Addio ad Angela Lansbury

Goodbye Little Yellow Bird

Non ho bisogno degli Analytics per sapere con certezza che Angela Lansbury è il personaggio più citato in assoluto su Cinemuffin. Non solo articoli e recensioni a lei dedicati, ma molto spesso ha fatto capolino a sorpresa in contenuti che sembravano non avere assolutamente nulla a che fare con lei. Ma non poteva essere diversamente, visto che Angela è stata una figura sempre presente nella mia vita, sin da quando ero piccolissima e guardavo la Signora in Giallo sicura che, ad ogni episodio, una o due persone venissero realmente uccise. Poco più tardi mi venne spiegato delle finte morti e delle pistole a salve: in poche parole, della magia dello schermo. L’immancabile risata finale di Jessica Fletcher e la voce della sua storica doppiatrice Alina Moradei risuonano ancora oggi in casa mia ogni giorno, all’ora di pranzo, e ancora oggi gli episodi di Murder, She  Wrote, seppure visti mille volte, mi offrono sorprese inaspettate. Non molto tempo dopo la mia scoperta del sangue finto arrivò quello che divenne, ed è ancora oggi, un grande classico di casa Verdurin: Pomi d’Ottone e Manici di Scopa. Solo molto più tardi, con l’arrivo dei dvd, potei ascoltarlo in lingua originale, con tutte le canzoni interpretate da Angela, comprese quelle poi tagliate dalla versione che conoscevo del film (compresa l’imbarazzante, nella traduzione italiana, “L’età del Non-mi-cucchi”). Allo stesso modo riuscii finalmente ad ascoltare la voce originale di Angela nel capolavoro Disney La Bella e la Bestia, grazie all’arrivo dei dvd. In quel periodo avevo imparato a scaricare le canzoni da Internet e creare i miei cd personalizzati e venivo presa in giro perchè, in ogni singola compilation che realizzavo, Tale as Old as Time cantata dalla teiera Mrs. Brick (Mrs. Potts in originale) era presente: una sorta di marchio di fabbrica. Venne poi la grande sorpresa di vedere Angela da giovane in molti film: Gran Premio, in cui interpretava la sorella maggiore di Elizabeth Taylor, ma soprattutto I Tre Moschettieri, in cui nei panni della regina di Francia, Angela spediva Gene Kelly e compagni in missione per recuperare i gioielli che avrebbero potuto provocare una guerra tra Francia e Inghilterra a causa della sua liason con il duca di Buckingham. E che dire poi dei suoi molti ruoli in film gialli, come quelli tratti dalle opere della mia amatissima Agatha Christie, o della signora scomparsa e miracolosamente da me ritrovata decenni dopo grazie al catalogo di Prime Video? Per non citare la versione teatrale del musical di Stephen Sondheim Sweeney Todd, in cui Angela interpretava Mrs. Lovett (ruolo ripreso da Helena Bonham Carter nella versione cinematografica di Tim Burton): il costume della cuoca, celebre per le sue speciali “torte di carne”, con tanto di scarafaggi e mattarello insanguinato, è in cantina pronto ad essere indossato per Halloween.

Angela Lansbury ha sempre fatto parte della mia vita e dei miei sogni, e continuerà a farne parte per sempre (i miei due romanzi gialli nel cassetto lo provano: ho sempre desiderato essere come Jessica Fletcher. Vedovanza a parte).

Grazie di tutto Angela.

Buon viaggio Angela

tick, tick…BOOM!

Anno: 2021

Regia: Lin-Manuel Miranda

Interpreti: Andrew Garfield, Alexandra Shipp, Vanessa Hudgens, Robin de Jesus, Bradley Whitford

Dove trovarlo: Netflix

Il compositore Jonathan Larson (Andrew Garfield) è ossessionato dalla paura di non riuscire a sfondare a Broadway prima di compiere 30 anni e decide quindi di dedicare tutte le sue energie al suo musical Superbia e a quella canzone che, secondo il suo idolo Stephen Sondheim (Bradley Whitford), renderebbe la sua opera prima un capolavoro. Così facendo però Jonathan rischia di perdere per strada la sua fidanzata Susan (Alexandra Shipp) e il suo amico di sempre Michael (Robin de Jesus) che proprio ora hanno bisogno di lui.

Dopo il grande successo del musical originale Hamilton, il regista Lin-Manuel Miranda ci offre ora uno scorcio sulla vita di Jonathan Larson, autore e compositore morto a soli 33 anni ma consacrato da due Tony Awards e un premio Pulitzer per la drammaturgia postumi per il suo musical capolavoro, Rent

Jonathan Larson scrive il monologo teatrale tick, tick…BOOM! in seguito alla delusione per la mancata rappresentazione del suo musical distopico Superbia: Miranda utilizza quindi parole e testi dello stesso Larson per rappresentarne la vita, caratterizzata dalla completa dedizione all’arte e alla musica. 

I titoli di coda sono accompagnati da filmati del vero Larson, da cui possiamo vedere quanto la recitazione di Andrew Garfield (candidato all’Oscar come miglior attore protagonista e vincitore del Golden Globe 2022 per questo ruolo), apparentemente gigionesca, sia in realtà aderente al personaggio che rappresenta, uomo di spettacolo al 100% per cui la distinzione tra arte e vita non ha alcun significato. Anche nel film infatti musical e realtà, palcoscenico e mura domestiche, esistenza e balletti si fondono e si confondono in continuazione per il piacere degli amanti del genere, raccontando un artista e la sua rincorsa della fama e del successo per amore non dei soldi o del lusso ma dell’arte stessa, che rappresenta la vita in tutte le sue sfumature, legami ed emozioni. 

Andrew Garfield si rivela talentuoso nel canto (meno nel ballo), anche se viene messo in ombra dalla bravura delle due protagoniste femminili: Alexandra Shipp, nel difficile ruolo della fidanzata trascurata, e Vanessa Hudgens, la cantante che con la sua sola voce darà vita e slancio al complicato mondo futuristico di Superbia, Karessa.

Bradley Whitford somiglia straordinariamente al maestro Stephen Sondheim, autore di capolavori quali Sweeney Todd e Into the Woods: Sondheim conobbe davvero Larson e si prodigò, con buoni consigli e lettere di raccomandazione, per far decollare la sua carriera.

tick, tick…BOOM! non è un film per tutti secondo me, ma alcuni numeri e certe canzoni sono davvero ben riusciti (in particolare “Therapy” e “Sunday”) e gli appassionati di musical non dovrebbero lasciarselo scappare.

Voto: 3 Muffin

IL vero Jonathan Larson

Grease 2

Anno: 1982

Regia: Patricia Birch

Interpreti: Michelle Pfeiffer, Maxwell Caulfield, Didi Conn, Syd Caesar, Eve Arden, Dodi Goodman

Dove trovarlo: Netflix

Inizia un nuovo anno scolastico alla Rydell e come da tradizione gli studenti si uniscono in gruppi che devono tutti sottostare  a regole sociali ben precise. Per esempio le Pink Ladies, le ragazze che indossano giacchette rosa, possono uscire solamente con i T-Birds, i ragazzi che portano le giacche di pelle nera. Ma alla bella Stephanie (Michelle Pfeiffer) le regole stanno strette: lei sogna di incontrare un ragazzo audace e misterioso, un motociclista senza paura, diverso da tutti i ragazzi che conosce. Per Micheal (Maxwell Caulfield), nuovo studente appena arrivato dall’Inghilterra, sembra impossibile poter conquistare il cuore di Stephanie, lui che ama Shakespeare e detesta le motociclette. Ma l’amore lo spinge a trasformarsi completamente per poter conquistare il cuore della ribelle Stephanie.

Dopo il successo stratosferico di Grease nel 1978 la Paramount Pictures tenta di replicare la formula della mitica “Brillantina”, ma il risultato non è che una variazione sul tema senza originalità, meno divertente e con attori meno capaci. Ci sono comunque alcune scene simpatiche e qualche gradevole canzone (come Reproduction, in cui gli studenti danno una loro interpretazione canora dell’impollinazione dei fiori), ma la sensazione generale è quella di una copia poco incisiva che fa molto rimpiangere il film precedente. Ritroviamo alcuni personaggi di Grease: la preside e la vicepreside, interpretate rispettivamente da Eve Arden e Dodi Goodman; Frenchy, l’amica della protagonista Sandy (Olivia Newton-John), sempre interpretata da Didi Conn; il fantastico Syd Caesar nel ruolo del coach Calhoun. Ma queste nostalgiche presenze non bastano a dare lustro al film. Le dinamiche tra Pink Ladies e T-Birds, con complicazione della banda di motociclisti rivale, restano invariate, e anche la conclusione in cui uno dei protagonisti realizza che l’altro in realtà non aveva affatto bisogno di cambiare resta identica, seppure a ruoli invertiti. La regista Patricia Birch, già coreografa per Grease, non riesce a ricrearne la magia, anche perché la trama è perfino troppo semplice anche per un musical tradizionale e le sottotrame, affidate a personaggi poco caratterizzati, sono quasi inesistenti, mentre nel primo film alcuni comprimari come Rizzo e Kenickie erano interessanti quanto i protagonisti. Purtroppo Maxwell Caulfield, l’attore che interpreta Michael, è un belloccio privo di espressione che non riesce a conquistare lo spettatore. Inaspettatamente però conquista la ragazza, e qui bisogna fermarsi un attimo per parlare di quella che è senza dubbio la cosa più bella del film: Michelle Pfeiffer. Michelle, che qui aveva appena ventiquattro anni, ruba la scena a tutti con la sua bellezza irraggiungibile e i suoi sogni ad occhi aperti. Quando canta invocando un Cool Rider che la porti via dalla banalità quotidiana seduta in cima ad una scala è semplicemente meravigliosa: nessuno stupore che Michael decida di compiere follie per lei! Sappiate che, di questi due muffin, uno è tutto per Michelle!

Voto: 2 Muffin

Hello, Dolly!

Anno: 1969

Regia: Gene Kelly

Interpreti: Barbra Streisand, Walter Matthau, Louis Armstrong

Dove trovarlo: Disney Plus

L’elegante e disinvolta Dolly Levi (Barbra Streisand) ha deciso di non desiderare forti emozioni nella sua vita e si dedica pertanto a manovrare le vite altrui, organizzando affari e matrimoni tra i suoi innumerevoli conoscenti. Quando però Dolly decide di rimettersi in gioco in prima persona la sua scelta cade sul celibe burbero e spilorcio Horace Vandergelder (Walther Matthau), tentando con mille manovre di portarlo all’altare. Riuscirà nell’impresa?

Gene Kelly, attore protagonista ma anche co-regista del capolavoro Cantando sotto la Pioggia, porta sul grande schermo il musical Hello, Dolly! del 1964: sebbene la critica non lo apprezzi, il film vince ben tre Oscar l’anno successivo (migliore scenografia, sonoro e colonna sonora) e diventa un classico per gli amanti del musical e dell’attrice Barbra Streisand. Nel ruolo di Dolly Levi si sono avvicendate sul palcoscenico le attrici più celebri e talentuose (Ginger Rogers, Madeline Kahn, Bette Midler, Imelda Staunton e la nostra Loretta Goggi, tra le altre): il personaggio di Dolly è infatti molto affascinante, non solo per le diverse canzoni che interpreta ma anche per i molti eccentrici costumi che sfoggia e per la miscela di simpatia, arguzia e dolcezza che la contraddistingue e la fa entrare nel cuore dello spettatore. Barbra Streisand è perfettamente a suo agio tra piume e corsetti, elegante e sicura di sé mentre manovra i fili delle vite altrui ma anche quando decide di aprirsi in prima persona ai rischi e ai brividi della ricerca dell’amore. A tenerle testa troviamo, nei panni del misantropo Horace Vandergelder, il mitico Walter Matthau, che qui si cimenta anche nel canto e in alcuni (pochi) passi di danza. La trama, minimale, non è che il pretesto per le divertentissime esibizioni di questi due meravigliosi protagonisti e di una serie di simpaticissimi comprimari, fino alla magistrale scena madre nel ristorante di lusso (così chic che è possibile scegliere non solo il pesce dell’acquario che si desidera mangiare ma anche l’anatra selvatica, che il cameriere provvederà immediatamente ad abbattere con la carabina). Disney Plus, ora arricchito dal catalogo Stars, offre agli appassionati del musical la possibilità di gustare questo film rinfrescante, appagante e divertente, con due protagonisti bravissimi e tante deliziose canzoni (per chi non ama il genere alcune parti potrebbero risultare noiose ma consiglio comunque di tenere duro fino alla scena finale). Non c’è da meravigliarsi se nel capolavoro Pixar Wall-E il robottino protagonista è così affascinato da questo film, prezioso cimelio della sua collezione di paccottiglia terrestre, che per lui è unica rappresentazione visiva conosciuta dell’amore. Consiglio questo film a chi ama i musical classici, la vecchia Hollywood, i costumi sgargianti, le commedie romantiche, l’amore genuino, maldestro e canterino, le grandi dive e i grandi comici, le risate a tempo di musica.

Voto: 4 Muffin

A Star is Born

Anno: 2018

Regia: Bradley Cooper

Interpreti: Lady Gaga, Bradley Cooper, Sam Elliot

Dove trovarlo: Netflix

Una cameriera che sogna di diventare una star e un cantante di grande successo ma con gravi problemi di alcool e droga si conoscono per caso nel locale di drag queen in cui lei si esibisce. Tra i due scocca la scintilla, la fama di Jack (Bradley Cooper) spianerà la strada verso il successo per Ally (Lady Gaga) ma le dipendenze di lui renderanno molto difficile il rapporto di coppia.

La storia si racconta in due righe e non è certo nuova, visto che abbiamo già avuto due film dallo stesso titolo, uno del 1954 con Judy Garland e James Mason e uno del 1976 con Barbra Streisand e Kris Kristofferson. Tuttavia questa nuova versione mi è piaciuta davvero molto, perciò mi sento di consigliare questo film agli amanti della musica e anche a chi ama vedere sullo schermo storie d’amore complicate. Io ero già una fan di Lady Gaga ma credo che in questo film la celebre cantante pop brilli davvero come una stella per il suo genuino talento canoro e per le sue più che adatte doti recitative. Doppio applauso poi per Bradley Cooper, attore affascinante e simpaticissimo, che qui non solo si cala in un ruolo molto difficoltoso ma si cimenta anche per la prima volta come regista, ottenendo un ottimo risultato: senza particolari vezzi autoriali Cooper riesce a raccontare questa storia, semplice ma intensa, in modo lineare e accattivante, facendoci davvero affezionare ai due protagonisti e al fratello di Jack, Bobby, interpretato dal sempre mitico Sam Elliott. Belle musiche e canzoni, bravi gli attori, pulita la regia di Cooper, che ci inonda di luci quando sale sul palco per mostrare lo straniamento di chi è sotto l’effetto di alcool e droghe ma ci racconta poi una dolce e sofferta storia d’amore con grazia e tenerezza. Meritato l’Oscar per la miglior canzone a Shallow, cantata da Lady Gaga e Bradley Cooper. 

Voto: 3 Muffin

La La Land

Anno: 2016

Regia: Damien Chazelle

Interpreti: Ryan Gosling, Emma Stone

Dove trovarlo: Amazon Prime

Mia (Emma Stone) e Sebastian (Ryan Gosling) sono entrambi giunti a Los Angeles alla ricerca del successo: lei desidera diventare un’attrice ma si mantiene lavorando come cameriera, mentre lui vorrebbe aprire un suo locale jazz ma nel frattempo si limita a strimpellare alle feste. Dopo un paio di incontri sfortunati i due, che inizialmente non si sopportano, iniziano a capire di avere qualcosa in comune…

Ho sempre amato i musical, ce ne sono di meravigliosi in ogni epoca e, nonostante qualcuno ciclicamente decreti la morte del film musicale, se ne fanno di splendidi ancora oggi. Ma non è il caso di La La Land. Ammetto che per me sia davvero un mistero come questo film abbia potuto ricevere ben 14 nomination agli Oscar vincendone addirittura 6 quando, anche sforzandomi, non riesco proprio a trovarci una buona qualità. E dire che per un momento si era pensato che avesse vinto anche il premio dell’Academy come miglior film, quando a Warren Beatty venne consegnata la busta sbagliata durante la cerimonia del 2017: il vero vincitore, Moonlight, magari non è un capolavoro assoluto, ma ha alla base un’idea particolare e della buona volontà, oltre che un buon cast. Ma che cosa ha invece La La Land? Solo tanta nostalgia per la cara vecchia Hollywood e i grandi musical degli anni ‘50, uno su tutti Cantando sotto la Pioggia, che si può sempre vedere in controluce dietro ad ogni numero musicale o scena ambientata negli studi cinematografici. Inutile dire che Ryan Gosling non è Gene Kelly, ma, oltre ad essere legnoso nell’espressione, lo è anche nei movimenti e, ahimè, nella voce: insomma, un vero disastro. Se la cava meglio Emma Stone, che pur non avendo certo la simpatia della fantastica Debbie Reynolds riesce a essere un po’ più convincente del partner come ballerina e come cantante, ma sempre restando a livelli piuttosto bassini per una vincitrice dell’Oscar come migliore attrice. J.K Simmons, che dai titoli sembrava dover avere più spazio nel film, in realtà non fa che una breve apparizione. La trama, molto simile a quella di Cantando sotto la Pioggia, non è certo innovativa: lui e lei sognano il mondo dello spettacolo, si incontrano, si odiano ma poi si amano. L’unico guizzo di sceneggiatura è quello di aggiungere un secondo finale immaginato per mostrare come le cose sarebbero potute andare ma non sono andate, anche se in conclusione tutti hanno avuto il loro lieto fine (e questo viene mostrato nel modo più piatto possibile, riprendendo la scena iniziale della celebrità che prende il caffè e insiste per pagarlo). La trama semplice non è un ostacolo per un buon musical, a patto che però altri elementi siano molto forti, ma qui non è così: i dialoghi sono banali e noiosi, i personaggi stereotipati e anche antipatici, le canzoni tutte dimenticabili (incredibilmente, a distanza di tempo, mi trovo a canticchiare canzoni dell’outsider Hamilton, mentre di La La Land non ricordo nemmeno una nota…). Si salvano invece le coreografie, che uniscono il classico stile hollywoodiano con uno più moderno (la coreografa Mandy Moore riproporrà questa commistione, con risultati migliori, nella serie Lo Straordinario Mondo di Zoey). Un altro grave difetto del film è quello di prendersi sempre troppo sul serio, senza mai un pizzico di simpatia o ironia, che erano invece il punto di forza di Singin’ in the Rain e di molti altri film musicali classici. Come si capisce sono rimasta molto delusa da questo film, mentre sono convinta che il musical attualmente stia andando ancora alla grande, come dimostra lo splendido The Greatest Showman (che l’anno successivo ha ricevuto appena una nomination agli Oscar ma che, dal confronto con La La Land, esce vincitore alla grandissima). Lascio, oltre al votaccio, il ricordo affettuoso di un “La La La” assai migliore.

Voto: 1 Muffin ipocalorico

Lo Straordinario Mondo di Zoey

Titolo originale: Zoey’s Extraordinary Playlist

Anno: 2020

Interpreti: Jane Levy, Skylar Astin, Alex Newell, Peter Gallagher, Lauren Graham

Dove trovarlo: RaiPlay

Zoey (Jane Levy) lavora per una grande azienda informatica insieme al suo migliore amico, Max (Skylar Astin), segretamente innamorato di lei, e a Simon (John Clarence Stewart), di cui lei è segretamente innamorata ma che è già fidanzato. Con il suo capo, Joan, ha un rapporto complicato fatto di alti e bassi. La situazione in famiglia non è per nulla facile: al padre Mitch, con cui Zoey aveva un bellissimo rapporto, è stata diagnosticata una malattia rara che lo ha condotto in breve tempo ad uno stato semi-catatonico e lo porterà inevitabilmente alla morte in poco tempo. Un giorno, subito dopo aver effettuato una risonanza magnetica, Zoey si rende conto che qualcosa in lei è cambiato: ora è in grado di percepire i pensieri e gli stati d’animo delle persone che le stanno intorno. E la percezione avviene sotto forma di… numero musicale!

Lo Straordinario Mondo di Zoey è una serie di 12 episodi di circa 40 minuti ciascuno – una seconda serie è già stata annunciata per il prossimo anno – adatta esclusivamente agli amanti del musical. Infatti, per chi non ama le canzoni, i balletti e i numeri musicali in genere potrebbe risultare davvero noiosa. I personaggi, le vicende e la trama non sono particolarmente coerenti o interessanti, ma piuttosto elaborati in funzione alle canzoni che devono descrivere di volta in volta le emozioni e i turbamenti di ciascuno. L’assunto di per sé è piuttosto semplice e non originale, ma se lo si accetta è possibile passare qualche tranquilla serata a godersi un’opera senza pretese, divertente ma in alcuni passaggi anche commovente: tutto quello che riguarda la malattia del padre di Zoey, interpretato dal talentuoso Peter Gallagher, che esce dalla sua immobilità per cantare e danzare con la figlia, mi ha fatto versare un bel po’ di lacrime. Ho trovato però anche momenti divertenti, su tutti il numero tratto da Jesus Christ Superstar e la maggior parte di quelli affidati a Lauren Graham, la Lorelai Gilmore di Una Mamma per Amica. Gli interpreti sono tutti all’altezza e le coreografie, ideate dalla cantante Mandy Moore (che compare in un cameo nei panni di se stessa), sono originali ma tipicamente hollywoodiane allo stesso tempo. Di grande effetto il numero eseguito dai ballerini che interpretano ragazzi sordomuti. Una piacevolissima sorpresa per me quella di ritrovare in un episodio l’attrice Bernadette Peters, che interpretava la soubrette Vilma Kaplan in Silent Movie di Mel Brooks: essendo il film di Brooks muto, mi ero goduta le sue gag e i suoi balletti ma non avevo mai sentito la sua voce, così sento di aver finalmente colmato una lacuna.

Sweeney Todd: Il Diabolico Barbiere di Fleet Street

Titolo originale: Sweeney Todd: The Demon Barber of Fleet Street

Anno: 2007

Regia: Tim Burton

Interpreti: Johnny Depp, Helena Bonham Carter, Alan Rickman, Sacha Baron Cohen, Timothy Spall

Dove trovarlo: a casa mia, in mezzo tra i dvd di Tim Burton e i musical

Benjamin Barker (Johnny Depp) è un barbiere londinese che vive felice con la moglie Lucy e la figlioletta Johanna. Purtroppo per lui però il potente giudice Turpin (Alan Rickman) si invaghisce della bella Lucy e per avere campo libero fa deportare Benjamin con un’accusa fittizia. Molti anni dopo Barker, che ora si fa chiamare Sweeney Todd, ritorna a Londra per cercare la sua famiglia, a scopre che la moglie, dopo essere impazzita, si è avvelenata, mentre la figlia è stata adottata proprio dal giudice Turpin. Ora vive per vendicarsi, e nell’attesa che il giudice entri nel suo negozio per farsi sbarbare si associa con l’intraprendente Mrs. Lovett (Helena Bonham Carter) nel vendere peculiari tortini di carne…

Con l’avvicinarsi della mia festa preferita, Halloween, mi tornano in mente i ricordi delle feste organizzate nel corso degli anni, una delle quali mi ha visto proprio nei panni di Mrs. Lovett, con tanto di mattarello insanguinato, scarafaggi sul tavolo e tortini di carne contrassegnati dai cartellini “poeta”, “pastore” e “frate”. Fin da quando lo vidi al cinema la prima volta ho adorato questo film, e non credo potesse essere diversamente, vista la mia grande passione per i musical e per Tim Burton. A differenza di molte delle opere del regista però Sweeney Todd non è una sua creazione originale, ma la trasposizione cinematografica di un musical teatrale del 1979 di Steven Sondheim (lo stesso di Into the Woods, in cui Johnny Depp ha la parte del lupo cattivo) vincitore di 8 Tony Award di cui uno assegnato all’interprete di Mrs. Lovett, la mitica Angela Lansbury: se vi è possibile reperire la versione teatrale originale ve la consiglio vivamente. Tim Burton non poteva certo restare indifferente di fronte ad un materiale di pregio come questo musical che si sposa perfettamente con la sua produzione per tono e tematiche. Proprio come i classici del regista infatti, Sweeney Todd racconta una favola con morale edificante in veste cupa e con un umorismo macabro all’inglese: a ben pensarci, nonostante il sangue scorra copioso, Sweeney Todd non è certo una celebrazione della violenza, ma anzi un esempio educativo di come la vendetta non porti che all’annichilimento di chi la perpetua. Per il barbiere di Fleet street infatti esiste ancora un possibilità per una vita felice, ma la getta al vento lui stesso reso cieco dal desiderio di uccidere il giudice Turpin. Lungi dall’essere un film per bambini (per carità!), io lo considero un film divertente e con un messaggio positivo, anche se in una veste decisamente gotica. La Londra di Tim Burton infatti è buia, cupa, come lo sono i pensieri del protagonista; le scenografie tetre ma allo stesso tempo cartoonesche hanno fruttato un Oscar per gli scenografi, Dante Ferretti e Francesca Lo Schiavo. Il cast, composto da molti beniamini del regista, è davvero di prim’ordine e si esibisce con grande maestria in tutte le canzoni. Johnny Depp, alla sua sesta collaborazione con Burton, interpreta il vendicativo e dolente Sweeney Todd; Helena Bonham Carter è la cuoca dalla mille risorse Mrs. Lovett; Alan Rickman brilla nel ruolo dello spietato giudice Turpin e regala, in duetto con Johnny Depp, la meravigliosa canzone Pretty Women; Timothy Spall (anche lui, come Rickman e la Carter, presente sui set di Harry Potter come Peter Minus) è il perfetto funzionario leccapiedi; Sacha Baron Cohen stupisce con la sua prestazione canora nei panni del barbiere Pirelli, e colpisce tanto da essere scelto per un altro musical, I Miserabili, in cui si esibirà proprio al fianco di Helena Bonham Carter). La colonna sonora è imperdibile dalla prima all’ultima canzone (la mia preferita è A Little Priest). Sweeney Todd ha tutte le qualità possibili e per questo può ammaliare diversi tipi di persone: gli amanti dei musical, i fan di Tim Burton, i sensibili al british humor, gli amanti del gotico truce ma non troppo. Sconsigliato però agli schizzinosi alla Gordon Ramsey che vogliono a tutti i costi sapere da dove viene la carne nel loro tortino…

Voto: 4 Muffin

Anche Sweeney Todd sbarba molto a fondo

M – Moulin Rouge!

Ho letto recentemente una riflessione di Paolo Mereghetti sul tema: può il critico cinematografico cambiare idea? Può rivedere drasticamente il suo primo giudizio su un dato film? La risposta, naturalmente, è sì, anche se non è cosa molto frequente: in genere la prima impressione può magari essere leggermente precisata o ricontornata, ma essendo il giudizio critico (idealmente) oggettivo, ovvero dettato da criteri tecnici (abilità degli attori, utilizzo sapiente della macchina da presa e del montaggio, coerenza dei dialoghi…) e non dai gusti personali, difficilmente esso muta completamente di segno. Spesso però i nostri giudizi, riguardo ai film o a qualunque altra cosa, non si basano su criteri così oggettivi, ma su impressioni, sensazioni e gusti personali (anche nel caso non si tratti dei nostri gusti personali). Questo vale, a maggior ragione, nel caso dei pre-giudizi, cioè di quelle valutazioni che noi diamo ad un film prima ancora di averlo visto, e che in definitiva ci fanno decidere se vederlo effettivamente oppure no. In questo caso ogni criterio è allo stesso modo valido, da “quell’attore mi è antipatico” a “adoro i film con gli animali”.

Quando nel 2001 vidi il trailer di Moulin Rouge di Baz Luhrmann lo liquidai come un filmetto romantico strappalacrime e non volli nemmeno vederlo al cinema. Per fortuna una mia cara amica, anche lei grande appassionata di cinema, insistette a lungo perché lo vedessi; per un po’ non volli cedere, ma alla fine accettai di prendere in prestito da lei la videocassetta e, senza alcuna convinzione, iniziai a guardare il film. Innanzitutto, non avevo capito dal trailer che si trattava di un musical: e io adoro i musical! Avevo già la mia buona collezione di colonne sonore, da Jesus Christ Superstar a Grease, da Cantando sotto la pioggia a Cabaret: semplicemente credevo che di musical, ormai, a Hollywood non se ne facessero più, e invece… che bella sorpresa! Forse per l’Italia avevano costruito apposta un trailer che facesse passare questo aspetto un po’ in sordina, poiché nel nostro paese non sono tantissimi gli appassionati del genere musicale, forse anche a causa dell’ostacolo linguistico. Oltre a questo, il film non era affatto un polpettone romantico e smielato: faceva ridere! Già dalla prima scena, in cui Toulouse Lautrec vestito da suora sta mettendo in scena Tutti insieme appassionatamente e un argentino privo di conoscenza precipita nel teatro, mi ritrovai a ridere a crepapelle. Un musical moderno, divertente, che citava in continuazione altri musical, con un cast strepitoso (non ho mai capito come mai non abbiano dato l’Oscar a Nicole Kidman). E una storia d’amore, certo. Infatti alla fine piansi. Sì, dopo aver tanto riso, quando nel finale vidi Satine morire tra le braccia di Christian piansi tutte le mie lacrime, e lo faccio ancora, ogni volta che rivedo il film. Infatti Moulin Rouge divenne uno dei miei film preferiti, presi subito entrambi i cd con la colonna sonora completa, ed è l’unico film che comprai, nel corso degli anni, prima in vhs, poi in dvd e infine in blu-ray. E se tra qualche anno le nuove tecnologie lo renderanno necessario, sono certa che lo comprerò ancora. Per mia fortuna io e la mia amica siamo in contatto ancora oggi (eravamo compagne di scuola e ora portiamo i nostri bambini a giocare insieme al parco), e ancora oggi ogni tanto mi dice: “Ma ti ricordi che neanche lo volevi vedere Moulin Rouge??”

Hamilton

Avvertenza: questo sarà un post lungo. Ma Hamilton è un film lungo: 2 ore e 40 minuti. E non è poco, soprattutto perché si tratta di un musical del tutto privo di dialoghi non cantati, come I Miserabili, e proprio come I Miserabili è tutto registrato dal vivo, non in playback come si è sempre fatto per le parti cantate nei film musicali hollywoodiani, e inoltre senza tagli, pause né montaggio. Anche se su Disney Plus è categorizzato come “film” in realtà Hamilton è la registrazione, non in steadycam ma con diverse telecamere che permettono cambi di inquadratura e primi piani dei personaggi proprio come in un film (oltre a notevoli effetti speciali, grazie alla bravura di interpreti e coreografi, come il rewind o il bullett-time), di una messa in scena del 2016 al Richard Rogers Theatre di Broadway. A partire dal 4 luglio, la festa dell’indipendenza degli Stati Uniti, gli abbonati di Disney Plus possono quindi assistere a un vero show di Broadway senza alzarsi dal loro divano. Io non conoscevo nulla di questo spettacolo che negli ultimi anni ha fatto incetta di premi (11 Tony Awards, un Grammy e un Premio Pulitzer), ha avuto tra i suoi spettatori celebrità come Busta Rhymes e Meryl Streep ed è stato messo in scena addirittura alla Casa Bianca (due volte) su insistenza del Presidente Obama e della First Lady Michelle, fino a diventare quasi un manifesto del movimento #BlackLivesMatter che nelle manifestazioni esibisce sugli striscioni versi tratti da Hamilton. Troppo successo per un qualsiasi “musicarello”. Tutto iniziò quando l’attore Lin-Manuel Miranda (che abbiamo conosciuto nei panni del lampionaio Jack in Il Ritorno di Mary Poppins), leggendo la biografia del padre fondatore Alexander Hamilton scritta da Ron Chernow, fu colpito dal fatto che un uomo di così grande cultura, successo e influenza, uno dei fautori dell’indipendenza americana e dei fondatori degli Stati Uniti, fosse un figlio di immigrati (padre scozzese e madre francese). Miranda, la cui famiglia è di origine portoricana, ha sentito l’urgenza di raccontare la storia dell’unico statista, oltre a Benjamin Franklin, tanto importante da comparire su una banconota, quella da dieci dollari, pur non essendo mai stato Presidente. E fin da subito ha sentito che non c’era altro modo per raccontarla se non con la musica, e in particolare con il rap e l’hip-hop. Ed è così che oggi l’abbonato a Disney Plus che spinto dalla curiosità voglia tentare di vedere Hamilton si ritrova nei primi minuti investito da un fiume in piena di parole sincopate che rendono molto difficile cogliere l’ambientazione e la presentazione dei personaggi. Quando poi entrano in scena gli attori che interpretano i Padri Fondatori e che sono tutti di colore, la confusione aumenta. Poi entra in scena il protagonista, Alexander Hamilton, interpretato dallo stesso Miranda: lui conquista tutti i presenti e ammalia tutte le donne con il suo fascino di volitivo diciannovenne. Peccato però che Miranda, senza dubbio autore e paroliere talentuoso, di anni ne abbia quaranta e assomigli ad un pacioso Winnie Pooh. Ma, proprio quando lo spettatore, prima frastornato poi perplesso, sta per cambiare “canale”, avviene la magia: entrano in scena le ragazze. Philippa Soo nel suolo di Eliza Schuyler, la moglie di Hamilton, e Reneé Elise Goldsberry nel ruolo di sua sorella Angelica illuminano immediatamente la scena con le loro voci e i loro personaggi. Le canzoni diventano più familiari, più simili a quelle dei musical cui siamo abituati, e finalmente la storia prende vita, finalmente arriva qualcosa di coinvolgente che permette di accettare tranquillamente tutte le strampalate premesse per godersi la storia e i numerosi e grandiosi talenti in atto. La vicenda è basata sui fatti storici, con alcune piccole deviazioni drammaturgicamente motivate, e così non solo si scoprono moltissime cose sulla nascita di una nazione, ma sorge anche la curiosità di approfondire la conoscenza di quegli eventi, che era proprio l’intento artistico alla base di Hamilton. Certo non si può dire che le oltre due ore e mezza filino via sempre lisce, ci sono momenti di noia e ripetizioni a volte ridondanti, ma anche momenti emozionanti e perfino divertenti (come il ridicolo Re Giorgio III che commenta la ribellione dal suo punto di vista e soprattutto la sfida a colpi di rap tra Hamilton e Thomas Jefferson davanti al Congresso, con tanto di mic-drop finale). Nei giorni successivi alla visione mi sono spesso ritrovata a canticchiare alcune delle canzoni di Eliza, la moglie di Hamilton nonché vera eroina della storia e della Storia. E per chi è sopravvissuto all’intero spettacolo Disney Plus offre anche due speciali sulla realizzazione di Hamilton con interviste ai protagonisti. Concludo con una mia curiosità: mi domando cosa avrebbe pensato di Hamilton Orson Welles, che agli inizi della sua carriera mise in scena con un discreto successo Voodoo Machbeth, una versione della tragedia di Shakespeare trasposta dalla Scozia ad Haiti ed interpretata unicamente da attori di colore.