Wish

Anno: 2023

Regia: Chris Buck, Fawn Veerasunthorn

Interpreti: Gaia Gozzi, Michele Riondino, Amadeus

Dove trovarlo: Disney Plus

Asha (Gaia Gozzi) vive con la sua famiglia nell’isola di Rosas, dove il sovrano, il Magnifico (Michele Riondino) ha promesso a tutti i suoi sudditi di proteggere i loro sogni perchè non potessero essere distrutti e inoltre, di quando in quando, di farne avverare uno grazie alla sua magia. Quando però Asha incontra di persona il Re, si rende conto privare le persone dei propri sogni, anche se per custodirli, è come rubare l’anima alle persone. Decide così di contrastare il Magnifico con l’aiuto dei suoi amici.

Nel nome del grande amore che da sempre mi lega a Casa Disney sono disposta a perdonare davvero molte molte cose. Ma questo film è un vero e proprio insulto all’intelligenza degli spettatori di qualunque età, e in particolar modo per quelli che, come me, sono cresciuti con i classici Disney che, dal giorno 1, hanno sempre parlato (e naturalmente cantato) riguardo ai sogni, che son desideri e si esprimono alle stelle.

Davvero io dovrei credere che, sull’isola di Rosas, nessuno, nemmeno uno degli abitanti, si sia mai fatto delle domande su quel sovrano fin troppo affascinante che si impossessava dei sogni altrui per farne il suo comodo? Nessuno si domandava in base a quali criteri i sogni venissero o meno realizzati? Nessuno si è accorto che le persone che venivano private dei propri sogni restavano abuliche, apatiche e senz’anima? Evidentemente no, visto che, a Rosas, non si fa altro che ballare, cantare (canzoni orrende) e attendere che il Magnifico realizzi i sogni di qualche fortunato, che impara così, in uno schiocco di dita, un mestiere o un’arte (dò per scontato che, fino a quel momento, quindi non ne avesse alcuno).

Perciò Rosas è un’isola di fresconi beoti giunti da ogni dove ed entusiasti di mettere la propria felicità nelle mani di un sovrano sconosciuto e di passare il resto della propria esistenza nell’attesa della sua imperscrutabile benevolenza. Tra questi però c’è Asha, una ragazza che, pur essendo frescona e beota quanto tutti gli altri, ha la fortuna di dialogare con il Magnifico, che le spiega le sue ragioni e il suo metodo, rendendola sospettosa. E meno male!

Non il minimo sospetto su quest’uomo!

Quindi cosa fa Asha, scoperta l’orribile verità sui sogni dei suoi concittadini e familiari, forse diffonde consapevolezza tra la gente? O forse si rimbocca le maniche per realizzare il suo, di sogno? Eh no: esprime il suo sogno a una stella! Star è senza dubbio il personaggio più simpatico del film, e anche lei ha un desiderio: che tutti i sogni siano liberi.

Da qui parte il grande piano per liberare i sogni senza farsi scoprire, in modo che ciascuno possa riavere il suo sogno e ritrovare lo scopo della propria esistenza.

Purtroppo però la magia di Star ha messo in guardia il Magnifico, che per difendersi da quello che pensa sia un attacco nemico (memore anche del massacro della sua famiglia vissuto in tenera età) decide di utilizzare la magia proibita, che lo corrompe irreversibilmente e lo rende potentissimo ma malvagio. 

Però, ancora, le cose non quadrano: come mai il Magnifico aveva pronto un laboratorio segreto, già pieno di pozioni e alambicchi vari e con tanto di autentica mela avvelenata in stile Biancaneve? Ci faceva la grappa? Permettetemi di dubitarne…

Ma, al di là della grossolanità della sceneggiatura, non riesco a comprendere come mai, in quest’epoca in cui in genere dopo lo scontro finale gli eroi e i villain vanno insieme a mangiarsi un hamburger, il Magnifico, che aveva un grosso trauma nel suo passato e che aveva, in fondo, qualche buona ragione, debba invece essere unilateralmente condannato (imprigionato per sempre in un frammento di artefatto, a sua volta nascosto nei sotterranei… mi sembra crudele!).

Infatti nessuno può negare che, ad avere un sogno, si diventa vulnerabili, perché questo può esserci strappato, o semplicemente perché non riusciamo a realizzarlo, quindi il suo desiderio di proteggere i sogni dei sudditi non era così assurdo. Se loro si fossero resi prima conto delle cose della vita e glielo avessero fatto notare, di certo non si sarebbe arrivati a un finale simile.

Oh no, un’idea originale: scappiamo!

E Asha, la bellissima e coraggiosa Asha, cosa fa? Il suo sogno, ci pare di capire, era quello di diventare assistente del Magnifico… Ma, tranne quel colloquio che altro non è che uno spiegone della trama, cosa ha fatto per realizzarlo? E’ sufficiente chiederlo a una stella magari? Ma chiederle cosa, esattamente? Di avere un sogno? Chiedere a un sogno di avere un sogno, beh, è già qualcosa magari… Ricordiamo che anche le Principesse Disney, pur nel loro essere tali, si sono sempre date da fare: chi è stata sempre paziente e obbediente, chi ha fatto i lavori di casa per chi la ospitava, chi ha corso grandi pericoli per essere vicino al suo amato bipede, chi ha rifiutato di sposarsi se non per amore…

E Asha, oltre a mettere immotivatamente in pericolo i suoi amici e familiari, cosa ha fatto? Per tutto il film vediamo solo cose che evita di fare, niente altro.

Non mi è piaciuto questo film, ho odiato la trama raffazzonata composta di elementi presi di peso dai classici e malamente mescolati, ho odiato le canzoni, il doppiaggio italiano, la protagonista, il messaggio confuso (se ce n’è uno oltre a “comprate le tazze e i peluche”), i richiami pleonastici ai grandi classici della mia infanzia, i personaggi secondari (già dimenticati). Insomma, un vero disastro. Da evitare.

Voto: 1 biscotto a forma di testa del Magnifico (naturalmente ipocalorico)

Only Murders in the Building

Anno: 2023 – 2024

Interpreti: Steve Martin, Martin Short, Selena Gomez, Paul Rudd, Meryl Streep, Jane Lynch

Dove trovarlo: Disney Plus

Oliver (Martin Short) ha finalmente l’occasione di dirigere di nuovo un musical a Broadway. La sera della prima, però, il suo attore protagonista, la star della tv Ben Glenroy (Paul Rudd) viene avvelenato. E poi gettato nella tromba dell’ascensore. Ai nostri beniamini non resta che preparare i microfoni per una nuova stagione del loro amatissimo podcast: Only Murders in the Building.

La formula non cambia di una virgola in questa terza stagione: il caso da risolvere passa decisamente in secondo piano rispetto ai siparietti e ai dialoghi tra i tre attori protagonisti.

Tante citazioni, canzoni, battute e, come sempre, partecipazioni di star di primissimo livello. In particolare in questa terza stagione si uniscono al cast Meryl Streep, nei panni dell’attrice Loretta, e Paul “Ant-man” Rudd, che come anticipato alla fine della seconda stagione, viene assassinato nel primo episodio. Non mancano poi, come da consolidata tradizione, le mitiche guest star che appaiono in ruoli minori e camei. Non nascondo che la scena in cui Martin Short fa una videochiamata a Mel Brooks (!) per chiedergli consigli su come lavorare con Matthew Broderick (!) mi ha mandato in visibilio. Questa è la serie perfetta per chi, come me, è appassionato di musical (“Holy Mother of Sondheim!”); consiglio di vederla, se possibile, in lingua originale, per non perdersi una parola (o una nota) delle performance di questi grandi professionisti.

Non voglio rivelare niente, ma nel finale di stagione avremo un assaggio di quello che accadrà nella quarta stagione, che è già stata confermata e che speriamo di vedere prestissimo!

Chi Segna Vince

Titolo originale: Next Goal Wins

Anno: 2024

Regia: Taika Waititi

Interpreti: Michael Fassbender, Will Arnett, Elizabeth Moss, Oscar Kightley, Taika Waititi

Dove trovarlo: Disney Plus

Thomas Rongen (Michael Fassbender) è un allenatore di calcio europeo ad alti livelli, ma sta attraversando una fase nera della sua vita e della sua carriera. Ecco perchè, per non rimanere senza lavoro, non ha altra scelta se non quella di accettare di allenare la squadra di calcio delle isole Samoa americane, reduce da una catastrofica sconfitta per 31 gol a zero. Inutile dirlo, in questo ambiente così diverso e in mezzo a personaggi così bizzarri, Thomas ritroverà la vera gioia di vivere, e soprattutto di giocare a calcio.

Il nostro sport nazionale, il calcio, paradossalmente si è sempre rivelato difficilissimo da trasporre su pellicola. Anche quando sono gli italiani stessi a provarci, non necessariamente il risultato è cinematograficamente valido. Tra quelli che ho visto io, il film sul gioco del calcio più riuscito resta senza ombra di dubbio Fuga per la Vittoria del 1981, ma ci sono voluti un maestro della settima arte (John Huston), due grandi star (Sylvester Stallone e Michael Caine) e un autentico fuoriclasse del calcio (Pelé) per portare a casa il risultato.

Questa piccola premessa per dire che fin dal principio ho ritenuto che Chi Segna Vince fosse una sfida complessa per il regista Taika Waititi; ma ritenevo anche che il regista del capolavoro Jojo Rabbit avesse tutto ciò che serve per vincerla, o quanto meno pareggiarla.

E infatti così è stato.

Chi Segna Vince è un classico film sportivo, in cui un atleta o un allenatore ritrova il senso della vita nella passione sportiva e nel gioco di squadra: su questo fronte nulla di nuovo quindi, così come non lascia stupiti la buona prova attoriale di Fassbender. La strategia vincente di Waititi è di raccontare la storia con molta ironia, mettendosi anche nei panni di uno stregone/narratore che ci introduce alla vicenda di questo brutto anatroccolo, la nazionale di calcio samoana americana, che dopo il peggior risultato di sempre (la sconfitta 31-0 contro l’Australia) riesce a rimettersi in gioco e a vincere, nel 2011, per 2-1 contro la nazionale di Tonga. Sembrerà che io stia anticipando il finale del film, ma in realtà non è così, perchè si tratta di una storia vera (nei titoli di coda possiamo vedere anche immagini dei veri protagonisti della vicenda), anche se sembra una favola.

Ho trovato irresistibili alcune scene, come l’arrivo di Rongen all’aeroporto o la cena a casa del presidente della squadra, Tavita (un divertentissimo Oscar Kightley).

Un altro punto di forza, oltre al personaggio di Tavita, è costituito proprio dalla squadra, in cui emergono molti caratteri diversi, che pure riescono ad amalgamarsi in un’unità vincente. Un esempio su tutti è il personaggio di Jaiyah (Kaimana), il primo giocatore di calcio transgender a partecipare alle qualificazioni per i mondiali.

La ciliegina sulla torta, a mio parere, è la modalità scelta da Waititi per narrare il secondo tempo della partita decisiva: non in presa diretta come in genere si fa, ma come racconto fatto a posteriori da un giocatore a un personaggio che, a causa di un malore, non aveva assistiti in diretta al finale del match. Ottima trovata per rendere il gioco comprensibile e avvincente, cioè: cinematografico.

Chi Segna Vince non entrerà di certo nella storia del cinema, ma è un film sullo sport e sui valori ad esso connessi da guardare volentieri, pronti per qualche risata a una lacrimuccia, che ci racconta con garbo una storia vera che sembra una favola.

Voto: 3 Muffin

Road House

Titolo originale: Road House

Anno: 2024

Regia: Doug Liman

Interpreti: Jake Gyllenhaal, Conor McGregor, Billy Magnussen

Dove trovarlo: Prime Video

Dalton (Jake Gyllenhaal) è un ex pugile senza lavoro, affetti né ambizioni, che vive alla giornata con combattimenti clandestini e non sembra avere uno scopo nella vita. Questo fino a quando Frankie (Jessica Williams) non gli propone di lavorare per lei come buttafuori nel suo locale, Road House. Dalton, che inizialmente non sembra interessato, decide invece di accettare la sua proposta, senza sapere che il figlio di un boss locale (Billy Magnussen) ha deciso di mettere le mani ad ogni costo su Road House.

Un giorno forse gli psicanalisti studieranno questa particolare forma di psicopatologia: quando mi trovo a scegliere un film in piena libertà, inevitabilmente ne trovo uno con Jake Gyllenhaal. Non posso proprio farne a meno! In alcuni casi mi va molto bene; in altri è un completo disastro o una tremenda sofferenza; altre volte è una vera sorpresa; oppure un trauma indelebile. Nonostante questo persisto nella mia idiosincrasia. Questa volta, però, devo dire che mi è andata davvero bene!

Non ho visto l’originale Il Duro del Road House, film del 1989 con Patrick Swayze come protagonista, perciò non sono in grado di fare paragoni tra i due film. Mi limito quindi a parlare di questo Road House appena uscito su Prime Video, la cui trama è semplice, anzi direi quasi archetipica, tanto che il film la condivide con, per fare alcuni esempi di film di diverso genere ma con la stessa storia di base, Altrimenti ci Arrabbiamo o Herbie il Maggiolino sempre più Matto. Per questo ho apprezzato molto la scelta del tono ironico, che rende il film molto gradevole e scorrevole, e che non avrei mai associato a un regista come Doug Liman (The Bourne Identity, Edge of Tomorrow). Già dal fatto che Dalton si trovi a fare in buttafuori in un roadhouse (un locale tipico degli USA) che si chiama Road House e dorma in una barca di nome “Barca” (“Boat”) ci fa capire che ci troviamo in una specie di fiaba, in cui nulla di veramente brutto può accadere. L’atmosfera disneyana poi mi si è palesata ancora di più nella scena in cui il villain di turno (Billy Magnussen, che non a caso era il Principe Azzurro del musical Into the Woods) si fa sbarbare da uno scagnozzo sul ponte della sua nave – e le somiglianze con Peter Pan non si fermano qui ma non voglio rovinare una delle scene più divertenti del film.

Un’altra cosa che mitiga il realismo di questo film è il modo di mostrare i combattimenti: ogni volta che due persone si colpiscono, la scena è ritoccata in CGI, dando l’effetto di trovarsi in un videogioco. E questo nonostante Jake Gyllenhaal si sia sottoposto a un allenamento durato più di un anno per poter sfoggiare i muscoli che vediamo nel film, come ci racconta lo special di Men’s Health disponibile su Youtube (ringrazio di cuore Lucius Etruscus del Zinefilo per questo suggerimento!), e nonostante il suo principale avversario sia Conor McGregor, campione di MMA e pugile professionista. In ogni caso, preferendo di gran lunga l’ironia e la bonarietà (Dalton viene soprannominato dai cattivoni “Smile Man” perchè, in effetti, sorride sempre) alla violenza gratuita e autocompiaciuta, io ho molto apprezzato il film, che di certo non inventa nulla ma si fa guardare volentieri e lascia soddisfatti dopo la visione.

Voto: 3 Muffin

Ricky Stanicky

Titolo originale: Ricky Stanicky

Anno: 2024

Regia: Peter Farrelly

Interpreti: John Cena, Zac Efron, William H. Macy

Dove trovarlo: Prime Video

Dean (Zac Efron), JT (Andrew Santino) e Wes (Jermaine Fowler) sono amici da sempre, e da sempre condividono un bizzarro segreto: un quarto amico, Ricky Stanicky, che ogni tanto ha bisogno di loro e li manda a chiamare con urgenza. Peccato però che Ricky Stanicky non esista! Altro non è che un escamotage utilizzato dai tre quando vogliono allontanarsi per un po’ da mogli, compagni e responsabilità per potersi divertire come quando erano giovani. Quando le loro famiglie iniziano a chiedere a gran voce di incontrare questo famoso Ricky, ai tre amici non resta che confessare tutto… oppure ingaggiare un attore scarso, volgare e alcolizzato per interpretare Ricky Stanicky! Cosa potrebbe andare storto?

L’idea di base del film, quella dell’amico immaginario da poter sfruttare in caso di necessità, non è certo nuova: Oscar Wilde in persona, nel suo meraviglioso testo teatrale The Importance of Being Earnest, ci racconta che il personaggio di Algernon (che nel bellissimo film che Oliver Parker ne ha tratto è interpretato da Rupert Everett) ha inventato un caro vecchio amico, Bunbury, la cui cagionevole salute lo costringe sovente ad evitare noiosi eventi mondani. Wilde fa utilizzare addirittura ai suoi personaggi il sostantivo “Bunburism” per descrivere questo genere di stratagemma furbesco, che inevitabilmente porta a fraintendimenti ed equivoci di vario genere.

Tuttavia, anche se la trama non è così originale, il film mi ha lasciata molto soddisfatta, divertita e allietata, il che non è certo poco. In particolar modo ho apprezzato l’uso intelligente della comicità, anche di quella meno raffinata, per cui mi sono sempre trovata sorpresa e divertita. Questo è un crisma caratteristico dei fratelli Farrelly (anche se qui troviamo solamente Peter alla regia), che però non sempre mi hanno saputa conquistare con il loro umorismo: in questo caso, obiettivo centrato in pieno. Fin dall’inizio della storia, quando capiamo che i tre amici sono sì complici nella “truffa Stanicky”, ma che ciascuno non manca di utilizzare il buon vecchio Ricky a suo esclusivo vantaggio se ne ha l’occasione, si capisce che il film ha voluto scavare un po’ nei personaggi per dare loro differenziazione e spessore, presentandoceli in modo più realistico, il che rende più facile affezionarsi a loro e appassionarsi alle loro vicissitudini. Gli attori sono tutti adeguati – compreso uno Zac Efron per una volta a torso coperto e senza sottofondo musicale – gli scambi tra i personaggi e le scene divertenti, l’evolversi della vicenda spassoso. Inutile dirlo, il vero mattatore della storia è John Cena, che, a differenza della Notte degli Oscar, qui compare non solo vestito, ma anche con vari bizzarri travestimenti, uno migliore dell’altro (“Costumes are SO important!”). Il suo personaggio è molto ben costruito e si evolve in maniera non del tutto attesa, divertendo, deliziando e perfino commuovendo. 

Nota di merito anche per William H. Macy, in un ruolo secondario ma fondamentale. Ricky Stanicky è senza dubbio una commedia senza pretese, ma proprio per questo è divertente e lascia sereni e soddisfatti. Concludo con una piccola nota: non avrei mai pensato di ridere così tanto per una scena (in cui nulla viene mostrato, ovviamente) di circoncisione! 

Voto: 3 Muffin

13 – Se perdi…muori

Titolo originale: 13

Anno: 2010

Regia: Géla Babluani

Interpreti: Sam Riley, Alexander Skarsgard, Jason Statham, Mickey Rourke, Michael Shannon

Dove trovarlo: Prime Video

La famiglia di Vince (Sam Riley) ha appena dovuto ipotecare la casa per pagare un’operazione chirurgica al padre, quando arriva la notizia della necessità di un nuovo intervento. Poco dopo, mentre Vince sta riparando un impianto elettrico, sente il proprietario di casa parlare della possibilità di guadagnare moltissimi soldi in poco tempo grazie a una busta che ha appena ricevuto. Quando l’uomo il giorno dopo viene trovato morto per un’overdose, Vince si ricorda della lettera, se ne impossessa e decide di tentare di guadagnare quel denaro per salvare la vita al padre. Si ritrova così coinvolto in un gioco spietato, in cui ogni nuova manche potrebbe costargli la vita…

Per prima cosa, il titolo originale del film è semplicemente 13, e ho trovato completamente inutile l’aggiunta dei titolisti italiani “ – Se perdi muori”; anzi, a dirla tutta, sarebbe il contrario: “Se muori, perdi”. Infatti il giovane Vince (buona l’interpretazione di Sam Riley) si ritrova giocatore di una sorta di roulette russa a più giocatori, con contorno di scommettitori cinici, abbienti e senza scrupoli. Ma, sebbene la trama si riassuma in poche righe, ho trovato il film molto coinvolgente e ho seguito con grande interesse la sfida e le sorti dei vari personaggi di contorno, ognuno sufficientemente caratterizzato (ci sono anche alcuni – non troppi – flashback) da sollevare curiosità per le sue sorti. Caso non unico ma raro, 13 è un remake di un film dello stesso regista, Géla Babluani, 13 Tzameti, uscito nel 2005, che non ho visto ma con il quale sarebbe sicuramente interessante fare un confronto.

Vari attori famosi compaiono in questo film, non in camei ingannevoli ma in ruoli piccoli eppure importanti: Alexander Skarsgard ha il compito di fare da babysitter/mentore a Vince durante il gioco; Mickey Rourke è un avversario di Vince dal passato misterioso ma di certo burrascoso; Michael Shannon è l’implacabile giudice e arbitro del gioco; 50 Cent è uno scagnozzo poco raccomandabile (e poco furbo); Jason Statham è un veterano che continua a far partecipare al gioco il fratello con problemi psichiatrici nel tentativo di arricchirsi con le scommesse, e in questo film non tira nessun calcio, nessun pugno, e non spara a nessuno, diversamente dal suo solito.

13 non ha alcuna pretesa, vuole essere un puro intrattenimento senza velleità artistiche e senza messaggi o sottotesti: e riesce al 100% nell’intento, risultando un buonissimo film senza fronzoli per chi ama il genere e desidera passare una serata non impegnativa ma con la giusta dose di tensione e intrattenimento.

Importante: consiglio se possibile la visione in lingua originale, perchè nel doppiaggio italiano le performance dei molti attori famosi risultano completamente appiattite; inoltre, a causa di una terrificante scelta di doppiatore (Alessio Ward, figlio di Andrea, che è il fratello di Monica e Luca) l’aitante e glaciale Alexander Skarsgard in questo film parla come il Puffo Tontolone.

Voto: 3 Muffin

I Love my Dad

Anno: 2022

Regia: James Morosini

Interpreti: Patton Oswalt, James Morosini, Claudia Sulewski

Dove trovarlo: Prime Video

L’impiegato divorziato Chuck (Patton Oswalt) le ha sbagliate proprio tutte: lavoratore svogliato, bugiardo compulsivo, amante appena accettabile, padre assente. Eppure lui desidererebbe stare più vicino al figlio Franklin (James Morosini), ma il ragazzo, stanco delle sue continue bugie, lo ha perfino bloccato su internet, e non risponde alle sue chiamate. Come poter rientrare in contatto con il figlio? Chuck decide di creare un profilo social fasullo, fingendosi una bella ragazza, per poter sapere cosa sta succedendo nella vita di Franklin: cosa potrebbe andare storto?

Ho già parlato di Patton Oswalt e di quanto mi piaccia come comico. Ma in I Love my Dad non c’è molto da ridere. Non per questo però si tratta di un film triste o deprimente, piuttosto gli aggettivi che gli assocerei sono “imbarazzante” e “disturbante”, ma anche “tenero” e “positivo”. Chuck è un uomo che ha fatto tutti gli sbagli possibili nella vita, e non ha alcuna intenzione di smettere. La sua decisione di fingersi una bella e giovane ragazza per instaurare un rapporto con il figlio è palesemente sbagliata sotto ogni punto di vista, e questo gli viene anche fatto notare, ma non per questo lui demorde: l’amore per il figlio gli toglie qualunque raziocinio (ammesso che Chuck ne avesse mai avuto) e lo acceca, portandolo a dire e fare cose assolutamente non ortodosse e deprecabili. Eppure, eppure, nonostante durante la visione provassi imbarazzo per ogni sua azione, essendo mamma in qualche modo sentivo di capire, se non le sue decisioni, almeno il suo stato d’animo. Non si tratta di un film leggero, e non si tratta nemmeno della denuncia scontata del pericolo dei rapporti via social: I Love my Dad non è altro che un ritratto, per quanto paradossale, di un genitore il quale per amore del figlio, che si trova in un momento di grandissima difficoltà emotiva, è disposto (letteralmente) a qualunque cosa, pur sapendo di correre anche il rischio di perderlo per sempre. Il giovane James Morosini, che interpreta benissimo il personaggio complesso di Franklin, è anche regista e sceneggiatore del film, e riesce a conferirgli freschezza e sincerità, rendendolo realistico anche nelle scene surreali e mai noioso per come i dialoghi via social vengono messi in scena. Non voglio anticipare nulla riguardo al finale, ma devo dire che l’ho trovato molto soddisfacente nell’economia del film.

Non mi sento di consigliare questo film a tutti, perchè assistere al corteggiamento, anche se mascherato, tra padre e figlio risulta a tratti davvero molto disturbante, però dico che il film è ben fatto, ben scritto e recitato, con personaggi realistici cui ci si affeziona; inoltre sceglie di affrontare in un modo per niente facile un tema complesso come il rapporto tra genitori e figli, vincendo secondo me la sfida.

Consiglio però, per chi volesse conoscere meglio Patton Oswalt, di vedere piuttosto i suoi spettacoli, in cui dà sicuramente il meglio di sè.

Voto: 2 Muffin

The Office

Anno: 2005 – 2013

Interpreti: Steve Carell, John Krasinski, Jenna Fischer, Rainn Wilson, B.J. Novak, Ed Helms

Dove trovarlo: Prime Video

The Office (“L’Ufficio) è una serie tv statunitense, remake di una serie britannica ideata da Ricky Gervais, che racconta sotto forma di documentario con interviste ai protagonisti la vita di ogni giorno degli impiegati della Dunder Mifflin, azienda produttrice di carta di Scranton. Ci troviamo così a seguire le vicissitudini di persone comuni alle prese con scartoffie, clienti, colleghi e, soprattutto, con un capo davvero particolare: Michael Scott.

Ho amato fin da subito la formula del documentario, per cui gli impiegati della Dunder Mifflin sono ripresi e registrati ogni giorno sul posto di lavoro (e non solo), e inoltre vengono intervistati in presa diretta riguardo agli avvenimenti dell’ufficio, che inevitabilmente si intrecciano con quelli delle loro vite personali. Scherzi, amori, amicizie, rivalità, bizzarrie, nulla sfugge alle telecamere! Il vero cuore pulsante dell’ufficio, e della serie, è l’incontenibile, scorretto, ingenuo e malizioso Michael Scott, magistralmente interpretato dal Steve Carell. Il capo che nessuno vorrebbe mai avere, che pensa più alla sua vita sentimentale che al lavoro, non perde occasione per esibirsi, non ha alcun senso del pudore e della misura e mette sempre in imbarazzo tutti, se stesso in primis. Eppure, eppure, è proprio quando il personaggio di Michael lascia la serie che questa perde il suo mordente. Non bastano nemmeno le sfide tra Dwight Schultz (Rainn Wilson) e Jim Halpert (John Krasinski), senza dubbio l’elemento più divertente della serie, per dare alle ultime stagioni il brio degli inizi. Sono arrivata con una certa fatica al termine dell’ultima stagione, ma ne è comunque valsa la pena, perchè quel finale in cui si tirano le fila di tutto mi ha sinceramente commossa. Ho già raccontato che mi sono anche sognata questa serie di notte, no?

Una sitcom con ritmo e brio diseguale, con puntate divertentissime e puntate mosce, con tantissimi personaggi che, inevitabilmente, non risultano tutti allo stesso modo simpatici o interessanti, anche se gli interpreti si dimostrano sempre all’altezza. In molti mi hanno detto di aver visto alcune puntate ed aver interrotto, non trovando la serie divertente; questo però non è successo a me, che ho divorato le prime stagioni e fatto alcune profonde risate di pancia, affezionandomi a quell’ufficio sgangherato e a quegli impiegati che tutto hanno in mente tranne che la carta.

Consiglio a tutti di vedere almeno un paio di puntate: se l’umorismo cattura, allora invito a procedere a passo spedito fino alla fine, perchè ci sono in serbo molte sorprese e molte risate. Il tutto poi è condito da un gran numero di guest star di eccezione (Amy Adams, Jim Carrey, James Spader, Will Ferrell, ma soprattutto l’immensa Kathy Bates) e da battute che, inevitabilmente, entreranno nel vostro modo di esprimervi (“That’s what she said”).

Animali Notturni

Titolo originale: Nocturnal Animals

Anno: 2016

Regia: Tom Ford

Interpreti: Amy Adams, Jake Gyllenhaal, Michael Shannon, Michael Sheen, Aaron Taylor-Johnson, Isla Fisher, Armie Hammer, Laura Linney

Dove trovarlo: Prime Video

Apparentemente, Susan (Amy Adams) ha tutto: marito affascinante, casa da sogno, abiti mozzafiato e un lavoro prestigioso come organizzatrice di mostre ed eventi d’arte. Ma tutto questo non è che apparenza: Susan sa che il marito la tradisce e ritiene che la cosiddetta “arte contemporanea” di cui si occupa e si circonda sia in realtà “spazzatura”. Un giorno Susan riceve un manoscritto, intitolato Animali Notturni: è un romanzo scritto dal suo primo marito, Edward (Jake Gyllenhaal), e dedicato a lei. Susan si immerge nella lettura e presto ne viene travolta…

Sono passate settimane da quando ho visto Nocturnal Animals; non riuscivo a decifrare i miei sentimenti riguardo al film, che da una parte mi ha conquistata, dall’altra mi ha contrariata. Ho perfino fatto un sogno, in cui Amy Adams e Jake Gyllenhaal in persona davano una lettura dei loro personaggi: “In questo film noi siamo bellissimi, ma abbiamo anche tanti, tanti, tanti problemi”. Ora, magari non è deontologicamente consigliabile fare una recensione sulla base di un sogno, ma credo che un qualcosa di vero in questo sogno bizzarro ci fosse. Credo che il concetto di Bellezza abbia un ruolo fondamentale nel film: la bellezza non è dove immaginiamo che sia (non, ad esempio, nei corpi umani, come è già molto chiaro dai titoli di testa e come vedremo ripetutamente nel corso del film) e quando c’è in ogni caso non è altro che un involucro che racchiude disperazione e rimpianto. Il personaggio di Susan, interpretato benissimo da Amy Adams, incarna questa scissione tra bellezza e felicità: lei è sempre perfettamente vestita (non a caso il regista, Tom Ford, qui anche sceneggiatore, è stato un designer di alta moda), truccata e pettinata, e la sua casa è da copertina di rivista… Eppure la felicità non le appartiene. Perchè? Diversi flashback ci fanno capire che nel suo passato c’è stato un grande amore, quello con Edward (un Jake Gyllenhaal sempre all’altezza), che però è finito per sua scelta; e non passa giorno in cui Susan non si domandi se quella sia stata la scelta giusta. Ma Edward non rappresenta solo l’amore perduto, ma anche l’occasione persa di realizzarsi come artista a causa della paura di fallire. Un’altra parola chiave del film infatti è questa: Paura. Susan ha avuto troppa paura per cercare di inseguire i suoi sogni e di portare avanti il suo primo matrimonio. Non ha avuto il coraggio, e ora è condannata all’infelicità. Non ci sono seconde possibilità, per nessuno. Questo lo capiamo dal manoscritto di Edward, che Susan divora avidamente, notte dopo notte, in cerca di risposte: perchè l’ex marito, che non ha visto o sentito per anni, le ha inviato e dedicato il suo libro? Forse l’ha perdonata? Forse le vuole inviare un messaggio? Per scoprirlo non resta che leggere. E la parte in cui viene messo in scena il romanzo di Edward, Nocturnal Animals (altro riferimento a Susan, che fin da giovane non dorme mai e viene soprannominata “animale notturno” è la più coinvolgente di tutto il film, per quanto dura e cruda sia. Il protagonista del romanzo, Toby, è interpretato dallo stesso Gyllenhaal, quindi è facile intuire che si tratti di un alter ego dell’autore Edward. Ed ecco che si affaccia la cosa che più mi ha disturbato in tutto il film (oltre ai titoli di testa, che mi avevano quasi dissuaso dal vedere il film, lo dico come avvertimento): la sua didascalicità. Ecco un esempio: come mai Edward ha mandato il manoscritto all’ex moglie?

Risposta:

Ecco cosa intendevo: messaggi velati, appena accennati, rivolti dal regista allo spettatore, che però probabilmente non è in cerca di massime pessimiste sull’esistenza (come dicevo, non esistono seconde possibilità per nessuno) ma soltanto di un bel film, anche se per niente allegro. I primi venti minuti del film consistono in una sfilata di personaggi minori, che servono solo a permettere a Susan di raccontare la sua infelicità; di fatto, il film inizia solamente con il romanzo, che ne costituisce il cuore pulsante. Toby, il protagonista del romanzo, è stato debole, e ne paga tutte le più tremende conseguenze: la Debolezza infatti è un altro tema reiterato, perchè tutti coloro che sono deboli, cioè non hanno il coraggio di perseguire il proprio sogno, sono condannati all’infelicità senza via di scampo. 

In conclusione, sebbene il film sia volutamente respingente verso lo spettatore fin dai titoli di testa, ho amato molto la messa in scena del romanzo e l’intreccio speculare distorto tra finzione e vita reale. Ho amato anche le performance degli attori (oltre ai due ottimi protagonisti bisogna citare lo sceriffo Michael Shannon). Quello che non ho amato è stata la poca fiducia del regista nelle doti intellettive dello spettatore, che lo ha portato a reiterare allo sfinimento immagini e parole per far passare il suo messaggio. In secondo luogo, non ho amato il suo messaggio, o meglio la necessità di veicolarne uno a tutti i costi e con tanta insistenza.

Non mi sento di sconsigliare il film, ma ritengo che non sia una visione per tutti, e di certo non lo guarderei una seconda volta. Tuttavia lo ricordo ancora molto bene a distanza di settimane, quindi il film, nel bene o nel male, si fa ricordare.

Voto: 2 Muffin

Iron Mask – La Leggenda del Dragone

Titolo originale: Tayna pechati drakona

Anno: 2019

Regia: Oleg Stepchenko

Interpreti: Jason Flemyng, Jackie Chan, Arnold Schwarzenegger, Rutger Hauer, Charles Dance

Dove trovarlo: Prime Video

L’antica Cina prosperava grazie a un drago buono, che permetteva la crescita di una pianta di tè dalle foglie ricche di magiche proprietà curative. Ma tutta la ricchezza derivante dalla vendita del tè miracoloso tentò alcuni dei Maghi incaricati di proteggere il drago, che divennero malvagi e lo imprigionarono. La bellissima Principessa venne allontanata e imprigionata, e sembrava che nessuno potesse salvare il drago, il tè e la Cina dall’oscuro potere dei Maghi Neri; fino a che non arrivò dall’Europa un intraprendente cartografo…

In primo piano sulla locandina di questo film dal titolo banalissimo ci sono Jackie Chan E Arnold Schwarzenegger… Potrei anche chiudere qui la recensione no? Questi due nomi mi hanno attirata come una falena verso la lanterna, e l’arzigogolato prologo animato che spiega la storia del dragone, dei maghi e del tè non mi ha potuta scoraggiare. Jackie e Arnold non sono i protagonisti assoluti, ma le scene in cui combattono o si affrontano verbalmente sono da incorniciare per tutti i fan dell’uno e dell’altro. Il film, a raccontarne la trama, sembra un pasticcio senza appello (parliamo di dragoni, dello zar russo rinchiuso nella torre di Londra, di creaturine volanti e pirati cosacchi), e la sua forza di certo non è nella trama complicata e sovrabbondante di personaggi e situazioni, ma il risultato è un prodotto divertente, con belle scene d’azione e di combattimento e avventure simpatiche. L’uso massiccio della computer grafica ci ricorda in ogni momento che ci troviamo in una favola, dove è insensato pretendere realismo (e la recitazione in generale non aiuta a prendere le cose sul serio) e consequenzialità: la cosa giusta da fare è lasciarsi travolgere dalle scene assurde che si susseguono rapidamente senza dare il tempo di rifletterci troppo sopra. Le risate sono assicurate, il tono è scanzonato ma mai demenziale, i camei di star di grande livello come Rutger Hauer e Charles Dance arricchiscono ulteriormente l’accozzaglia di inseguimenti, scazzottate e confronti dal respiro epico ma dall’esito comico.

Consigliato per chi ama i film d’azione classici e quelli con combattimenti acrobatici, per chi ama il genere wuxia e in generale il cinema d’avventura orientale intriso di magia, il tutto ingentilito da un umorismo fanciullesco (mai volgare) e una violenza blandissima. Sconsigliato a tutti gli altri.

Voto: 3 Muffin