Io & Sherlock Holmes – Parte 1

Basil Rathbone nei panni di Sherlock Holmes

Il mio rapporto con l’investigatore più famoso del mondo è sempre stato difficile ed ha avuto fasi alterne. Il primo approccio è stato indiretto ed è avvenuto tramite il lungometraggio Disney del 1986 Basil l’Investigatopo, in cui il topo protagonista era un investigatore che abitava proprio sotto al famoso numero 221b di Baker Street, dimora del celebre detective londinese nato nel 1887 dalla penna della scrittore Arthur Conan Doyle.

Nel cartone il personaggio di Basil è ricalcato su quello di Sherlock, soprattutto nella sua trasposizione cinematografica in cui è stato interpretato in ben quattordici film dall’attore inglese Basil Rathbone (da cui prende anche il nome). Nel film Disney compare tuttavia anche lo stesso Sherlock Holmes, o meglio, si vedono la sua ombra e quella del Dottor Watson mentre si preparano ad andare ad un concerto. “Questa musica è introspettiva e voglio essere introspettivo” dice Sherlock. “Ma Holmes” risponde Watson “Quella musica è terribilmente noiosa!”. Ho scoperto solo più tardi che, nella versione originale, la voce di Sherlock Holmes era proprio quella di Basil Rathbone (tratta da materiale d’archivio in quanto l’attore era morto nel 1967), mentre l’antagonista di Basil, il malvagio Professor Rattigan (ispirato alla nemesi letteraria di Sherlock, il Professor Moriarty), è doppiato da Vincent Price. Dunque, per molti anni, per me Sherlock Holmes non è stato altro che quell’ombra che dichiarava con serietà “voglio essere introspettivo”. Quando più tardi mi sono appassionata al genere letterario giallo è successo esclusivamente attraverso Agatha Christie, di cui in pochi anni ho letto la maggior parte dei romanzi e dei racconti. In virtù di questo mio grande amore per il genere, sembrava naturale che leggessi anche i libri del grande Conan Doyle e non avevo dubbi che mi sarei innamorata del personaggio di Holmes come lo ero di Miss Marple e soprattutto di Hercule Poirot. Decisi di iniziare dal principio e lessi il primo romanzo in cui compariva Sherlock Holmes, Lo Studio in Rosso, rimanendone cocentemente delusa. Infatti quello che amo di più dei gialli di Agatha Christie è che è sempre (con pochissime eccezioni) possibile indovinare il colpevole, o almeno tentare di farlo: il lettore svolge la sua indagine parallelamente all’investigatore, ha i suoi stessi elementi ed indizi e ha sempre la possibilità di giungere alla soluzione prima della conclusione. In Conan Doyle invece non è affatto così, Sherlock risolve il caso basandosi su indizi di cui il lettore non è a conoscenza e il colpevole a volte è un personaggio che non era mai comparso prima nella narrazione (come afferma con livore Lionel Twain/Truman Capote in Invito a Cena con Delitto).

Feci un altro tentativo con quello che forse è il romanzo più famoso, Il Mastino dei Baskerville, poi mi arresi: Sherlock Holmes non faceva per me; Conan Doyle, invece, lo rivalutai qualche anno dopo quando si rivelò inaspettatamente bravo nel raccontare di avventure e di dinosauri. Per molto tempo io e Sherlock Holmes abbiamo proceduto su strade separate, che però sono tornate inaspettatamente a incrociarsi quando Guy Ritchie ha girato il suo Sherlock Holmes, con Robert Downey Jr. nei panni dell’investigatore e Jude Law in quelli del fedele Watson.

Sembrava un’operazione alquanto azzardata, la sua, e invece mi ha davvero conquistata col suo mix di azione e ironia (chi è già stato su Cinemuffin ormai sa che Ritchie come regista mi piace molto proprio per questo). Se non ho gradito affatto la metamorfosi sancita da Kenneth Branagh per il suo Poirot, lo Sherlock di Ritchie invece mi è piaciuto molto più di quello dei libri di Conan Doyle e mi è piaciuto, appena meno del primo, anche il secondo film, Gioco di Ombre (la presenza del caro Stephen Fry nei panni di Mycroft, il fratello di Sherlock, probabilmente ha il suo peso). Similmente ho amato, almeno per le prime stagioni, la serie tv Sherlock, con i talentuosissimi Benedict Cumberbatch e Martin Freeman, che vince con onore la sfida di trasportare le avventure di Sherlock Holmes ai giorni nostri.

Dopo questa blasonata doppietta per un po’ mi sono distanziata da Sherlock, finché non mi sono imbattuta, poco tempo fa, in una serie tv targata Netflix, Gli Irregolari di Baker Street. In quel momento cercavo una visione leggera, e quelle otto puntate con investigatori in erba, interpretati da giovani attori sconosciuti che si trovano in qualche modo coinvolti nelle indagini di Sherlock Holmes e Watson sembrava una buona idea… E invece no! Non so da dove cominciare a elencare i difetti di questa serie, perché ce ne sono a tutti i livelli. L’idea di fondo, quella di una banda di ragazzini di strada di cui Sherlock Holmes si serve nelle proprie indagini ha le sue radici negli stessi romanzi di Conan Doyle ed è già stata portata in teatro e sullo schermo in passato. Qui però si è voluto esagerare. Inverosimiglianze storiche, per cui quattro ragazzini orfani possono vivere sereni nel centro di Londra in un ampio e comodo rifugio coperto con cucina e soppalco, o un servitore invita il suo nobile padroncino a soddisfare le sue voglie adolescenziali con un’altra ragazza di nobile famiglia anziché con una popolana. La decisione, sbagliata da ogni punto di vista, di far entrare in gioco il soprannaturale, gestito male sia dalla sceneggiatura che dagli effetti speciali e facendosi beffe della più celebre massima di Sherlock Holmes: “Eliminato l’impossibile, ciò che rimane, per quanto improbabile, dev’essere la verità”. Per far capire quanto brutta possa essere questa serie basta uno sguardo all’ambientazione dei sogni ricorrenti della protagonista, dotata di poteri psichici, che tanto ricorda la capanna dello Zio Tom.

La Capanna dello Zio Tom, anche quella in Baker Street

Il finale a sorpresa non sorprende proprio nessuno, i personaggi non hanno spessore e le relazioni tra loro sono traballanti, tanto da chiedersi cosa li spinga a fare le cose che fanno. E infine, il casting cosiddetto “daltonico”: il Dottor Watson è di colore, così come uno degli Irregolari (sarà un caso, ma è quello meno caratterizzato di tutti, come viene esplicitato nell’ultimo episodio, in cui è l’unico di cui non vediamo materializzarsi le paure più profonde perché, immagino, gli sceneggiatori non le avevano pensate), e le due ragazze protagoniste sono due sorelle, una con gli occhi azzurri e una con i tratti orientali. Naturalmente questa è una scelta che, anche se storicamente e biologicamente poco credibile, si potrebbe anche accettare; più difficile è abituarsi all’idea che Watson sia innamorato di Sherlock (anche questo dovrebbe essere un colpo di scena ma non serve certo essere Sherlock Holmes per capirlo già al primo episodio – anzi a dire il vero Sherlock è proprio l’unico a non capirlo). Insomma, una catastrofe: che Sherlock Holmes vi piaccia o meno, tenetevi alla larga da questa serie, di cui è già stata cancellata, fortunatamente, la seconda stagione. Dopo questa pessima esperienza, avevo bisogno di riabilitare il Detective di Baker Street ai miei occhi. E soprattutto avevo bisogno… di una bella risata!

Alla prossima puntata!

Stephen Fry nei “panni” di Mycroft Holmes

Non Siamo Angeli

Titolo originale: We’re No Angels

Anno:1955

Regia: Michael Curtiz

Interpreti: Humphrey Bogart, Peter Usttinov, Aldo Ray, Leo G. Carroll, Basil Rathbone

Dove trovarlo: Amazon Prime Video

Tre galeotti appena evasi di prigione, Joseph (Humphrey Bogart), Jules (Peter Ustinov) e Albert (Aldo Ray) si nascondono sull’Isola del Diavolo e progettano di derubare nottetempo l’emporio locale per poi imbarcarsi e proseguire la loro fuga. Si fanno dunque assumere dal proprietario dell’emporio Felix (Leo G. Carroll) con la scusa di aggiustare il tetto per poter studiare l’obiettivo in tranquillità. Dopo aver trascorso qualche ora nel negozio si sono affezionati alla famiglia di Felix, e non solo decidono di non derubarli ma organizzano per loro una raffinata cena di Natale. Arriverà però a sorpresa il ricco e antipatico cugino Andre (Basil Rathbone) a rovinare la festa a tutti…

Il film è tratto dalla pièce teatrale di Albert Husson La Cuisine des Anges (La Cucina degli Angeli) come è facile intuire dall’ambientazione in un unico interno (l’emporio) e dalla prevalenza dei dialoghi sull’azione, che è ben poca. Unico difetto del film è appunto quello della troppa staticità e verbosità: anche se i dialoghi sono tutti brillanti e spesso esilaranti, a volte si susseguono senza logica e senza sosta e il ritmo narrativo cala, tanto che lo spettatore è portato a distrarsi e rischia anche di perdersi qualche ottima battuta al fulmicotone. Al di là di questa pecca però il film è molto tenero e divertente, ricco di buoni sentimenti (in fondo, anche se atipico per l’ambientazione su un’isola sudamericana, è pur sempre un film di Natale) ma anche di humor nero (soprattutto riguardo alla vipera velenosa che Albert si porta dietro in un cestino e che si rivelerà niente affatto mansueta) e dialoghi surreali. La situazione va accettata per come è, per nulla realistica ma ricca di spunti divertenti; anche i personaggi non sono molto approfonditi nè narratologicamente nè psicologicamente, ma ciononostante, alla fine del film, chiunque farebbe carte false per poter avere in casa tre angeli atipici come questi. Il cast di prim’ordine impreziosisce l’opera e regala ottime e spesso inedite interpretazioni. Humphrey Bogart, già diretto da Michael Curtiz in Casablanca e altri film, si esibisce per la prima volta in un ruolo prettamente comico (e con gran successo); Peter Ustinov conferma di essere l’uomo giusto per ogni situazione; Leo G. Carroll per la prima volta appare come un uomo tenero, spaurito e affettuoso, che chiunque, avendolo conosciuto, deciderebbe di non assassinare; non è nuovo ai ruoli da villain invece Basil Rathbone, perfettamente insopportabile nei panni dell’avido e pomposo cugino Andre. Un remake di questo film è stato girato nel 1989 da Neil Jordan, con Robert De Niro e Sean Penn nei panni degli angelici galeotti.

Voto: 3 Muffin

L’Angelo del Focolare

Ho Sognato Jessica Fletcher

La notte scorsa ho sognato Angela Lansbury, o meglio Jessica Fletcher, il suo personaggio protagonista della serie tv La Signora in Giallo (in originale Murder She Wrote) per ben 12 stagioni, dal 1984 al 1996. Per chi non conoscesse il telefilm di cui parlo, la signora Fletcher abita nella cittadina americana di Cabot Cove nel Maine; un tempo insegnante di inglese, dopo la morte del marito Frank ha iniziato a scrivere libri gialli, inizialmente per diletto, fino a diventare l’autrice di gialli più famosa del mondo. Oltre a scrivere libri, però, la signora Jessica Beatrice Fletcher ha un altro hobby: scovare gli assassini. In ogni puntata Jessica si troverà a dover risolvere un delitto utilizzando solamente il suo acume, aiutando (o talvolta scontrandosi con) le autorità locali. Mi sono appassionata a La Signora in Giallo quando ero così piccola che pensavo che i cadaveri del telefilm fossero reali e che per ogni puntata venissero ammazzare davvero una o due persone (il record di maggior numero di cadaveri va alla puntata Snow White, Blood Red/Per il Morto seguire la Freccia della quinta stagione, con ben tre morti e un ferito). Non avevo ancora imparato a scrivere nella direzione corretta (di piccola scrivevo da destra verso sinistra) che avevo già stabilito di diventare una scrittrice come Jessica. Ancora oggi, cascasse il mondo, se in tv, su un qualunque canale, danno la Signora in Giallo, io me lo guardo, e anche se mi basta vedere il titolo per ricordare istantaneamente chi sia il colpevole, la visione riserva sempre delle sorprese. A volte colgo un riferimento che alle visioni precedenti mi era sfuggito (come quando Jessica viene invitata a teatro a vedere l’ultimo successo di Steven Sondheim, e io ora so che Angela Lansbury è stata Mrs. Lovett nell’opera teatrale di Sondheim Sweeney Todd); altre volte riconosco un attore famoso che in precedenza non avevo riconosciuto (l’elenco di guest stars è pressoché infinito, da George Clooney a James Coburn, da Brad Dourif a Neil Patrick Harris, da Vera Miles a Leslie Nielsen). In Italia, dove La Signora in Giallo continua ad andare in onda da lunedì a venerdì su Rete4 alle ore 13.00, per motivi funzionali alle programmazioni televisive hanno apportato dei tagli alle puntate per diminuirne la durata, ma io le avevo già viste così tante volte che sono spesso in grado di ricostruire a memoria le scene eliminate (che a volte contengono indizi importanti per trovare l’assassino, aggiungo). Qualche anno fa ho scoperto dell’esistenza di una puntata cross-over tra Murder She Wrote e Magnum P.I., in cui Angela Lansbury recitava al fianco di Tom Selleck, che era stata tradotta e trasmessa in Italia solamente a metà, così ho recuperato la parte mancante in lingua originale. A questo punto pensavo che la serie non avesse in serbo altre sorprese per me, ma mi sbagliavo: qualche giorno fa mi sono imbattuta in una puntata che non avevo mai visto prima! All’inizio ho pensato ad un brutto scherzo della memoria, ma quando ho sentito che Jessica Fletcher aveva una voce diversa dal solito e ho visto l’attore William Windom vestire i panni non del Dottor Seth Hazlitt ma di un avvocato, sono corsa ad indagare. Ho scoperto che quell’episodio, intitolato Doppio Funerale (in originale Funeral at Fifty-Mile) non era mai stato trasmesso in Italia prima del 2016. A quell’epoca la storica doppiatrice di Jessica Fletcher Alina Moradei ci aveva già lasciato, ed ecco spiegato come mai la voce era diversa (era quella di Vittoria Febbi). Per la prima volta, dopo circa trent’anni, avevo l’occasione di risolvere di nuovo un mistero insieme a Jessica! Eppure, nonostante tutta la mia esperienza pregressa, non mi riuscì di indovinare il colpevole. Ma un motivo c’era: contrariamente a quanto accade in tutte le altre puntate (attenzione: segue spoiler!) gli assassini erano quattro! Ed ecco anche spiegato il motivo per cui questa puntata è rimasta nel cassetto così a lungo: era davvero molto diversa dalle altre. Quattro assassini e una gran dose di violenza: la vittima infatti era stata prima quasi linciata, poi impiccata e, una volta morta, impiccata! Mai visto un simile accanimento! E come se non bastasse, la nostra Jessica sembra quasi quasi voler lasciar correre e non denunciare nemmeno i colpevoli… Insomma, non proprio la solita integerrima e raffinata Jessica Fletcher che tanto amiamo. Meglio dimenticare questo tristo episodio e cercare nuove emozioni altrove. Per fortuna Amazon Prime offre due succulenti titoli con Angela Lansbury: La Signora Scompare, di cui ho già parlato qui, e Il Giullare del Re, con Glynis Jones (la mamma di Jane e Michael in Mary Poppins) e Basil Rathbone, in cui la giovanissima Angela interpreta una principessa piena d’iniziativa e assetata d’amore.

Una giovane Angela Lansbury nel film Il Giullare del Re

Ho visto questi film di recente, e forse per questo, oltre che per la mia passione ancestrale, mi sono ritrovata a sognare Jessica Fletcher. Nel sogno ero in macchina con Papà Verdurin quando vedevo Jessica sul marciapiede e gliela indicavo. Lui subito inchiodava e io potevo raggiungerla e seguirla dentro la libreria in cui doveva fare una presentazione. Qui, gentilissima, mi concedeva un autografo e anche il permesso di farle una domanda. Avevo intenzione di chiederle consiglio per il libro giallo che ho scritto (l’ho scritto davvero) ma ero così emozionata che iniziavo a balbettare e non mi uscivano le parole. Lei mi guardava sorridendo ma così facendo mi metteva ancor più in agitazione. A questo punto è suonata la sveglia, e anche se non saprò mai cosa ne pensa Jessica Fletcher del mio investigatore fantasma mi sono comunque svegliata di buon umore, perché quella tra me e Angela è una “storia vecchia come il tempo”