Il Ragazzo dai Pantaloni Rosa

Anno: 2024

Regia: Margherita Ferri

Interpreti: Claudia Pandolfi, Samuele Carrino, Andrea Arru, Sara Ciocca

Il film racconta la storia vera e tragica di Andrea Spezzacatena (interpretato da Samuele Carrino), uno studente di Roma che si tolse la vita nel 2012, a soli quindici anni, dopo essere stato vittima di bullismo e cyberbullismo da parte dei compagni di scuola. Le prese in giro, i maltrattamenti e le vessazioni erano iniziati dopo che Andrea si era presentato a scuola con dei pantaloni di colore rosa, comprati dalla madre Teresa Manes (Claudia Pandolfi) e stinti con il lavaggio.

Il film, presentato nel 2024 alla Festa del Cinema di Roma, racconta la drammatica vicenda realmente accaduta di Andrea Spezzacatena, che è divenuta emblematica delle problematiche legate al bullismo e al cyberbullismo, sempre più approfondite e dibattute nelle scuole italiane, come è giusto che sia. Infatti, se è difficile per genitori e insegnanti gestire un caso di bullismo che si manifesta con un occhio nero o un abito strappato, è ancora più complesso gestirne uno che non lascia tracce visibili se non sul web e, come viene chiaramente mostrato, nelle anime dei bambini e dei ragazzi: ecco perchè è così diffiicle individuare il cyberbullismo, comprenderne le dinamiche e combatterlo. Il Ragazzo dai Pantaloni Rosa è stato proiettato in diverse scuole all’interno di percorsi di educazione contro la violenza e il bullismo. E le scuole sono il posto più adatto a questa pellicola. Le scuole medie, magari, perchè già alle superiori i ragazzi si renderanno conto che al valore contenutistico e cronachistico del film non ne corrisponde affatto uno cinematografico di uguale portata. Il film è girato, ripreso e montato in modo 100% convenzionale, con grossi problemi di messa a fuoco e di ritmo. Tutto ciò che vediamo è scontato fin dal principio, e non solo perchè la voce narrante fuori campo ce lo anticipa, ma perchè si ha continuamente l’impressione di star vedendo uno qualunque dei film e delle serie tv che hanno affrontato, anche solo marginalmente, l’argomento dei maltrattamenti in ambiente scolastico. La recitazione di tutti è pessima, e il sonoro, anch’esso pessimo, non aiuta ad estrapolare qualche frase di senso compiuto dai farfugliamenti in mezzo romanesco; c’è da dire che i dialoghi sono così banali e stantii che probabilmente la perdita non è grave. La colonna sonora, con il gran finale dei miagolii insopportabili di Arisa, è banale all’inverosimile. Una visione che dovrebbe essere, in particolar modo per una madre, drammatica e straziante risulta invece noiosa e insopportabile a causa dell’imperizia della messa in scena a tutti i livelli. Come nel caso di Berlinguer – La Grande Ambizione, sono convinta che sarebbe stato molto più efficace un documentario, magari della durata di un’oretta, per raccontare la vera storia di Andrea e di sua madre Teresa Manes, insignita nel 2022 da Sergio Mattarella dell’onorificenza di Cavaliere della Repubblica per il suo impegno, realizzatosi attraverso libri e altre attività sociali, contro il bullismo e il cyberbullismo; ridurre una storia autentica e significativa come questa a una delle tante fiction televisive di bassa qualità mi sembra un vero peccato. Se poi la regista (a me sconosciuta) Margherita Ferri decide di mostrare come primissima scena la nascita di Andrea, cioè una madre cinquantenne (tale l’età anagrafica di Claudia Pandolfi, che nonostante la chirurgia estetica li dimostra tutti) nell’atto di partorire un bambino che nasce già grande di alcune settimane, con gli occhi aperti e tutto il resto, mi sia concesso di non appassionarmi a questa storia non per quello che rappresenta ma per come è stata raccontata.

Voto: 1 Muffin

Verso l’Abisso Fischiettando

In genere non ascolto la radio, perchè tutti i deejay e i presentatori, con le loro volgarità e il loro incessante blaterare senza senso, mi irritano parecchio. C’è però una trasmissione radio che invece amo molto e che seguo più che volentieri, per quanto posso, visto che va in onda in orario lavorativo (ma le registrazioni delle puntate sono sempre disponibili su Raiplay Sound): mi riferisco a Il Ruggito del Coniglio, in onda su Rai Radiodue dal lunedì al venerdì dalle 07.45 alle 10.30. Si tratta di una classica trasmissione contenitore, che oltre a trasmettere della musica che per lo più incontra i miei gusti, intrattiene il pubblico con dissertazioni comiche sui fatti del giorno, imitazioni, personaggi, ospiti e molto altro. I due storici conduttori del Ruggito del Coniglio, Marco Presta e Antonello Dose, sono molto simpatici, affiatati tra loro e quasi per nulla volgari: questo rende l’ascolto della loro trasmissione molto piacevole.

Quando ho saputo che i due presentatori hanno anche scritto dei libri, mi sono molto incuriosita e ho deciso di provarne uno, per iniziare. Babbo Natale quest’anno mi ha portato Verso l’Abisso Fischiettando di Marco Presta, libro uscito nel 2024 edito da Einaudi.

Non credo proprio che sarà l’ultimo libro di Marco Presta che leggerò, perchè mi è piaciuto moltissimo!

La trama è semplice ma molto accattivante: il protagonista, Enrico, ex maestro di scuola che vive a Roma, è arrivato senza particolari sforzi a compiere 133 anni, godendo di buona salute e conducendo una vita modesta e normalissima. Un numero sempre crescente di persone, però, non vede affatto di buon occhio questa sua inspiegata longevità: alcuni lo accusano di essere un robot o un alieno, altri di essere il frutto di un esperimento genetico di qualche potenza straniera, altri ancora sono convinti che si addirittura in combutta con il demonio in persona… Per proteggere l’incolpevole Enrico da questi atteggiamenti ostili, che sfociano talvolta nella violenza, lo Stato italiano gli ha assegnato una scorta armata e un presidio permanente di forze di polizia. Ma Enrico non sembra proprio avere alcuna intenzione di morire, e questo suscita reazioni inattese e innesca situazioni impreviste.

Il libro è molto scorrevole e si legge in fretta ma con grande piacere, godendo sia delle vicende del vetusto Enrico che della narrazione sciolta e acuta. Verso l’Abisso Fischiettando è prima di tutto un intrattenimento piacevole e divertente, pur contenendo riflessioni interessanti e qualche situazione emotivamente intensa. Tuttavia, se ci si vuole fermare un momento a riflettere, si troveranno molteplici spunti davvero interessanti. E soprattutto, ci si rende subito conto che la possibilità di un’insurrezione mondiale di fronte a un’anomalia biologica del genere non è un risvolto così assurdo, basandosi su ciò che la natura umana ha fino ad oggi dimostrato di essere e di poter diventare.

Una lettura distensiva (ma non troppo), consigliata davvero per tutti.

Il Tempo che ci vuole

Anno: 2024

Regia: Francesca Comencini

Interpreti: Fabrizio Gifuni, Romana Maggiora Vergano

Racconto autobiografico, scritto e diretto da Francesca Comencini, di alcuni momenti salienti del suo rapporto con il padre Luigi Comencini, celebre regista italiano autore di classici del nostro cinema come Pane Amore e Fantasia, Tutti a Casa, ll Compagno Don Camillo, La Donna della Domenica e Signore e Signori, Buonanotte, oltre al famosissimo sceneggiato televisivo tratto da libro Pinocchio. Dall‘infanzia di Francesca alla travagliata adolescenza fino a trovare la sua strada sulle orme del padre.

Il film mi è piaciuto molto, credo che nessun cinefilo possa dire di no all’idea di scoprire qualcosa di più su un regista così importante come Luigi Comencini, anche considerando il fatto che non siamo di fronte ad un documentario e che molti avvenimenti e dialoghi potrebbero non essere autentici. In ogni caso mi hanno molto colpita l’affetto e il rispetto con cui Francesca Comencini ha raccontato Luigi, che senza dubbio in alcune fasi della sua vita deve essere stato per lei un padre piuttosto ingombrante e dal quale non si sentiva capita. Ho apprezzato gli interpreti, in particolare Fabrizio Gifuni nel ruolo di Luigi, l’amore per le città di Roma e di Parigi che traspare dalle inquadrature, l’equilibrio tra racconto del cinema e racconto della vita, che scorrono a tratti parallelamente ma senza incontrarsi, a tratti indissolubilmente intrecciati. Quel pizzichino di realismo magico alla Zavattini poi mi ha soddisfatto molto, coerente con la figura di artista che ci viene raccontata e che abbiamo tutti imparato a conoscere e amare attraverso il suo cinema.

Mi resta un’unica riserva, non avendo visto altri film di Francesca Comencini, mi domando se sia in grado di raccontare altro rispetto al padre e a se stessa (sappiamo dal film che il suo esordio dietro la macchina da presa, nel 1984 con Pianoforte, è stato sempre all’insegna dell’autobiografia): non mi resta che procurarmi altri film diretti da lei per scoprirlo!

Voto: 3 Muffin

My Spy | My Spy – La Città Eterna

My Spy

Titolo originale: My Spy

Anno: 2020

Regia: Peter Segal

Interpreti: Dave Bautista, Chloe Coleman, Parisa Fitz-Henley, Kristen Schaal, Ken Jeong

Dove trovarlo: Prime Video

L’agente della CIA JJ (Dave Bautista) viene incaricato di sorvegliare la bella infermiera Kate (Parisa Fitz-Henley) e sua figlia di 10 anni Sophie (Chloe Coleman) fingendosi un loro nuovo vicino di casa per proteggerle dallo zio, spietato criminale internazionale. Sophie però scopre che JJ sta spiando lei e la madre e gli propone un accordo: se lui le insegnerà ad essere una spia, lei non rivelerà il suo segreto. JJ è costretto ad accettare il patto, ma con il passare del tempo si affezionerà sempre di più a Sophie e a sua madre, mettendo a rischio la missione.

My Spy – La Città Eterna

Titolo originale: My Spy – Eternal City

Anno: 2024

Regia: Peter Segal

Interpreti: Dave Bautista, Chloe Coleman, Kristen Schaal, Ken Jeong, Anna Faris

Dove trovarlo: Prime Video

JJ (Dave Bautista) si è accasato con Kate (Parisa Fitz-Henley) e si dedica in tutto e per tutto ad essere un buon uomo di casa e patrigno per Sophie (Chloe Coleman), ormai adoloscente. Quando il coro della scuola di Sophie viene selezionato per esibirsi a Roma davanti al Papa e a diversi Capi di Stato, JJ si offre subito come accompagnatore per tenere d’occhio la ragazza, senza sapere che è in atto un complotto per far esplodere una bomba in Vaticano… 

Per un periodo ho seguito con molto trasporto ed entusiasmo il wrestling della WWE, quindi sono sempre portata a provare simpatia per i wrestler che si cimentano nella carriera cinematografica, anche perchè in passato alcuni di loro hanno dimostrato di avere talento non solo come atleti (ricordando comunque che il wrestling è tanto una disciplina sportiva quanto uno spettacolo) ma anche come attori: basti pensare alla sfolgorante carriera di Dwayne “The Rock” Johnson o alle recenti buone prove di John Cena.

Dave Bautista stesso, in questi ultimi anni, ha già dimostrato di poter portare avanti un personaggio per diversi film interpretando Drax nella serie I Guardiani della Galassia.

Per questo motivo mi sono approcciata al primo film senza grandi aspettative ma con atteggiamento tendenzialmente positivo, e My Spy si è dimostrato ciò che mi aspettavo: un filmetto d’azione con venature di commedia guardabile e innocuo, con una manciata di scenette simpatiche. Il regista Peter Segal, d’altro canto, ha diretto in passato dei film del genere spionaggio/comico cui sono molto legata: mi riferisco a Agente Smart – Casino Totale (il cui co-protagonista, guarda caso, è proprio Dwayne Johnson) ma, soprattutto, al terzo capitolo della trilogia Una Pallottola Spuntata, pietra miliare della mia infanzia. Ecco perchè sono rimasta così scottata quando, a ruota, ho visto il secondo film, e mi sono imbattuta in un escremento fumante e disgustoso con una trama che non sta in piedi, una cattiva per nulla credibile (Anna Faris è bravissima nei ruoli comici, senza dubbio, e il suo personaggio qui era comunque pensato malissimo, ma lei era comunque fuori parte), un’accozzaglia di personaggi del primo film inseriti a spinta e alcune scene davvero disgustose. Oltretutto c’erano anche dei tremendi e detestabili uccellini in CGI, una cosa che proprio non sopporto, e in aggiunta tutti i possibili stereotipi su Roma, come le Vespe abbandonate in ogni cantuccio e la Chiesa di San Pietro deserta e a completa disposizione dei cattivi e dei loro loschi piani. In conclusione, se il primo film è salvabile e innocuo, il secondo non solo non merita di essere visto ma è decisamente sconsigliato.

Voto: 2 Muffin (My Spy) e 1 Muffin Ipocalorico (My Spy – La Città Eterna)

Ricomincio da Noi

Titolo originale: Finding your Feet

Anno: 2017

Regia: Richard Loncraine

Interpreti: Imelda Staunton, Timothy Spall, Celia Imrie

Dove trovarlo: Amazon Prime

Dopo aver scoperto il marito in flagrante tradimento con la sua migliore amica, Sandra (Imelda Staunton) abbandona il fedifrago, la casa e la sua vita lussuosa per rifugiarsi dalla sorella Bif (Celia Imrie). Bif la accoglie con affetto ma presto i caratteri opposti delle sorelle porteranno all’attrito tra le due: se Sandra è composta, seria e posata, Bif al contrario è esuberante, disordinata e passionale. Per aiutare Sandra, Bif la coinvolge suo malgrado in un corso di ballo. Inizialmente Sandra sembra rifiutare ogni aspetto della vita della sorella, dalla marijuana alle sue frequentazioni, poi, poco alla volta, si lascia travolgere dalla sua energia e dal suo amore per la vita, fino a riscoprire se stessa, attraverso la danza (in cui eccelleva da bambina) e anche grazie a un sentimento inaspettato che la legherà sempre di più allo scapestrato (ma solo in apparenza) Charlie (Timothy Spall).

La storia del cinema in generale, e quella del cinema inglese in particolare, trabocca di storie in cui i personaggi, dopo una crisi esistenziale ed emotiva, ritrovano se stessi e la gioia di vivere grazie all’espressione, spesso artistica, della loro personalità più autentica. Succede ad esempio in Billy Elliot, Full Monty, Calendar Girls, tutte ottime commedie di formazione. Ricomincio da Noi appartiene allo stesso filone, sebbene sia un film dolceamaro che alterna momenti comici a momenti drammatici senza far prevalere nessuno dei due toni, anche se, forse proprio per questo suo essere ibrido, risulta meno riuscito degli altri che ho portato ad esempio. La forza del film quindi non si trova nella trama, piuttosto convenzionale, e nemmeno nei personaggi, che sono i caratteri tipici del genere, ma nel talento degli attori che, pur imbrigliati in questa struttura consolidata che non si prende alcun rischio riescono a restituire dei personaggi che, se non a tuttotondo, diventano delle figure aggettanti cui ci si affeziona e di cui si seguono con piacere le vicissitudini. Se il contrasto tra Imelda Staunton e Celia Imrie è il cuore della storia, il vero elemento d’interesse è il personaggio di Charlie, interpretato con spigliata dolcezza da Timothy Spall. Una curiosità: anche se non recitavano insieme, Imelda Staunton e Timothy Spall hanno preso entrambi parte alla saga di Harry Potter interpretando due personaggi spiacevoli, la tirannica preside Dolores Umbridge e il traditore Codaliscia. Consigliato a chi ha un debole per gli attori inglesi, per i film in cui si balla, per chi ama le storie leggere di riscatto personale, per chi vuole godersi un gruppetto di attempati ballerini inglesi che se la spassa per le strade di Roma.

Voto: 3 Muffin

Celebrity Hunted – Caccia all’Uomo

Ormai da decenni abbiamo tutti capito che c’è davvero molto poco di autentico in qualsiasi reality show, ma questo è particolarmente vero per lo show di Amazon Prime (basato su un format britannico) Celebrity Hunted: Caccia all’Uomo. Se fosse tutto vero, infatti, assisteremmo a sei puntate in cui un gruppo di persone con accesso a tutte le risorse delle forze dell’ordine (computer, satelliti, intercettazioni, elicotteri, droni…) cerca di impedire a dei personaggi famosi (chi più chi meno) di vincere dei soldi da dare in beneficenza. Evidentemente non è così, non c’è alcun dubbio sul fatto che si tratti di uno spettacolo costruito, organizzato e recitato, in cui le risorse della polizia vengono solamente replicate (come viene specificato all’inizio di ogni puntata) e tutto è pianificato per intrattenere lo spettatore sfruttando la simpatia e le diverse doti delle celebrità coinvolte. Inoltre, come spesso accade, il vero eroe non è il vincitore del gioco (non farò spoiler in ogni caso) ma i cameraman, costetti e seguire i personaggi famosi ovunque (nei boschi, nelle cliniche di chirurgia plastica, nelle case sugli alberi, nei conventi) e a nascondersi e acquattarsi a loro volta per non essere individuati dagli Hunters (i Cacciatori). Ma questo non significa che Celebrity Hunted non sia divertente e non possa regalare qualche risata e molti momenti di leggerezza. Tutto ha inizio a Roma, dove si trova la sede degli Hunters (nella suggestiva lanterna di Fuksas, in cima al palazzo dell’Ex Unione Militare) e dove i concorrenti vengono radunati per l’inizio del gioco. I fuggitivi hanno avuto la possibilità di organizzarsi in coppie e di predisporre un mezzo per la fuga; ciascuno di loro inoltre è stato dotato di un cellulare di vecchia generazione (non Smartphone) tramite il quale, dopo 12 giorni di fuga, i concorrenti ancora in gioco riceveranno le coordinate del Punto di Estrazione (che può essere ovunque nel territorio italiano e che è sconosciuto anche ai Cacciatori). Avranno quindi due giorni di tempo per raggiungerlo, ma a quel punto avranno anche gli Hunters alle calcagna: il cellulare infatti, così come i loro cellulari personali, è sotto controllo. I fuggitivi dovranno spostarsi, nascondersi e sopravvivere senza farsi trovare e con poche risorse a disposizione (una tessera bancomat che eroga al massimo 70 euro al giorno e che, naturalmente, viene tracciata). Nella loro sede operativa i cacciatori, una squadra composta da ex rappresentanti delle forze dell’ordine, hackers etici (cioè “buoni”), criminologi e psicologi cercherà di individuare i fuggitivi e anticipare le loro mosse per catturarli tramite le squadre d’azione dislocate sul territorio italiano. Le prede, come dice il titolo, sono personaggi famosi dello sport, del cinema e dello spettacolo italiano: l’ex capitano della Roma Francesco Totti, che affronterà la sfida in solitaria; il conduttore tv Costantino della Gherardesca, anche lui deciso a fuggire da solo; gli attori Diana del Bufalo a Cristiano Caccamo (in tutta onestà, mai visti nè sentiti prima), in coppia; l’attore Claudio Santamaria (che ho apprezzato moltissimo in Lo Chiamavano Jeeg Robot) insieme alla moglie giornalista Francesca Barra; il rapper Fedez (di cui ancora non ho sentito una canzone ma che mi è piaciuto molto per come ha condotto L.O.L.) in coppia con lo youtuber Luis Sal. A rendere le cose divertenti sono le peculiarità di ciascun personaggio e le dinamiche che si vengono a creare tra le coppie, oltre alle diverse strategie adottate (chi ha un piano, chi si affida alla fortuna, chi sfrutta le conoscenze, chi conta sulla generosità degli sconosciuti). Qualcuno cercherà di sparire in un monastero, altri in una casa sull’albero o in una stalla, qualcuno invece finirà ad abbuffarsi in casa Surace. Mettetevi comodi, preparatevi a fare il tifo per la vostra celebrità del cuore e vi scoprirete a trattenere il respiro quando i Cacciatori si avvicinano… Anche se non è tutto vero, di sicuro è vero intrattenimento!

La Partita

Anno: 2019

Regia: Francesco Carnesecchi

Interpreti: Francesco Pannofino, Alberto Di Stasio, Giorgio Colangeli, Gabriele Fiore

Dove trovarlo: RaiPlay

Una vasta gamma di drammi personali, economici e familiari si incrociano intorno ad un campo da calcio, quello di Quarticciolo in cui lo Sporting Roma sta disputando la finale del campionato locale. Tutti gli occhi sono puntati sul numero dieci, Antonio (Gabriele Fiore), attaccante che potrebbe portare la squadra a vincere di nuovo la coppa dopo quarant’anni: ma non tutti desiderano la vittoria della sua squadra.

Non c’è bisogno di spendere molte parole per dire quanto sia importante il gioco del calcio per la cultura popolare italiana: questo sport è onnipresente nella vita quotidiana di tutti. Anche di chi non è tifoso e non lo segue conosce suo malgrado i nomi delle squadre e dei giocatori più blasonati. Nonostante questo tuttavia è sempre stato difficilissimo per il nostro cinema raccontare il calcio. Francesco Carnesecchi con La Partita fa un nuovo tentativo, scegliendo però di parlare non della serie A ma di un campionato minore in cui si sfidano squadre di giovanissimi: eppure, anche in questo microcosmo calcistico, ritroviamo tutti i drammi e le brutture di cui purtroppo il calcio italiano di alto livello è pieno zeppo. Contrariamente a quanto il titolo farebbe pensare, di calcio giocato in questo film se ne vede ben poco, perché il focus è sui drammi di ogni genere che tormentano tutti i personaggi legati in modo più o meno diretto con lo Sporting Roma. Anche se fin dall’inizio è chiaro che ci troviamo in un territorio molto lontano da quello di Un Allenatore nel Pallone, la cosa sfiancante di questo film è che in 90 minuti (sicuramente la scelta non è casuale) nessuno dei personaggi ha mai una gioia o un soddisfazione. L’allenatore Claudio (Francesco Pannofino) decide di porre fine alla sua amatissima carriera di allenatore a prescindere dal risultato; il presidente Italo (Alberto Di Stasio), mentre il figlio cocainomane sogna erba sintetica per il loro campo da gioco, si perde in un giro di scommesse sportive da cui è impossibile uscire vincitori; il talento in erba Antonio (Gabriele Fiore) si infortuna gravemente, mentre suo padre ha scommesso contro di lui e sua madre si accapiglia con l’odiosa cognata. E si potrebbe continuare, perché non c’è un vero lieto fine per nessuno, né in campo né fuori, in barba a tutti i film americani con cui siamo cresciuti in cui lo sport è un mezzo di emancipazione e riscatto (il mio preferito è Fuga per la Vittoria con Sylvester Stallone e Pelè). Tuttavia, pur accettando lo spirito disfattista (cosa che non molti tifosi sportivi fanno volentieri) il film ha molti difetti cui è impossibile passare sopra. Dal punto di vista formale ci sono molte inquadrature davvero inspiegabili (droni sopra il campetto di Quarticciolo, carrellate alle spalle, inquadrature dal basso…) che disturbano la visione; inoltre, ben sapendo che non sarebbe realistico epurare tutte le brutte parole dai dialoghi, eliminando tutto il turpiloquio la durata del film si riduce probabilmente a quella del primo tempo. Il che ci porta all’errore concettuale di voler incorniciare tutto il film nei 90 minuti della partita, presentandoci quindi tutti i personaggi e i loro drammi con dei continui flashback che, se funzionavano benissimo per uno dei cartoni più amati della mia infanzia, Holly e Benji, qui sono invece confusi e spiazzanti. Io sono un’appassionata di cinema che ama anche guardarsi una bella finale di Champions League, e questo film mi lascia l’idea che a volte è molto meglio una bella partita di un brutto film.

Voto: 1 Muffin

Fantasmi a Roma

Anno: 1961

Regia: Antonio Pietrangeli

Interpreti: Marcello Mastroianni, Sandra Milo, Vittorio Gassman, Tino Buazzelli, Belinda Lee, Eduardo De Filippo

Dove trovarlo: nel salotto dei miei genitori E sul caminetto della casa in montagna

Questo film ci piace così tanto che, per essere sicuri di poterlo sempre vedere ogni volta che ne abbiamo voglia, abbiamo comprato due copie in dvd, una da tenere a casa e una per la casa delle vacanze (il vhs è rimasto come cimelio ora che non abbiamo più un videoregistratore). Quando i miei genitori me lo hanno mostrato per la prima volta ero piccolissima, tanto da non conoscere nessuno degli interpreti principali, che sono tutti attori famosissimi del cinema italiano. Oggi si guarderebbe con sospetto l’idea di mostrare un film i cui protagonisti sono tutti dei fantasmi – e il film spiega che si può diventare spiriti solamente se si muore in modo cruento – ad una bambina piccola, ma io non mi spaventai per niente, anzi presi in simpatia queste presenze invisibili che vivevano in mezzo agli ignari abitanti di Roma commentandone e, quando necessario, manovrandone le vite, più come angeli custodi che come i convenzionali spettri che infestano i castelli diroccati. Per i bambini vanno bene le fatine, i cagnolini e gli orsetti, ma ogni tanto ci vuole anche un po’ di spirito!

In questo film non c’è nulla che non sia fatto bene, a cominciare dalla trama, semplice ma anche originale, acuta ed equilibrata. Il Principe di Roviano (Eduardo De Filippo) muore improvvisamente mentre cerca di riparare il suo vecchissimo scaldabagno. Subito arriva in città il nipote Federico (Marcello Mastroianni), unico erede, accompagnato dalla bella e disinibita cantante Eileen (Belinda Lee). Federico decide immediatamente di vendere l’antico palazzo di famiglia per ricavarne il denaro necessario alla vita di agi e lussi che Eileen desidera, ignaro del fatto che esso sia da secoli la dimora di un gruppo di fantasmi, tutti suoi antenati: il seduttore Reginaldo (ancora Marcello Mastroianni), la bellissima e svampita Flora (Sandra Milo) e il goloso Fra Bartolomeo (Tino Buazzelli). I fantasmi, timorosi di perdere la loro casa, incaricano il fu pittore Giovan Battista Villari, detto “Il Caparra” (Vittorio Gassman), di dipingere un affresco affinché il palazzo venga dichiarato edificio d’interesse storico e non possa essere demolito.

La storia, già di per sé divertente ed intrigante, non potrebbe però funzionare se tutti gli attori non fossero, oltre che bravissimi, anche affiatati e perfetti ciascuno per il proprio ruolo. Eduardo De Filippo è un perfetto Principe che, pur caduto in miseria, non perde mai la sua dignità e la sua classe. La sua cocciutaggine, che per anni lo aveva spinto a rifiutare le generose offerte di un’impresa desiderosa di rilevare palazzo Roviano per demolirlo e costruire al suo posto un supermercato, sarà alla fine la sua rovina, poiché per non spendere i soldi della riparazione tenta di aggiustare da solo il vetusto scaldabagno, rimanendo ucciso dall’esplosione di questo. Ma la sua dipartita, lungi dall’essere un triste finale, mette invece in moto la trama portando sulla scena l’avido nipote Federico, che non solo si disinteressa del volere dello zio e della storia della famiglia, ma accetta di avallare la strategia dell’impresa di costruzioni che ottiene i permessi necessari corrompendo uno dopo l’altro i funzionari governativi. Questa scena, in cui i burocrati sono invitati a “guardare l’ampiezza del garage” del modellino in scala del futuro supermercato, che naturalmente è imbottito di banconote e la cui ampiezza cresce con l’aumentare di grado dei funzionari, è diventata, come molte altre del film, un modo di dire a casa mia, per cui è normale sentirci dire “gli hanno mostrato il garage” per intendere “si è fatto corrompere”. Se gli interpreti sono tutti da elogiare, però, una menzione speciale va fatta per Marcello Mastroianni, che compare in Fantasmi a Roma addirittura in un triplice ruolo: Federico e Reginaldo di Roviano e Gino, il fidanzato della segretaria del Principe, inconsapevolmente imparentato anche lui con i Roviano (Reginaldo era infatti un impenitente seduttore, morto in giovane età proprio durante l’inseguimento di un marito geloso). Tino Buazzelli è il perfetto frate bonario e goloso, mentre Sandra Milo, mai così bella, di certo non fatica ad interpretare Flora, suicida per amore, tanto bella quanto cretina. E come ciliegina sulla torta troviamo, nel ruolo del Caparra, il grandissimo Vittorio Gassman, artista ribelle, solitario e scontroso, che accetta di aiutare gli altri solamente con la promessa che potrà vivere con loro, visto che la sua vecchia torre sta per essere demolita per far posto ad un campo da calcio. Non saprei dire quale sia il personaggio più divertente, perchè ognuno ha la sue scene e le sue battute, e l’alchimia tra i loro diversi caratteri li rende il gruppo di spettri romani più spiritosi di sempre. Abbiamo girato in lungo e in largo la città di Roma alla ricerca dei luoghi del film, ma purtroppo molti non esistono più o sono molto diversi; in ogni caso è stata una bella avventura ispirata da questo classico, ingiustamente poco noto, del nostro cinema. Anche gli effetti speciali, pur nella loro semplicità, sono perfetti nel distinguere in ogni scena i vivi dai morti e nel mostrare il divario tra noi e loro, con il sapiente uso di luci e costumi. La splendida colonna sonora è di Nino Rota, mentre tra gli sceneggiatori, oltre allo stesso regista, troviamo anche Ennio Flaiano e Ettore Scola.

Fantasmi a Roma è uno dei grandi classici di casa mia e ogni volta che lo rivedo, al di là dell’affetto che provo per il film, non posso che riscoprirlo per il capolavoro della commedia italiana che è, e spero tanto di riuscire a fargli un po’ di buona pubblicità perché merita davvero la visione da parte di tutti, anche dei bambini e anche di chi non crede che accanto a lui, proprio in questo momento, potrebbero esserci un frate ciccione e un casanova senza una scarpa.

Voto: 5 Muffin

Lo Chiamavano Jeeg Robot

Anno: 2015

Regia: Gabriele Mainetti

Interpreti: Claudio Santamaria, Ilenia Pastorelli, Luca Marinelli

Dove trovarlo: Raiplay

Enzo Ceccotti è uno spiantato di mezz’età senza famiglia né amici che sbarca appena il lunario con piccoli reati e si nutre esclusivamente di budini e film porno. Ma tutto cambia quando, per sfuggire sia alla polizia che a un paio di criminali, decide di gettarsi nel Tevere proprio nel punto in cui si trovano alcuni bidoni di scorie chimiche. Quando riemerge, Enzo si rende lentamente conto di aver acquisito una forza sovrumana, che decide subito di sfruttare per i suoi intenti criminali, fino a che non si ritrova a dover badare a Alessia, giovane con disturbi mentali il cui padre è stato ucciso durante un’operazione criminosa andata male. A complicare ulteriormente le cose c’è poi lo Zingaro, che intende scoprire ad ogni costo l’origine dei suoi superpoteri.

Non guardo quasi mai film italiani, ma per questo ho seguito il consiglio del mio critico cinematografico di fiducia (non Mereghetti, non Morandini, bensì il mio papà) cui il film è piaciuto. E per fortuna l’ho fatto, perchè partivo con molte riserve e invece il film mi è piaciuto moltissimo. La forza di Lo Chiamavano Jeeg Robot non è certamente nella trama, che è il classico racconto della nascita di un supereroe come ne abbiamo visti tanti, ma nei personaggi, nel linguaggio e negli attori. Enzo è il tipico misantropo che riscopre di avere sentimenti e una coscienza, ma Claudio Santamaria lo interpreta molto bene, senza mai strafare, e gli presta la sua voce profonda come già aveva fatto in passato con Batman, sia per la trilogia di Christopher Nolan che, in chiave autoparodica, per il Batman di Lego. A dare forza al protagonista è in realtà il suo rapporto con il personaggio di Alessia, splendidamente interpretata da Ilenia Pastorelli, bella e infantile, appassionata e profondamente traumatizzata, che riesce a far emergere tutto il buono che era sepolto in lui. Un bell’applauso lo merita senza dubbio Luca Marinelli per il suo Zingaro, la cui ossessione di rivivere il momento di gloria televisiva avuto tanti anni prima grazie al programma Buona Domenica lo trasforma in un supercattivo davvero efficace, un’ottima nemesi per l’oscuro e silenzioso Enzo. Anche se l’idea di un supereroe che parla in romanesco sulla carta può far sorridere, nel film si rivela invece una scelta efficace: lontano dalle forzature che forse un italiano troppo patinato avrebbe rivelato, l’uso del dialetto da parte dei personaggi contribuisce invece al realismo. Gli effetti speciali, molto lontani dall iperrealismo della CGI americana, sono tuttavia sufficienti ai fini della narrazione, e tutto il lavoro registico (montaggio, inquadrature) è ineccepibile. Nella storia e nel finale (con immancabile posa sul Colosseo) tutto è rassicurantemente prevedibile, ma secondo me un film italiano che regala personaggi e scene ben costruite come questo è davvero un gioiellino. Di cui spero nessuno faccia mai un sequel.

Voto: 3 Muffin