Road House

Titolo originale: Road House

Anno: 2024

Regia: Doug Liman

Interpreti: Jake Gyllenhaal, Conor McGregor, Billy Magnussen

Dove trovarlo: Prime Video

Dalton (Jake Gyllenhaal) è un ex pugile senza lavoro, affetti né ambizioni, che vive alla giornata con combattimenti clandestini e non sembra avere uno scopo nella vita. Questo fino a quando Frankie (Jessica Williams) non gli propone di lavorare per lei come buttafuori nel suo locale, Road House. Dalton, che inizialmente non sembra interessato, decide invece di accettare la sua proposta, senza sapere che il figlio di un boss locale (Billy Magnussen) ha deciso di mettere le mani ad ogni costo su Road House.

Un giorno forse gli psicanalisti studieranno questa particolare forma di psicopatologia: quando mi trovo a scegliere un film in piena libertà, inevitabilmente ne trovo uno con Jake Gyllenhaal. Non posso proprio farne a meno! In alcuni casi mi va molto bene; in altri è un completo disastro o una tremenda sofferenza; altre volte è una vera sorpresa; oppure un trauma indelebile. Nonostante questo persisto nella mia idiosincrasia. Questa volta, però, devo dire che mi è andata davvero bene!

Non ho visto l’originale Il Duro del Road House, film del 1989 con Patrick Swayze come protagonista, perciò non sono in grado di fare paragoni tra i due film. Mi limito quindi a parlare di questo Road House appena uscito su Prime Video, la cui trama è semplice, anzi direi quasi archetipica, tanto che il film la condivide con, per fare alcuni esempi di film di diverso genere ma con la stessa storia di base, Altrimenti ci Arrabbiamo o Herbie il Maggiolino sempre più Matto. Per questo ho apprezzato molto la scelta del tono ironico, che rende il film molto gradevole e scorrevole, e che non avrei mai associato a un regista come Doug Liman (The Bourne Identity, Edge of Tomorrow). Già dal fatto che Dalton si trovi a fare in buttafuori in un roadhouse (un locale tipico degli USA) che si chiama Road House e dorma in una barca di nome “Barca” (“Boat”) ci fa capire che ci troviamo in una specie di fiaba, in cui nulla di veramente brutto può accadere. L’atmosfera disneyana poi mi si è palesata ancora di più nella scena in cui il villain di turno (Billy Magnussen, che non a caso era il Principe Azzurro del musical Into the Woods) si fa sbarbare da uno scagnozzo sul ponte della sua nave – e le somiglianze con Peter Pan non si fermano qui ma non voglio rovinare una delle scene più divertenti del film.

Un’altra cosa che mitiga il realismo di questo film è il modo di mostrare i combattimenti: ogni volta che due persone si colpiscono, la scena è ritoccata in CGI, dando l’effetto di trovarsi in un videogioco. E questo nonostante Jake Gyllenhaal si sia sottoposto a un allenamento durato più di un anno per poter sfoggiare i muscoli che vediamo nel film, come ci racconta lo special di Men’s Health disponibile su Youtube (ringrazio di cuore Lucius Etruscus del Zinefilo per questo suggerimento!), e nonostante il suo principale avversario sia Conor McGregor, campione di MMA e pugile professionista. In ogni caso, preferendo di gran lunga l’ironia e la bonarietà (Dalton viene soprannominato dai cattivoni “Smile Man” perchè, in effetti, sorride sempre) alla violenza gratuita e autocompiaciuta, io ho molto apprezzato il film, che di certo non inventa nulla ma si fa guardare volentieri e lascia soddisfatti dopo la visione.

Voto: 3 Muffin

Animali Notturni

Titolo originale: Nocturnal Animals

Anno: 2016

Regia: Tom Ford

Interpreti: Amy Adams, Jake Gyllenhaal, Michael Shannon, Michael Sheen, Aaron Taylor-Johnson, Isla Fisher, Armie Hammer, Laura Linney

Dove trovarlo: Prime Video

Apparentemente, Susan (Amy Adams) ha tutto: marito affascinante, casa da sogno, abiti mozzafiato e un lavoro prestigioso come organizzatrice di mostre ed eventi d’arte. Ma tutto questo non è che apparenza: Susan sa che il marito la tradisce e ritiene che la cosiddetta “arte contemporanea” di cui si occupa e si circonda sia in realtà “spazzatura”. Un giorno Susan riceve un manoscritto, intitolato Animali Notturni: è un romanzo scritto dal suo primo marito, Edward (Jake Gyllenhaal), e dedicato a lei. Susan si immerge nella lettura e presto ne viene travolta…

Sono passate settimane da quando ho visto Nocturnal Animals; non riuscivo a decifrare i miei sentimenti riguardo al film, che da una parte mi ha conquistata, dall’altra mi ha contrariata. Ho perfino fatto un sogno, in cui Amy Adams e Jake Gyllenhaal in persona davano una lettura dei loro personaggi: “In questo film noi siamo bellissimi, ma abbiamo anche tanti, tanti, tanti problemi”. Ora, magari non è deontologicamente consigliabile fare una recensione sulla base di un sogno, ma credo che un qualcosa di vero in questo sogno bizzarro ci fosse. Credo che il concetto di Bellezza abbia un ruolo fondamentale nel film: la bellezza non è dove immaginiamo che sia (non, ad esempio, nei corpi umani, come è già molto chiaro dai titoli di testa e come vedremo ripetutamente nel corso del film) e quando c’è in ogni caso non è altro che un involucro che racchiude disperazione e rimpianto. Il personaggio di Susan, interpretato benissimo da Amy Adams, incarna questa scissione tra bellezza e felicità: lei è sempre perfettamente vestita (non a caso il regista, Tom Ford, qui anche sceneggiatore, è stato un designer di alta moda), truccata e pettinata, e la sua casa è da copertina di rivista… Eppure la felicità non le appartiene. Perchè? Diversi flashback ci fanno capire che nel suo passato c’è stato un grande amore, quello con Edward (un Jake Gyllenhaal sempre all’altezza), che però è finito per sua scelta; e non passa giorno in cui Susan non si domandi se quella sia stata la scelta giusta. Ma Edward non rappresenta solo l’amore perduto, ma anche l’occasione persa di realizzarsi come artista a causa della paura di fallire. Un’altra parola chiave del film infatti è questa: Paura. Susan ha avuto troppa paura per cercare di inseguire i suoi sogni e di portare avanti il suo primo matrimonio. Non ha avuto il coraggio, e ora è condannata all’infelicità. Non ci sono seconde possibilità, per nessuno. Questo lo capiamo dal manoscritto di Edward, che Susan divora avidamente, notte dopo notte, in cerca di risposte: perchè l’ex marito, che non ha visto o sentito per anni, le ha inviato e dedicato il suo libro? Forse l’ha perdonata? Forse le vuole inviare un messaggio? Per scoprirlo non resta che leggere. E la parte in cui viene messo in scena il romanzo di Edward, Nocturnal Animals (altro riferimento a Susan, che fin da giovane non dorme mai e viene soprannominata “animale notturno” è la più coinvolgente di tutto il film, per quanto dura e cruda sia. Il protagonista del romanzo, Toby, è interpretato dallo stesso Gyllenhaal, quindi è facile intuire che si tratti di un alter ego dell’autore Edward. Ed ecco che si affaccia la cosa che più mi ha disturbato in tutto il film (oltre ai titoli di testa, che mi avevano quasi dissuaso dal vedere il film, lo dico come avvertimento): la sua didascalicità. Ecco un esempio: come mai Edward ha mandato il manoscritto all’ex moglie?

Risposta:

Ecco cosa intendevo: messaggi velati, appena accennati, rivolti dal regista allo spettatore, che però probabilmente non è in cerca di massime pessimiste sull’esistenza (come dicevo, non esistono seconde possibilità per nessuno) ma soltanto di un bel film, anche se per niente allegro. I primi venti minuti del film consistono in una sfilata di personaggi minori, che servono solo a permettere a Susan di raccontare la sua infelicità; di fatto, il film inizia solamente con il romanzo, che ne costituisce il cuore pulsante. Toby, il protagonista del romanzo, è stato debole, e ne paga tutte le più tremende conseguenze: la Debolezza infatti è un altro tema reiterato, perchè tutti coloro che sono deboli, cioè non hanno il coraggio di perseguire il proprio sogno, sono condannati all’infelicità senza via di scampo. 

In conclusione, sebbene il film sia volutamente respingente verso lo spettatore fin dai titoli di testa, ho amato molto la messa in scena del romanzo e l’intreccio speculare distorto tra finzione e vita reale. Ho amato anche le performance degli attori (oltre ai due ottimi protagonisti bisogna citare lo sceriffo Michael Shannon). Quello che non ho amato è stata la poca fiducia del regista nelle doti intellettive dello spettatore, che lo ha portato a reiterare allo sfinimento immagini e parole per far passare il suo messaggio. In secondo luogo, non ho amato il suo messaggio, o meglio la necessità di veicolarne uno a tutti i costi e con tanta insistenza.

Non mi sento di sconsigliare il film, ma ritengo che non sia una visione per tutti, e di certo non lo guarderei una seconda volta. Tuttavia lo ricordo ancora molto bene a distanza di settimane, quindi il film, nel bene o nel male, si fa ricordare.

Voto: 2 Muffin

The Covenant

Titolo originale: The Covenant

Anno: 2023

Regia: Guy Ritchie

Interpreti: Jake Gyllenhaal, Dar Salim

Dove trovarlo: Prime Video

2018, Afghanistan: il Sergente John Kinley (Jake Gyllenhaal) è a capo di una piccola squadra addetta alla ricerca di armi ed esplosivi collegati ai Talebani; sono operazioni delicate, rischiose e non debitamente supportate. Quando l’interpreto del team rimane ucciso viene scelto, per sostituirlo, un uomo del posto, Ahmed (Dar Salim), che si rivela da subito ottimo conoscitore del territorio e delle sue dinamiche ma anche incline alla disobbedienza, motivo per cui entra spesso in conflitto con il Sergente Kinley. Durante un raid in una fabbrica di esplosivi dei Talebani, vengono uccisi tutti gli altri membri della squadra, Kinley e Ahmed devono necessariamente collaborare per salvarsi la vita; quando il Sergente rimane gravemente ferito, Ahmed si incarica di portarlo in salvo, anche se questo comporta una lunga traversata del deserto con il ferito da trasportare e i Talebani alle calcagna.

Molti grandi registi, nella storia del cinema, sebbene resi celebri da un genere cinematografico particolare, hanno spesso dimostrato di poter realizzare dei capolavori anche al di fuori di essi: penso al maestro del brivido Alfred Hitchcock che gira la commedia nera esilarante La Congiura degli Innocenti (The Trouble with Harry è il ben più azzeccato titolo originale), o al genio della commedia Billy Wilder che crea un capolavoro drammatico come L’Asso nella Manica (Ace in the Hole). 

Poiché io amo moltissimo il regista Guy Ritchie per le sue famose commedie d’azione, adrenaliniche e spassose (Lock and Stock e The Man from U.N.C.L.E. i miei preferiti, ma non disdegno affatto la sua versione di Sherlock Holmes), mi sono approcciata con grandi aspettative al suo ultimo lavoro The Covenant, sapendo che si trattava di un film di guerra, molto lontano dalla sua comfort zone. E non sono assolutamente rimasta delusa, anzi, mi sono trovata a vedere un film stupendo, coinvolgente, ben fatto sotto ogni punto di vista, in cui sono presenti moltissimi stilemi tecnici tipici di Ritchie ma declinati con perizia nella sobrietà che il genere richiede.

Fin dalla scena di apertura, accompagnata da una delle mie canzoni preferite, A Horse with No Name, emergono tutte le grandi abilità tecniche del regista, che ci offre per tutto il tempo inquadratura bellissime (pregevolissima la fotografia di Ed Wild, collaboratore abituale del regista) e ci immerge fin da subito in un ambiente ben diverso dal deserto afgano cui il cinema di guerra ci ha abituati (richiamato anche dalla canzone degli America): un paesaggio variegato, pieno di colori e di sfumature incantevoli, che però nascondono terribili insidie e pericoli, come appare chiaro fin da subito.

Al momento della presentazione dei personaggi principali Ritchie utilizza, come suo solito, le didascalie con i loro nomi e soprannomi, come verrà fatto altre volte nel corso del film per spiegare allo spettatore cosa indichino alcuni acronimi o termini del gergo militare: questo espediente permette di alleggerire i dialoghi (Guy Ritchie è anche sceneggiatore del film) e di velocizzare la partenza della storia.

Con i consolidati virtuosismi dell’inquadratura, Ritchie riesce a mostrarci allo stesso tempo le due parti del controcampo con il volto del Sergente Kinley riflesso nello specchietto retrovisore: qui inizia la grande prova d’attore di Jake Gyllenhaal, che in questo film offre una recitazione dimessa, sincera e convincente in un ruolo fondamentale e molto complesso.

Era davvero molto tempo che non seguivo un film con tanto coinvolgimento e tanto interesse, e questo grazie all’enorme bravura degli interpreti (Jake Gyllenhaal su tutti ma anche l’ottimo Dar Salim, nel ruolo altrettanto complesso dell’interprete afgano, di cui i soldati USA diffidano e che i talebani hanno marchiato come traditore della patria). Il film procede equilibrato, senza strappi né esagerazioni patetiche: il coinvolgimento è dato dalla costruzione di personaggi profondi, completi e realistici, le cui azioni, emozioni e reazioni ci catturano fin da subito e per la cui sorte ci si appassiona e a tratti ci si commuove, senza che vengano mai usati gli stratagemmi tipici dei film mainstream americani (musica struggente, lacrime, dialoghi stucchevoli…).

Il grande merito di Guy Ritchie secondo me consiste nell’aver raccontato una storia (ben più interessante e sorprendente di quanto qualunque sinossi possa far intendere) che è allo stesso tempo universale e geograficamente e storicamente collocata: questa vicenda ai limiti dell’incredibile poteva benissimo accadere nella Chicago dei gangster, su un pianeta controllato dagli alieni o nel Far West: al centro, come di dice il titolo, c’è “il patto”, “l’accordo”, quel legame non ratificato e impossibile da spiegare che spinge un essere umano e sacrificarsi, contro ogni logica, per salvarne un altro. E se il “patto” più evidente è quello che lega i due protagonisti, nel film ci sono molti altri personaggi che mostrano, a volte in modo inaspettato, di possedere in loro una parte di quello stesso spirito disinteressato di sacrificio: molti soldati, alcuni incontri casuali, ma soprattutto le mogli dei protagonisti, meno presenti in scena ma non per questo meno determinanti e determinate.

La scelta di questo titolo quindi mi porta a pensare che The Covenant, oltre che l’affascinante e crudo racconto di un’amara realtà sconosciuta ai più, sia anche un sincero elogio della natura umana nella sua declinazione migliore.

Consiglio questo film a tutti coloro che amano Guy Ritchie, ma anche a tutti coloro che non lo amano, perché in The Covenant si trova tutto il meglio del regista spoglio di quel compiacimento un po’ ripetitivo che caratterizza i suoi ultimi film (come ad esempio The Gentlemen).

Voto: 4 muffin

Enemy

Anno: 2013

Regia: Denis Villeneuve

Interpreti: Jake Gyllenhaal, Mélanie Laurent, Sarah Gadon, Isabella Rossellini

Dove trovarlo: Amazon Prime Video

Adam Bell (Jake Gyllenhaal) è un professore universitario dalla vita monotona e noiosa. Nemmeno la stanca relazione con la bella Helen (Mélanie Laurent) sembra rendere interessante la vita, fino a che Adam, seguendo il consiglio di un collega insegnante, noleggia un film in cui recita un attore in tutto e per tutto identico a lui. Incuriosito Adam inizia a indagare su di lui, scoprendo che si chiama Daniel St. Claire (in arte Anthony Claire). Adam, ormai ossessionato, inizia a spiare Daniel, fino a che non decide di chiamarlo e chiedergli un incontro. Daniel inizialmente rifiuta ma poi accetta di incontrare Adam; Daniel rimane a sua volta sbalordito dalla somiglianza fisica (anche le voci sono identiche) e propone subito uno scambio di identità: per una giornata Adam e Daniel si scambieranno gli abiti, l’appartamento e anche le donne…

Lo ammetto: ho scelto questo film, nel vasto catalogo Prime Video, attirata dall’idea di un doppio Jake Gyllenhaal. E la mia ingordigia è stata punita…

Enemy, tratto dal romanzo L’Uomo Duplicato di Josè Saramago, è un film con un’ottima idea di partenza (anche se non proprio originalissima, basti pensare a Il Principe e il Povero e a tutti gli altri libri e film basati sullo scambio di identità tra persone fisicamente identiche, da La Maschera di Ferro a Un Cowboy col Velo da Sposa) che non sa sfruttare, sporcando la connotazione thriller, ben riuscita, con una deriva onirico-psicologica che fa sorridere.

Il regista Denis Villeneuve, salito ora alla ribalta con il kolossal Dune, ambienta il suo film in una Toronto verdognola e giallastra per dare l’idea della vita insipida e scialba condotta dal professore Adam, che trova invece desiderabile quella del suo doppio, l’attore di cinema. A ben guardare però nemmeno Daniel è così appagato della sua vita, infatti tradisce in continuazione la moglie e non esita nemmeno un’istante quando gli si prospetta l’opportunità di farlo nuovamente, questa volta con la donna del suo alter-ego. Considerando solo l’anima thriller, il film sarebbe ben fatto nel costruire la tensione; purtroppo le derive simbolico-oniriche la spezzano, e il finale aperto con ragno gigante lascia lo spettatore con un sorriso beffardo più che con il senso di inquietudine che forse era l’obiettivo del regista.

La metafora della donna-ragno è banale, l’espediente narrativo del sogno lo è anche di più, e in congiunzione con il tema del Doppelganger rende tutto il film stantio quanto pretenzioso.

Se poi si pensa che Jake Gyllenhaal è stato il villain dell’ultimo film di Spiderman, lo sberleffo è assicurato: per chi vuole apprezzare le doti attoriali di Gyllenhaal consiglio piuttosto Zodiac, Jarhead o il classico Brokeback Mountain; per chi invece vuole gustarsi il suo bell’aspetto, allora consiglio di cuore Prince of Persia, tratto dal celebre videogioco. 

Isabella Rossellini compare, per una manciata di secondi, nel ruolo della madre di Adam.

Voto: 1 Muffin

Per chi non ha capito bene il film, Villeneuve lo spiega alla lavagna

I Fratelli Sisters

Titolo originale: Les Frères Sisters

Anno: 2018

Regia: Jacques Audiard

Interpreti: John C. Reilly, Joachin Phoenix, Jake Gyllenhaal, Riz Ahmed, Rutger Hauer

Dove trovarlo: Amazon Prime

I fratelli Eli (John C. Reilly) e Charlie (Joachin Phoenix) Sisters sono tra i più abili e famigerati cacciatori di taglie tra quelli al soldo del potente Commodoro (Rutger Hauer), che questa volta ha deciso di inviarli sulle tracce di un cercatore d’oro, Herman Kermitt Warm (Riz Ahmed). Il Commodoro ha anche mandato in avanscoperta un segugio, John Morris (Jake Gyllenhaal), il migliore nello scovare i fuggitivi ma molto meno abile con le armi da fuoco, per localizzare Herman. Ma inaspettatamente Herman convince John ad unirsi a lui nella sua ricerca della ricchezza: i fratelli Sisters dovranno quindi rintracciarli ed occuparsi di entrambi. Almeno in teoria…

Tratto dal romanzo del 2011 di Patrick DeWitt Arrivano i Sister, I Fratelli Sisters (“sisters” in inglese significa “sorelle”) è il primo film girato in lingua inglese dal regista francese Jacques Audiard, autore anche della sceneggiatura, che dirige un cast eccezionale in un’interpretazione del Vecchio West che attraversa tutti i toni, dal classico al divertito al tragico, spiazzando lo spettatore per la transizione inaspettata dalla canonica caccia all’uomo alla composizione del delizioso quartetto di personaggi in una situazione quasi bucolica per poi virare verso un’inedita caccia all’oro che ricorda le dinamiche del Tesoro della Sierra Madre di John Huston con Humphrey Bogart, almeno fino all’inatteso epilogo.

La visione, che trascina lo spettatore in un’altalena di umori ed emozioni, non è adatta a tutti, in quanto la violenza e le situazioni forti sono presenti; non è adatto nemmeno a chi ama il western classico e non gradisce le variazioni sul tema, perché qui i cowboy con le pistole non sono che uno spunto per riflettere su alcuni temi: famiglia, cupidigia, percezione di se stessi, convivere con il passato. Encomiabili tutti e due gli attori protagonisti e anche i due comprimari, che si caricano sulle spalle con consapevolezza questo fardello culturale ed emotivo restituendoci dei personaggi insoliti, anche attraverso dei dialoghi ben scritti ma che spesso paiono troppo forzati, troppo didascalici e poco realistici. Da segnalare anche una colonna sonora non riuscita, a tratti troppo invadente e non pervenuta invece nei complicati dislivelli emotivi, in cui sarebbe stata necessaria la sua guida (lo stesso che succedeva in Midnight Sky, sempre con colonna sonora di Alexandre Desplat). Rutger Hauer appare in un bizzarro cameo.

Voto: 3 Muffin

Disney Plus Unexpected

Quando qualcuno dice “Disney” noi tutti pensiamo subito ai classici cartoni animati della nostra infanzia: pensiamo a Topolino, alle principesse, agli animaletti canterini e, in tempi più recenti, anche ai cavalieri Jedi e ai supereroi dei fumetti. E naturalmente su Disney Plus si possono trovare tutte queste cose, ma c’è anche molto di più, e se ci si prende un po’ di tempo per spulciare bene nel catalogo è possibile trovare moltissime cose interessanti, alcune non prettamente per bambini (infatti non sono accessibili agli account dei minorenni, provare per credere), tutte interessanti e divertenti, per fare un tuffo nei ricordi d’infanzia sopiti o per scoprire qualcosa di nuovo. Per ora ho deciso di sceglierne sette, giusto come assaggio, ma ce ne sono molte ma molte di più!

  1. Destino

Tutti noi sappiamo cosa succede quando Salvador Dalì incontra Hitchcock (il capolavoro con Ingrid Bergman e Gregory Peck Io Ti Salverò, in originale Spellbound), ma cosa accade invece quando Salvador Dalì incontra Walt Disney? Risposta: Destino! Questo cortometraggio animato di sei minuti nasce proprio da questa incredibile collaborazione nel 1945, ma la lavorazione venne interrotta a causa delle difficoltà economiche che lo studio stava attraversando. Venne però portato a termine nel 2003 sotto la supervisione di Roy Disney, nipote di Walt. Destino racconta la storia d’amore tra una donna bellissima e Chronos, la divinità del Tempo, utilizzando l’iconografia e le suggestioni visive tipiche di Salvador Dalì. Imperdibile.

  1. Prince of Persia: Le Sabbie del Tempo

Di sicuro non sono l’unica che da piccola ha passato molte e molte ore con il videogioco Prince of Persia su floppy disk, tentando di salvare la bella principessa dal malvagio visir con appena sessanta minuti di tempo a disposizione. Personalmente, per quanto ci abbia provato, non sono mai riuscita ad andare oltre il settimo livello, e non sono mai riuscita a salvare la bella principessa. Per fortuna però nel 2010 è arrivato il muscoloso Jake Gyllenhaal a dare un volto al principe del videogioco e salvare non solo la splendida principessa (Gemma Arterton) ma il mondo intero, messo in pericolo dal piano del malvagio zio (Ben Kingsley) per dominare il mondo grazie alle magiche sabbie che permettono di manipolare il flusso del tempo. Non sempre i film di questo genere sono belli quanto i videogiochi da cui sono tratti (la delusione per il cartone basato su Ni No Kuni è ancora cocente) ma in questo caso invece troviamo un film avventuroso, divertente e ben fatto. Consigliato, non solo per i fan di vecchia data.

  1. Il Mondo secondo Jeff Goldblum

La prima puntata di questa serie (che parlava del gelato) è stata, del tutto inaspettatamente, la prima cosa in assoluto che ho visto su Disney Plus. Ora la serie si è conclusa e l’ho seguita per intero trovando piacevole e divertente la visione di ciascun episodio, anche se naturalmente non tutti gli argomenti mi hanno coinvolto nello stesso modo. La puntata che mi ha più emozionato è stata la numero 6, quella sul gaming, in cui Jeff Goldblum ha preso parte ad un evento LARP (gioco di ruolo dal vivo) simile a quelli cui io stessa ho partecipato per molti anni. Non si sa ancora se ci sarà una seconda stagione di Il Mondo secondo Jeff Goldblum, ma se ci sarà la seguirò di certo, perchè la voce suadente e il gesticolare lento di Jeff ormai mi hanno conquistata.

  1. Punto di Non Ritorno

Il titolo originale di questo documentario di Fisher Stevens, Before the Flood, deriva dal trittico del pittore olandese Hieronymus Bosch Il Giardino delle Delizie, in cui il regista ravvisa la storia del pianeta Terra a partire dalla comparsa dell’uomo: un giardino lussureggiante all’inizio, come mostra la prima tavola; un luogo caotico, maltrattato e sovraffollato, come mostra il secondo pannello (ovvero la condizione in cui ci troviamo adesso) ed infine il luogo infernale che il nostro pianeta diventerà (o meglio sta già diventando) se l’uomo non riuscirà a intervenire in modo massiccio sulle emissioni inquinanti e sullo sfruttamento sconsiderato delle risorse naturali. A raccontarci questa visione lucida e per nulla rassicurante è Leonardo DiCaprio, che oltre ad essere l’attore che noi tutti conosciamo e amiamo è anche un attivista ambientale e dal  2014 messaggero di pace delle Nazioni Unite. Dopo aver ricevuto questa prestigiosa carica, DiCaprio ha viaggiato il mondo e incontrato personalità del mondo politico, industriale e scientifico (Bill Clinton, Barack Obama, Elon Musk e molti altri) per meglio rendersi conto della situazione ambientale in cui versa il nostro pianeta. Difficile non sentirsi turbati dalla visione di questo documentario, ma vedendo quanto negazionismo esista ancora nella politica e nei media statunitensi si capisce quanto si tratti di un lavoro disturbante e da non affrontare a cuor leggero ma necessario.

  1. Missione Tata

Quando penso a Vin Diesel (e lo faccio) di certo non mi viene in mente la Disney, ma piuttosto auto da corsa tamarre cariche di NOS e combattimenti a mani nude con spietate creature aliene. Invece su Disney Plus troviamo anche lui, protagonista del film per famiglie Missione Tata (in originale The Pacifier) in cui interpreta un tenente dei Navy Seal il cui nuovo incarico consiste nel prendersi cura dei cinque turbolenti figli di uno scienziato. Niente che non abbiamo già visto in Un Poliziotto alle Elementari e altre pellicole del genere, ma per i fan di Vin Diesel Missione Tata è sicuramente un film divertente e simpatico quanto basta.

  1. Sister Act

Sister Act è un classico che tutti noi abbiamo visto almeno una volta in tv, ma personalmente ad ogni nuova visione io scopro qualcosa di nuovo e mi godo una battuta che prima non avevo colto o una scena che mi ero dimenticata. Anche se lo danno in televisione molto spesso, è bello sapere che lo si può trovare comodamente su Disney Plus, insieme al non altrettanto riuscito seguito Sister Act 2 – Più Svitata che Mai, soprattutto per chi vuole godersi in lingua originale i magnifici battibecchi tra la soubrette Deloris VanCartier (Whoopi Goldberg) e la Madre Superiora del convento (Maggie Smith). Bellissime canzoni, simpatiche suore e tante risate: cosa volere di più?

  1. Mr. Magoo

Da piccola ricordo di aver fatto moltissime risate guardando i cartoni animati di Mr. Magoo, l’omino cieco e pelato che si ostinava a non portare occhiali da vista seminando disastri intorno a sé ma uscendone sempre incolume. Questo film forse non è un capolavoro, ma è comunque un divertimento adatto a tutta la famiglia, anche ai bambini più piccoli. Leslie Nielsen sembra quasi una scelta obbligata per interpretare questo personaggio simpatico e maldestro; inoltre troviamo una giovane e carinissima Jennifer Garner che fa innamorare il nipote di Magoo, mentre nei panni dei malvagi nientemeno che Malcolm McDowell e Miguel Ferrer. Imperdibile la scena in cui Mr. Magoo cambia inavvertitamente canale mentre sta seguendo un programma di cucina in televisione e inizia a far fare aerobica al pollo.

F – Ti lascio per Frank, il coniglio gigante

La mia prima relazione a lungo termine, quando avevo diciassette anni, fu con un ragazzo che abitava a circa novanta chilometri di distanza: nonostante la lontananza fisica, però, il rapporto durò più di un anno, grazie alla tecnologia, che ci permetteva di chattare e scambiarci messaggi, all’entusiasmo della gioventù, e soprattutto per il fatto che la maggior parte di quell’idillio amoroso in realtà stava accadendo all’interno della mia testa. Dopo il diploma, questo ragazzo decise di venire a vivere nella mia stessa città – specificando però molto chiaramente che la mia presenza non c’entrava per nulla con la sua scelta – e fu qui che, come si suol dire, cascò l’asino. Vedendolo più spesso (cioè un paio di sere a settimana, perché non poteva trovare altro tempo da dedicarmi) mi resi finalmente conto del fatto che io non gli interessavo poi più di tanto, e che anziché passare il tempo con me avrebbe senz’altro preferito essere con gli amici a giocare a d&d. Glielo feci educatamente notare, e lui disse che poteva essere vero e che ci avrebbe pensato un po’ su. Ne avremmo parlato più esaurientemente al nostro incontro, la domenica successiva. Iniziai a convincermi che quella relazione, nel bene o nel male, fosse finita in ogni caso, e in quel fine settimana mi dedicai intensamente alla mia passione, il cinema, e vidi due bellissimi film. Venerdì sera vidi Shrek 2, divertentissimo e pieno di citazioni gustosissime per una cinefila come me. Oggi, che i miei figli sono abituati a vedere cartoni animati pieni di riferimenti adulti (che per ora non possono cogliere) faticano a capire che rivoluzione sia stata nel 2001 quella del primo Shrek. Fino ad allora l’equazione imprescindibile era animazione = per bambini = Walt Disney. Vedere quindi questo grosso orco puzzolente che alla sua entrata in scena è nel gabinetto e si sta pulendo il sedere con le pagine di un libro di favole, beh, è stato un’epifania. Poi alla fine il film si rivela essere decisamente una favola classica, con tanto di morale ed happy ending, divertente per i bambini ma esilarante per gli adulti, che per la prima volta vedevano film come Matrix citati in un cartone animato. Il seguito non è altrettanto dirompente, ma di sicuro non delude le aspettative (come accade invece con gli altri due seguiti, decisamente non all’altezza). Sabato sera invece fu il turno di Prima ti sposo poi ti rovino dei fratelli Coen, ossia coloro che hanno sempre saputo tirare fuori il meglio di George Clooney. Forse il titolo italiano fa pensare un po’ troppo ad una classica commedia romantica, ma in realtà il film è molto di più, con un umorismo forte ma intelligente e situazioni paradossali e spassose. Vidi poi che domenica sera avrebbero proiettato Donnie Darko, che mi incuriosiva moltissimo. Quella mattina incontrai il mio ragazzo in chat, e lui mi disse che aveva riflettuto a fondo su quello che gli avevo detto e che aveva bisogno di parlarmi quella sera. Al che io gli chiesi se non ne potevamo invece discutere in quel momento, senza ulteriori attese snervanti, e così facemmo: mi disse che in effetti non sentiva più trasporto per me e che dunque era meglio interrompere la nostra relazione. Concordai e ci salutammo con cordialità, promettendoci di restare amici (non lo rividi mai più). Sollevata, chiamai immediatamente la mia amica e andammo al cinema. Fu una buona scelta, perché Donnie Darko mi colpì molto. Ancora oggi non sono sicura di averlo capito tutto, ma senza dubbio il saggio e inquietante coniglio antropomorfo Frank mi è rimasto impresso (un’eccitante variazione sul tema, per una che è cresciuta con l’Harvey di James Stewart), così come la scena in cui Frank mostra a Donnie che ogni essere umano ha già tracciato il suo destino, sotto forma di una sorta di scia multicolore che lo attraversa e si dipana tra il suo passato e il suo futuro. Ho sempre trovato molto rassicurante l’idea che il futuro sia già scritto, perciò fui soddisfatta di questa visione, nonostante le circostanze emotive particolari in cui avvenne. Tutti dicono che porre termine ed una relazione amorosa per messaggio o in chat sia una cosa riprovevole, da immaturi, irresponsabili e vigliacchi. Forse, ma quando il coniglio gigante chiama…

Okja

Titolo: Okja

Anno: 2017

Regista: Bong Joon Ho

Cast: Seo-hyun Ahn, Paul Dano, Jake Gyllenhaal, Tilda Swinton

La multinazionale Mirando crea in laboratorio alcuni esemplari di una nuova specie, il Superpig, e li affida a diversi allevatori in vari paesi del mondo che ne curino la crescita, poichè non saranno pronti per la macellazione prima di dieci anni. Ma allo scadere del tempo la giovane Mija tenterà di impedire che le portino via Okja, cui è affezionata come a un animale domestico.

Due anni prima di Parasite, che gli varrà l’Oscar come miglior film straniero (la prima statuetta in questa categoria per un film coreano), Bong Joon Ho realizza questa favola (non adatta ai bambini) che racconta di una grande amicizia, nata tra la piccola Mija, orfana di genitori, e il Superpig Okja, tanto grande quanto intelligente ed affettuosa. Questa formula universalmente efficace è il vero punto di forza del film, che dà il meglio di sé proprio nella prima parte, quando mostra la vita serena di Mija e Okja, per poi perdersi un po’ nei cambiamenti di ritmo e di tono. Le scene in cui vediamo il gruppo animalista in azione sono in stile action postmoderno, mentre quelle ambientate ai vertici della Mirando sono una farsa che però non riesce a divertire, nonostante l’impiego di attori di grande talento come Tilda Swinton (qui in un doppio ruolo) e Jake Gyllenhaal. A salvare tutto però ci sono una creatura capace di grande affetto ma non eccessivamente umanizzata e una ragazza la cui ostinazione va ben al di là di ogni utopia politica o filosofia dietetica (è stato detto che il film è un manifesto vegano, ma credo sia solo una lettura superficiale nonché un tentativo maldestro di strumentalizzazione). Da applauso la protagonista, la giovanissima Seo-hyun Ahn, troppo gigioni e sopra le righe Tilda Swinton e Jake Gyllenhaal, convincente il capo degli animalisti Paul Dano. Adeguati alla favola che raccontano, anche se non perfetti, gli effetti speciali. Menzione speciale per il personaggio del nonno mentecatto e per la sua scelta di consolare la nipote per la perdita dell’amica di una vita regalandole un maiale d’oro massiccio, subito dopo averle chiesto “Chi ti manca di più, mamma o papà?”.

Voto: 3 Muffin