la prima stagione della serie Netflix Bridgerton era stata un autentico guilty pleasure che ci aveva intrattenuti piacevolmente tra abiti dai colori sgargianti, gossip, crinoline e amori contrastati, senza darsi pensiero per l’originalità degli intrecci, lo spessore dei personaggi o l’accuratezza storica.
Cosa è dunque cambiato in questa seconda stagione?
La serie si apre con alcuni deliziosi ammiccamenti per il pubblico, giocando sul parallelismo tra la stagione della serie alla stagione della buona società londinese: in entrambi i casi, durante la pausa estiva, l’assenza della voce di Lady Whistledown (la cui voce in lingua originale è quella di Julie Andrews), la misteriosa autrice dei pamphlet di pettegolezzi più amati e temuti di Londra, è stata profondamente sentita.
Nella prima stagione avevamo seguito la combattuta storia d’amore tra Daphne Bridgerton (Phoebe Dynevor) e il duca di Hastings (Regè-Jean Paige, che in questa seconda stagione non appare neppure in un cameo, impegnato, si vocifera, ad allenarsi a reggere tre Vodka-Martini e camminare ancora dritto). In questi nuovi 6 episodi targati Shondaland (la casa di produzione della showrunner Shonda Rhimes) e tratti anch’essi dai romanzi di Julia Quinn, al centro degli eventi troviamo invece Anthony (Jonathan Bailey), il primogenito dell’agiata famiglia Bridgerton (seguito, in ordine anagrafico e alfabetico, da Benedict, Colin, Daphne, Eloise, Francesca, Gregory e Hyacinth), combattuto tra il dovere di scegliere una sposa adeguata e i desideri del cuore.
Ancora una volta veniamo trasportati in un mondo irreale di gonne vaporose, balli composti, clichè romantici e musiche suadenti (imprevedibilmente piacevoli i riarrangiamenti musicali di alcuni successi pop come Material Girl e Wrecking Ball).
E ancora una volta, e questa è la nota più dolente, la regina d’Inghilterra (Golda Rosheuvel) viene sfruttata come deus ex machina per ogni inghippo della trama che gli sceneggiatori non sono in grado di dipanare, intervenendo senza il minimo criterio di coerenza nelle sue motivazioni (non che a una regina sia necessariamente richiesto, ma almeno un abbozzo di profilo psicologico definito sarebbe comunque apprezzato) per benedire o deprecare coppie, distruggere o salvare reputazioni eccetera.
Ma allora cosa distingue, alla fine, questa seconda stagione dalla prima?
Il successo della prima stagione ha garantito un budget sufficiente per la CGI, che è stata utilizzata per creare, pensate, un’ape. Mi domando se non ci fosse un altro modo per mostrare con maggior realismo questo insetto che con la sua puntura provoca la prima volta grande disperazione e la seconda consapevolezza di un sentimento represso ed è quindi funzionale alla trama. Ma non è certo per gli effetti speciali che si inzia a seguire una serie come Bridgerton…
L’assenza del personaggio del duca di Hastings ha creato un grosso buco narrativo, in quanto i suoi addominali scolpiti costituivano un buon 65% della trama della prima stagione.
Se questo non ti disturba, caro lettore, gettati nella visione a capofitto.
Se invece sei alla ricerca di una ricostruzione storica inappuntabile, interpretazioni eccellenti, personaggi ben costruiti e dialoghi impeccabili, allora quest’autrice ti consiglia di rifuggire Bridgerton in favore diDownton Abbey, per gustare tutto il vero fascino della cara vecchia Inghilterra.
Dopo il grande successo del primo film in cui l’agente segreto britannico James Bond è interpretato da Roger Moore, Vivi e Lascia Morire, la United Artists chiede ai produttori Harry Saltzman e Albert “Cubby” Broccoli di girare immediatamente un altro film di 007.
E i due pigmalioni non si fanno certo trovare impreparati: avevano già da anni messo gli occhi sull’ultimo romanzo scritto da Ian Fleming, L’Uomo dalla Pistola d’Oro, ma la situazione politica internazionale aveva reso impossibile girare in tutte le location prescelte: Iran, Beirut e Vietnam. Il romanzo di Fleming in realtà è ambientato in Giamaica, ma siccome lì è stato appena girato Live and Let Die l’attenzione dei produttori si concentra invece sulla Thailandia e su Hong Kong, scelte come location principali di The Man with the Golden Gun.
Per adattare la trama del romanzo a questi luoghi viene subito chiamato Tom Mankiewicz, già sceneggiatore di Una Cascata di Diamanti e Vivi e Lascia Morire, che però, dopo aver elaborato una prima stesura, abbandona il ruolo, afflitto da problemi di salute e convinto di non star dando il proprio meglio, salvo poi tornare per rivedere il copione scritto da Richard Maibaum, anche lui veterano di Bond (autore del copione di Licenza di Uccidere, Dalla Russia con Amore, Goldfinger, Thunderball, e Al Servizio Segreto di Sua Maestà).
Alla regia Saltzman e Broccoli vanno sul sicuro chiamando Guy Hamilton, reduce dal grandissimo successo di Vivi e Lascia Morire. Il regista ha già un’idea su dove collocare il nascondiglio del cattivo, il killer Francisco Scaramanga: su una minuscola isoletta al largo del villaggio ai Phuket, in Thailandia, che ha scoperto grazie a National Geographic. Quell’isola, ancora inesplorata nel 1973, è diventata oggi un’ambitissima meta turistica ed è conosciuta come “l’isola di Bond”.
A interpretare il fascinoso agente segreto inglese ritorna Roger Moore; per interpretare il suo rivale, anche se Tom Mankiewicz avrebbe voluto Jack Palance, Guy Hamilton sceglie la leggenda Christopher Lee, all’epoca famosissimo per aver interpretato il Conte Dracula in ben cinque pellicole. Lee ha già recitato con Roger Moore in Ivanhoe e ha già lavorato per Broccoli, ma soprattutto è cugino di Ian Fleming, con il quale aveva militato nei servizi segreti durante la Seconda Guerra Mondiale e si incontrava spesso per giocare a golf. Lee conosce molto bene il libro e riesce a dare vita, come se fosse una cosa naturale, a un villain perfettamente bondiano nonché estremamente efficace, temibile ed affascinante. Il nome “Scaramanga” è stato scelto da Fleming perché un suo compagno di studi particolarmente antipatico di Eton si chiamava proprio così.
Christopher Lee è Francisco Scaramanga
Christopher Lee, che parla fluentemente svariate lingue, sul set si diverte a parlare in svedese con le due bond girls Britt Eckland (che interpreta la spia Mary Goodnight e che, alcuni anni dopo, sposerà l’attore Peter Sellers) e Maud Adams (Andrea Anders, l’amante di Scaramanga; l’attrice viene scelta da Cubby Broccoli e da sua moglie Dana per il ruolo). Curiosità: prima dell’arrivo della Madeleine Swann di Lea Seydoux, Maud Adams è l’unica attrice a ricoprire due ruoli consistenti in due diversi film della saga di James Bond (anche Eunice Gayson e Martine Beswick erano apparse in due film di 007, ma in uno dei due avevano avuto un ruolo molto marginale).
Britt Ekland è Mary GoodnightMaud Adams è Andrea Anders
E se hanno dovuto attendere il 1983 e Octopussy per rivedere Maud, i fan di Bond non hanno dovuto attendere per rivedere Clifton James, che torna nei variopinti panni (l’attore ha acquistato personalmente le camicie hawaiane sfoggiate dal suo personaggio) dello sceriffo Pepper, già apparso in Vivi e Lascia Morire e che qui ritroviamo mentre è in vacanza con la moglie e si imbatte, ancora una volta, in James Bond.
Clifton James è di nuovo lo Sceriffo Pepper
Per il ruolo di Nick Nack, il solerte servitore di Scaramanga, viene scritturato Hervé Villechaize, pittore francese che, nonostante sia alto appena un metro e venti, si rivela da subito un gran seduttore e amante della bellezza femminile: sul set Hervé lascia fiori e disegni nei camerini delle attrici e sulla macchina da scrivere di Elaine Shreyeck, la segretaria di edizione.
Hervè Villechaize è Nick Nack
Completa il cast l’imprescindibile trio: Bernard Lee (M), Desmond Llewelyn (Q) e Lois Maxwell (Miss Moneypenny).
Come da tradizione, il film si apre con una scena che precede la sigla con i titoli di testa: in questo caso serve a presentarci il cattivo, Francisco Scaramanga, che vediamo accogliere sulla sua isola un collega assassino allo scopo di usarlo come bersaglio per la sua esercitazione. Nei panni del malcapitato killer c’è Marc Lawrence, che era già apparso in Una Cascata di Diamanti (nel ruolo di impresario funebre) e che, a detta di Roger Moore, “nella sua carriera ha interpretato più gangster di Humphrey Bogart”. Il regista è molto divertito dall’idea di portare un gangster di Chicago in Thailandia: Guy ama molto i gangster, fin da quando il suo maestro di catechismo a New York gli raccontava storie incredibili su Al Capone, di cui era stato vicino di casa a Chicago. Infatti, nel labirinto degli specchi di Scaramanga (progettato dallo scenografo Peter Murton, già aiutante di Ken Adam sul set di Goldfinger e Thunderball), troviamo proprio Capone tra i personaggi che, pur sembrando manichini, sono interpretati da attori in carne ed ossa: Ray Marion è Al Capone, lo stuntman Les Crawford il cowboy. Quella di Roger Moore invece è proprio una statua di cera, per quanto incredibilmente somigliante. Il set è studiato con grande cura in modo che la macchina da presa non compaia mai, ovunque la si posizioni per girare. Nella scena in cui Scaramanga scivola sulla rampa per arrivare alla sua pistola Christopher Lee è sostituito dallo stuntman Eddie Powell, che già aveva lavorato con lui in Dracula: Principe delle Tenebre nel 1966.
Con questa scena rocambolesca ci viene presentato un altro elemento fondamentale della storia: la pistola d’oro di Scaramanga, che è smontabile e spara proiettili d’oro massiccio. L’oggetto di scena viene realizzato a Londra da Peter Murton in tre versioni, di cui una costituita da oggetti di uso comune (un accendino, una penna…) placcata in oro e smontabile e una che premendo il grilletto emette una scintilla: nessuna versione in ogni caso può sparare. La pistola d’oro esercita un grandissimo fascino anche su Christopher Lee, che dopo aver superato la difficoltà di assemblare l’arma mentre recita e addirittura senza guardare ci si affeziona e insiste per poterla tenere ma non ottiene il permesso, se non per presenziare ad alcuni eventi promozionali. L’attore, nella sua autobiografia, racconta di come la pistola di scena gli sia stata confiscata alla dogana e sia stato costretto a presentarsi al Johnny Carson’s Show disarmato; un’altra volta, fuori da uno studio, una guardia gli grida di gettare l’arma puntandogliene addosso una vera; un’altra volta ancora, mentre si sta recando a un’intervista, Lee si imbatte nel regista Billy Wilder (che lo aveva diretto in Il Fratello più Furbo di Sherlock Holmes) che alza le mani e gli dice: “Non vorrai mica sparare a un vecchio ebreo?”
Chi sparerebbe a Billy Wilder?
I titoli di testa, accompagnati dalla canzone Man with the Golden Gun interpretata dalla cantante scozzese Lulu, vengono in parte proiettati sul corpo della splendida modella di Hong Kong Wei Wei Wong, che ritroveremo come cameriera nella scena ambientata al club Bottom’s Up. Come al solito la produzione del film di 007 si destreggia per evitare la censura e riesce a farla franca nonostante le parole allusive della sigla che descrivono Scaramanga: “He has a powerful weapon”. Un’altra scena in cui il rischio di incorrere nella censura è davvero elevato è quella in cui l’attrice svedese Maud Adams, che interpreta l’amante di Scaramanga, viene trovata da Bond mentre è sotto la doccia: in questo caso il pericolo viene evitato grazie all’utilizzo di un vetro opaco per la parete della doccia e una grande attenzione all’illuminazione e all’angolazione di ripresa.
Dopo i titoli di testa Hamilton inserisce la scena secondo lui più tediosa ma necessaria, la spiegazione fatta dal capo M riguardo la crisi energetica (argomento di forte attualità), per liquidarla e potersi così concentrare solamente sull’azione. A rendere la scena interessante arriva però il commento di Sir Roger Moore, che ricorda come, mentre girava la scena, il suo stomaco vuoto brontolasse rumorosamente; il regista allora ordina di portargli qualcosa da mangiare, ma i rimasugli di biscotto tra i denti peggiorano le cose: e tutto sotto lo sguardo truce dei dirigenti della United Artists!
La scena nel camerino della danzatrice del ventre Saida (interpretata da Carmen Sautoy) è stata in realtà girata per ultima: forse è per questo che la troupe, ormai spossata, ha commesso un errore: se osservate attentamente lo specchio durante la rissa (coreografata dal cowboy della casa degli specchi Les Crawford) ci vedrete chiaramente la macchina da presa e i tecnici riflessi!
Specchio riflesso!
La primissima scena (il 6 novembre 1973, appena cinque mesi dopo l’uscita di Vivi e Lascia Morire) girata invece è l’esterno del Queen Elizabeth, il relitto della nave britannica semiaffondata nel porto di Hong Kong, che sarebbe stato rimosso poco dopo: la troupe deve quindi fare in fretta a riprenderla, e al posto di Roger Moore, che non è ancora arrivato, viene impiegata la controfigura Mike Lovitt. L’interno della nave invece, dove l’MI6 ha installato un quartier generale, viene poi ripreso negli studi Pinewood di Londra insieme a tutti gli altri interni. Peter Murton deve utilizzare tutta la sua abilità per realizzare un set inclinato di 45 gradi (come è inclinata la nave) in cui però gli attori possano camminare in piano, così come lo ha immaginato il regista: lo scenografo studia un ingegnoso sistema di passerelle per muoversi sul set.
Nell’aprile del 1974 si inizia a fare sul serio: la troupe e il cast al completo vanno in Thailandia per girare le scene a Khow-Ping-Kan, l’isola di Scaramanga, che si trova al largo di Phuket. Broccoli, che cerca sempre di offrire il meglio a chi lavora per lui, cerca un alloggio per i suoi collaboratori, ma non è facile trovarlo in quel piccolo villaggio di pescatori: l’edificio più adatto allo scopo si rivela essere il bordello. Cubby manda in vacanza tutte le prostitute con un cospicuo indennizzo e con l’aiuto di Guy Hamilton trasforma il lupanare in un albergo (alla troupe e agli attori non verrà detta la verità sul loro alloggio però).
Ogni mattina tutti raggiungono l’isoletta con delle piccole imbarcazioni e, lungo il tragitto, devono fare attenzione ai pirati che bazzicano quelle acque. Le piccole barche poi fungono anche da camerini e da sala trucco. Nonostante la frugalità della sistemazione e dei mezzi di trasporto Christopher Lee è molto colpito dalla generosità di Broccoli: tutti i cibi e le bevande utilizzati per le riprese sono infatti autentici, compresi il caviale, le ostriche e lo champagne. Quando per la prima volta l’attore raggiunge la grotta che nel film sarà il nascondiglio del suo personaggio e viene accolto da un turbinio di pipistrelli in fuga, con la faccia seria e a sua voce profonda si rivolge a loro dicendo: “Non ora, Stanislav”, improvvisandosi ancora una volta Conte Dracula e facendo scoppiare a ridere tutti i presenti. Da bravo vampiro, Christopher Lee ha la pelle chiarissima e deve essere truccato ogni giorno per poter interpretare l’abbronzato Scaramanga; dopodichè, ogni sera, l’attore è costretto a trasportare dal furgone delle provviste secchi di acqua calda per potersi lavare. Ma non tutti sentono la fatica come lui: Hervé Villechaize trascorre le notti a Bangkok a fare baldoria e si presenta ogni mattina per le riprese stremato; deve inoltre recitare nei panni del maggiordomo Nick Nack indossando giacca e cravatta.
Nel frattempo a Guy Hamilton vengono consegnate le 200 scarpe per elefanti ordinate da Harry Saltzman per la scena della corsa dei pachidermi: peccato che il produttore non avesse prima letto il copione, in cui quella scena non esiste affatto! L’unico elefante presente nel film è quello che fruga nelle tasche dello sceriffo Pepper e poi lo spinge nel fiume: questa scena però non era nel copione, e quando il regista vede l’attore cadere in acqua si spaventa molto. Non c’è da scherzare con l’acqua dei canali di Bangkok: su tutti i copioni distribuiti a cast e troupe infatti è scritto non solo cosa fare in caso di morso di serpente ma anche di non entrare in contatto con l’acqua dei klongs (i canali) per evitare di contrarre infezioni e malattie. Quando infatti Roger Moore, nella scena dell’inseguimento in barca nei klongs, cade in acqua e sparisce per un po’ (per evitare di essere colpito dall’elica dell’imbarcazione) la sua preoccupazione una volta riemerso è quella di non bagnarsi le labbra con quell’acqua pestifera; anche al produttore Broccoli capita di cadere in acqua, ma la sua prima preoccupazione quando ne esce è quella di asciugare le numerose banconote che ha in tasca.
Dopo le ristrettezze di Phuket è una gioia per tutti il trasferimento a Hong Kong, dove finalmente Broccoli può viziare i suoi nel miglior hotel (il Peninsula, con Rolls Royce di servizio e valletto personale in ogni suite) e nei migliori ristoranti; Britt e Maud, che ormai hanno fatto amicizia, possono finalmente rilassarsi e fare shopping. Chi non può godersi questi lussi invece è il direttore della fotografia Ted Moore, che si ammala e deve essere sostituito da Ossie Morris (oscar per Il Violinista sul Tetto), inizialmente recalcitrante per via delle differenze di stile tra lui e Moore ma poi persuaso da Broccoli, che mette a sua disposizione tutti i mezzi ma gli impone la direttiva di non fare esperimenti con i filtri e l’illuminazione come suo solito (Morris utilizzava ogni tipo di materiale, dai collant alla vaselina, per ottenere una qualità inedita dell’immagine): nei film di Bond l’immagine deve essere sempre chiara e nitida!
Poiché riempire uno stadio di comparse sarebbe troppo costoso, per la scena dell’incontro tra Bond e Scaramanga la produzione organizza degli autentici incontri di lotta tra atleti affermati di Hong Kong: il pubblico che vediamo nel film è reale e anche spazientito per le lunghe pause tra un combattimento e l’altro, necessarie per organizzare le riprese. Per Maud Adams è molto difficile rimanere immobile senza respirare per tutta la scena, anche a causa del caldo soffocante.
Il primo giugno 1974 Guy Hamilton si appresta a girare le scena più incredibile del film: l’Astro Spiral Jump, il salto tra due rampe, al di sopra di un canale, con avvitamento dell’auto a 360 gradi. In quegli anni lo stunt show di Jay Milligan Jr., l’American Thrill Show, spopola negli Stati Uniti, mostrando al pubblico le sue rocambolesche acrobazie in auto al limite del possibile. Il pezzo forte dello show è appunto l’Astro Spiral Jump, che Broccoli e Hamilton vogliono nel film: questa acrobazia, ipotizzata per la prima volta dall’ingegnere Raymond McHenry, era stata resa possibile dallo studio meticoloso, anche tramite simulazioni al computer realizzate con lo stesso software utilizzato dalla polizia stradale per ricostruire le dinamiche degli incidenti. Per la riuscita dello Spiral Jump è indispensabile la precisione: il margine d’errore è di pochi millimetri. L’automobile prescelta, la Javelin della General Motors (molto difficile da trovare in Thailandia, per la verità) viene modificata per poter compiere l’impresa: il peso deve essere distribuito simmetricamente, perciò il volante viene spostato al centro del cruscotto; vengono poi montate ruote più resistenti, un sostegno per il radiatore, una gabbia di protezione per il pilota e una quinta ruota di acciaio inossidabile che evita l’interferenza del telaio con la rampa. La rampa ha un segmento retrattile, che si ritira quando l’auto spicca il salto per permettere all’auto di avere la stessa velocità nella parte anteriore e posteriore. Per guidare la Javelin viene scelto il pilota Lauren Willet detto “Bumps”, consapevole del rischio che sta correndo: se la rampa dovesse rompersi lui finirebbe in fondo al canale legato da cintura e imbracatura. Sul set, oltre a cinque macchine da presa, sono presenti diversi medici, un’ambulanza, un argano e dei sub pronti a ripescare l’auto dal canale. Nell’auto ci sono anche due fantocci dipinti di nero che rappresentano 007 e lo sceriffo Pepper. Il salto riesce al primo tentativo! Cubby stappa immediatamente lo champagne e promette un bonus a tutti. Guy Hamilton invece chiede a Bumps di rifare il salto, perché la ripresa,a suo dire, è “troppo perfetta“. Lui risponde: “era la prima volta che lo facevo e non lo farò una seconda”. Jay Milligan, assunto da Broccoli come coordinatore stunt man del film, commenta: “Non c’è altra aspirazione nella vita dopo aver realizzato uno stunt in un film di 007”. L’unico che non sarà soddisfatto del suo contributo è John Barry, autore della colonna sonora, che tempo dopo ammetterà di essersi pentito di aver accompagnato questa eccezionale acrobazia con il suono buffo di uno zufolo.
Nessun effetto speciale qui!
Oltre al mozzafiato Spiral Jump, Milligan coordina anche la scena dell’inseguimento in auto, durante il quale guida personalmente l’auto che sfonda la vetrina del concessionario: quello che non sa è che il proprietario del negozio, emozionato all’idea delle riprese, aveva fatto passare la cera sul pavimento: La ruote slittano, partono scintille e si incendia uno pneumatico in esposizione!
Molte scene del film, per ridurre tempi e costi, vengano realizzate con dei modellini, realizzati e illuminati magistralmente da Derek Meddings per essere uguali ai set reali; vengono usati anche effetti ottici, per le nuvole e il raggio laser di Scaramanga per esempio (effetto ottico di Cliff Culley). Dove possibile, però, vengono utilizzati scenari e oggetti autentici a grandezza naturale, come per la fuga finale tra le esplosioni, che tanto disturbano Roger Moore (ecco perché, diversamente dal solito, lo vediamo correre velocemente) e che lasciano un’ustione sul fondoschiena di Britt Ekland.
L’auto volante di Scaramanga esisteva davvero (prodotta dalla Goldbrick Bird) ma purtroppo il pilota era morto in un incidente, così John Stears ne realizza sia un modello a dimensioni reali che un modellino. Lo stesso accade per l’idrovolante, dato in prestito dal suo proprietario, il Colonnello Clare, a patto che lui possa pilotarlo nel film; Broccoli acconsente e il Colonnello arriva in volo dagli Stati Uniti… per poi finire in ospedale quando il suo idrovolante arriva troppo rapidamente sulla spiaggia! Le riprese, però, per Hamilton sono ok… Derek Meddings realizza poi un modellino dell’idrovolante da far esplodere.
La celebre scena del duello finale tra Bond e Scaramanga è più corta di com’era nel romanzo, dove il killer cerca di barare nascondendo un secondo proiettile nella cintura ma 007 lo costringe con l’astuzia ad utilizzarlo anzitempo. Anni più tardi, quando Christopher Lee torna sull’isola con la moglie e la trova piena di turisti, viene riconosciuto mentre rievoca quelle scene famosissime e deve fuggire.
Sia Christopher Lee che Roger Moore sono impegnatissimi sul set: mentre Lee guida personalmente l’auto nelle scene d’inseguimento, Roger Moore viene seguito da un maestro di karate per prepararsi alle sequenze di combattimento. D’altra parte, come spiega Hamilton: “Il successo della saga di Bond è dovuto al fatto che nessuno è pigro”. Ma c’è anche tempo per lo svago, quando le riprese si spostano nel casinò di Macao: Broccoli gira tra i tavoli distribuendo fiches a tutti per evitare che qualcuno resti al verde. Ma questo non è un problema per Roger Moore, che afferma di aver guadagnato più soldi al tavolo del blackjack che in cinque mesi di riprese. Oltre che fortunato, Roger Moore è anche molto spiritoso, e durante le riprese della scena in cui 007 incontra il fabbricante di armi Lazar si presenta così: “Sono Brooke Bond e faccio un ottimo tè”. Chissà se questa era tra le barzellette che lui e George Lazenby, diventato stand-up comedian, si scambiavano sempre via mail!
Alla sua uscita il film ha immediatamente un grande successo, tanto da diventare il primo film di 007 proiettato in Russia, dove Broccoli viene invitato ad una proiezione al termine della quale un funzionario russo gli dice: “Scaramanga è un personaggio interessante, anche se ha un addestramento inadeguato”.
Guy Hamilton tuttavia mette subito le mani avanti, affermando di aver esaurito, con i due film appena diretti, tutte le sue energie, e di non essere in grado di dirigere il successivo film di Bond, James Bond. A proposito, ricordate che l’autore dei romanzi Ian Fleming, al momento di scegliere il nome del suo protagonista, aveva optato per l’autore di un manuale di ornitologia che aveva in casa? Beh, è molto divertente sapere che James Bond, l’ornitologo, fece visita a Fleming nella sua tenuta di Goldeneye mentre stava scrivendo proprio L’Uomo dalla Pistola d’Oro; in seguito Fleming gliene inviò una copia con la dedica: “Al vero James Bond dal ladro della sua identità, Ian Fleming”.
Una casa degli specchi, un’auto volante, un nano in una valigia, un killer amante del tabasco, una danzatrice del ventre e un elefante. E tutto in un solo film: che cosa potrebbe essere se non il nostro agente segreto britannico preferito, James Bond?
A presto con la prossima avventura, La Spia che mi Amava!
Non sono esperta di videogiochi, anche se ce ne sono alcuni che mi hanno appassionato.
A Doom non ho mai giocato, ho solo visto il film (ovviamente, c’è The Rock!), però ho deciso di rispondere comunque al tag del Blog di Tony, ricorrendo al cinema quando non avevo esperienze di videogiochi sufficienti per rispondere (cioè spesso).
Ho quindi risposto alle domande poste da Austin Dove nel suo blog: leggendole potreste scoprire qualche curiosità in più su di me…
Doom Slayer Collection, la prima raccolta importante di cui ti ricordi
Ovviamente il cofanetto con tutti i film di 007 (tutti fino a Skyfall): in realtà il proprietario è Papà Verdurin ma ormai l’ho usucapito.
The Ultimate Doom, il primo capitolo di una saga iconica che ami
Le emozioni provate alla prima cinematografica della Compagnia dell’Anello saranno molto difficilmente replicabili.
Doom 2, un videogioco che colleghi a tuo padre
Prince of Persia: lo avevo su floppy disc e ci giocavo sempre da piccola ma non riuscivo a sconfiggere lo scheletro al terzo livello: ci ha pensato Papà Verdurin!
Doom 3, un videogioco che colleghi a tua sorella
Non ho una sorella, ma sarò per sempre grata a mio fratello che mi ha fatto scoprire la Play Station con l’Assassin’s Creed di Ezio Auditore in un momento in cui avevo proprio bisogno di qualcosa che mi distraesse.
Doom 2016, un acquisto indotto dai consigli ricevuti
Molti film di Kurosawa, consigliati naturalmente da Papà Verdurin. Alcuni non li ho ancora visti ma degli altri mi sono innamorata.
Torre di Babele, un videogioco o un film di cui hai tanto sentito parlare prima di provarlo
Non volevo assolutamente vedere Moulin Rouge, pensavo fosse una scemata romantichella… ora è tra i miei film preferiti!
Torre Argent, l’opera che hai amato ma che ha un dettaglio che odi
Adoro il film Labyrinth, la sua colonna sonora, i pupazzi, David Bowie, tutto… tranne Jennifer Connelly!
Pinky Demon, il nemico più difficile da sconfiggere ma non boss
Nel videogioco Ni No Kuni (splendido!) prima del boss finale, la Strega Cinerea, c’era un mostro marino con tentacoli che ne spawnava altri mille… difficilissimo!
Rune, il libro di cui ha volutamente saltato pagine durante la lettura
Mai fatto. Semmai abbandono il libro, ma la paura di essermi persa qualcosa sarebbe troppo grande (timore congenito in ogni appassionato di libri gialli immagino).
La terra dei giganti, il videogioco in cui vi siete persi
Ni No Kuni, l’ho rifatto due volte cercando di fare ogni quest/obiettivo secondario/trofeo eccetera e ogni volta staccarmene è un supplizio!
Cybermancubus, un’aggiunta al franchise divenuta iconica e che ami
Il Re Scorpione, nato da una costola della serie La Mummia, con protagonista Dwayne “The Rock” Johnson: lo adoro! Ed ecco anche il collegamento con Doom 😉
Cyberdemon, il boss o villain più iconico
Qui entro nella saga di 007. I cattivi sono tutti ben riusciti e molti interpretati da grandi attori, ma su tutti spicca lo Scaramanga di Christopher Lee in L’Uomo dalla Pistola d’Oro.
Spider Mastermind, il boss o villain più bistrattato nel franchise
Sempre epopea bondiana, il povero Ernst Stavro Blofeld, che se in questo nuovo capitolo ha fatto proprio una brutta fine era già stato precedentemente gettato in una ciminiera, nonostante fosse in sedia a rotelle: inclusività alla 007!
I corridoi di Marte, il film o videogioco che ti ha trasmesso più ansia
In genere sono terrorizzata dagli horror asiatici, in particolare Ringu, Yu-On e Two Sisters mi hanno tolto il sonno per mesi!
Doom Slayer, il personaggio protagonista più temerario e misterioso
Ezio Auditore. No, Michael Fassbender proprio per niente!
Prima di iniziare con le rime, solo due piccoli appunti: intanto le terzine incatenate contengono SPOILER!
Poi, questo è solo un piccolo antipasto, la recensione completa del film arriverà a tempo debito, seguendo la Bond-cronologia (e attendendo il dvd con gli speciali).
Buona lettura!
Nel mezzo del cammin di nostra vita
mi ritrovai in una sala oscura
che la coda in biglietteria era svanita!
Con il Greenpass io entro sicura
nel cinema di cui avevo tanta nostalgia
ora che il Covid fa un po’ meno paura.
Da sempre immersa nella Bond-mania
la scelta non poteva essere diversa
per la prima pellicola post-pandemia.
No Time To Die non mi sarei mai persa,
il venticinquesimo film della saga
rimandato più volte per sorte avversa.
Il regista è Cary Joji Fukunaga,
sua anche la sceneggiatura:
scopriremo se il doppio sforzo paga.
Per Daniel Craig è l’ultima avventura
nei panni dell’agente doppio zero
di cui ancor non si conosce l’identità ventura.
In sala diventa tutto nero
e trattengo a stento l’emozione
quando il film inizia per davvero!
Come detta la bondiana tradizione
c’è una scena prima dei titoli di testa
che ci introduce nel cuore della narrazione.
La vita di James Bond sembra una festa
ora che ha trovato in Madeleine l’amore
ma il senso di colpa la sua anima ancora infesta
per lasciare alle spalle quel dolore
che nel suo cuore troppo rimbomba
Madeleine suggerisce con calore
di recarsi subito alla tomba
di Vesper, collega morta in servizio
dove però esplode una bomba:
niente male come inizio!
Bond è stordito ma si riprende
e ha un unico e solo indizio:
L’arcinemico Blofeld il merito non si prende
di quell’attentato alla sua vita
ma con la sua accusa Bond sorprende:
la verità è cosa inaudita:
proprio Madeleine voleva la sua morte!
Nel cuore di James è profonda la ferita
e rassegnato alla sua triste sorte
carica subito la ragazza su un treno;
lei lo guarda mentre si chiudono le porte.
Cinque anni trascorrono in un baleno
e troviamo Bond oramai pensionato
che vive in Giamaica beato e sereno.
Almeno fino a che Felix non è arrivato,
l’amico di sempre, agente della CIA
che ha per le mani un caso assai complicato.
“Ehi, James, vuoi tornare a fare la spia?”
la risposta non tarda ad arrivare
“Ma questa è una follia!”
Poi però James ha modo di pensare
e lo colpisce una grande verità:
In Giamaica non c’è nessun cantiere da guardare!
Dunque l’amico Felix aiuterà
e farà subito la conoscenza
di chi di certo lo ostacolerà:
si chiama Nomi, spia doppio zero con licenza
che di “007” ha ora il titolo
e dice che di Bond ora si può fare senza.
Fine della pensione, nuovo capitolo
non è tempo di morire (!), si entra in azione
e non serve un sottotitolo.
Da dove si comincia questa missione?
Che domande: da una festa!
Pronto lo smoking per l’occasione
solo da trovare una compagna resta:
la splendida Paloma, spia meravigliosa
anche a lei il Vodka-Martini non dà alla testa.
La missione sembrerebbe poca cosa:
recuperare valigetta e scienziato
ma non è un incarico all’acqua di rosa
e il micidiale veleno rilasciato
uccide della Spectre ogni cattivone
solo uno si è salvato:
Blofeld, che si trova in prigione
quindi è evidente che c’è un altro nemico
da incolpare per quella situazione.
Anche se è ovvio io ve lo dico:
CIA e MI6 sono ai ferri corti
e solo Bond può dipanare questo intrico
ma deve prima raddrizzare i torti
e visitare Blofeld in cella
per trovare il colpevole di quelle morti.
Madeleine è ancora tanto bella
James ne è sempre innamorato
ma la situazione è sempre quella:
lei ha un segreto a lungo serbato
ma Blofeld svela la bugia
che la vita di Bond aveva rovinato:
Madeleine è davvero sulla retta via
e lei sola conosce l’identità
del vero villain e sa chi sia.
Dopo aver detto la verità
Blofeld muore immediatamente
ma Bond ormai non è più là,
raggiunge Madeleine rapidamente
nella casetta in cui è iniziato tutto
e i due si spiegano, finalmente!
Bond scopre che esiste un frutto
del loro amore, una bambina
poi arriva il nemico: ma quanto è brutto!
Inseguimento e adrenalina
“Come with me for fun in my buggy” mi par di sentire
ma il nemico cattura mamma e piccina.
Al salvataggio bisogna partire
ma in gola mi si stringe un groppo
perché tutta la squadra è il momento di riunire:
Il capo M, si vede, ha mangiato troppo
Moneypenny e Q chi se li scorda? E’ come andare in bici!
Interpreti: Scarlett Johansson, Florence Pugh, David Harbour, Rachel Weisz, William Hurt, Olga Kurylenko
Dove trovarlo: Disney Plus
Si potrebbe pensare che io sia un po’ fissata e che veda riferimenti a 007 dappertutto… ma questa volta è vero!
Non sono una grande conoscitrice di supereroi e di fumetti, ma negli ultimi anni ho seguito con molto divertimento i film Marvel. Quando il personaggio della Vedova Nera è comparso per la prima volta, nel film Iron Man 2, non lo conoscevo, anche se conoscevo benissimo la splendida attrice che lo interpreta, Scarlett Johansson, che oltre ad essere di una bellezza mozzafiato è anche un’ottima attrice, come ha dimostrato fin da giovanissima: La Ragazza con l’Orecchino di Perla, Lost in Translation, Match Point, tutte sue ottime interpretazioni. Quando la sua Black Widow è entrata nella vita di Tony Stark/Iron Man, tenendogli testa e rendendo gelosissima la sua fidanzata Pepper/Gwyneth Paltrow, è subito apparso chiaro come il personaggio avesse delle potenzialità, e infatti è stato sfruttato al massimo dalla Marvel: la Vedova Nera è comparsa nella maggior parte dei film successivi (Avengers, Captain America: Winter Soldier, Captain America: Civil War, Avengers: Age of Ultron, Avengers: Infinity War) e costituisce lo zoccolo duro della squadra di supereroi chiamata Avengers. La cosa che rende questo personaggio così interessante però è il suo passato da spia nemica (il suo vero nome è Natasha Romanoff e viene dalla Russia) che successivamente si redime ed entra nello SHIELD, mettendo le sue eccezionali abilità di spia e di combattente al servizio dei buoni, fino ad arrivare a sacrificare la sua vita per la salvezza dell’umanità. Ma la storia cinematografica di Black Widow non poteva terminare con il suo eroico sacrificio, e così è arrivata la origin story Black Widow, che racconta della sua infanzia, della sua famiglia e della sua vendetta nei confronti del potente e prepotente Segretario Ross (interpretato da William Hurt, altro personaggio ricorrente nei film Marvel).
Tuttavia, per quanto io ami la Vedova e l’attrice che la interpreta, non posso dire che sentivo il bisogno di conoscere il suo passato: mi era sufficiente quanto rivelato da Loki/Tom Hiddleston (che, a proposito, è in lizza per diventare il successore di Daniel Craig nei panni di James Bond, e visto il disastro della serie su Loki credo proprio che gli farebbe bene) in una scena davvero ben fatta del film Avengers (che per me resta il migliore). Invece ai piani alti della Marvel è stato deciso che doveva essere fatto un film incentrato sulla Vedova Nera e sul suo passato. Purtroppo, però, nessuno ha pensato che questo film, oltre a molte tutine attillate, dovesse avere anche una sceneggiatura…
Il film è stato scritto da tre sceneggiatori, tutti piuttosto giovani ma già veterani di film e serie di supereroi oltre che di produzioni di casa Disney: Eric Pearson, Jac Shaeffer e Ned Benson. Anche se Jac è una donna, inevitabilmente la memoria corre ai tre sceneggiatori della serie Boris. Nel caso di Black Widow, ai tre scrittori è stato detto di realizzare non un classico film di supereroi (d’altra parte Natasha, sebbene sia estremamente forte e agile, di fatto non ha dei veri superpoteri) ma un classico film di spie. Dopo forse un momento iniziale di smarrimento, i nostri hanno pensato che la cosa migliore da fare fosse andare direttamente alla fonte, alla saga di film di spionaggio per antonomasia: quella di 007. Sono stati comunque sufficientemente onesti da rendere la cosa palese, inserendo i film di James Bond all’interno del film stesso: infatti Natasha in televisione guarda proprio Moonraker- Operazione Spazio, film del 1979 in cui l’agente segreto britannico è interpretato da Roger Moore. Così, quando nel finale si scopre che l’introvabile nascondiglio del villain (la Stanza Rossa) si trovava proprio nello spazio, non si può gridare “plagio!” ma tuttalpiù “omaggio!”. Questo è il riferimento più evidente, mentre l’esercito di super soldatesse mentalmente condizionate tramite l’uso di droghe rimanda al film Al Servizio Segreto di Sua Maestàdel 1969, in cui 007 ha il volto di George Lazenby. Altri elementi tipicamente bondiani riguardano il cattivo, la sua megalomania, il suo piano diabolico ma carente nelle motivazioni (tramite il suo esercito di Vedove Ross è effettivamente in grado di manipolare la politica mondiale… ma perché? Quale sarebbe il suo scopo? Come per i cattivi bondiani, non viene specificato). Questo tuttavia non impedisce a Ross, come ogni villan bondiano che si rispetti, di snocciolare il suo arguto piano davanti all’avversario, in questo caso la nostra Natasha, che mentre lui si autocelebra per la sua astuzia gliela fa ovviamente sotto il naso. Come in ogni film bondiano che sia tale, la trama passa in secondo piano rispetto alle scene d’azione (quanti combattimenti! Davvero, quanti…) lasciando anche qualche perplessità su tutta la questione della finta famiglia e del complicato (ma non troppo) rapporto tra sorelle. Oltre a un aroma diffuso diDalla Russia con Amore è difficile identificare gli altri riferimenti alla mitologia bondiana soprattutto perché la figura maschile e il concetto generale di attrazione o amore tra uomo e donna non trova posto in questo film; a dirla tutta, l’intero genere maschile viene segregato nel ruolo di arcinemico (Ross) o di fallimentare e comica figura paterna (Alexei/David Harbour). Fa eccezione solo il personaggio di Mason (O-T Fagbenle), una sorta di Q che procura a Natasha i gadget di cui nessuna spia può fare a meno. Tutti i personaggi principali sono femminili e sono positivi, perfino quello di Antonia, la sfigurata e mentalmente plagiata figlia di Ross, interpretata da un’irriconoscibile Olga Kurylenko. Il fatto che Melina, la finta madre di Natasha e Yelena (Florence Pugh) interpretata da Rachel Weisz (ancora splendida nella sua tutina attillata), abbia chiamato uno dei suoi maiali Alexei come il collega nonché finto marito la dice lunga sul contrappasso che la figura maschile deve subire in questo film in seguito ai decenni di sexy Bond-girls in bikini.
Nella inevitabile scena che segue i titoli di coda (altro rovesciamento di un paradigma bondiano, in cui invece le sorprese avvengono prima dei titoli di testa) capiamo che il film è, come spesso accade in questo periodo, un lungo trailer per il prossimo lungometraggio Marvel, che avrà come protagonista Clint Burton/Occhio di Falco (Jeremy Renner), e che la sorellina meno fortunata (ma non meno bella né meno capace) Yelena avrà un ruolo fondamentale.
Visto che la conclusione del film rimanda alla serie The Falcon and the Winter Soldier, desidero concludere con una piccola fantasia: e se l’aereo pieno di belle e disadattate ex-Vedove atterrasse proprio nel porticciolo del paesino di pescatori della Louisiana dove Sam e Bucky sono intenti a riverniciare la Paul & Darlene? What If…?
Buongiorno a tutti, sono davvero entusiasta di tornare a pubblicare su Cinemuffin, dopo una lunga, lunghissima vacanza (noblesse oblige)!
Vi invito a guardare, nel cerchietto al centro dell’immagine sulla home page, il nuovo logo originale di Cinemuffin! E’ opera di una carissima amica che non vuole alcun riconoscimento, perciò non posso fare altro che ringraziarla ancora una volta e sperare che questa sua creazione piaccia ai miei lettori quanto piace a me.
Oggi esce nelle sale il venticinquesimo film della saga di 007, No Time To Die, l’ultimo interpretato da Daniel Craig. In attesa di scoprire quale sarà il destino del nostro eroe al servizio di Sua Maestà, noi proseguiamo il nostro viaggio attraverso le sue avventure: per Bond non è tempo di morire, ancora, perciò lasciamo che a morire siano gli altri…
ConUna Cascata di DiamantiSean Connery ha dismesso, questa volta definitivamente, gli abiti eleganti di James Bond, lasciando ai produttori Harry Saltzman e Albert Broccoli la patata bollente di trovare un nuovo 007. I critici hanno già dichiarato defunto il personaggio creato da Ian Fleming e c’è il serio rischio di scegliere ancora una volta l’attore sbagliato. Il favorito per ottenere la parte sembrerebbe essere il fascinoso Burt Reynolds, ma Cubby Broccoli è irremovibile: James Bond deve essere alto più di un metro e ottanta e deve essere inglese. “Un Bond americano” sentenzia il produttore “sarebbe come un cowboy britannico: ridicolo!”. E Broccoli non aveva nemmeno visto un cowboy italiano…
Sull’attore inglese Roger Moore, famoso per aver interpretato Simon Templar nella serie tv Il Santo e Brett Sinclair nella serie Attenti a quei Due (in coppia con Tony Curtis), Saltzman e Broccoli avevano messo gli occhi già da tempo. Gli era stato offerto il ruolo di 007 in prima battuta per Licenza di Uccidere, ma Moore era già impegnato; lo avevano ricontattato per Al Servizio Segreto di Sua Maestà ma, di nuovo, non era disponibile. Nel frattempo però Roger Moore è diventato amico di Saltzman e Broccoli, con cui si trova sempre al Curzon House Club per giocare d’azzardo; non solo ma aveva anche interpretato James Bond nel 1964 in una divertentissima puntata del telefilm Mainly Millicent, in cui doveva vedersela con una serie di imbranate spie nemiche mentre cercava di bere in tranquillità il suo drink. Ad una telefonata di Saltzman, finalmente Roger Moore accetta di diventare il nuovo James Bond. “Interpretare Bond è come essere una gemma incastonata in un gioiello prezioso”, afferma Moore.
Sir Roger Moore all’epoca aveva 45 anni
Il “gioiello”, ossia la pregevole e affiatata squadra di attori, tecnici e maestranze che ha lavorato ai film precedenti della saga viene quindi richiamata in blocco per girare Vivi e Lascia Morire, l’ottavo film sull’agente segreto britannico con licenza di uccidere 007. Alla regia torna Guy Hamilton (il “Generale”, come veniva chiamato per la sua organizzazione impeccabile), già artefice del successo di Goldfinger e di Una Cascata di Diamanti, mentre della sceneggiatura viene incaricato Tom Mankiewicz, già autore del copione di Una Cascata di Diamanti. Quando i produttori chiedono a Tom quale dei libri di Fleming vorrebbe portare sul grande schermo lui sceglie Vivi e Lascia Morire, suggestivo per la sua ambientazione nel mondo della magia nera ma problematico in quanto tutti i villains sono personaggi di colore (siamo nel 1973, periodo in cui movimenti per i diritti delle minoranze come i Black Panthers hanno assunto grande rilevanza). Il romanzo, pubblicato nel 1954, risente delle fobie razziali di quegli anni, nonostante Fleming lo avesse scritto con le migliori intenzioni. Mankiewicz ha dunque l’arduo compito di rappresentare questi cattivi come persone sì spietate, ma anche sofisticate e intelligenti, mai ridicole, in grado di tenere testa a Bond sia in determinazione e astuzia che in eleganza.
Un film in bianco e nero
Roger Moore ha invece il difficile compito di sostituire Sean Connery nel ruolo che lo ha consacrato come star. Per quanto riguarda il sofisticato guardaroba di Bond, Moore si affida al sarto Cyril Castle di Londra, dopo che i produttori gli hanno imposto di dimagrire (cosa non difficile a farsi, visto che le scene fisiche presenti nel copione costringono l’attore a fare mezz’ora di nuoto e mezz’ora di esercizio fisico intenso ogni mattina) e di tagliarsi i capelli. Più difficile è riuscire a non imitare mai Sean Connery: lo 007 di Roger Moore ad esempio non ordina più il celeberrimo Vodka Martini ma un Bourbon senza ghiaccio. Moore sceglie, per interpretare Bond, di rifarsi al personaggio dei romanzi di Fleming, al quale non piaceva uccidere: un Bond meno violento (soprattutto verso le donne), più raffinato (non a caso Fleming avrebbe voluto David Niven nei suoi panni ed era inorridito per l’accento scozzese di Connery), meno spietato e soprattutto ancora più ironico e sarcastico, come regista e sceneggiatore sapranno ben sottolineare.
“Buongiorno, sono Roger Moore e sono il tizio in fondo alla canna della pistola”: così Sir Roger Moore apre il suo commento al film Live and Let Die, a sua detta il secondo preferito tra quelli da lui interpretati (scopriremo più avanti quale sia il primo).
Le regole della saga sono ormai consolidate: il film si apre con i titoli ideati da Maurice Binder (la sagoma di Bond che cammina di profilo per poi girarsi e sparare verso lo spettatore), una scena iniziale molto ironica che introduce l’ambientazione della storia, la sigla e a seguire il film. Guy Hamilton sa bene di doversi muovere all’interno di queste regole ma, al tempo stesso, di dover sorprendere gli spettatori che ormai le conoscono così bene.
Hamilton ci racconta come nasce un film di James Bond: “Ci si barrica in uno studio con tante sigarette e dopo tre settimane la trama è definita e divisa in tre parti. Il vero problema è decidere dove collocare 007: non può essere nei vicoli lerci o nei luoghi di villeggiatura in cui vanno tutti, questo si vede in tv ogni sera”.
La scena di apertura è ambientata al Palazzo di Vetro delle Nazioni Unite di New York. Nell’edificio non è permesso fare riprese, perciò gli interni devono essere ricostruiti in studio. Il regista visita quindi il palazzo insieme allo scenografo che lo dovrà ricreare, e i due riescono a sottrarre una planimetria dell’edificio, utilizzata per una riparazione all’impianto elettrico e lasciata poi incustodita… ecco una cosa che non si vede spesso in tv!
A Hamilton viene l’idea di girare il film a New Orleans, perché lì: “… c’è il jazz, e poi non ci sono mai stato”. Ma cosa offre di particolare New Orleans? Non si può inscenare un Mardi Gras perchè era già stato mostrato il Junkanoo in Thunderball. Però a New Orleans ci sono anche i funerali jazz: l’idea perfetta per la scena di apertura, con un agente segreto che scopre di star assistendo, suo malgrado, al suo stesso funerale. La bara utilizzata per la scena è autentica, è stato però rimosso il fondo e sono state aggiunte due maniglie cui lo stuntman si può attaccare con le mani e i piedi. La Olympia Brass Band è un’autentica banda specializzata in cortei per funerali jazz. Nessuno può scegliere di avere un funerale jazz: se te lo sei meritato, lo decide per te la gente dopo la tua dipartita, sostenendone anche il costo. Evidentemente l’agente Hamilton (interpretato da Robert Dix) se l’era proprio meritato…
Si potrebbe andare tutti quanti al tuo funerale…
I servizi segreti inglesi, dopo la misteriosa scomparsa dell’agente Hamilton, si rivolgono ovviamente al loro migliore agente con licenza di uccidere. per la prima volta ci è permesso vedere la dimora di James Bond, mentre il suo capo M (ancora interpretato da Bernard Lee) interrompe il suo incontro amoroso con un’avvenente collega di origini italiane (interpretata da Madeline Smith, suggerita da Roger Moore con cui aveva lavorato in Attenti a Quei Due). Mentre 007 mette a dura prova la pazienza di M con una macchina per il cappuccino incredibilmente sofisticata e complicata da usare, Miss Caruso riesce a nascondersi in un armadio e Bond riesce a farla franca, anche grazie alla complicità dell’inossidabile Miss Moneypenny(Lois Maxwell, che era stata allieva, insieme a Roger Moore, della Royal Academy of Dramatic Arts e aveva partecipato ad alcune puntate del telefilm Il Santo). L’orologio digitale con quadrante illuminato che Bond riceve in dotazione per la missione era una novità tecnologica in quegli anni; inoltre è un chiaro esempio del product placement (ciascun membro della troupe ne riceve uno in regalo) che ormai è prassi dei film di 007, insieme allo Champagne Bollinger (non più dunque Dom Perignon). Una volta rimasti soli (Moneypenny, che ha riconosciuto Miss Caruso, nella versione originale lo saluta con un “Ciao bello!”) Bond può riprendere da dove si era interrotto con Miss Caruso: usa quindi il suo nuovo orologio magnetico per tirare giù la zip dell’abito della ragazza. Detto così sembra facile… In realtà, per realizzare questo trucco, un tecnico era accucciato ai piedi di Madeline e tirava l’estremità inferiore della cerniera lampo, mentre un secondo uomo stava appeso sopra di lei e, con una canna da pesca e una lenza sottilissima, agganciava la zip dell’abito. Al segnale stabilito, l’attrice tratteneva il fiato per permettere al pescatore volante di far scendere “magneticamente” la zip… altro che effetti digitali! Lo sceneggiatore Tom Mankiewicz ci tiene molto a mostrare sempre in anticipo (possibilmente con una buona dose di ironia) allo spettatore come funzionano i gadget di cui Bond sarà, anche in questo film, ampiamente fornito, nonostante manchi il personaggio di Q (è il capo M in persona ad equipaggiare 007 questa volta, e direttamente a casa sua).
“Sono l’idraulico!”
Una volta sbrigato l’”affare italiano” Bond può partire per i Caraibi per svolgere la sua missione, ma si ritrova subito coinvolto in un inseguimento automobilistico (girato a New York una domenica mattina all’alba) con cui il regista si è divertito molto. Guy Hamilton aveva infatti fatto salire alcuni pezzi grossi arrivati dalla casa di produzione (la United Artists) per assistere alle riprese, su una delle macchine che dovevano essere tamponate durante la scena: i poveretti ne escono tremanti e bianchi come lenzuola, ma illesi. Nonostante questo scherzo, la United Artists resterà un’ottima casa di produzione per il franchise di Bond, continuando a lasciare grande libertà ai registi. Tuttavia Guy Hamilton non può giustificare lo spostamento della troupe a New Orleans solo per la scena del funerale jazz, perciò inizia ad esplorare i dintorni alla ricerca di ispirazione per nuove scene, ispirazione che non tarda ad arrivare quando, dall’elicottero, il regista scopre una villa nascosta dalle alte canne che circondano i canali e decide di ambientare lì la scena, ideata sul momento, dell’inseguimento in barca e del matrimonio all’aperto, le cui riprese iniziano il 16 ottobre 1972. Due barche pilotate da stuntmen escono dal canale e attraversano il prato schiantandosi però contro un albero; una delle due si squarcia e i piloti sono feriti, quindi il regista ferma le riprese fino al giorno successivo. durante la notte, però, il canale straripa, allagando la location. Hamilton passa quindi ad un’altra scena, ma il vento freddo acutizza i calcoli renali di cui soffre da anni Roger Moore, che deve essere ricoverato d’urgenza. In ospedale, quando gli viene chiesto il suo indirizzo di casa, Moore non ricorda il numero civico; quando l’infermiere gli domanda: “Ma come fa il postino a trovarla?” lui risponde: “Sono famoso, idiota!”. Forse anche per questo, l’attore viene dimesso in fretta dall’ospedale e può tornare a girare, ma ormai ha iniziato a diffondersi l’idea che sul film gravi una terribile maledizione voodoo.
Brutto presentimento?
Di voodoo è intrisa la Giamaica, dove Ian Fleming si ritirava per scrivere i libri di 007, e conseguentemente ne è intriso il suo romanzo. Mankiewicz lo inserisce a piene mani anche nella sceneggiatura, mescolandone assieme tutti gli aspetti più evocativi (tarocchi, rituali, il personaggio del non-morto Baron Samedi) senza però temere di giocare con essi (sul retro delle carte dei tarocchi vediamo il logo di 007 o facendo indossare a Bond il mantello della sacerdotessa). Alcune cose però spaventano davvero, come ad esempio i serpenti vivi che vengono utilizzati in diverse scene. Durante il rituale voodoo (girato, anche se non sembra, in studio a Pinewood) l’attore sviene veramente alla vista del rettile. Lo stesso Moore è spaventato da alligatori e serpenti (nella scena del serpente in bagno i piedi sono infatti quelli della controfigura), così come la segretaria di edizione Elaine Shreyeck, che spesso abbandona frettolosamente il set lasciando che siano gli altri a sbrigare le sue incombenze. Perfino Geoffrey Holder, l’attore (ma anche ballerino e coreografo) che interpreta Baron Samedi, è terrorizzato dai serpenti, tanto che per il rituale voodoo se ne deve utilizzare anche uno finto da fargli tenere in mano. quando poi arriva il momento di girare la scena in cui Baron Samedi cade nella bara piena di serpenti vivi, Holder non ne vuole sapere. Accade però che, quel giorno, in visita sul set ci sia la Principessa Alexandra… Per non fare la figura del fifone davanti ad un’altezza reale, Holder si getta nella bara, con Hamilton che si affretta ad imprimere l’evento su pellicola. Per esorcizzare la paura alcuni membri del cast si rivolgono agli stregoni per farsi leggere il futuro: a Roger Moore viene predetto che avrà un figlio (e guarda caso il suo terzogenito, Christian, nato nel 1973, sembra essere stato concepito proprio in quel periodo…) e che sarà un filantropo (Sir Moore sarà per più di vent’anni Goodwill Ambassador per l’Unicef, seguendo l’esempio dell’amica Audrey Hepburn). Meno esatta si rivela invece la predizione per l’attrice Jane Seymour, cui viene detto che si sposerà tre volte: in quel momento Jane è sposata con il regista Richard Attenborough, ma dopo di lui avrà altri tre mariti, per un totale di quattro.
Prima di lasciare New Orleans non resta che girare, finalmente, l’inseguimento in barca. Durante le prove, il motoscafo di Roger Moore rimane all’improvviso senza benzina e si arresta bruscamente, catapultando in avanti l’attore che batte violentemente il viso e una gamba: fortunatamente Roger può girare la scena anche se zoppica vistosamente e le riprese continuano. Hamilton e Mankiewicz hanno immaginato che l’imbarcazione di Bond faccia un lunghissimo salto, ma nessuno stuntman riesce ad eseguirlo. Il problema viene dunque sottoposto agli allievi della facoltà di ingegneria locale, i quali riescono a calcolare esattamente la giusta velocità e inclinazione della rampa: grazie a loro, lo stuntman Jerry Comeaux (che ha insegnato a Moore a pilotare il motoscafo) riesce a saltare oltre 35 metri, stabilendo un nuovo record e portando a casa la scena al primo ciak. Nonostante alcune altre barche rovesciate, la scena avrà grande successo e diventerà una delle più famose della saga, anche grazie al divertentissimo personaggio dello Sceriffo Pepper (interpretato dal newyorkese Clifton James che indossa un’imbottitura per la pancia e imita impeccabilmente l’accento del sud) affiancato da molti veri poliziotti (coinvolti dal regista per assicurarsi la collaborazione delle forze dell’ordine locali). Quando sembra ormai tutto concluso, Roger Moore viene richiamato frettolosamente per nuove riprese in barca: alla sua controfigura mancava un pollice! A chiudere l’inseguimento viene inquadrato ironicamente il cartello “Make Boating Safe and Fun” e divertentissimo è il contrasto tra lo sceriffo Pepper, paonazzo e agitatissimo, e un flemmatico Bond che si aggiusta la cravatta. Portato finalmente a termine l’inseguimento in barca, è tempo di partire, con più di due tonnellate di attrezzatura (ma finalmente liberi dalle zanzare), per la Giamaica.
“Jamaican Inspector Man”
In fase di pre-produzione il regista, esplorando l’isola, si è imbattuto in un luogo davvero singolare: un allevamento di alligatori che aveva appeso all’ingresso il cartello “Trespassers will be eaten” (“I trasgressori verranno divorati”). Incuriosito era entrato ed aveva conosciuto il proprietario, Ross Kananga, un indiano Seminole il cui padre, anch’egli allevatore, era stato divorato da uno dei suoi alligatori. Lui stesso, da bambino, era rimasto per venti minuti con la testa incastrata tra le fauci di un coccodrillo. Hamilton decide immediatamente che quella deve diventare una location del film. Vengono realizzati un’isoletta al centro del laghetto e un ponticello retrattile per la scena in cui i cattivi cercano di uccidere Bond lasciandolo in balìa degli alligatori. Ross però li avvisa che, se si avvicinano con del cibo vero, verranno sicuramente mangiati, così vengono messe in acqua diverse reti da pollaio a protezione degli attori. Per Harris è difficilissimo afferrare la carne con il suo uncino (arma non convenzionale che lui stesso aveva voluto) e il pollo, rimasto per ore sotto il sole, è ormai rancido: per tenere buoni gli animali non resta che sacrificare il pranzo della troupe. Ciononostante, il dialogo tra Bond e Tee-Hee (interpretato da Julius Harris), che doveva durare quasi un minuto finisce per durare circa venti secondi, tanta è la fretta dei due attori di mettersi al riparo (Moore, come già detto, ha la fobia dei rettili). Lo sceneggiatore sta ancora cercando un modo per far scappare Bond dall’isolotto (l’idea iniziale della barca è esclusa, se ne sono viste già tante durante l’inseguimento) quando lo stesso Kananga propone che 007 potrebbe camminare sugli alligatori e che la scena potrebbe girarla lui stesso. Kananga indossa quindi le eleganti scarpe in pelle di coccodrillo (!) di Roger Moore e tenta di girare la scena. La suola liscia lo fa scivolare e cadere in acqua. Al secondo tentativo, dopo aver applicato dei tacchetti alle scarpe, ormai gli animali hanno capito cosa succede e tentano di assaggiare Kananga, mordendo per fortuna solamente una scarpa. Con gli alligatori strettamente legati, Kananga continua a tentare, e al quinto tentativo la camminata riesce; a Roger Moore non serve che ripeterla… su alligatori di plastica! Per omaggiare la fantasia e il coraggio di Ross Kananga, Tom decide di dare al villain del film il suo nome.
I piedi di Ross Kananga
In Giamaica Guy Hamilton trova un’altra location importantissima: un ponte su cui si possa schiantare un autobus a due piani. L’idea gli era venuta, come spesso gli accadeva, guardano la televisione e scoprendo che esiste a Londra una scuola per autisti di bus a due piani. Detto, fatto: essendo la Giamaica un’ex colonia britannica, il regista non ha problemi a trovare (a 500 sterline)un vecchio bus a due piani con cui poter provare la scena (che verrà poi girata negli Studi Pinewood con una ricostruzione di quello stesso ponte). I primi tentativi sono un disastro: prima crolla il ponte (prontamente ricostruito e rinforzato), poi il secondo piano dell’autobus non ne vuole sapere di staccarsi, fino a che i tecnici degli effetti speciali non realizzano degli appositi binari su cui possa scorrere dopo l’impatto. Grazie a questo accorgimento tecnico e alla sapiente guida di Maurice Patchett, autista e istruttore ingaggiato per l’occasione non solo per guidare ma per insegnare a Roger Moore come fare un testacoda sul bagnato con un bus di due piani senza schiantarsi, la scena è un successo. L’unica a lamentarsi è la protagonista femminile Jane Seymour, rimasta a bordo del bus per tutto il tempo (testacoda e schianti compresi).
Jane Seymour
Per scegliere l’attrice Jane Seymour (la futura Signora del West) per il ruolo dell’indovina Solitaire ai produttori è bastato vederla per un momento con i capelli sciolti: la sua bellezza ha fatto il resto. Poiché Jane è al suo primo ruolo cinematografico importante, Roger Moore la soprannomina subito Baby Bernardt e non manca di farle scherzi di ogni genere sul set. Girando il dialogo sulla barca, ad esempio, Roger fa ridere così tanto Jane che lei non riesce più a recitare la sue battute: Hamilton è costretto a riprenderle in un secondo momento mentre lei le recita all’elettricista e risolvere poi col montaggio. Jane è anche un’ottima ballerina, e spesso viene sgridata dal regista perché, durante le pause, prova le coreografie insieme ai ballerini, scompigliandosi i capelli e rovinando il trucco ogni volta.
Geoffrey Holder è Baron Samedi
Più difficile è invece trovare l’attrice giusta per il ruolo dell’agente Rosie, poiché in Giamaica non esiste ancora un’industria del cinema, così i produttori fanno venire Gloria Hendry da New York. La povera Gloria si trova spesso in imbarazzo nel girare le scene romantiche con Roger Moore poiché sua moglie, l’attrice italiana Luisa Mattioli, è sempre presente sul set. Roger, come sempre, stempera la sua tensione con battute spiritose: “Con tutto l’aglio che mangi, Gloria, sei fortunata che io sia sposato con un’italiana e ci sia abituato!”. Nella scena in cui Rosie viene uccisa, però, Gloria deve preoccuparsi di ben altro: le formiche infatti, attirate dallo zucchero presente nel sangue finto, iniziano a camminare su tutto il suo corpo mentre giace a terra!
“Vedrai che ti rimettermo in forma…”
Oltre alle formiche, anche la troupe deve rimanere spesso affamata: oltre a dover cedere il proprio pranzo agli alligatori, come abbiamo visto, in un’occasione la nave della marina che portava i viveri si allontana all’improvviso per inseguire degli spacciatori; o ancora, il produttore Harry Saltzman, male interpretando i complimenti di Roger Moore, si convince di aver speso troppi soldi per il cibo e taglia i viveri alla troupe. Ma sono solo episodi sporadici: in realtà Saltzman e Cubby Broccoli, come sempre, ci tengono a far sentire tutti i membri di cast e troupe a proprio agio e i pasti, consumati rigorosamente tutti assieme, sono sempre ricchi e generosi; tanto che Yaphet Kotto, l’attore che interpreta Kananga, al termine delle riprese continua a vivere per tre anni nel lusso “James Bondish”, stregato da quell’esperienza, prima di comprendere di non poterselo permettere.
Yaphet Kotto e mangiato
A Roger Moore, in ogni caso, la voglia di mangiare passa quando scopre che l’aviatore Bill Bennet (pioniere della tecnologia del deltaplano) gli deve insegnare a manovrare il deltaplano: Moore ha paura dell’altezza, e anche se quando gira il deltaplano è in realtà appeso ad una gru lui non si sente affatto tranquillo, anche perché il manovratore della gru non gli sembra affidabile.
Il 9 dicembre sono tutti pronti per tornare a Londra e girare gli interni negli studi Pinewood, che Roger Moore conosce molto bene per averci girato Attenti a Quei Due e che per tutti sono ormai divenuti un luogo familiare e rassicurante, scevro degli incidenti che possono capitare girando altrove. Ad esempio, girando ad Harlem, la troupe si era vista cacciare via in malo modo da una gang del posto. Poco lontano, gli addetti alla location decidono di tagliare alcuni vecchi cavi per farli penzolare e dare agli edifici abbandonati del vicolo un aspetto ancora più trasandato, quando arrivano dei funzionari della compagnia telefonica infuriati: quei cavi telefonici erano funzionanti e gli edifici abitati!
Per la prima volta la canzone del film…è nel film
Il ristorante Fillet of Soul è in realtà una lavanderia, e quando, in una scena, Bond e Felix ci devono entrare, trovano la porta chiusa: tutta la troupe si mette in cerca del proprietario per farsi aprire.
Nel locale vediamo esibirsi la cantante BJ Arnau: per la prima volta in un film di Bond la canzone dei titoli di testa (in questo caso Live and Let Die, cantata da Paul McCartney con i suoi Wings) viene introdotta nella finzione del film; restando collegati ai Beatles, la colonna sonora del film è realizzata da George Martin, produttore del quartetto di Liverpool.
Curioso, se si pensa che, in Goldfinger, 007 affermava di non poter ascoltare i Beatles senza tappi nelle orecchie…
Dalle un po’ di lenza, poi tirala su…
Negli studi Pinewood c’è tutto quello che serve ma c’è anche molto freddo: Roger Moore e Jane Seymour devono girare le scene d’amore indossando calzettoni da calcio sotto le lenzuola!
I set realizzati da Syd Cain sono senza dubbio meno monumentali di quelli di Ken Adam, ma non per questo meno efficaci. In alcuni casi però non è nemmeno necessario realizzarli: il responsabile degli effetti speciali Derek Meddings realizza delle miniature della piantagione di oppio da far esplodere, con grande sollievo di Hamilton che si era trovato in ritardo sulla tabella di marcia.
Ecco cosa fa Broccoli ai registi che ritardano
Altri effetti speciali invece, come il trucco di Mr. Big, il corpo esplosivo di Kananga e la finta testa di Baron Samedi (realizzata in ceramica) sono opera di Rick Baker.
I bossoli piani di gas esplosivo invece sono veri: in quel periodo venivano testati sugli squali.
Come da tradizione, dopo un apparente lieto fine non manca mai un ultimo scontro, che questa volta si svolge a bordo di un treno e vede Bond affrontare Tee Hee e il suo braccio d’acciaio. Gli attori non possono usare controfigure (impossibile replicare il braccio robotico) e Moore deve prestare la massima attenzione al congegno delicatissimo del braccio, che tanti problemi ha dato durante le riprese a Julius Harris, che faticava ad azionarlo mentre parlava e che maneggiava gli oggetti con goffaggine, guadagnandosi l’epiteto di “Butter-Hand” (Mano di Burro) improvvisato da Roger Moore.
Taffetà?
Alla première, che avviene il 5 luglio 1973 all’Odeon di Leichester Square di Londra, anche questa nuova fatica di questo nuovo Bond, nonostante tutti i timori, non manca di sbancare il botteghino, decretando la bontà della scelta di Roger Moore.
“Il mio nome è Roger Moore e sono il tizio che interpretava Bond”: così si chiude il commento audio e così noi ci salutiamo, per oggi, in attesa di occuparci di una nuova avventura del nostro agente segreto britannico del cuore.
L’estate è sempre il periodo in cui si desidera prendersi una pausa da tutto: stress, lavoro, colleghi, città, inquinamento, sveglia, scadenze… L’unica cosa da cui io non vorrei mai prendere una pausa… è Cinemuffin!
Ciononostante, pur avendo molti progetti in corso (un nuovo articolo su 007 in cantiere, una promessa in rima da mantenere, una Notte Horror da seguire), è arrivato anche per Madame il momento delle ferie, anche se mi scappa un sorriso pensando a Maggie Smith nei panni della Contessa di Downton Abbeyche domanda candidamente: “E cosa sarebbe un weekend?”
Cinemuffin va in vacanza ma Madame farà di tutto (connessione permettendo) per continuare a seguire i blog amici, appuntamento quotidiano sempre lieto, direi irrinunciabile.
Al ritorno dalle vacanze Cinemuffin ritornerà ad offrire i suoi contenuti con scadenze (quasi sempre) regolari e ci sarà anche una ghiotta sorpresa…
Vi lascio con l’acquolina in bocca, auguro a tutti i lettori di trascorrere delle serene vacanze!
Interpreti: Billy Campbell, Jennifer Connelly, Timothy Dalton, Alan Arkin, Terry O’Quinn
Dove trovarlo: Disney Plus
Il giovane Cliff Secord (Billy Campbell) vive in un tranquillo paesino di campagna fuori Los Angeles, dove insieme all’amico Peevy (Alan Arkin) progetta e pilota piccoli aerei acrobatici mentre pianifica un futuro con la bellissima fidanzata Jenny (Jennifer Connelly), che però non condivide la sua passione per il volo e la tecnologia. Una notte due malviventi, dopo aver rubato un innovativo e sofisticato prototipo di jetpack al magnate Howard Hughes (Terry O’Quinn), durante la fuga lo nascondono proprio nel piccolo hangar di Peevy. Quando Cliff lo trova, entusiasmato da quel congegno futuristico, decide di provarlo, nonostante le proteste di Peevy che ritiene sia troppo pericoloso. Dopo i primi goffi tentativi, Cliff impara a volare in scioltezza e a utilizzare la sua nuova abilità per compiere gesti eroici: in breve, tutti conoscono il misterioso eroe volante col nome di Rocketeer. Ma sono in molti a volersi impossessare di quel jetpack ad ogni costo, dai gangster di Los Angeles al celebre e affascinante attore di Hollywood Neville Sinclair (Timothy Dalton).
Il personaggio Rocketeer nasce dalle pagine dei fumetti di Dave Stevens e viene portato al cinema dalla Disney nel 1991 per la regia di Joe Johnston, fresco del grande successo del suo esordio Tesoro mi si sono Ristretti i Ragazzi (di cui è da poco stato annunciato il sequel) e destinato a diventare negli anni regista di una serie di ottimi film d’avventura (Jumanji, Pagemaster, Hidalgo, il primo Captain America). Questo film rientra perfettamente in tutti i canoni del genere “avventura per famiglie”, ma il suo grande pregio è di avere dei personaggi e degli eventi di contorno davvero accattivanti. La doppia ambientazione, tra la tranquilla vita di campagna e la pulsante e caotica metropoli di Los Angeles e della sua scintillante ma anche spaventosa Hollywood, è resa in modo molto efficace. Tutte le scene ambientate sui set del film in costume in cui il divo vanesio e crudele Neville Sinclair, interpretato da un ottimo giovane Timothy Dalton, sono molto divertenti e anche incisive nella critica, marginale ma presente, al divismo che da sempre contraddistingue l’establishment. Poi ci sono i gangster, all’apparenza truci e terrificanti, e naturalmente l’FBI che dà loro la caccia; alla fine però si scopre che i veri cattivi della storia sono i neonazisti, un altro elemento sempre di grande impatto in una storia. Su tutto e su tutti, e non può essere altrimenti, troneggia Howard Hughes, un uomo che, con tutti i suoi meriti e le sua stranezze (geniale inventore, ricco magnate, grande produttore cinematografico, autorecluso per scelta, aviatore per diletto), inevitabilmente è divenuto spesso un personaggio del cinema, in questo caso non protagonista ma comunque determinante per lo sviluppo della trama e per l’appagante lieto fine. Stupisce che un attore, non eccezionale ma sicuramente fascinoso, come Billy Campbell, che interpreta Cliff, non abbia avuto una carriera più fortunata. Non è invece una sorpresa trovare una Jennifer Connelly come sempre stupenda ma del tutto inespressiva. Timothy Dalton, che era già stato James Bond nel film Vendetta Privata, questa volta invece ammalia e convince nel ruolo del cattivo egocentrico e megalomane, proprio del genere di quelli di solito combattuti da 007. Infine Alan Arkin si fa voler davvero bene nel ruolo del burbero dal cuore d’oro Peevy. Le scene di volo del jetpack restano ancora oggi molto ben fatte e divertenti per grandi e piccini e pur non mancando nessun clichè narratologico il film, tra scene d’azione, di inseguimento e d’amore, si lascia guardare con molto piacere. Dallo stesso fumetto e dal film stesso nasce nel 2019 la serie Disney JuniorRocketeer, in cui una bambina si lancia in nuove avventure con il suo zainetto a razzo, disponibile su Disney Plus per chi, dopo aver visto il film, non ha ancora voglia di smettere di volare.
Dopo il disastro conclamato di Al Servizio Segreto di Sua Maestà, che delude non solo i fan di 007 ma anche i produttori (che si erano abituati a ben altri incassi per i film della saga), per Cubby Broccoli e Harry Saltzman si presenta una sfida assai ardua: trovare un nuovo James Bond. I produttori sono convinti che il nuovo 007 debba essere un po’ meno inglese e più americano per tornare a soddisfare i gusti del pubblico. Sostituiscono dunque lo sceneggiatore Richard Maibaum, che aveva già scritto una prima bozza del copione partendo dal romanzo Diamonds are Forever di Ian Fleming, con il giovane americano (ma con un stile di scrittura sufficientemente british) Tom Mankiewicz. Cercano un americano anche per interpretare Bond, ma purtroppo Adam West, già sotto contratto per il telefilm Batman, non è disponibile; accetta l’offerta invece John Gavin (l’amante di Janet Leigh nel film Psycho di Alfred Hitchcock), che viene scritturato per interpretare l’agente segreto più famoso del mondo.
Adam West e John Gavin
La United Artists vorrebbe riavere Sean Connery, ma Broccoli e Saltzman non intendono implorare l’attore scozzese: inviano quindi la bellissima Ursula Andress, che era stata sua partner in Licenza di Uccidere ed è rimasta in ottimi rapporti con Connery, a farlo in loro vece. Connery si prende una settimana per decidere e infine accetta il compenso stratosferico di 1.200.000 dollari, che devolverà interamente in beneficenza allo Scottish International Trust, il fondo per l’educazione scozzese istituito da lui stesso tre anni prima. I produttori, nel congedare John Gavin, insistono per pagargli ugualmente il compenso stabilito e lui si fa da parte con grande eleganza (a differenza del suo predecessore George Lazenby). L’idea di americanizzare James Bond viene così accantonata, ci si accontenta di adeguarlo un tantino ai tempi, facendolo smettere di fumare. È dunque ufficiale: Sean Connery interpreterà James Bond ancora una volta!
Una Cascata di Diamanti non è certo il film di 007 migliore tra quelli interpretati da Sean Connery (personalmente lo considero anzi il peggiore), ma si tratta comunque di un livello qualitativo infinitamente superiore rispetto al precedente Al Servizio Segreto di Sua Maestà con George Lazenby, come anche pubblico e critica decreteranno. Per quanto mi riguarda, se penso all’ultimo film di Sean Connery come 007 mi viene in mente piuttosto Mai Dire Mai, che però non fa parte della saga ufficiale di Bond e ne è piuttosto una riuscitissima parodia. Senza arrivare alla presa in giro, ma i produttori capiscono che, dopo il finale tragico del film precedente i fan di 007 hanno ora bisogno di umorismo e leggerezza più che mai.
Non resta dunque che scegliere il regista: i produttori decidono di andare sul sicuro e di richiamare Guy Hamilton, considerando il suo Goldfinger il film meglio riuscito (nonché il più redditizio) della saga; seguendo lo stesso ragionamento per interpretare la canzone del film, Diamonds are Forever, viene chiamata ancora una volta la talentuosa Shirley Bassey.
La trama del romanzo di Fleming è piuttosto complicata (prevede ad esempio uno scontro finale tra Bond e il fratello gemello di Blofeld) e non convince i produttori, che chiedono a Tom Mankiewicz di discostarsene liberamente. Lo spunto per la nuova trama proviene dalla fonte più inaspettata: un sogno di Cubby Broccoli. Il produttore sogna infatti di osservare il lussuoso attico dell’amico Howard Hughes (eccentrico regista e magnate di Hollywood) dalla finestra e di scorgervi quello che crede di essere l’amico ma è in realtà una persona totalmente diversa. Mankiewicz inizia subito a lavorare su un copione in cui compare un ricco ingegnere stramboide (Willard Whyte, interpretato dal musicista country Jimmy Dean che Connery chiama “the noisy American”) e, nel finale, James Bond si ritrova ad affrontare non uno ma diversi Blofeld, tutti magistralmente interpretati da Charles Gray, che era già apparso in un film di 007 (Si Vive Solo Due Volte) nei panni di Dikko Henderson.
Charles Gray è Ernst Stavro Blofeld
Una Cascata di Diamanti sarà l’ultimo film in cui compare il villainErnst Stavro Blofeld (eccezion fatta per la spassosissima scena iniziale di Solo per i tuoi Occhi) fino al 2015, in cui il personaggio ritornerà in Spectre con le sembianze di Christoph Waltz. Per le scenografie si decide di andare sul sicuro con Ken Adam, mentre purtroppo viene modificato il comparto effetti speciali, dove l’inglese premio Oscar John Stears vine sostituito dagli americani Leslie Hillman e Whitey McMahon, con risultati a mio parere molto meno efficaci, soprattutto per quanto riguarda gli effetti visivi delle esplosioni. Le mancanze dell’effettistica vengono però bilanciate dalla bravura degli stuntmen, ancora una volta guidati dai veterani Bob Simmons e George Leech. Nei ruoli ormai consolidati di M, Q e Miss Moneypenny tornano ancora una volta Bernard Lee, Desmond Llewelyn e Lois Maxwell, quest’ultima con un look decisamente diverso dal solito: non essendoci alcuna scena ambientata nello studio del capo di 007, M, questa volta la segretaria compare ad Amsterdam con la divisa di agente delle dogana. Per indossare invece i succinti panni della nuova Bond-girl Tiffany Case viene scelta l’americana Jill St. John; in seconda posizione troviamo invece Lana Wood (sorella minore di Natalie) nel ruolo di Plenty O’Toole.
Le Bond-girls Jill St. John e Lana Wood
La scelta è più difficile per i ruoli dei killer omosessuali, apparentemente innocui ma in realtà spietati, Mr. Kidd e Mr. Wint: la scelta cade sul musicista Putter Smith e sull’attore Bruce Glover (anche se i produttori avrebbero voluto Peter Lorre in questo ruolo). Questi personaggi sono molto delicati in quanto, tra l’omosessualità e la forte violenza, si muovono sul filo della censura, ma si rivelano una scelta felice: c’è infatti bisogno di un nuovo antagonista per 007, qualcuno di veramente temibile (per sottolineare la grandezza di 007) ma di originale, come appunto i due ometti all’apparenza inoffensivi che James Bond fa l’erorre di non prendere sul serio.
Il 5 Aprile 1971 iniziano, nel deserto del Nevada (che nel film è quello del Sud Africa), le riprese di Agente 007: Una Cascata di Diamanti. La prima scena girata è quella dell’omicidio del dentista commesso da Wint e Kidd con uno scorpione velenoso infilato nella giacca. Viene girata anche una scena alternativa in cui lo scorpione viene messo nella bocca della vittima, poi scartata perché troppo violenta.
La prima scena girata da Sean Connery invece è quella dell’inseguimento nel centro di Las Vegas: Cubby Broccoli, grazie alle sue conoscenze influenti, riesce a ottenere la chiusura delle strade della città per ben cinque notti consecutive. La grande comodità di girare di notte a Las Vegas, è che non servono riflettori per illuminare il set. Ma non tutto si rivela così semplice: non è possibile allontanare i curiosi dal set (infatti sullo sfondo si possono ben vedere i capannelli di fan sui marciapiedi) e questo diventerà un grosso problema per la scena in cui l’auto di Bond, per infilarsi in un vicolo strettissimo, viaggia su due sole ruote. L’acrobazia di sollevare la macchina sulle ruote di destra riesce al primo colpo allo stuntman Joei Chitwood (che riceve un applauso estemporaneo dalla folla): peccato però che la ripresa dell’auto che esce dal vicolo sia inutilizzabile a causa della gente e dei poliziotti accalcati ai lati del set. La scena deve essere girata nuovamente in giugno, negli studi Pinewood: gli stuntman americani non sono più disponibili e vengono chiamati degli stuntman francesi… ma per errore la scena viene girata con l’automobile che esce dal vicolo sulle ruote sinistre! Il pasticcio viene rimediato girando una scena di raccordo nell’interno dell’auto in cui Bond dice a Tiffany di “reggersi forte” perché sta per cambiare l’inclinazione della macchina: sarebbe una cosa senza senso e quasi impossibile da fare, ma nonostante questo, dopo il montaggio, la scena in qualche modo funziona.
Abbiamo parlato delle prime scene girate, ma analizziamo invece la scena che, come da tradizione, precede i titoli di testa e la sigla. La sequenza ha lo scopo di agganciarsi alla trama del film precedente, in cui la moglie di Bond è stata uccisa da Blofeld, sottolineando però il fatto che il mitico Sean Connery sia tornato nei panni di 007. Assistiamo dunque a diversi interrogatori molto poco garbati di Bond, di cui ancora non vediamo il volto, che sconvolto dalla morte di Tracy desidera vendetta nei confronti del Numero Uno della Spectre. Inizialmente, proprio come avveniva in Licenza di Uccidere, non vediamo il viso di Bond ma solo le sue spalle, mani e braccia, in un crescendo di tensione fino alla scoperta del covo segreto di Blofeld, in cui, dopo una dura lotta, assistiamo (apparentemente) alla morte del cattivo. Girare questa scena è stato molto difficile per gli stuntman: in prima battuta, per ricreare il fango terapeutico utilizzato dal chirurgo plastico, viene usato del purè di patate, che però, dopo alcune ore, inizia a marcire e diffondere un odore insopportabile. Si appronta dunque una nuova miscela, che però ha il difetto di bruciare gli occhi e produrre eruzioni cutanee ai cascatori… altro che trattamento di bellezza!
Subito dopo la sigla, Hamilton decide di inserire l’unica scena poco divertente del film, quella in cui viene spiegato al pubblico ciò che ha bisogno di sapere sui diamanti per poter seguire poi la storia (analogamente a quanto fatto per l’oro di Goldfinger); una volta sbrigata questa formalità, il film può procedere a ritmo sostenuto con le classiche scene d’azione e la stessa ironia di sempre. Non manca comunque una punta di ironia, anche se semi-involontaria: lo sceneggiatore Tom Mankiewicz inserisce infatti una sagace osservazione di Bond sull’annata dello Sherry, non sapendo che, per questo liquore, non esiste l’annata! Per sua fortuna l’avvocato di Broccoli, che invece è un esperto del settore, si trova a passare sul set in quel momento e gli fa notare l’inesattezza: questo scambio diventa la nuova battuta del film.
L’idea iniziale di girare gli interni agli Universal Studios di Los Angeles viene abbandonata in favore dei cari vecchi Studi Pinewood di Londra, dove Ken Adam realizza tutti i set, mentre gli esterni ambientati ad Amsterdam vengono girati nella città olandese in appena un weekend. Per velocizzare le riprese, Guy Hamilton ha l’idea di promettere a tutti la serata libera ad Amsterdam a lavoro ultimato, e come racconta lui stesso: “Mai lavorato così in fretta con una troupe!”.
Come in tutti i film di Bond che si rispettino, anche in Una Cascata di Diamanti non possono mancare i combattimenti corpo a corpo. Tuttavia, poiché il regista pensa che “non ci sia nulla di più noioso che guardare due tizi che si menano”, bisogna rendere accattivanti gli scontri fisici, come ad esempio quello (girato a Pinewood) tra 007 e Peter Franks, interpretato dall’inglese Joe Robinson, che era stato l’insegnante di judo di Sean Connery. Hamilton decide che lo scontro tra questi due atleti grandi e grossi deve avvenire in uno spazio davvero angusto: un ascensore. La coreografia del combattimento viene pianificata con molta cura da Bob Simmons, ma in quel set ristretto non c’è spazio per gli stuntman (le inquadrature sono troppo ravvicinate) e i due attori devono cavarsela da soli. Nessun problema per Sean Connery, che si diverte molto a girare queste scene e non fa mai storie quando deve picchiare o farsi picchiare: l’attore aggiunge anche qualche tocco personale alla coreografia (come aveva fatto anche per i dialoghi del copione) e il risultato è una scena molto efficace con la tipica chiusura ironica: oltre due settimane di prove per una scena di due minuti appena.
In Una Cascata di Diamanti incontriamo ancora una volta l’agente CIA Felix Leiter, sempre un fedele alleato di Bond, interpretato da Norman Burton (che segue Jack Lord, Cec Linder e Rick Van Nutter). Nella scena all’aeroporto, quando Felix esamina la bara e domanda a 007 dove siano nascosti i diamanti, Bond gli risponde: “Alimentary, Watson” (“Alimentare, Watson”), parafrasando Sherlock Holmes: Cubby Broccoli in realtà desiderava eliminare questa battuta dal copione, sostenendo che nessuno l’avrebbe capita. Quando, alla prima del film, sente che il pubblico in sala ride di gusto, commenta: “Bella forza, saranno tutti dottori!”
Per il set della camera mortuaria di Las Vegas Ken Adam sceglie uno stile molto kitsch e ironico (ben rappresentato dalla vetrata a forma di diamante) e decide che, come tutti i congegni che compaiono nei film di 007, anche il pannello di controllo del forno crematorio deve essere pieno di leve e pulsanti appariscenti. La scena in cui Bond è imprigionato nella bara e sta per essere cremato è la tipica situazione dei film di 007 in cui il protagonista sembra non avere via di scampo e il pubblico ha pochi secondi per cercare di capire come riuscirà a cavarsela: anche se sono scene brevissime, a volte sono necessari mesi per idearne una che funzioni. Ironia della sorte, quella di 007 imprigionato nella cassa da morto è anche l’ultimissima scena girata da Sean Connery nei panni di James Bond, venerdì 13 agosto (neanche a farlo apposta) 1971.
Per girare le scene ambientate nei casinò e gli inseguimenti d’auto, la troupe si ferma per ben sei settimane a Las Vegas: serve tanto tempo perché è possibile effettuare le riprese all’interno dei casinò solamente tra le tre e le sei del mattino dei giorni feriali. Attori e maestranze smettono di dormire, impegnati come sono a girare durante il giorno e giocare d’azzardo di notte. Lo sceneggiatore Tom Mankiewicz perde un intero mese di paga. E non si salva neppure chi non gioca: Cubby e Dana Broccoli vengono derubati mentre dormono tranquilli nella loro suite. Ma questo non è un grosso problema per il produttore, che ha sempre a disposizione un budget di riserva che lui chiama “supporto morale”: in questo caso decide di spenderlo per dare una suite anche allo sceneggiatore, per il quale era stata prevista invece una sistemazione più semplice. Per ringraziarlo Tom voleva dare ai trapezisti del Circus Circus il nome di “Flying Broccoli” in omaggio al produttore, che però glielo vieta categoricamente.
Il direttore del Circus Circus concede il suo casinò per le riprese in cambio di una piccola parte nel film: quella dello “scienziato pazzo” che introduce il numero della donna-scimmia. Viene girata anche una scena con una donna in costume da sirena che suona l’arpa galleggiando su una conchiglia all’interno del ristorante, ma viene poi esclusa dal montaggio finale, insieme a un cameo di Sammy Davis Jr. al casinò. Per girare la scena in cui Q utilizza uno dei suoi congegni per sbancare le slot machine viene chiesto a un tecnico di impostare le macchina in modo tale che ogni tentativo sia vincente… immagino che quell’uomo sia diventato d’un tratto molto popolare!
L’hotel Whyte House, da cui l’eccentrico milionario Willard Whyte non esce mai (proprio come faceva Howard Hughes nel suo Desert Inn) è il realtà l’hotel Hilton: nei campi lunghi gli edifici adiacenti vengono nascosti da un fondale per farlo spiccare di più.
A Las Vegas entra in scena la bella Plenty O’Toole: dopo “Pussy Galore” (“Gnocca a Volontà”) un altro nome evocativo, come lo stesso Bond non manca di notare, in quanto “Plenty” significa “abbondanza”. Inizialmente il ruolo doveva andare a Jill St. John, ma il regista cambia idea e lo assegna a Lana Wood, bellissima ma piccola di statura, che per recitare accanto a Sean Connery è costretta a salire su una cassetta di frutta; la scelta si rivela cruciale quando viene girata la morte di Plenty (nella casa di Kirk Douglas a Palm Springs): la ragazza viene trovata morta nella piscina e Lana ha davvero i piedi legati ad un peso posto sul fondo. Nessuno si è accorto però che il fondale della piscina è inclinato e con passare del tempo il peso scivola verso la parte più profonda: presto Lana non è più in grado di tirare fuori la testa dall’acqua per respirare. Per fortuna l’attrice è un’ottima nuotatrice e apneista, e riesce a non andare nel panico mentre le viene prestato tempestivamente soccorso. Nonostante la sua bravura però per il tuffo in piscina dal terrazzo viene chiamata una cascatrice, Patty Elder; allo stesso modo Sean Connery, anche lui abile nuotatore, viene sostituito da un tuffatore professionista quando 007 deve buttarsi in acqua da oltre venti metri.
Gli autori dei film di 007 sono da sempre attenti alle ultime novità tecnologiche ma anche alle mode del momento. La chirurgia plastica, che ha un ruolo centrale del film, era diventata di gran moda alla fine degli anni ‘60, così come lo erano i letti ad acqua come quello della suite d’albergo di Bond (in cui Ken Adam ha l’idea geniale di inserire anche dei pesci vivi); allo stesso modo, l’ascensore esterno o le tessere magnetiche, come quelle che garantiscono l’accesso al laboratorio, erano delle novità assolute. Bond riesce a introdursi nel laboratorio segreto della Spectre grazie all’aiuto inconsapevole del Dottor Hergersheimer: questo suggestivo cognome altro non è che la parola usata da Guy Hamilton per indicare un “Pinco Pallino” qualsiasi: lo sceneggiatore decide di usarla come nome per uno dei personaggi del film.
Una delle scene più memorabili del film è senza dubbio la fuga di 007 a bordo del Moon Buggy, il veicolo lunare realizzato da Ken Adam basandosi sul modello reale ma, per volere del regista, con aggiunta di bracci e altre parti mobili per renderlo più grottesco; Adam ha dotato lo strambo veicolo di ruote a sezione conica come l’originale, ma purtroppo queste non resistono all’ambiente ostile del deserto del Nevada e si rompono durante le riprese. Vengono sostituite con dei più classici pneumatici Honda per poter terminare la scena.
Esattamente come i combattimenti, anche le scene di inseguimento nei film rischiano sempre di diventare noiose: ecco perché Hamilton pensa di ambientarne una in un parcheggio, elaborandone lo sviluppo con l’utilizzo di diversi modellini. Qui il regista può dare sfogo a tutta la sua antipatia per le auto americane, facendo sfasciare tutte le oltre ottanta automobili messe a disposizione gratuitamente dalla Ford per il film. Girando la scena al distributore di benzina, invece, una donna che sta passando in auto si distrae per guardare Sean Connery e tampona l’auto davanti, rallentando le riprese: quando si dice fascino pericoloso…
Dopo aver visto la scena del film in cui Bond utilizza una sparachiodi da arrampicata per introdursi dall’esterno nell’attico di Whyte, diverse associazioni di scalatori scrivono alla United Artists per chiedere dove poterne acquistare una: ma questo aggeggio nella realtà non esiste (i chiodi infissi in quel modo non potrebbero mai reggere il peso di un uomo). Proprio come gli speranzosi scalatori, dopo la sua impresa Bond vede le sue speranze finire…nel gabinetto. A questo punto del copione Tom aveva inserito una lunga spiegazione da parte di Blofeld su come funzionasse il sintetizzatore vocale, ma l’attore Charles Gray suggerisce di sostituirla con una semplice frase: “Non so come funziona, ma il principio è molto semplice”. Come in tutti i film di Bond, non bisogna mai spiegare troppo…
Ken Adam si è potuto sbizzarrire nel creare il set dell’attico di Whyte, lussuoso ma anche avveniristico, pieno d’acciaio e di modellini dei suoi progetti. Al contrario la casa in cui Bond affronta Bambi e Thumper non è un set, ma una vera abitazione di Palm Springs, costruita attorno ad un blocco di roccia, cui non viene aggiunto nulla se non il trapezio necessario per la scena di lotta. L’idea per questo strano combattimento è venuto al regista guardando le acrobazie compiuta dalle atlete delle Olimpiadi: spetta poi a Bob Simmons coreografare il tutto e creare una delle scene più memorabili della saga di Bond.
Non è facile per Guy Hamilton trovare una location adeguata per lo scontro finale: serve infatti una piattaforma petrolifera dismessa ma sicura (in quanto verranno utilizzati esplosivi ed effetti pirotecnici) e non troppo difficile da raggiungere. Per sua fortuna in quegli anni l’azienda petrolifera Shell versa in cattive acque: Hamilton riesce così ad affittare una vecchia piattaforma, poco lontano dalla costa della California, per una cifra modesta. Ogni giorno, per raggiungere il set, attori e troupe devono volare per quindici minuti su degli elicotteri privi di portelloni. Prima di girare la grande esplosione finale, il regista decide di fare un’ultima prova generale della scena, ma l’aiuto regista fraintende e ordina di azionare tutti gli esplosivi. Per fortuna il cameraman Jim Gavin ha la prontezza di azionare la telecamera e riprendere tutto dall’elicottero su cui si trova. Vengono girate anche scene con i sub che si tuffano dagli elicotteri e raggiungono la piattaforma a nuoto, ma sono poi scartate per non far risultare la scena troppo lunga (ne restano però delle immagini nelle locandine). La scena in cui Bond raggiunge la piattaforma dentro uno strano pallone (ispirata al regista, ancora una volta, da un filmato visto in televisione), viene girata successivamente negli studi Pinewood, insieme alla scena finale a bordo della nava da crociera.
Putter Smith accetta coraggiosamente di lasciarsi incendiare le braccia, ma viene poi sostituito da George Leech per il finale della scena, così come lo stuntman Gerry Crampton sostituisce Bruce Glover per il salto in mare (per cui viene utilizzato un trampolino), anche se in realtà la scena viene grata in studio e non c’è acqua ma solo tessuto increspato a simulare l’effetto delle onde. Ken Adam progetta ben due sottomarini per la fuga di Blofeld, uno in fibra di vetro (per il costo di 30.000 dollari) e uno più resistente pieno di cemento per la demolizione della sala controllo. La scena, inizialmente prevista, di inseguimento di Blofeld nella salina non viene mai girata per indisponibilità della location californiana. Nonostante sia molto elaborata e tecnicamente complicata, la scena dell’attacco alla piattaforma viene girata a tempo di record grazie alla sagacia dei produttori, che negano a Guy Hamilton e Sean Connery il permesso di recarsi negli splendidi campi da golf della California fino a che la scena non sarà ultimata. A volte non serve altro che il giusto incentivo…
Venerdì 13 agosto 1971, alle ore 16.00, Sean Connery ha appena finito di girare la sua ultima scena nei panni di 007, e tutti i suoi amici e colleghi sanno che questa volta si tratta di un addio definitivo. I produttori avranno modo di consolarsi con gli incassi e il successo del film (anche se non è certo uno dei migliori, anzi), ma il futuro appare incerto: che ne sarà di James Bond? Dopo il fallimento catastrofico di George Lazenby sembra chiaro che sostituire Sean Connery non è possibile… È forse la fine di 007?
Durante le riprese di 007 – Si Vive Solo Due VolteSean Connery ha annunciato che quello sarebbe stato il suo ultimo film nei panni dell’agente segreto britannico, ma comprensibilmente i produttori Albert Broccoli e Harry Saltzman non hanno intenzione di lasciarsi sfuggire quella miniera d’oro. Inizia dunque una grandiosa operazione di casting, alla disperata ricerca di “un nuovo Sean Connery”. Ma questi, si sa, non si trovano certo sotto gli alberi di mango… Più di 200 attori sostengono il provino per il ruolo di 007, tra cui l’attore shakespeariano Timothy Dalton, ma i produttori non riescono a trovare il loro nuovo James Bond, fino a che non vedono un fascinoso sconosciuto guidare un’automobile da corsa nello spot della cioccolata Fry: si tratta dell’australiano George Lazenby, di professione venditore d’automobili e modello per hobby. Sebbene George non abbia mai lavorato nel cinema i produttori pensano che potrebbe essere il loro uomo. Lazenby, incredulo, per fare buona impressione decide di rivolgersi direttamente a Anthony Sinclair di Londra, che per anni era stato il sarto ufficiale di Sean Connery/James Bond; il caso vuole che Sinclair abbia in magazzino un completo elegante che era stato realizzato per Connery ma che non era mai stato ritirato: non resta che allungare un po’ le maniche e il gioco è fatto! Per non sbagliare George si rivolge anche al barbiere di Connery, Kurt dell’Hotel Dorchester, a cui domanda un taglio uguale a quello di Connery: Lazenby non sa che, seduto nella poltrona accanto a lui, c’è proprio il produttore Cubby Broccoli, anche lui assiduo cliente di Kurt, che osserva compiaciuto tutti i suoi sforzi. Il passo successivo è il colloquio con Harry Saltzman nel suo studio, dove George deve seminare la diligente segretaria per poter essere ricevuto e riesce a dimostrare di avere un carattere deciso quando si rifiuta di sedersi sulla sedia su cui Saltzman poggiava i piedi fino a un istante prima. Non resta che la prova del nove: il set. Lazenby viene invitato negli studi Pinewood per provare qualche scena d’azione con gli stuntman, visto che, se sarà scelto come James Bond, ne dovrà girare parecchie. Ma Lazenby si dimostra insofferente, provare le stesse mosse in continuazione con i cascatori lo annoia: “È come passare la giornata a piantare patate!” dirà in un’intervista, e sarà solo la prima di una serie di osservazioni infelici. Sia come sia il nostro George, per vincere la noia, decide di fare sul serio e finisce per rompere il naso all’attore russo Yuri Borienko. L’episodio, che normalmente verrebbe considerato deprecabile, al contrario scioglie tutte le riserve dei produttori: George Lazenby è ufficialmente il nuovo James Bond. Con queste premesse, cosa potrebbe andare storto?
Ho sicuramente già raccontato cosa il personaggio di James Bond significhi per me, che guardavo e riguardavo i film con Sean Connery e Roger Moore sulle ginocchia di Papà Verdurin e che mai potrò considerare questo personaggio in modo imparziale e distaccato, ma Al Servizio Segreto di Sua Maestà fa eccezione: questo film, che avevo visto solamente una volta a differenza di quasi tutti gli altri, è davvero brutto. Mi viene da dire che se George Lazenby non ha affossato il mito di Bond allora nessuno potrà mai farlo. Nel corso dell’articolo chiarirò e motiverò riccamente queste affermazioni, ma in questo caso l’impressione di quell’unica visione di tanti anni fa è stata pienamente confermata, dopo tanti anni e con tutti gli approfondimenti opportuni. In ogni caso, per amore di completezza, è necessario parlare anche di questo film, e così farò, anche perchè la storia della sua realizzazione e quella della meteora Lazenby sono come sempre molto interessanti. Certo è facile, col senno di poi, dire che le cose non sarebbero potute andare diversamente, però dico: scegliere come nuovo James Bond un modello? Davvero?
Mentre George Lazenby si prepara a diventare 007 con corsi di dizione (per perdere il forte accento australiano) e di portamento (per camminare in modo meno “australiano”) Saltzman e Broccoli cercano il resto del cast. Per il ruolo importantissimo di Tracy, che non sarà solo una Bond-girl ma diventerà anche sua moglie, viene scelta l’attrice inglese Diana Rigg (i produttori vorrebbero Brigitte Bardot, che è anche bionda come il personaggio del libro, ma non è disponibile). Diana ha già molta esperienza nel cinema e nelle serie tv (ha sostituito Honor Blackman come protagonista femminile nel telefilm Avengers, sul cui set ha anche imparato a girare le scene di lotta) e viene affiancata al neofita George Lazenby per fargli da guida. Nel ruolo del villain Ernst Stavro Blofeld non ci sarà più Donald Pleasance, visto in You Only Live Twice, ma Telly Savalas, (costretto a ripiegare all’indietro i lobi delle orecchie per corrispondere alla descrizione di Fleming) che diventerà famoso qualche anno più tardi come Tenente Kojak. All’attore italiano Gabriele Ferzetti, dalla vasta filmografia ma per me conosciuto soprattutto come lo spietato Morton di C’era una Volta il West, viene affidato un ruolo complesso, quello del padre di Tracy, incaricato di spiegare allo spettatore la trama del film in un lungo monologo che, nonostante lui cerchi di ravvivarlo compiendo varie azioni in scena (versando da bere, camminando, accendendo il sigaro…) risulta comunque piuttosto noioso. L’attrice tedesca Ilse Steppat, che interpreta la cattiva Irma Bunt, morirà poco dopo il termine delle riprese. L’attore George Baker, vecchio amico di Ian Fleming, viene convocato con un doppio compito: interpretare Sir Hilary Bray dell’istituto araldico e doppiare la voce di George Lazenby nelle scene in cui Bond si spaccia per Sir Hilary: nonostante l’impegno di George, imitare in modo convincente un accento britannico è fuori dalla sua portata. Tornano come sempre le tre rocce della serie: Lois Maxwell/Miss Moneypenny, Desmond Llewelyn/Q e Bernard Lee/M; tra l’altro in questo film abbiamo per la prima volta la gioia di vedere questi tre personaggi in scena tutti insieme, ospiti al matrimonio di James Bond.
Per quanto riguarda il cast tecnico, per prima cosa bisogna parlare del regista: Peter Hunt, che aveva lavorato in tutti i film precedenti come montatore o regista della seconda unità, finalmente ottiene il ruolo di regista che tanto desiderava. Hunt, che aveva appena realizzato la sequenza dei titoli di apertura per Chitty Chitty Bang Bang (tratto da un libro di Ian Fleming e prodotto da Cubby Broccoli), importa da quel set moltissimi collaboratori: tra questi e le maestranze storiche della saga, sul set c’è sempre una gran folla e servono anche degli interpreti per facilitare le comunicazioni, oltre al fatto che i costi di catering per la troupe lievitano. Tra i collaboratori importati da Chitty Chitty Bang Bang c’è lo sceneggiatore Richard Maibaum, che ha il compito di adattare il romanzo di Ian Fleming uscito nel 1963 e scritto durante le riprese di Licenza di Uccidere, To Her Majesty’s Secret Service. A differenza di quanto accaduto per i film precedenti, in cui il libro era solo un punto di partenza per inventare storie, scene e personaggi, Hunt vuole mantenersi il più fedele possibile al romanzo, che fra tutti quelli scritti da Fleming offre il più approfondito scavo psicologico e dramma umano del personaggio di James Bond, raccontati con uno stile più semplice. Hunt crede che i fan di Bond desiderino vedere meno effetti speciali, gadget sofisticati e scenografie eccentriche, perché preferiscono il pathos e l’introspezione: ma sarà davvero così?
Peter Hunt ha lavorato a tutti gli 007, perciò dovrebbe avere ormai capito quali sono i meccanismi che permettono ai film della serie di funzionare: invece decide di stravolgerli tutti quanti, con risultati, come vedremo, poco felici. Per prima cosa, come abbiamo detto, Hunt ritiene che i fan di James Bond desiderino scoprire i risvolti personali e psicologici del personaggio, che decide dunque di appendere al chiodo la Walther PPK per via dell’ennesimo dissapore con M e di mettere su famiglia, sposandosi con la bella ma irrequieta ereditiera Tracy. Possiamo dire, a discolpa del personaggio, che Draco, il padre di Tracy gli ha offerto un’ingente somma per sposare la figlia scapestrata, e che, quando il dovere lo esige, Bond è comunque pronto a ignorare la sua monogamia per tante volte quante la Corona richieda. Inoltre, Hunt aveva previsto che Al Servizio Segreto di Sua Maestà si concludesse con la scena dello sfarzoso matrimonio di Bond, lasciando il suo triste epilogo per l’incipit del film successivo, Una Cascata di Diamanti. Le cose però, a causa dei capricci di una certa star e dei deludenti risultati al botteghino, non andarono secondo i suoi piani, come vedremo.
Il perfetto addio al celibato
Quando inizia il film, la prima immagine che vediamo sullo schermo è l’ormai familiare targa della Universal Export, che già sappiamo essere la copertura per gli uffici dell’Intelligence Britannica. Quello che è invece molto difficile notare è il regista Peter Hunt riflesso sulla targa lucida mentre passa per la strada: il regista non ha resistito all’idea di un cameo alla Hitchcock.
Hunt pensa che il nuovo attore debba essere introdotto con nonchalance (le locandine del film infatti glissano sull’assenza di Connery), senza dare troppo risalto alla cosa, e decide di ricalcare l’entrata in scena di Sean Connery nel primo film, Dr. No, mostrando da principio solo primi piani di oggetti legati al personaggio di Bond (sigaretta, dettagli degli abiti, accendino), quindi l’eroe in azione mentre salva Tracy dall’annegamento e combatte con degli assalitori sulla spiaggia e solo dopo la vittoria un primo piano del viso di George Lazenby, mentre si presenta come “Bond, James Bond”. L’agente segreto però non sembra aver affascinato la ragazza, che se ne va abbandonandolo da solo su una spiaggia deserta. E qui Lazenby esclama: “Questo non succedeva a quell’altro”, infrangendo per la prima volta nella saga la quarta parete e rivolgendosi direttamente al pubblico, che in effetti non ha mai visto una donna dire di no a Sean Connery. Pare che questa frase fosse ripetuta in continuazione da Lazenby sul set, e che Hunt abbia deciso estemporaneamente di utilizzarla anche nel film. Se poi l’attore australiano fosse trattato in modo diverso rispetto al suo predecessore è difficile dirlo, quel che è certo è che lui non si comportava affatto come Connery. Ad esempio, l’attore scozzese rifuggiva le attenzioni della stampa, mentre Lazenby non perdeva occasione per farsi intervistare e per lamentarsi della sua condizione, accusando il regista di non permettergli di esprimersi al meglio come attore, di caratterizzare meglio il personaggio e di non tenere in considerazione i suoi suggerimenti, come ad esempio quello di inserire nel film una buona dose di musica pop contemporanea: avendo imparato in Goldfinger che 007 ascolta i Beatles “solamente con i tappi nelle orecchie”, come avrebbe potuto funzionare?
Per fortuna invece ad occuparsi della colonna sonora c’è, ancora una volta, John Barry, che è in grado di conferire dignità a qualunque film (perfino a Scontri Stellari). Per Barry il primo ostacolo da superare è la tradizione secondo la quale la canzone della sigla di apertura deve avere lo stesso titolo del film: nel caso di Al Servizio Segreto di Sua Maestà cosa poteva essere adatto, forse una marcia militare? Infine Barry opta per un tema strumentale per accompagnare l’audace sigla creata da Maurice Binder che mostra silhouette molto dettagliate di corpi femminili. L’attore Roger Moore più avanti affermerà che le sigle sono l’unica cosa dei film di 007 che dovrebbe davvero essere censurata. E questo, in alcuni casi, avviene: per esempio in Sudafrica la sigla viene tagliata per far scomparire tutti i capezzoli in rilievo delle ombre. Peccato che così venga eliminato dai titoli di testa anche il nome del regista: in Sudafrica quindi questo film è adespota. Oltre alle silhouettes conturbanti, la sigla mostra immagini dei film precedenti (non di Sean Connery però) per sottolineare la continuità della saga a prescindere dal cambio di attore. Il concetto è ribadito da clessidre e orologi: alla faccia della nonchalance!
John Barry riesce comunque a inserire una canzone memorabile per il film, nella scena dell’idillio amoroso tra Bond e Tracy, dal titolo We Have All The Time in the World (la stessa frase incisa all’interno della fede nuziale di Tracy nonché l’ultima tragica battuta del film e del romanzo) e per cantarla chiama Louis Armstrong, mostrando una certa sfacciataggine: il cantante infatti è malato da tempo e questa sarà l’ultima canzone che inciderà prima di morire. Armstrong in ogni caso si dichiara contento e ringrazia Barry per questa opportunità, dopo aver offerto una grande interpretazione alla canzone scritta da Barry con testi di Hal David.
Telly Savalas nel ruolo di Blofeld
L’inizio ufficiale delle riprese di Al Servizio Segreto di Sua Maestà è il 21 Ottobre 1968, in Svizzera, dove il regista ha trovato la location perfetta per Piz Gloria, la misteriosa clinica di Blofeld: il Monte Schilthorn, alto 3000 metri, sul quale è appena stato costruito un ristorante. La troupe ottiene il permesso di girare nella struttura e di arredarla a sua discrezione, purché si doti di generatore elettrico e costruisca l’eliporto. Lo scenografo Syd Cain dunque arreda la location: al termine delle riprese il ristorante sarà lasciato già arredato e i proprietari decidono di sfruttare il prestigio del film mantenendo il nome “Piz Gloria” per il ristorante girevole e chiamando “James Bond” il bar. All’arrivo in Svizzera la troupe non riceve certo il più propizio dei benvenuti: Hunt e gli altri si trovano di fronte al cadavere di un escursionista morto congelato che penzola dal fianco del monte Eiger, in attesa che le condizioni meteo permettano il recupero. Ma non tutto il male viene per nuocere, e Hunt trasforma questo tragico episodio in uno spunto per il film: quando Blofeld scoprirà la vera identità di Bond infatti gli mostrerà anche il cadavere congelato del collega dell’Intelligence Campbell (Bernard Horsfall) appeso davanti alla finestra. Hunt decide di girare per prime le scene in cui Bond sta impersonando Sir Hilary, in modo da giustificare la sua goffaggine. Hunt cerca anche di preparare lo spettatore per l’inedito outfit di 007 facendogli prima estrarre dalla valigia e solo in seguito indossare un tradizionale kilt scozzese (e come una delle ragazze avrà modo di constatare più tardi, senza biancheria intima come da tradizione). Hunt dichiara di aver voluto vestire il nuovo 007 secondo il suo stile personale, ed ecco perché vediamo per la prima volta l’agente segreto indossare dolcevita e camicie con volant, oltre al già citato kilt. Ma nonostante il cambio di vestiario, Bond si dimostra ancora un seduttore entrando nelle grazie di due delle affascinanti degenti del Piz Gloria, in cui Blofeld, fingendo di curare le allergie, manipola in realtà le menti delle ragazze tramite ipnosi per i suoi malevoli scopi. Nonostante tutti cerchino di tenersi occupati nelle pause tra i ciak – le ragazze si dedicano all’uncinetto mentre Telly Savalas al poker e al karaoke, oltre che alla bella Dani Sheridan, con cui inizia una storia d’amore che durerà per ben dieci anni– quando Harry Saltzman raggiunge il set trova un clima pesante e cupo, tanto che decide di organizzare una festa per tutta la troupe. Ma, a festa iniziata, nessun segno di George Lazenby, che si presenta solo molto più tardi, risentito per non aver ricevuto un invito personale. Quando Saltzman gli spiega che nessuno lo aveva ricevuto lui replica: “Ma io sono la star!” Anni più tardi, nelle interviste, Lazenby riconoscerà di essersi montato la testa per via del successo improvviso e della sua giovane età, ma all’epoca i suoi comportamenti causarono molti problemi a colleghi e produttori. Lazenby ad esempio, che in base alla sua polizza assicurativa non avrebbe dovuto sciare, attendeva il buio per divertirsi sugli sci di nascosto, e non aveva perso il vizio di picchiare sul serio girando le scene di lotta. Inoltre l’attore discute spesso con la coprotagonista Diana, e naturalmente la stampa non tarda ad ingigantire gli screzi tra i due. Lazenby è sempre più teso e nervoso sul set, rilascia ai giornalisti dichiarazioni sempre più infelici e la cosa non sfugge di certo ai produttori…
In Svizzera vengono girate moltissime spettacolari scene d’azione. Quelle ambientate sulle piste da sci sono tutte tratte direttamente da romanzo: Fleming infatti aveva studiato in Svizzera ed era uno sciatore provetto. Diana, che non sa sciare, gira le inquadrature ravvicinate stando in ginocchio su uno slittino; per i campi lunghi gli attori vengono sostituiti da stuntman ripresi dal campione olimpico di sci Willy Bognor Jr., che essendo in grado di sciare anche all’indietro riesce a catturare splendide scene di inseguimento sulla neve da molto vicino, tenendo la telecamera in mano o in mezzo alle gambe e realizzando anche le acrobazie più impegnative (come ad esempio il salto con atterraggio sul tetto). Altre inquadrature mozzafiato vengono realizzate da Johnny Jordan, l’operatore rimasto ferito durante le riprese di Si Vive Solo Due Volte che non solo è tornato al lavoro con una gamba di legno, ma ha inventato insieme al pilota di elicottero John Crewdson un modo per agganciare l’imbragatura alla parte bassa dell’elicottero e permettere a Jordan di filmare da ogni angolazione senza che l’elicottero entri mai nell’inquadratura. Jordan, sospeso molto al di sotto dell’elicottero, comunica con Crewdson tramite impianto interfonico e deve indossare una tuta di gomma per non congelare. Le temperature, soprattutto ad alta quota, sono glaciali, ma nonostante questo la neve inizia inesorabilmente a sciogliersi, causando non pochi problemi a Hunt, che deve trasportare la neve con dei camion in ogni location. Il regista pensa anche di spostarsi con la troupe dall’altro lato della valle, ma non è possibile perchè già occupato da un’altra troupe cinematografica: Robert Redford e Gene Hackman stanno girando Gli Spericolati. Hunt è preoccupato soprattutto per la grandiosa scena della valanga, per la quale si è accordato con l’esercito svizzero per piazzare delle cariche esplosive nei punti strategici, ma quando finalmente arriva il momento di farle esplodere non c’è più neve, che si è sciolta tutta nottetempo. Giungono in aiuto di Hunt il responsabile degli effetti speciali John Stears, che realizza una valanga in miniatura fatta con il sale e degli alberelli di plastica da poter filmare, e il regista della seconda unità John Glen, che aveva filmato (non senza rischi!) una vera valanga, provocata in un valico disabitato lanciando una manciata di bombe dall’elicottero: montando questo materiale e inserendo con un effetto ottico due minuscoli sciatori che cercano di sfuggire alla neve, il gioco è fatto. Hunt è più fortunato con la scena della pista di pattinaggio, che su sua insistenza viene girata proprio il giorno prima che il ghiaccio si sciolga; Diana, che non sa pattinare, viene sostituita da una controfigura, mentre guiderà personalmente l’auto durante l’inseguimento sulla pista ghiacciata della gara di stock car, debitamente addestrata insieme agli stuntmen da Erich Glavitza, pilota di rally austriaco. L’inseguimento viene girato di notte, a una temperatura di -30 gradi; attori e tecnici vengono continuamente riforniti di bevande calde e la pista continuamente bagnata e spazzolata per mantenere la lucidità del ghiaccio, di grande effetto scenico ma che fa slittare le auto (le gomme non sono dotate di chiodi, che rovinerebbero il campo da gioco sottostante). Molte auto si ribaltano, senza danni per via del tettuccio rinforzato. La Ford Escort di Tracy però non si ribalta realmente: quella che vediamo nel film è un’inquadratura ribaltata!
Johnny Jordan filma appeso all’elicottero
Ancora una volta il ruolo degli stuntmen è fondamentale. Tocca a loro sciare, pilotare auto sul ghiaccio, tuffarsi dall’elicottero per atterrare nella neve (che a volte è troppo alta e a volte nasconde delle rocce…), lanciarsi con i bob a tutta velocità, scivolare appesi ai cavi della funivia (che a volte si ghiacciano e diventano scivolosi…): gli incidenti e gli imprevisti sono talmente tanti che Hunt rimaneggia in continuo la sceneggiatura per includerli nel film (come succede per esempio per il bob che esce di pista). Gli interni vengono sempre girati in un momento successivo negli studi Pinewood, tranne la lotta nel fienile con i campanacci appesi: si tratta di un fienile autentico che aveva colpito Hunt in fase di ricerca location e in cui aveva voluto a tutti i costi ambientare una scena di lotta: abbiamo capito che al regista piacciono molto i rumori d’ambiente… Completamente ricostruito a studio invece è il fienile in cui Bond fa la proposta di matrimonio a Tracy. In questo caso Hunt si distacca dal libro, in cui la proposta veniva dalla ragazza: l’iniziativa deve essere di Bond!
Diana Riggs
Viene girata a Berna la scena in cui Bond si introduce nell’ufficio di Gumbold: con un colpo di fortuna Hunt trova una piazza in cui sono presenti un grande orologio e un edificio in costruzione con impalcature e gru, proprio come serve per la scena. Non gli resta che aggiungere il cartello Draco Constructions ed ecco pronto il set. Qui vediamo l’unico gadget utilizzato da Bond in tutto il film, il congegno per forzare la cassaforte che fa anche da fotocopiatrice, macchinario all’epoca non ancora molto diffuso e considerato quindi avveniristico. Per dare un tocco di leggerezza e spezzare la suspense della scena, il regista ci mostra 007 sfogliare la rivistaPlayboy trovata nell’ufficio di Gumbold: oltre che un tocco umoristico si tratta di un richiamo alla realtà, in quanto Al Servizio Segreto di Sua Maestà di Fleming era uscito a puntate proprio su Playboy. Questo è il primo richiamo esplicito ai romanzi di Fleming, ma abbiamo ormai capito che Al Servizio Segreto di Sua Maestà è il film delle prime volte: primo utilizzo del rallenty in un film di Bond (quando a Piz Gloria 007 viene colpito e sviene); primo flashback (quando Bond vede in un riflesso sulla finestra i nemici portare via Tracy dopo la valanga) e prima volta che scopriamo il motto storico della famiglia Bond tramite il blasone rinvenuto da Sir Hillary (Orbis Non Sufficit, cioè Il Mondo Non Basta).
Il blasone della famiglia Bond
Poiché è giusto dare a Cesare quel che è di Cesare, sottolineo anche che Lazenby, forse anche per via della sua inesperienza, ha delle ottime doti di improvvisazione. L’ultima scena sulla neve, in cui Bond viene raggiunto dal San Bernardo soccorritore, era stata pensata diversamente, ma l’attore, quando il cane inaspettatamente si sdraia a terra accanto a lui in cerca di coccole, improvvisa una battuta: “Lascia perdere, vai a prendere il brandy!” Forse anche perché il sole era ormai tramontato, il ciak viene tenuto per buono.
Non resta che una cosa da fare prima di lasciare la Svizzera: filmare l’esplosione del laboratorio segreto di Blofeld. Al termine delle riprese il set, costato più di 100.000 dollari, è completamente distrutto,, ma la grande esplosione cui assistiamo nel film è in realtà quella di un modellino realizzato da John Stears.
Alla fine di aprile, dopo sei mesi trascorsi nella fredda Svizzera, la troupe si sposta nel più soleggiato Portogallo per il resto delle riprese in esterno; gli interni, come sempre, saranno girati negli Studi Pinewood di Londra. La scena iniziale sulla spiaggia in realtà viene girata per ultima e di giorno, utilizzando dei filtri per farla sembrare una ripresa notturna. George Lazenby non è per nulla entusiasta all’idea di entrare nell’acqua gelata, ma Hunt ci tiene molto a vedere gli schizzi e sentire il rumore dell’acqua durante la lotta. A coreografare i combattimenti degli stuntmen c’è il veterano George Leech mentre al montaggio il neo regista Hunt viene sostituito dall’amico John Glen, che si occupa anche della seconda unità e che più tardi diventerà a sua volta regista di alcuni film della saga: Glen fa suo da subito il montaggio veloce e serrato in stile Hunt, che tanto bene aveva funzionato nei film precedenti per creare scene mozzafiato e al contempo nascondere i piccoli difetti delle riprese. Mentre sui set dei film precedenti l’incolumità di Sean Connery era sempre una priorità per tutti (nonostante lui insistesse per realizzare le sequenze acquatiche o di lotta in prima persona), a Lazenby viene chiesto dal regista di eseguire personalmente tutte le scene di lotta e le più semplici delle scene d’azione, in modo da poterlo riprendere da vicino con un effetto molto realistico (come nella scena in cui Bond spara ai nemici scivolando sulla pista di curling, agganciato a una fune di sicurezza). Le malelingue (Lazenby per primo, durante le interviste) sostengono che a Hunt non andasse a genio l’attore australiano e che addirittura rifiutasse di rivolgergli direttamente la parola durante le riprese, sostenendo che per il regista un attore valeva l’altro purché fisicamente corrispondesse all’idea di Bond; al contrario Hunt nel suo commento al film spende molte parole di elogio per Lazenby, ammirandone l’eleganza e le doti recitative.
Per il matrimonio di Bond il regista vuole fiori ovunque, perché ha deciso che i fiori sono caratteristici del personaggio di Tracy, e infatti compaiono sempre insieme a lei: sul terrazzo, sui suoi abiti, sul letto, e naturalmente sull’abito da sposa. Sfortunatamente è tutto rose e fiori anche per Bernard Lee (M), che durante una pausa viene travolto da George Lazenby che sta mostrando la sua abilità di cavallerizzo, finendo tra le rose e ferendosi una gamba. Cubby Broccoli, che non si allontana quasi mai dal set, osserva e rimugina… Anche Lois Maxwell (Moneypenny) avrà una brutta sorpresa al termine delle riprese: tutti gli abiti fatti su misura per lei, che aveva avuto il permesso di tenerli, sono già stati portati via. Viene invece affidata a Desmond Llewelyn (Q) una battuta molto controversa rivolta allo sposo: “007, sono stupito, io pensavo che lei fosse…” Cosa? Perché Q pensava che 007 non si sarebbe mai sposato? Sarà davvero per la sua reputazione di dongiovanni? Non è certo. Quel che è certo è che al termine della cerimonia Bond si allontana con la moglie sulla sua iconica Aston Martin DB5. Anche se, purtroppo, non andranno molto lontano…
Che cosa avrà voluto dire?
Per girare la morte di Tracy, Hunt lascia volutamente Lazenby in attesa per molto tempo, in modo da innervosirlo. Poi però, al momento del ciak, l’attore scoppia in singhiozzi e la scena va rigirata: 007 può essere distrutto ma non piange mai! A piangere sono invece i produttori, che quando hanno promesso a George Lazenby che avrebbe partecipato al tour promozionale del film non avevano certo previsto che lui si sarebbe fatto crescere barba e capelli! Poiché Lazenby rifiuta categoricamente di riassumere un aspetto più “bondiano”, Broccoli e Saltzman fanno saltare l’accordo: Lazenby organizzerà un proprio tour parallelo, pagandosi tutte le spese. Anni più tardi Lazenby ammetterà: “Non capivo la fama, mi davo un sacco di arie e non piacevo a nessuno. Le porte per me si aprirono tutte e si richiusero tutte subito dopo”. Ed ecco perché, una volta dismessi i panni eleganti di James Bond, la carriera cinematografica di Lazenby si può dire conclusa, salvo qualche ruolo nei panni della spia in varie imitazioni o parodie dei film di 007.
Un’ultima curiosità prima di lasciare definitivamente la Svizzera: nella versione originale del film Draco, il padre di Tracy, è italiano come lo è l’attore che lo interpreta, Gabriele Ferzetti. Nel finale, in cui Draco arriva con gli elicotteri per salvare Tracy, rapita da Blofeld, Draco risponde per radio alla torre di controllo del Piz Gloria che gli intima di cambiare immediatamente rotta e allontanarsi inventando sul momento una giustificazione dopo l’altra, fino a che non inizia a parlare in italiano nel tentativo di confondere l’operatore e comincia a spiegare di “una disastrosa alluvione a Rovigo” che lo costringe all’intervento immediato. Certo James Bond è stato diverse volte in Italia (Cortina, Roma, Venezia…), ma mai mi sarei aspettata di sentir nominare Rovigo in un suo film!
“Questo non succedeva a quell’altro…”
Terminate le riprese in Portogallo la troupe rientra a Londra per girare tutte le scene negli interni negli studi Pinewood. Per la prima volta in assoluto vediamo lo studio di James Bond quando lui, credendo di non essere più un agente segreto (non sa che la devota Moneypenny ha sostituito le sue dimissioni con una richiesta di permesso per due settimane) sgombra la sua scrivania. Intanto noi possiamo vedere diversi cimeli delle sue precedenti avventure: il coltello di Honey Ryder da Dr. No, l’orologio per garrota di Red Grant da Dalla Russia con Amore, il respiratore diThunderball. Come se questo tuffo nel passato non bastasse, fuori dall’ufficio di Draco vedremo un nano intento a lavare il pavimento fischiettando il motivetto di Goldfinger: sempre all’insegna della nonchalance. Ma se Peter Hunt fa qualche azzardo per quanto riguarda la continuità con i film precedenti, dimostra anche di essere tecnicamente preparatissimo quando decide di girare tutte le inquadrature tenendo conto del cambio di formato che subiranno nel passaggio dal grande al piccolo schermo. Inoltre il regista, ossessionato dal desiderio di realismo, fa realizzare tutte le scenografie degli interni con i soffitti (mentre di solito il soffitto è vuoto per poter permettere i movimenti delle telecamere e i passaggi di cavi e illuminazioni varie); inoltre sceglie di abbandonare il formato Panavision a favore del Cinemascope: tecnicamente il regista è impeccabile tanto quanto lo è nello stile personale, visto che non si è mai presentato sul set senza cravatta. Oltre a vedere per la prima volta l’ufficio di 007 per la prima volta lo spettatore è ammesso anche nella residenza privata di M, Quarterdeck (che è invece spesso presente nei romanzi).
L’ufficio di 007
Sarà anche vero, come affermava lo stesso Lazenby, che “Bond ha qualcosa di ogni uomo, o meglio ogni uomo crede di avere qualcosa di Bond” ma forse le sue convinzioni non erano fondate, perché quando il suo agente Ronan O’Reilly annuncia alla stampa che il suo cliente non prenderà parte ad altri 007, i produttori non versano lacrime, al contrario si affrettano a confermare la notizia e ad affermare di aver liquidato loro l’attore australiano. A Peter Hunt e John Glen non resta che montare tutto il materiale girato con Lazenby, che dunque non parteciperà al capitolo successivo, convinto che, in ogni caso, il fenomeno Bond non sia destinato a durare a lungo…
Il matrimonio di James Bond
La première di Al Servizio Segreto di Sua Maestà si tiene il 18 Dicembre 1969; gli incassi sono molto alti, ma il film impiega molto più tempo rispetto ai precedenti per recuperare le spese. Questo insuccesso viene attribuito dai produttori interamente a George Lazenby, che evidentemente non è adatto per il ruolo e va sostituito. Ma chi, dopo questo primo passo falso dell’agente segreto britannico più famoso del mondo, accetterà di indossarne i panni ed essere travolto da una cascata di diamanti? Lo scopriremo nel prossimo capitolo di questa rubrica, sempre qui su Cinemuffin!