruote sinistre! Il pasticcio viene rimediato girando una scena di raccordo nell’interno dell’auto in cui Bond dice a Tiffany di “reggersi forte” perché sta per cambiare l’inclinazione della macchina: sarebbe una cosa senza senso e quasi impossibile da fare, ma nonostante questo, dopo il montaggio, la scena in qualche modo funziona.

Abbiamo parlato delle prime scene girate, ma analizziamo invece la scena che, come da tradizione, precede i titoli di testa e la sigla. La sequenza ha lo scopo di agganciarsi alla trama del film precedente, in cui la moglie di Bond è stata uccisa da Blofeld, sottolineando però il fatto che il mitico Sean Connery sia tornato nei panni di 007. Assistiamo dunque a diversi interrogatori molto poco garbati di Bond, di cui ancora non vediamo il volto, che sconvolto dalla morte di Tracy desidera vendetta nei confronti del Numero Uno della Spectre. Inizialmente, proprio come avveniva in Licenza di Uccidere, non vediamo il viso di Bond ma solo le sue spalle, mani e braccia, in un crescendo di tensione fino alla scoperta del covo segreto di Blofeld, in cui, dopo una dura lotta, assistiamo (apparentemente) alla morte del cattivo. Girare questa scena è stato molto difficile per gli stuntman: in prima battuta, per ricreare il fango terapeutico utilizzato dal chirurgo plastico, viene usato del purè di patate, che però, dopo alcune ore, inizia a marcire e diffondere un odore insopportabile. Si appronta dunque una nuova miscela, che però ha il difetto di bruciare gli occhi e produrre eruzioni cutanee ai cascatori… altro che trattamento di bellezza!

Subito dopo la sigla, Hamilton decide di inserire l’unica scena poco divertente del film, quella in cui viene spiegato al pubblico ciò che ha bisogno di sapere sui diamanti per poter seguire poi la storia (analogamente a quanto fatto per l’oro di Goldfinger); una volta sbrigata questa formalità, il film può procedere a ritmo sostenuto con le classiche scene d’azione e la stessa ironia di sempre. Non manca comunque una punta di ironia, anche se semi-involontaria: lo sceneggiatore Tom Mankiewicz inserisce infatti una sagace osservazione di Bond sull’annata dello Sherry, non sapendo che, per questo liquore, non esiste l’annata! Per sua fortuna l’avvocato di Broccoli, che invece è un esperto del settore, si trova a passare sul set in quel momento e gli fa notare l’inesattezza: questo scambio diventa la nuova battuta del film.

L’idea iniziale di girare gli interni agli Universal Studios di Los Angeles viene abbandonata in favore dei cari vecchi Studi Pinewood di Londra, dove Ken Adam realizza tutti i set, mentre gli esterni ambientati ad Amsterdam vengono girati nella città olandese in appena un weekend. Per velocizzare le riprese, Guy Hamilton ha l’idea di promettere a tutti la serata libera ad Amsterdam a lavoro ultimato, e come racconta lui stesso: “Mai lavorato così in fretta con una troupe!”.

Come in tutti i film di Bond che si rispettino, anche in Una Cascata di Diamanti non possono mancare i combattimenti corpo a corpo. Tuttavia, poiché il regista pensa che “non ci sia nulla di più noioso che guardare due tizi che si menano”, bisogna rendere accattivanti gli scontri fisici, come ad esempio quello (girato a Pinewood) tra 007 e Peter Franks, interpretato dall’inglese Joe Robinson, che era stato l’insegnante di judo di Sean Connery. Hamilton decide che lo scontro tra questi due atleti grandi e grossi deve avvenire in uno spazio davvero angusto: un ascensore. La coreografia del combattimento viene pianificata con molta cura da Bob Simmons, ma in quel set ristretto non c’è spazio per gli stuntman (le inquadrature sono troppo ravvicinate) e i due attori devono cavarsela da soli. Nessun problema per Sean Connery, che si diverte molto a girare queste scene e non fa mai storie quando deve picchiare o farsi picchiare: l’attore aggiunge anche qualche tocco personale alla coreografia (come aveva fatto anche per i dialoghi del copione) e il risultato è una scena molto efficace con la tipica chiusura ironica: oltre due settimane di prove per una scena di due minuti appena.

In Una Cascata di Diamanti incontriamo ancora una volta l’agente CIA Felix Leiter, sempre un fedele alleato di Bond, interpretato da Norman Burton (che segue Jack Lord, Cec Linder e Rick Van Nutter). Nella scena all’aeroporto, quando Felix esamina la bara e domanda a 007 dove siano nascosti i diamanti, Bond gli risponde: “Alimentary, Watson” (“Alimentare, Watson”), parafrasando Sherlock Holmes: Cubby Broccoli in realtà desiderava eliminare questa battuta dal copione, sostenendo che nessuno l’avrebbe capita. Quando, alla prima del film, sente che il pubblico in sala ride di gusto, commenta: “Bella forza, saranno tutti dottori!”

Per il set della camera mortuaria di Las Vegas Ken Adam sceglie uno stile molto kitsch e ironico (ben rappresentato dalla vetrata a forma di diamante) e decide che, come tutti i congegni che compaiono nei film di 007, anche il pannello di controllo del forno crematorio deve essere pieno di leve e pulsanti appariscenti. La scena in cui Bond è imprigionato nella bara e sta per essere cremato è la tipica situazione dei film di 007 in cui il protagonista sembra non avere via di scampo e il pubblico ha pochi secondi per cercare di capire come riuscirà a cavarsela: anche se sono scene brevissime, a volte sono necessari mesi per idearne una che funzioni. Ironia della sorte, quella di 007 imprigionato nella cassa da morto è anche l’ultimissima scena girata da Sean Connery nei panni di James Bond, venerdì 13 agosto (neanche a farlo apposta) 1971.

Per girare le scene ambientate nei casinò e gli inseguimenti d’auto, la troupe si ferma per ben sei settimane a Las Vegas: serve tanto tempo perché è possibile effettuare le riprese all’interno dei casinò solamente tra le tre e le sei del mattino dei giorni feriali. Attori e maestranze smettono di dormire, impegnati come sono a girare durante il giorno e giocare d’azzardo di notte. Lo sceneggiatore Tom Mankiewicz perde un intero mese di paga. E non si salva neppure chi non gioca: Cubby e Dana Broccoli vengono derubati mentre dormono tranquilli nella loro suite. Ma questo non è un grosso problema per il produttore, che ha sempre a disposizione un budget di riserva che lui chiama “supporto morale”: in questo caso decide di spenderlo per dare una suite anche allo sceneggiatore, per il quale era stata prevista invece una sistemazione più semplice. Per ringraziarlo Tom voleva dare ai trapezisti del Circus Circus il nome di “Flying Broccoli” in omaggio al produttore, che però glielo vieta categoricamente.

Il direttore del Circus Circus concede il suo casinò per le riprese in cambio di una piccola parte nel film: quella dello “scienziato pazzo” che introduce il numero della donna-scimmia. Viene girata anche una scena con una donna in costume da sirena che suona l’arpa galleggiando su una conchiglia all’interno del ristorante, ma viene poi esclusa dal montaggio finale, insieme a un cameo di Sammy Davis Jr. al casinò. Per girare la scena in cui Q utilizza uno dei suoi congegni per sbancare le slot machine viene chiesto a un tecnico di impostare le macchina in modo tale che ogni tentativo sia vincente… immagino che quell’uomo sia diventato d’un tratto molto popolare!

L’hotel Whyte House, da cui l’eccentrico milionario Willard Whyte non esce mai (proprio come faceva Howard Hughes nel suo Desert Inn) è il realtà l’hotel Hilton: nei campi lunghi gli edifici adiacenti vengono nascosti da un fondale per farlo spiccare di più.

A Las Vegas entra in scena la bella Plenty O’Toole: dopo “Pussy Galore” (“Gnocca a Volontà”) un altro nome evocativo, come lo stesso Bond non manca di notare, in quanto “Plenty” significa “abbondanza”. Inizialmente il ruolo doveva andare a Jill St. John, ma il regista cambia idea e lo assegna a Lana Wood, bellissima ma piccola di statura, che per recitare accanto a Sean Connery è costretta a salire su una cassetta di frutta; la scelta si rivela cruciale quando viene girata la morte di Plenty (nella casa di Kirk Douglas a Palm Springs): la ragazza viene trovata morta nella piscina e Lana ha davvero i piedi legati ad un peso posto sul fondo. Nessuno si è accorto però che il fondale della piscina è inclinato e con passare del tempo il peso scivola verso la parte più profonda: presto Lana non è più in grado di tirare fuori la testa dall’acqua per respirare. Per fortuna l’attrice è un’ottima nuotatrice e apneista, e riesce a non andare nel panico mentre le viene prestato tempestivamente soccorso. Nonostante la sua bravura però per il tuffo in piscina dal terrazzo viene chiamata una cascatrice, Patty Elder; allo stesso modo Sean Connery, anche lui abile nuotatore, viene sostituito da un tuffatore professionista quando 007 deve buttarsi in acqua da oltre venti metri.

Gli autori dei film di 007 sono da sempre attenti alle ultime novità tecnologiche ma anche alle mode del momento. La chirurgia plastica, che ha un ruolo centrale del film, era diventata di gran moda alla fine degli anni ‘60, così come lo erano i letti ad acqua come quello della suite d’albergo di Bond (in cui Ken Adam ha l’idea geniale di inserire anche dei pesci vivi); allo stesso modo, l’ascensore esterno o le tessere magnetiche, come quelle che garantiscono l’accesso al laboratorio, erano delle novità assolute. Bond riesce a introdursi nel laboratorio segreto della Spectre grazie all’aiuto inconsapevole del Dottor Hergersheimer: questo suggestivo cognome altro non è che la parola usata da Guy Hamilton per indicare un “Pinco Pallino” qualsiasi: lo sceneggiatore decide di usarla come nome per uno dei personaggi del film. 

Una delle scene più memorabili del film è senza dubbio la fuga di 007 a bordo del Moon Buggy, il veicolo lunare realizzato da Ken Adam basandosi sul modello reale ma, per volere del regista, con aggiunta di bracci e altre parti mobili per renderlo più grottesco; Adam ha dotato lo strambo veicolo di ruote a sezione conica come l’originale, ma purtroppo queste non resistono all’ambiente ostile del deserto del Nevada e si rompono durante le riprese. Vengono sostituite con dei più classici pneumatici Honda per poter terminare la scena.

Esattamente come i combattimenti, anche le scene di inseguimento nei film rischiano sempre di diventare noiose: ecco perché Hamilton pensa di ambientarne una in un parcheggio, elaborandone lo sviluppo con l’utilizzo di diversi modellini. Qui il regista può dare sfogo a tutta la sua antipatia per le auto americane, facendo sfasciare tutte le oltre ottanta automobili messe a disposizione gratuitamente dalla Ford per il film. Girando la scena al distributore di benzina, invece, una donna che sta passando in auto si distrae per guardare Sean Connery e tampona l’auto davanti, rallentando le riprese: quando si dice fascino pericoloso…

Dopo aver visto la scena del film in cui Bond utilizza una sparachiodi da arrampicata per introdursi dall’esterno nell’attico di Whyte, diverse associazioni di scalatori scrivono alla United Artists per chiedere dove poterne acquistare una: ma questo aggeggio nella realtà non esiste (i chiodi infissi in quel modo non potrebbero mai reggere il peso di un uomo). Proprio come gli speranzosi scalatori, dopo la sua impresa Bond vede le sue speranze finire…nel gabinetto. A questo punto del copione Tom aveva inserito una lunga spiegazione da parte di Blofeld su come funzionasse il sintetizzatore vocale, ma l’attore Charles Gray suggerisce di sostituirla con una semplice frase: “Non so come funziona, ma il principio è molto semplice”. Come in tutti i film di Bond, non bisogna mai spiegare troppo…

Ken Adam si è potuto sbizzarrire nel creare il set dell’attico di Whyte, lussuoso ma anche avveniristico, pieno d’acciaio e di modellini dei suoi progetti. Al contrario la casa in cui Bond affronta Bambi e Thumper non è un set, ma una vera abitazione di Palm Springs, costruita attorno ad un blocco di roccia, cui non viene aggiunto nulla se non il trapezio necessario per la scena di lotta. L’idea per questo strano combattimento è venuto al regista guardando  le acrobazie compiuta dalle atlete delle Olimpiadi: spetta poi a Bob Simmons coreografare il tutto e creare una delle scene più memorabili della saga di Bond.

Non è facile per Guy Hamilton trovare una location adeguata per lo scontro finale: serve infatti una piattaforma petrolifera dismessa ma sicura (in quanto verranno utilizzati esplosivi ed effetti pirotecnici) e non troppo difficile da raggiungere. Per sua fortuna in quegli anni l’azienda petrolifera Shell versa in cattive acque: Hamilton riesce così ad affittare una vecchia piattaforma, poco lontano dalla costa della California, per una cifra modesta. Ogni giorno, per raggiungere il set, attori e troupe devono volare per quindici minuti su degli elicotteri privi di portelloni. Prima di girare la grande esplosione finale, il regista decide di fare un’ultima prova generale della scena, ma l’aiuto regista fraintende e ordina di azionare tutti gli esplosivi. Per fortuna il cameraman Jim Gavin ha la prontezza di azionare la telecamera e riprendere tutto dall’elicottero su cui si trova. Vengono girate anche scene con i sub che si tuffano dagli elicotteri e raggiungono la piattaforma a nuoto, ma sono poi scartate per non far risultare la scena troppo lunga (ne restano però delle immagini nelle locandine). La scena in cui Bond raggiunge la piattaforma dentro uno strano pallone (ispirata al regista, ancora una volta, da un filmato visto in televisione), viene girata successivamente negli studi Pinewood, insieme alla scena finale a bordo della nava da crociera.

Putter Smith accetta coraggiosamente di lasciarsi incendiare le braccia, ma viene poi sostituito da George Leech per il finale della scena, così come lo stuntman Gerry Crampton sostituisce Bruce Glover per il salto in mare (per cui viene utilizzato un trampolino), anche se in realtà la scena viene grata in studio e non c’è acqua ma solo tessuto increspato a simulare l’effetto delle onde. Ken Adam progetta ben due sottomarini per la fuga di Blofeld, uno in fibra di vetro (per il costo di 30.000 dollari) e uno più resistente pieno di cemento per la demolizione della sala controllo. La scena, inizialmente prevista, di inseguimento di Blofeld nella salina non viene mai girata per indisponibilità della location californiana. Nonostante sia molto elaborata e tecnicamente complicata, la scena dell’attacco alla piattaforma viene girata a tempo di record grazie alla sagacia dei produttori, che negano a Guy Hamilton e Sean Connery il permesso di recarsi negli splendidi campi da golf della California fino a che la scena non sarà ultimata. A volte non serve altro che il giusto incentivo…

Venerdì 13 agosto 1971, alle ore 16.00, Sean Connery ha appena finito di girare la sua ultima scena nei panni di 007, e tutti i suoi amici e colleghi sanno che questa volta si tratta di un addio definitivo. I produttori avranno modo di consolarsi con gli incassi e il successo del film (anche se non è certo uno dei migliori, anzi), ma il futuro appare incerto: che ne sarà di James Bond? Dopo il fallimento catastrofico di George Lazenby sembra chiaro che sostituire Sean Connery non è possibile… È forse la fine di 007? 

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Goldfinger

Mentre stavo scrivendo questo articolo è arrivata la triste notizia della scomparsa di Sean Connery, il primo, e per molti l’unico, 007. Naturalmente sarebbe riduttivo ricordare Sir Sean Connery solamente per aver interpretato James Bond quando nella sua lunga e variegata carriera ci ha regalato una serie di personaggi straordinari, vincendo l’Oscar come miglior attore non protagonista per Gli Intoccabili di Brian De Palma nel 1987 e ricoprendo ruoli più o meno importanti, ma sempre memorabili, in film di ogni genere e caratura. Inutile cercare di fare una lista o una classifica dei suoi ruoli più riusciti o dei suoi film più belli. Più facile forse parlare di quello che io personalmente considero il suo unico passo falso: Zardoz. Ma di questo ho già stabilito di parlare in un’altra occasione. Per me la figura affascinante e carismatica di Sean Connery sarà sempre indissolubilmente legata al personaggio di James Bond e a quello che ritengo il film migliore tra quelli da lui interpretati: Goldfinger.

Il secondo film sull’agente segreto al servizio di Sua Maestà Dalla Russia con Amore ha avuto un successo enorme e spianato definitivamente la strada ai produttori Albert Broccoli e Harry Saltzman, che ora non hanno più alcun problema a reperire tutti i finanziamenti di cui hanno bisogno: il budget per il terzo film di 007 ammonta infatti a tre milioni di dollari, quanto i due film precedenti messi assieme. Per il terzo film viene scelto di adattare il settimo romanzo di Fleming, uscito nel 1959, scritto dopo un soggiorno in uno stabilimento termale inglese in cui lo scrittore aveva conosciuto un venditore d’oro che gli aveva spiegato alcuni segreti del mestiere. Questa volta però Terence Young, il regista dei primi due film, non è disponibile: i produttori scelgono per sostituirlo un veterano della regia, Guy Hamilton.

Sean Connery con Tippi Hedren e il regista Alfred Hitchcock sul set di “Marnie”

Per il nuovo arrivato non è semplice inserirsi all’interno di un gruppo di lavoro così affiatato, e nei primi giorni è costretto a sgridare diverse volte i membri del cast e della troupe che, immersi in rimembranze delle collaborazioni passate, non si concentrano debitamente sulla nuova impresa. Sicuramente Hamilton ha un carattere molto diverso da Terence Young, che considerava i colleghi di lavoro come una famiglia: lui invece è molto freddo e distaccato, ma sa sempre quello che vuole e riesce ad ottenerlo nel modo più efficiente. Il battesimo del ciak di Hamilton è tutt’altro che semplice, dato che Sean Connery e Gert Frobe, l’attore scelto per interpretare il villain Goldfinger, non sono ancora disponibili (Connery sta ultimando le riprese di Marnie di Alfred Hitchcock): il regista deve quindi girare la prima sequenza a Miami utilizzando delle controfigure. La scena verrà completata successivamente con i due attori in un set ricostruito negli studi Pinewood di Londra. Questo gioco di prestigio è reso possibile ancora una volta dalla bravura dell’editor Peter Hunt, che in fase di montaggio riesce a dare omogeneità visiva e narrativa alla sequenza. 

Cec Linder, Sean Connery e Margaret Nolan nel set di Miami ricostruito a Pinewood

Molti sono i critici e in fan che ritengono Goldfinger il miglior film di 007 in assoluto grazie alla sua equilibrata miscela di azione, erotismo, suspense e umorismo. È innegabile il fatto che il terzo film della saga abbia consacrato definitivamente il mito di James Bond e sancito un modello che tutti i film successivi hanno poi tentato di emulare, oltre a dar vita alle prime imitazioni e parodie e al fenomeno del merchandising legato all’agente segreto nato dalla penna di Ian Fleming. Goldfinger ha stabilito in modo definitivo il canone del perfetto film di 007. Ne è un esempio condensato la scena che precede i titoli di testa, come accadeva già in Dalla Russia con Amore. Questa volta Hamilton realizza una sequenza del tutto scollegata dalla storia principale, una mini avventura di pochi minuti che però racchiude in sé tutti gli elementi tipici dello stile bondiano: l’umorismo, l’avventura, il pericolo, le belle donne. 

In questo incipit la prima cosa che vediamo è un gabbiano male in arnese che nuota nel porto, ma subito scopriamo che sotto il pennuto c’è il nostro eroe, che avanzava non visto sott’acqua con un gabbiano posticcio (che durante le riprese si era irrimediabilmente inzuppato d’acqua) incollato al cappuccio della muta. Nella cisterna in cui Bond si addentra furtivamente scorgiamo qualcosa di familiare: una grande apertura circolare sul soffitto, come si era vista in Licenza di Uccidere nella scena che introduce il cattivo, il Dr. No. Non ci sono dubbi: Ken Adam, lo scenografo del primo film, che non aveva partecipato al secondo perché impegnato con Il Dottor Stranamore, è tornato, pieno di nuove idee scaturite dalla collaborazione con Stanley Kubrick. Dopo essere uscito dal deposito, che ha riempito di esplosivo, Bond si toglie la muta (che è in realtà una tuta di nylon) rivelando un impeccabile smoking bianco e si reca in un night club, dove assiste al panico causato dalla sua esplosione senza battere ciglio. Inevitabilmente poi l’agente segreto si ritrova solo in compagnia della bella ballerina, che però non gli è amica come sembra. In un efficacissimo effetto ottico vediamo, riflesso nell’occhio della ragazza (un’idea dello sceneggiatore Richard Maibaum), un brutto ceffo che sta per aggredire Bond alle spalle. 007 non esita a farsi scudo della donna dopodichè si libera dell’aggressore spingendolo in una vasca da bagno e gettando un ventilatore nell’acqua. Nel girare questa scena ci furono un paio di imprevisti: l’attore selezionato per interpretare Capungo, il messicano che lotta con Bond, viene arrestato per furto poco prima dell’inizio delle riprese e sostituito dallo stuntman Alf Joint. La scena deve essere ripetuta diverse volte, Sean Connery viene colpito con una sedia alla schiena ad ogni ciak; infine Joint, immerso nella vasca insieme a cavi elettrici ed effetti pirotecnici, si procura un’ustione di secondo grado alle gambe. “Shocking”, come direbbe 007.

A questa sequenza d’apertura segue naturalmente la sigla, in cui vediamo i titoli di testa di Robert Brownjohn (che si occupa anche della grafica pubblicitaria del film) proiettati sul corpo dorato della splendida Margaret Nolan e ascoltiamo quella che sarà la prima di una lunga serie di sigle bondiane divenuta un grande successo: Goldfinger, musica di John Barry (autore dell’intera colonna sonora) e testi di Anthony Newley, eseguita dalla celebre cantante Shirley Bassey. Per la prima volta la colonna sonora di un film di 007 diventa un vero successo, superando nelle vendite perfino i Beatles, tanto che l’LP vincerà il disco d’oro: e come poteva essere diversamente?

Hamilton intende mostrare fin da subito quanto sia lussuoso ed edonistico il mondo in cui si muove 007. Per la prima scena realizzata, quella della piscina, girata il 20 gennaio 1964 nell’hotel Fontainbleau di Miami, ingaggia delle vere modelle solo per far bella figura riempiendo le sdraio; chiama inoltre l’attrice Margaret Nolan a interpretare per una manciata di secondi la massaggiatrice di James Bond. L’unico attore effettivamente presente a Miami all’inizio delle riprese è Cec Linder che interpreta l’agente della CIA Felix Leiter, personaggio già presente in Licenza di Uccidere, dove però aveva il volto di Jack Lord: Felix ha il compito di sfilare James dalla sua meritata (dopo la missione in Messico) vacanza per chiedergli di indagare sul magnate Auric Goldfinger ed alcuni suoi presunti traffici poco puliti nell’esportazione dell’oro. Naturalmente Bond interpreta la missione a modo suo, seducendo la splendida Jill Masterson, assunta da Goldfinger per farsi vedere in sua compagnia…e per aiutarlo a barare a carte!

Jill Masterson suggerisce a Gert Frobe tramite “Auric-olare”

Auric Goldfinger, come si capisce già dal nome, è il perfetto villain bondiano: megalomane, intelligente, spietato, permaloso e folle. Si circonda di belle donne ma non per andare a letto con loro, solamente perché le trova decorative e occasionalmente anche utili. Gli piace vincere sempre, negli affari e nel gioco, senza risparmiare sui mezzi per ottenere la vittoria. La sua ossessione per l’oro lo rende senz’altro stravagante ma mai sprovveduto, portandolo anzi a concepire un piano criminale di cui anche Bond non può che ammirare la genialità. Per interpretarlo Albert Broccoli fece chiamare l’attore tedesco Gert Frobe. Purtroppo però, contrariamente a quanto sosteneva il suo agente, Frobe non parla una parola d’inglese! Ma la sua presenza scenica è perfetta, così i produttori decidono di farlo comunque recitare e di doppiarlo in post produzione (a prestargli la voce sarà l’attore Roy Michael Collins). Non è facile per gli altri attori, che devono recitare interagendo con un Frobe che biascica un inglese molto maldestro, spinto dal regista a parlare velocemente per facilitare l’operazione di doppiaggio. Sempre meglio che ascoltare i Beatles senza tappi nelle orecchie, come direbbe Bond…

Gert Frobe interpreta Auric Goldfinger

Tornando al film, James Bond passa la notte con Jill Masterson, che non è una semplice donna oggetto: come altre precedenti Bond girls (ad esempio Honey/Ursula Andress in Dr. No e Tatiana/Daniela Bianchi di Dalla Russia con Amore) Jill si lascia sedurre ma a sua volta sfrutta James per il suo piacere. Purtroppo però, 007 mentre si allontana per rimettere in ghiaccio il Dom Perignon del ‘55, viene colpito alle spalle da una persona di cui vediamo solamente l’ombra. Ancora molti anni dopo Sean Connery affermava in un’intervista di poter ancora sentire il dolore provocato da quel colpo. Guy Hamilton decide di non mostrarci subito l’aggressore per mantenere alta la suspence, ma lo spettatore scoprirà che il colpo è stato inferto da Oddjob, lo scagnozzo muto e letale di Goldfinger. Per interpretarlo il regista sceglie Harold Sakata, un wrestler hawaiano (vincitore di una medaglia d’argento alle olimpiadi del 1948 per il sollevamento pesi) visto casualmente in televisione. Sakata, malgrado la sua imponenza fisica, si rivela un uomo gentile, generoso e dedito al lavoro, sempre pronto ad accontentare i fan. Al suo risveglio Bond trova Jill morta, con il corpo interamente ricoperto di vernice dorata: non ci può essere alcun dubbio su chi sia il mandante dell’omicidio.

Il wrestler hawaiano Harold Sakata nei panni di Oddjob

Questa scena è diventata una delle più famose non solo della saga di 007 ma della storia del cinema, non solo per le sue qualità intrinseche (originalità, tensione emotiva, effetto sorpresa): la mastodontica campagna pubblicitaria per Goldfinger infatti era iniziata ancora prima che Hamilton desse il primo ciak, e quando la scena viene girata sono presenti sul set giornalisti e fotografi (oltre a un dottore per scongiurare il soffocamento dell’attrice a causa della vernice dorata che le copriva per intero la pelle). Pur comparendo nel film per pochi minuti Shirley Eaton, che interpreta Jill Masterson, diventa l’attrice più famosa e fotografata del 1964. Per lei, un’occasione d’oro!

Dopo la morte di Jill ritroviamo James Bond a Londra, nella sede della Universal Export, la società di copertura per i servizi segreti inglesi. Qui ritroviamo quello che ormai è il cast fisso della saga: Bernard Lee nel ruolo di M, il capo di 007; Lois Maxwell in quelli della segretaria Moneypenny e Desmond Llewelyn come Q, il fornitore di tutti i gadget e le armi degli agenti segreti. Dopo che M gli ha affidato ufficialmente l’incarico di smascherare i traffici illeciti di Goldfinger (non senza diffidare Bond dall’approcciare il caso come una vendetta personale) possiamo entrare per la prima volta nel laboratorio di Q e di sbirciare tra i gadget ancora in fase di sviluppo. Armi e congegni sofisticati, fantasiosi e spesso improbabili, sono infatti un marchio distintivo della serie: i film in cui sono stati utilizzati in misura minore sono anche quelli meno apprezzati dal pubblico. In Goldfinger entra in scena per la prima volta un’altra grande protagonista: la mitica Aston Martin DB5. Nei romanzi di Fleming 007 guidava una Bentley Green Label, che viene però considerata ormai fuori moda dai produttori. La casa automobilistica inglese Aston Martin è riluttante a fornire le proprie auto per il film (ne verranno usate quattro diverse, due con tutti gli accessori funzionanti e due per le scene su strada) e le cede a caro prezzo; eppure la DB5 diventerà in breve tempo l’auto più famosa del mondo (anche grazie ai tour promozionali e agli spot pubblicitari) e le sue vendite, grazie al film, aumenteranno del 60%: Saltzman e Broccoli non avranno mai più difficoltà a trovare le automobili per i film di 007. 

“Io non scherzo mai sul mio lavoro 007!”

Originariamente il copione non prevedeva una scena in cui Q spiega a 007 tutti i congegni presenti sull’auto, ma Broccoli insiste per aggiungerla a riprese ormai quasi ultimate (con grande disappunto di Desmond Llewelyn che non capisce nulla di auto e di meccanica e fatica ad imparare le sue battute). L’idea si rivela vincente, perché la scena crea una grandissima aspettativa nello spettatore, curioso di vedere quando e come i vari marchingegni verranno utilizzati da Bond. Gli ingegneri della Aston Martin non credevano fosse possibile montare tutti quei meccanismi aggiuntivi sull’auto, ma il responsabile degli effetti speciali John Stears li smentisce, anche se l’auto diventa così pesante che ne serve una seconda per le scene su strada. Nel romanzo erano descritti soltanto una manciata di accessori presenti nell’auto di 007, mentre per il film Ken Adam e John Stears possono dare libero sfogo alla loro immaginazione. Hamilton, che prende molto spesso multe per sosta vietata in centro a Londra, fornisce l’idea della targa rotante. Addirittura nella vettura ritoccata da Stears sono presenti dei congegni che non verranno nemmeno utilizzati nel film: un’antenna radar nascosta nello specchietto laterale, un ripiano sotto il sedile (contenente fucile, coltello da lancio, granata e pistola), un vano da cui fuoriescono chiodi a tripla punta (non utilizzati perché la United Artists teme il pericolo emulazione) e un telefono nella portiera. Della Aston Martin di 007 verranno realizzati infiniti modellini, alcuni anche dotati di gadget; una piccola DB5 a pedali verrà regalata al Principe Andrea in occasione della visita della Regina Elisabetta alla fabbrica della Aston Martin a Lagonda: un’auto davvero principesca!

Sean Connery con una delle Aston Martin DB5 utilizzate per le riprese del film

Una volta equipaggiato James si appresta ad incontrare di persona Goldfinger, stabilendo un altro punto fermo del canone bondiano: il primo incontro tra 007 e il supercattivo è sempre molto formale, anche se ricco di allusioni, minacce velate e sospetti reciproci. In questo film esso ha luogo in un campo da golf (le riprese vengono fatte a Stokepoges, vicino agli studi Pinewood). La difficoltà della scena consiste nello spiegare allo spettatore le regole del golf, considerato uno sport per nulla cinematografico, senza mai annoiarlo. Gert Frobe, che non sa giocare a golf, viene rimpiazzato nei campi lunghi da una controfigura, al contrario di Sean Connery, che non solo ha imparato a giocare per l’occasione, ma ha sviluppato una passione per il golf che non lo lascerà più. Bond esce vincitore dalla partita con Goldfinger (che naturalmente, proprio come con le carte, tenta di barare), ma Oddjob gli fa subito capire che non è finita lì decapitando una statua con un lancio del suo cappello con lama incorporata nella tesa (la testa era già recisa ma il cappello dovette essere lanciato più di 40 volte per riuscire a girare la scena): questa scena e quella in cui Oddjob polverizza con la mano una pallina da golf servono a preparare il terreno per lo scontro finale con Bond.

Al termine della partita di golf Bond, che ha piazzato un localizzatore nell’auto di Goldfinger, lo segue fino in Svizzera, dove si accorgerà di non essere l’unico a pedinare il magnate: anche Tilly Masterson (Tania Mallet), sorella di Jill, è sulle sue tracce in cerca di vendetta. Per attirare la sua attenzione Bond ricalca la strategia di Messala nella corsa delle quadrighe del film Ben Hur, uscito cinque anni prima, e utilizza le lame rotanti estensibili presenti nei cerchioni della Aston Martin per squarciare le gomme dell’auto di Tilly, la quale non può che accettare un passaggio fino al distributore più vicino. Poiché non era possibile farlo con le vere automobili, la scena delle lame è stata girata in studio utilizzando due modellini in fibra di vetro su binari e un foglio di alluminio verniciato per simulare le gomma squarciata. Il montaggio di Peter Hunt ha poi creato la magia. Bond suo malgrado deve dire addio a Tilly, salvo ritrovarla nelle circostanze meno adatte: quando entrambi stanno cercando di introdursi nottetempo nella fabbrica di Goldfinger. Questa scena è un altro esempio dell’abilità di Peter Hunt, che riesce a renderla omogenea nonostante le inquadrature dalla collina siano girate in Svizzera e quelle all’esterno della fabbrica a Pinewood (dove si può vedere ancora oggi). Anche l’interno della fonderia clandestina è ricostruito in studio: l’oro fuso è in realtà cera mischiata a polvere dorata, il contenitore dell’oro fuso ha dentro una lampadina e il fumo è generato dal ghiaccio secco. Purtroppo però, mentre spiano le operazioni poco pulite di Goldfinger (e del suo complice Mr. Ling interpretato da Burt Kwouk, diventato famoso nei panni di Cato, l’aiutante dell’Ispettore Clouseau nei film della Pantera Rosa), 007 e Tilly vengono scoperti.

Il personaggio di Tilly ha qui il ruolo di agnello sacrificale: in ogni film di Bond è presente un personaggio alleato con cui 007 stabilisce un legame forte ma che viene ucciso (in Dr. No era Quarrel, in Dalla Russia con Amore Kerim Bey) creando scene di forte impatto emotivo prontamente stemperato subito dopo dall’adrenalina e dal registro comico. Infatti, subito dopo l’uccisione di Tilly da parte di Oddjob, Bond viene caricato in auto dagli scagnozzi del cattivo, ma riesce a liberarsi del suo autista grazie al gadget che tutti attendevano con ansia di vedere in azione: il sedile eiettabile. Il congegno era stato inserito davvero sull’auto, anche se il trucco del lancio è realizzato con aria compressa e un fantoccio. Se questo non bastasse, ecco che la dolce vecchina incaricata di aprire la sbarra estrae una mitragliatrice e spara a raffica contro 007. Guy Hamilton ha raccontato che, quando dopo l’uscita di Goldfinger si è trovato a pranzare con Alfred Hitchcock, questi gli ha fatto i complimenti proprio per la quella scena: “Avrei voluto girarla io una scena così!” E Hitchcock di suspense e di umorismo se ne intendeva eccome! Il minion volante, la vecchietta col mitra e il successivo inseguimento (velocizzato in fase di montaggio per renderlo ancora più incalzante) fanno dimenticare immediatamente della povera Tilly. Durante la scena dell’inseguimento Bond utilizza anche l’olio per rendere scivoloso l’asfalto (si tratta di acqua colorata) ma non è sufficiente: alla fine la sua Aston Martin si schianta contro un muro. Lo stuntman George Leech, che doveva pilotare l’auto in quella scena, riceve dai produttori l’ordine contraddittorio di schiantarla senza rovinarla: cosa non semplice, soprattutto perché costretto a ripetere la scena due volte in quanto al primo ciak l’auto era penetrata troppo a fondo nel muro…

“Fermati o nonna spara!”

Dopo lo scontro Bond si risveglia nello stabilimento legato mani e piedi ad una tavola d’oro. Ormai Goldfinger lo ha definitivamente smascherato e ha intenzione di liberarsi di lui una volta per tutte. Per uccidere il grande James Bond però un semplice colpo di pistola sarebbe troppo sciatto, per cui utilizza un’arma mai comparsa prima sul grande schermo: il laser. La tecnologia del laser veniva sviluppata proprio in quegli anni e adoperata esclusivamente in campo chirurgico: nessuno aveva ancora pensato di usarla come arma. Un laboratorio scientifico fornisce ad Hamilton un vero laser, ma nel provare la scena il regista scopre che, con le luci del set, il raggio non è più visibile. John Stears realizza perciò un macchinario finto con suggestive luci blu; il raggio rosso e bianco viene aggiunto in fase di post produzione. L’effetto prodotto dal laser sulla tavola invece è realizzato in studio: la parte che deve essere incisa dal laser viene pretagliata e riempita di un materiale che si scioglie con il calore; sotto la tavola il designer degli effetti ottici Cliff Culley fa scorrere una torcia all’acetilene. Il risultato è la scena di quasi castrazione più famosa della storia del cinema (molto più suggestiva della “banale” sega circolare del romanzo).  Questa scena mette a dura prova la pazienza di Sean Connery, che deve passare molte ore legato ad una tavola con strani congegni in movimento accanto al suo inguine. 

“Invidia del laser…”

Bond è sufficientemente scaltro da convincere Goldfinger a risparmiargli la vita ma rimane comunque suo prigioniero. Colpito da una pistola tranquillante si ridesta su un aereo diretto nel Kentucky. È tuttavia un dolce risveglio quello di chi si trova davanti la bellissima Honor Blackman nel suo ruolo più iconico: quello della pilota d’aereo personale di Goldfinger, Miss Pussy Galore.

Fin dalla nascita dello 007 cinematografico i produttori Harry Saltzman e Cubby Broccoli avevano dovuto combattere con la censura per far ottenere ai film di Bond il visto “per tutti”, necessario perché anche i bambini e i ragazzi si recavano in massa al cinema per vedere i loro film. Poiché l’ufficio della censura britannico era molto sensibile alla violenza mentre quello americano era più suscettibile riguardo all’erotismo, in alcune occasioni furono necessari dei veri e propri giochi di prestigio per non dover rinunciare a nessuna scena. Inevitabilmente il personaggio di Honor Blackman solleva diversi problemi a questo riguardo, a cominciare dal suo nome, che letteralmente in inglese significa “gnocca a volontà”. La United Artists scongiura i produttori di cambiare il nome in “Kitty Galore”, sempre evocativo ma meno spudorato, finché non accade che il Principe Filippo venga fotografato con l’attrice e appaia sui giornali con la didascalia “Pussy and the Prince”: a questo punto il nome Pussy, accettabile per la stampa, lo diventa anche per il cinema. Nel romanzo di Fleming Pussy Galore è una lesbica dichiarata, mentre nel film la questione viene solamente suggerita ma mai esplicitata, sempre per motivi di censura. Pussy ha collaborato al piano di Goldfinger addestrando una squadra di piloti d’aereo, interamente costituita da ragazze belle e appariscenti. Nella scena in cui Bond vede gli aerei atterrare questi sono manovrati da piloti di velivoli agricoli ingaggiati per l’occasione, i quali però si rifiutano categoricamente di indossare le parrucche bionde che i costumisti hanno fornito approntato. Un occhio allenato potrà anche distinguere un sigaro in bocca a uno di loro…

James Bond viene rinchiuso in una minuscola cella nei sotterranei della tenuta di Goldfinger in Kentucky. Nel frattempo lo spettatore viene introdotto nello spettacolare set ideato da Ken Adam per la sala ludica di Goldfinger. Lo scenografo qui si sbizzarrisce nell’aggiungere, giocattoli e congegni di ogni tipo, dal cavallo meccanico da rodeo al tavolo da biliardo scorrevole. Quando Goldfinger inizia a spiegare ai suoi soci il suo grande piano tutta la sala si modifica: i pavimenti scorrono, le pareti cambiano, un enorme plastico emerge dal pavimento per mostrare a tutti l’obiettivo finale: Fort Knox, il deposito delle riserve auree degli Stati Uniti.

A ben pensarci, questa scena non ha alcun senso: perché Goldfinger si dà tanto da fare per spiegare il suo piano a degli uomini che ha già programmato di uccidere? Giuro che, pur avendo visto il film decine di volte, non ci avevo mai pensato, tanta è stata l’abilità di Hamilton nel creare una serie di sequenze divertenti e coinvolgenti: la fuga di Bond, il suo tentativo fallito di comunicare a Felix il piano di Goldfinger e l’uccisione con il gas dei soci d’affari (i flash di luce blu aggiunti dal direttore della fotografia Ted Moore danno un tocco espressionista alla scena rendendola più agghiacciante). Il signor Solo, che aveva scelto di non partecipare al colpo, viene eliminato in un modo altrettanto spettacolare: schiacciato insieme all’automobile da una pressa. Questa scena sciocca profondamente la troupe, che assiste a bocca aperta alla distruzione di una costosissima Lincoln Continental nuova. Per girare la scena dall’auto viene rimosso il motore, ma in questo modo si vede il cofano vuoto quando il magnete la solleva: interviene allora Cliff Culley che in post produzione aggiunge un effetto ottico di riempimento – si tratta di semplici linee nere ma non è semplice applicarle correttamente ad una immagine in movimento. Anche senza il motore il cubo pressato rimane comunque pesantissimo: ne viene tagliato via un pezzo, ma nonostante questo è possibile vedere che gli pneumatici dell’auto che si allontana dalla discarica affondano nel terreno. La scena della demolizione viene girata a Miami con una controfigura di Oddjob per i campi lunghi perché all’epoca gli sfasciacarrozze non erano ancora diffusi in Inghilterra, infatti il trovarobe Ron Quelch ha molte difficoltà a trovare un cubo di lamiera uguale a quello usato per le riprese in America. Riesce a reperirne uno in una discarica dotata di pressa giusto la sera prima che venga girata la scena dell’arrivo di Oddjob nel ranch di Goldfinger, ricostruito a Pinewood.

“Aveva detto di avere un impegno pressante…”

Nel frattempo Pussy ha catturato il fuggitivo Bond e lo riconduce al cospetto di Goldfinger, che ne approfitta per spiegare al suo nemico la seconda parte del suo piano diabolico, convinto del fatto che non possa in alcun modo mettergli i bastoni tra le ruote. Questa scena ha richiesto molti studi e molte stesure: gli sceneggiatori Richard Maibaum e Paul Dehn in questo caso non possono fare riferimento al romanzo, in cui Goldfinger arriva all’ingresso di Fort Knox ma viene subito arrestato. Occorre dunque inventare da zero il piano del cattivo: far detonare un ordigno nucleare all’interno di Fort Knox per rendere l’intera riserva aurea degli Stati Uniti radioattiva per una cinquantina d’anni. La sincera ammirazione di 007 per l’idea la rende credibile anche per noi spettatori. Nel frattempo Goldfinger è stato informato che fuori dai suoi cancelli ci sono due uomini che stanno curiosando. Si tratta di Felix Leiter e di un altro agente, pronti a intervenire nel caso ritengano che 007 sia in pericolo. Per non correre rischi Goldfinger decide che il suo “ospite” deve apparire il più possibile a suo agio e suggerisce a Miss Galore di indossare abiti “più adatti”. Quando Felix vede James infilarsi dentro una stalla con un Pussy vestita in modo succinto si convince che tutto stia filando liscio. In effetti Bond sta cercando di utilizzare il suo fascino per portare Pussy dalla sua parte, anche se lei gli ha già detto chiaramente di essere immune. La resistenza della donna alle avances di 007 si trasforma in un combattimento corpo a corpo in cui Pussy inizialmente riesce con delle mosse di judo a tenere testa a Bond, ma infine soccombe fatalmente al suo fascino e si lascia sedurre: nessuna donna è immune al fascino di James Bond.

Honor Blackman, quando viene scelta per interpretare la più celebre delle Bond girls, è già famosa come Catherine Gale, la protagonista della serie tv Avengers, che curiosamente diventerà un film nel 1998 con Sean Connery nei panni del supercattivo Sir August de Wynter. In quella serie Honor, che conosceva sia il judo che la boxe, si era abituata a girare le scene di combattimento sul cemento: trovare il set del fienile ricoperto di morbida paglia è per lei una gran bella sorpresa. La sceneggiatura viene arricchita di scene in cui Honor può mostrare la sua abilità nei combattimenti. Fotografi e giornalisti sono presenti quando viene girata la scena della lotta nel fienile, oltre naturalmente agli stuntman degli attori. Quando vediamo Pussy, lanciata da Bond, atterrare nella paglia, in realtà sono stati Bob Simmons e George Leech a farle fare il volo; grazie al sapiente montaggio di Peter Hunt non si vede che lo stuntman Simmons è di 12 centimetri più basso di Sean Connery. 

Ralph Fiennes, Uma Thurman e Sean Connery in “The Avengers”

Dopo questa parentesi bucolica giunge il grande momento: l’operazione Grande Slam è iniziata. Naturalmente non è possibile girare a Fort Knox, zona presidiata dal personale militare, perciò il deposito, dopo essere stato osservato (e di nascosto anche fotografato) da Guy Hamilton e Ted Moore viene ricostruito negli studi Pinewood. Le scene in cui il gas addormenta i soldati invece sono girate davvero nella base militare adiacente a Fort Knox, grazie all’amicizia di Broccoli con il colonnello della base Charles Rosshon (citato nei titoli di coda come consulente tecnico) che non solo permette a Hamilton di utilizzare la base come set ma gli mette a disposizione un intero plotone, corredato di sergente, che girano in varie postazioni la scena dello svenimento in cambio di 10 dollari e una birra.

Le cose cambiano quando arriva il momento di costruire gli interni di Fort Knox, che nessuno ha mai visto: nemmeno al presidente degli Stati Uniti è permesso entrare nel deposito. Questo però permette a Ken Adam si liberare tutta la sua creatività a realizzare la “cattedrale d’oro” desiderata da Broccoli. Il risultato è uno dei set più alti e grandiosi mai realizzati per un film, tanto d’effetto che dopo l’uscita del film arrivano più di trecento lettere di fan che chiedono come sia stato possibile ottenere il permesso di girare all’interno di Fort Knox, oltre ad una lettera del responsabile di Fort Knox che si congratula con lo scenografo per la fantasia. Vengono di nuovo chiamati gli stuntman: quando Oddjob lancia Kisch, il braccio destro di Goldfinger (interpretato da Michael Mellinger), dalla balaustra, in realtà è Bob Simmons a cadere per una decina di metri (rischiando anche di urtare la telecamera). Durante la scena del combattimento tra Bond e Oddjob Sakata si ustiona gravemente le mani ma continua comunque la scena perché il regista non ha dato lo stop. Dimostra meno stoicismo Sean Connery, che nel fuoristrada è ammanettato a Sakata e teme che, se le manette gli feriscono il polso, non sarà più in grado di giocare a golf… Nello scontro finale con Oddjob, che sembra invincibile, Bond non può che contare sul suo ingegno, non avendo nè congegni né armi a sua disposizione: anche lanciargli contro dei lingotti d’oro massiccio non sortisce alcun effetto.

Ken Adam progetta la finta bomba atomica riempiendola, su richiesta del regista, di pulsanti, rotelle, fili e manopole colorati, che in una vera bomba naturalmente non ci sono. Appena prima di girare Saltzman propone un’ultima modifica: che il conto alla rovescia della bomba, anziché arrestarsi su “003” come da sceneggiatura, si fermi invece a “007”.

James Bond ha salvato il mondo e sale su un aereo privato per raggiungere il Presidente degli Stati Uniti, che desidera ringraziarlo di persona. Ma invece di un’avvenente hostess si ritrova davanti Goldfinger in persona, che è riuscito a fuggire dopo il tentato colpo a Fort Knox e ora lo minaccia con una pistola. A questo punto lo spettatore sa, perché Bondo lo ha già spiegato a Pussy durante il loro primo incontro, che non è consigliabile sparare a bordo di un aeroplano: Guy Hamilton infatti sostiene che allo spettatore debbano essere forniti in anticipo tutti gli elementi per poter comprendere, un po’ alla volta, gli avvenimenti cui assiste. Durante la lotta con Goldfinger infatti parte un colpo che colpisce il finestrino. Nel girare questa scena Peter Hunt, cui Hamilton affida la regia delle scene che non gli interessano (come anche quella della morte di Tilly, la decapitazione della statua o le acrobazie aeree) si trova in difficoltà perché i frammenti di vetro ricadono sempre verso l’interno dell’abitacolo. Viene dunque realizzato successivamente un inserto in cui il finestrino, colpito questa volta da un più efficace fucile a canne mozze, si rompe nel modo corretto, con tutti i pezzi di vetro proiettati verso l’esterno a dare l’idea del risucchio. Gert Frobe gira la scena steso su un carrello che viene trascinato nell’abitacolo, dopodiché viene sostituito da un manichino assicurato con un cavo che al momento opportuno viene semplicemente tirato fuori attraverso il finestrino. Bond e Pussy, che pilotava l’aereo, si salvano gettandosi con il paracadute e li ritroviamo mentre non hanno alcuna fretta di farsi salvare.

Nessuno è perfetto, nemmeno James Bond! Nella scena finale del film infatti sono presenti ben due bloopers. Il primo errore è lo scambio tra due scene in cui si vedono i piloti dell’aereo presidenziale legati e imbavagliati, che sono dapprima mostrati nell’atto di agitarsi e divincolarsi e in seguito mentre sono privi di conoscenza. Il secondo riguarda lo scagnozzo che si intravede sull’aereo alle spalle di Goldfinger e che non solo non prende parte alla lotta con 007 ma non viene nemmeno risucchiato all’esterno come tutto il resto; lo ritroviamo in seguito, inspiegabilmente morto ai piedi di Bond. Ancora una volta, dopo decine di visioni ammetto di non aver mai notato nessuna di queste due sviste, segno che Guy Hamilton e tutti i suoi collaboratori hanno fatto un lavoro davvero eccellente. Basti pensare al fatto che Goldfinger è entrato nel Guinness dei Primati come film dagli incassi più rapidi di tutti i tempi: il suo costo di tre milioni di dollari viene infatti recuperato in sole due settimane!

Il successo planetario di Goldfinger è dovuto ad una formula che nessuno è più riuscito a replicare perché si fonda sul principio dello scardinamento di tutte le regole preesistenti dei film d’azione e di spionaggio: il protagonista riesce nelle fasi iniziali a battere il cattivo per ben due volte, ma si ritrova poi per un intervallo molto lungo ad essere un prigioniero, spettatore passivo e impotente degli eventi impossibilitato ad agire; lo scontro finale vede il protagonista lottare non con un avversario ma con una macchina (la bomba atomica); non viene mostrata la conversione di Pussy, che dopo aver “ascoltato le ragioni” di 007 decide subito di tradire Goldfinger e di aiutare Bond a sventare il suo piano, sostituendo il gas letale con una sostanza innocua e avvertendo la CIA dell’imminente assalto a Fort Knox. Broccoli e Saltzman, partendo dai romanzi di Fleming e con la complicità di Sean Connery, Terence Young e Guy Hamilton (oltre a tutti gli altri membri del cast e della troupe) hanno creato non soltanto un personaggio, ma un vero e proprio genere cinematografico di cui hanno prima inventato poi scardinato le regole allo scopo di intrattenere, divertire e stupire lo spettatore. 

Purtroppo Ian Fleming, che anche questa volta aveva visitato i set del film, si spegne un mese prima della première di Goldfinger, che si svolge al cinema Odeon di Londra il 17 agosto 1964. Per l’occasione Honor Blackman indossa un gioiello davvero unico: un dito d’oro che riveste il suo mignolo sinistro; poiché il gingillo ha un valore di circa 10.000 dollari, arriva all’Odeon accompagnata da due guardie del corpo. In strada si è radunata una folla di più di 5000 persone che spingono e scalpitano tanto da rompere la vetrata del cinema. Sean Connery non è presente, ma si farà perdonare attraversando con l’Aston Martin DB5 di Bond gli Champs Elysées in occasione della première di Parigi l’anno successivo: l’attore viene assalito dalla folla, una donna riesce addirittura ad intrufolarsi nell’auto. E la polizia parigina sembra più interessata all’automobile che a contenere la folla…

Sembra ancora impossibile pensare che oggi Sean Connery, attore così versatile, affascinante, carismatico e spiritoso, non sia più con noi. Per fortuna ha lasciato ai suoi fan tantissimi splendidi film per continuare a godere del suo grande talento. Per gli appassionati di Sean Connery e di 007 l’appuntamento è sempre qui, su cine-muffin, dove la prossima volta parleremo di Thunderball – Operazione Tuono. Non mancate!